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Majorana
10-08-10, 15:28
Il darwinismo è una teoria della disperazione
di Francesco Lamendola

La teoria dell'evoluzione biologica mediante la selezione dei caratteri ereditari viene attribuita, dalle persone di media cultura, a Charles Robert Darwin (1809-1882), senza molti riguardi al fatto che essa venne formulata, negli stessi anni e in totale autonomia, da un altro notevole naturalista inglese, Alfred Russell Wallace (1823-1913), che ha lasciato il suo nome - fra l'altro - alla cosiddetta "linea Wallace" che separa la fauna dell'Asia sud-orientale da quella dell'Oceania (e diverge dall'altra "linea" generalmente ammessa dai biogeografi, la linea Weber, per il fatto che include Celebes e le Piccole isole della Sonda nell'area oceanica). Si tratta di una semplificazione dovuta al fatto che l'opera di Darwin, Sull'origine delle specie (1859) e, ancor più, la successiva L'origine dell'uomo (1871) ricevettero una calorosa accoglienza da parte di un gruppo di scienziati molto agguerriti che seppero controbattere con vigore ogni resistenza e riuscirono a distruggerla con la sferza del sarcasmo. Il darwinismo (un po' come il marxismo e, più tardi, il freudismo) era nato ancor prima dell'uscita di scena del suo iniziatore, assumendo quei caratteri di paradigma tendenzialmente autoreferenziale che non lo avrebbero più abbandonato. In questo irrigidimento dogmatico di quella che, all'inizio, era una semplice teoria (che contraddiceva, oltretutto, per il suo tendenziale ateismo, le intime convinzioni del giovane Darwin, aspirante alla professione di pastore anglicano) non vi era spazio perché il 'padre fondatore' condividesse con altri la gloria della teoria evoluzionistica, e ciò spiega il fatto che il nome di Wallace è stato rapidamente messo in disparte (tanto che alcune enciclopedie si dimenticano addirittura di riportarlo). Nulla di strano: in quell'arena di gladiatori che è la scienza accademica, abbiamo assistito, solo nel corso del Novecento, a ben altre cancellazioni e falsificazioni della verità: ad esempio, la favola che l'esploratore americano Peary abbia raggiunto per primo il Polo Nord, nel 1909 (mentre è quasi certo che fu preceduto dal medico Frederick Cook) o che l'inglese Bell abbia inventato il telefono (e non l'italiano Meucci, che nella American People's Encyclopedia non è neppure citato).

Quello che su cui desideriamo riflettere, in questa sede, è che Darwin ha costruito la sua teoria su basi molto più precarie, dal punto di visto scientifico, di quel che generalmente si creda; e che i gravissimi disturbi nervosi di cui soffrì per tutta la vita, ma specialmente dopo il ritