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Visualizza Versione Completa : Editoriali di Alessandro Campi



Florian
05-08-10, 12:01
In questo thread mi propongo di presentare gli editoriali di Alessandro Campi, l'intellettuale di riferimento di Gianfranco Fini, che ci permetteranno di comprendere meglio come intende svilupparsi l'azione politica e culturale di Futuro e libertà per l'Italia.

Florian
05-08-10, 12:04
Il vero senso di una sfida tutta politica

di Alessandro Campi

Secolo d'Italia, 5 agosto 2010


Ma chi sono realmente i finiani? Una pattuglia di parlamentari rimasti senza fissa dimora e senza grandi prospettive di carriera, dopo che Berlusconi li ha estromessi dal Pdl, o l'avanguardia di un movimento politico destinato a crescere nei consensi? Una destra morente o una destra emergente? E quali solo le reali intenzioni che hanno sin qui guidato le scelte di Gianfranco Fini? Fare le scarpe a Berlusconi trovando ogni scusa per dargli addosso, come gli rimproverano da sempre i suoi avversari interni, o proporsi al Paese nei panni di un leader politico capace di innovare sul piano del linguaggio e dei contenuti e di guardare lontano? Lo hanno mosso l'ambizione e il risentimento personale o l'ansia di rinnovamento e il gusto per la sfida?

Dalle diverse risposte a queste domande dipende, come si comprende facilmente, il giudizio su un'avventura politica che molti osservatori, soprattutto quelli maggiormente prevenuti e ostili per principio, continuano a presentare come velleitaria e inconcludente o, nella migliore delle ipotesi, come confusa e potenzialmente fallimentare.

In realtà, l'esperienza e il dibattito degli ultimi due anni dovrebbero aver dimostrato a sufficienza che le posizioni assunte dal presidente della Camera e dalla galassia politico-culturale che lo sostiene, per quanto sicuramente discutibili e su certi temi persino troppo ardite, non sono state dettate dal desiderio di novità ad ogni costo o dal bisogno di ritagliarsi una piccola quota di potere all'ombra rassicurante del berlusconismo. Tantomeno dalla volontà maligna di impegnarsi in una sorta di guerriglia sterile e logorante nei confronti della maggioranza politica di centrodestra (la strategia del "controcanto" stigmatizzata a più riprese da Sandro Bondi).

Le discussioni e le polemiche sull'immigrazione, sulla laicità, sulla bioetica, sulla legalità e la questione morale, sulla natura e il funzionamento del Pdl, sui rischi di disgregazione del tessuto sociale nazionale, sui diritti civili, sui criteri di selezione e formazione della classe dirigente, sul federalismo, sulla riforma della Costituzione, sull'etica pubblica, sul populismo mediatico, sulla responsabilità e moralità degli uomini politici, sul senso dello Stato, sul pericolo insito in una visione cesarista e ipersemplificata della democrazia, sulle derive della retorica antipolitica, sulla mercificazione del corpo femminile, sul valore dell'unità nazionale, sulla giustizia e la libertà d'informazione, sul corretto rapporto tra le istituzioni e i poteri dello Stato, sul patriottismo repubblicano; tutte queste discussioni e polemiche - spesso derubricate a inutili e irresponsabili provocazioni - in realtà tendevano, e tendono ancora oggi, a definire una visione della politica, dei suoi doveri e dei suoi obiettivi, più aderente alla fase storica nella quale viviamo, profondamente diversa rispetto a quindici-venti anni fa, e alle sfide con le quali l'Italia sempre più è chiamata a misurarsi.

Secondo alcune letture, il solo fatto di avere posto all'attenzione dell'opinione pubblica - in primis quella di centrodestra - temi di questa natura avrebbe implicato, da un lato, una negazione radicale, polemica e unicamente strumentale del berlusconismo (quasi un atto di lesa maestà nella prospettiva di un movimento politico carismatico e fortemente personalistico) e avvalorato, dall'altro, l'esistenza di un'insopportabile distinzione tra una destra civile e democratica (rappresentata appunto da Fini) e una destra incivile e autoritaria (quella che si esprime in Berlusconi). Da qui l'incompatibilità politica - persino antropologica ed esistenziale - che si sarebbe alla fine creata tra la minoranza finiana e la maggioranza del Pdl. Da qui, ancora, certe interpretazioni delle posizioni di Fini nel segno della slealtà, del tradimento, dell'opportunismo, dell'avventurismo ideologico.

In realtà, a guardare le cose con attenzione e un minimo di serenità, si scopre facilmente che la "destra nuova" immaginata dal Presidente della Camera suona come un implicito riconoscimento all'irripetibile eccentricità del Cavaliere: rappresenta infatti il tentativo - per carità, discutibile, ma andrebbe discusso nel merito, non irriso o liquidato facendo il processo alle intenzioni - di dare continuità, ma su basi necessariamente nuove e originali, ad un'esperienza politica che per definizione rischia altrimenti di esaurirsi - peraltro nel modo più rovinoso - con la scomparsa dalla scena del suo indiscusso protagonista. Si potrà dire, come molti sostengono, che Fini abbia sbagliato tempi e modi, ma è difficile negare che abbia posto e affrontato un problema - quale cultura politica per il centrodestra del domani, quale centrodestra senza e dopo Berlusconi, quali visione dell'Italia e della politica dopo che si sarà esaurita l'onda lunga dell'antipolitica che Berlusconi ha incarnato e cavalcato - che esiste per così dire oggettivamente.

All'interno del Pdl, nato peraltro proprio con l'idea di includere al suo interno molte componenti sociali e molte sensibilità intellettuali e di stabilizzare l'eredità politica del berlusconismo, la componente finiana avrebbe potuto rappresentare una sorta di lievito critico, uno stimolo creativo, un polo di dibattito e confronto. Si è invece preferita, per timore che un eccesso di confronto interno minasse la solidità dell'attuale leadership, la strada della normalizzazione e della riduzione forzata all'unità, secondo modalità che nel linguaggio berlusconiano si potrebbero definire tipiche della "vecchia politica". E quello che oggi si chiede ai parlamentari che si riconoscono in "Futuro e libertà", per evitare che siano definitivamente messi al bando, è di essere leali e disciplinati in Parlamento, di smetterla con i distinguo che confondono le idee alla gente, di limitarsi a rispettare il patto sottoscritto con gli elettori e per definizione considerato immutabile (anche se la società, l'economia e la politica corrono e cambiano nello spazio di pochi mesi). Insomma, se non vogliono passare per traditori o ingrati debbono dovrebbero smettere di pensare e di fare politica.

Ma proprio perché quelle dei finiani, per come le abbiamo sommariamente descritte, non sono mai state impuntature ideologiche o forzature velenose c'è da sperare, per il loro futuro e per quello dello stesso centrodestra, che essi possano continuare nel ruolo che si sono assegnati e che sin qui hanno svolto: di critica, di cambiamento, di proposta, di apertura versi nuovi orizzonti politici e culturali, in linea con le trasformazioni e le nuove esigenze della società italiana.

La destra riformista e liberale, laica ed europea, istituzionale e patriottica, inclusiva e postideologica, repubblicana e legalitaria immaginata da Fini negli ultimi due anni può essere criticata per molti versi, giudicata prematura o dai contorni ancora troppo vaghi. Ma non si può negare che abbia rappresentato un'autentica novità nel panorama politico-culturale italiano, potenzialmente destinata ad intercettare il consenso e le attese di una parte crescente dello stesso elettorato moderato. Al punto che non si può escludere che proprio questa consapevolezza sia stata l'origine e la causa prima dell'aspro scontro - travestito da disputa personale - che si è consumato nei giorni scorsi all'interno del Pdl.

Al momento, per come si sono messi i rapporti di forza all'interno del centrodestra, sembrerebbe trattarsi di un'avventura e di una scommessa destinate ad esaurirsi rapidamente. Ma è possibile - non solo sperabile - che le cose vadano diversamente. In politica, per fortuna, le idee (soprattutto le buone idee) camminano più velocemente degli uomini. E gli scenari mutano spesso in modo repentino e non previsto. Così come l'orientamento degli elettori e gli umori collettivi. Ce l'ha insegnato, pensa un po', proprio Silvio Berlusconi.


Alessandro Campi



Secolo d'Italia - In Edicola (http://www.secoloditalia.it/publisher/In%20Edicola/section/)

Florian
06-08-10, 15:10
Il prigioniero del Carroccio

di Alessandro Campi

Il Mattino, 6 agosto 2010


La novità di ieri, che ha tenuto banco per qualche ora dopo i lanci di agenzia, è che Bossi parlando della sua alleanza con Berlusconi in caso di possibili elezioni anticipate ha detto enigmaticamente: «Vedremo». Quasi a lasciare intendere che non c’è nulla di scontato nel suo rapporto, al momento assai solido, con il Popolo della libertà. Oggi alleati, domani chissà. In realtà, di nuovo non c’è proprio nulla in quest’atteggiamento. Da anni la Lega ci ha abituati a repentini cambiamenti d’umore e di strategia. E di questi cambiamenti una volta ha fatto drammaticamente esperienza proprio Berlusconi.

Le parole dei leghisti sono spesso volutamente contraddittorie e incoerenti, scelte apposta per generare confusione e incertezza negli interlocutori. Viene il sospetto che si tratti di un’abile strategia comunicativa. In ogni caso, è un modo per tenersi le mani sempre libere, in modo da poter agire secondo convenienza in ogni circostanza.

Quanto al suo capo, dopo la malattia ha assunto atteggiamenti sibillini e oracolari. Parla ormai misurando le parole, più spesso affidandosi ai gesti delle mani. Il che lo rende difficile da interpretare. Dice una cosa, ma potrebbe intenderne un’altra. Come appunto è capitato ieri. Andare ancora una volta con Berlusconi? Vedremo, forse, non è detto, dipende dal programma. Lo stesso Berlusconi che, sempre per bocca di Bossi il giorno prima, è l’unico che possa garantire al la Lega il federalismo e del quale i padani possano fidarsi.

La strategia leghista, come sempre apparentemente ambigua, è in realtà chiarissima. Si tratta di tenere il Cavaliere sulle spine, di noia farlo stare tranquillo sino alla fine, con l’obiettivo di strappargli quanto più possibile in caso di una nuova avventura elettorale da correre insieme. Eliminati i suoi storici compagni di strada - prima Casini, ora Fini Bossi è convinto di poter chiedere tutto o quasi al suo alleato maggiore. E per fargli capire come stanno realmente le cose, basta appunto una parofina buttata là in maniera apparentemente distratta: «Vedremo». Poi ovviamente chiarita e smentita, come sempre accade nel gioco delle dichiarazioni politiche.

Se si andrà al voto anticipato - magari il prossimo 27 marzo, come vorrebbe Berlusconi, che considera la data fausta ed evocativa - «noi e il Pdl insieme spazziamo via, tutti» (sempre parole di Bossi pronunciate ieri). Molti ritengono che sia vero. Con il Partito democratico che naviga a vista - spintosi sino a proporre un governo tecnico guidato da Tremonti! - il centrodestra, anche se privo della coniponente finiana, non dovrebbe avere problemi. Se non fosse per l’incognita del cosiddetto Terzo Polo, divenuto non a caso l’oggetto del desiderio (o l’incubo, dipende dai punti di vista) sul quale in questi giorni si sta concentrando l’attenzione di tutti gli osservatori. Nascerà? Con quali forze? E con quali obiettivi?

Grazie alla contorta legge elettorale che ci siamo dati, molti sostengono che una larga vittoria alla Camera dell’alleanza tra Bossi e Berlusconi potrebbe essere vanificata al Senato proprio dal buon risultato di questa nuova formazione, che dovrebbe raccogliere Casini, Fini, Rutelli e magari, per soprannumero, qualche transfuga trai cattolici inquieti del Pd (il gruppo di Fioroni). Se il problema è rovinare la festa al Cavaliere, .impedirgli una vittoria totale e definitiva, metterlo nelle condizioni di non governare ancora una volta, il. Terzo Polo potrebbe anche riuscire nel suo intento.

Ma che valore politico – al di là dei numeri, che magari potrebbero anche essere interessanti: si stima dal 10 al 12 per cento dei consensi elettorali - avrebbe una simile realtà politica? Lasciamo stare i problemi di leadership che subito si creerebbero in questo nuovo partito, che di leader rischierebbe di averne troppi e dunque nessuno. Ma quale progetto o programma lo sosterrebbe oltre il desiderio di non restare schiacciati dal meccanismo bipolare che attualmente regola la politica italiana? Come evitare che risulti un’ammucchiata di transfughi o di delusi dai due poli destinata sfasciare un attimo dopo la chiusura delle urne?

Chi più crede in questa prospettiva - Casini - ha sostenuto ieri che ciò che dovrebbe nascere non è in realtà un Terzo polo, come tutti lo chiamano, e nemmeno un Grande centro, che per definizione dovrebbe porsi in posizione mediana (e politicamente perdente, vista l’attuale legge elettorale) tra l’attuale centrodestra e l’attuale centrosinistra. Ma un nuovo soggetto politico rivolto al futuro: un’area di responsabilità politica, come va di moda dire in queste ore, che dovrebbe proporsi agli elettori come il «partito della nazione».

Ma se le parole hanno un senso, e se la politica non è solo gioco di interdizione o una banale sormmatoria algebrica, ma anche visione e strategia, stiamo in realtà parlando, almeno come prospettiva e come intenzioni, di un Secondo polo. Insomma, come peraltro sembrerebbero testimoniare le parabole politiche di Casini e Fini, di un nuovo, possibile centrodestra (ma allora cosa c`entrano Rutelli e Fioroni?). Un centrodestra senza Berlusconi, o dopo Berlusconi, che punterebbe a sostituire quello attuale e con il quale sarebbe, sin dalle prossime elezioni, in diretta competizione.

Con la nascita del Pdl Berlusconi doveva fare il grande partito dei moderati italiani. In realtà ha dimostrato - con l’espulsione dei finiani - che la sua vera intenzione era di farsi, come già nel caso di Forza Italia, un partito interamente a sua immagine e somiglianza, come tale destinato a non sopravvivere alla sua scomparsa dalla scena. In questa chiave, scommettendo sull’esaurirsi della parabola politica del Cavaliere e della sua creatura politica, il «partito della nazione» dovrebbe puntare a raccoglierne l’eredità quando quest’ultima andrà fatalmente dispersa.

Messa in questi termini la nascita di questo nuovo soggetto politico suona a dir poco come un azzardo, ma almeno presenta un minimo di senso politico. Resta il fatto che al momento esso si è materializzato solo sotto forma di una provvisoria intesa parlamentare, durata un giorno soltanto. Forse nascerà, dipende dalla piega che prenderanno gli eventi. Forse è solo un esercizio di fantasia politica destinato a finire con la fine dell’estate.


Governo Italiano - Rassegna stampa (http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=49122655)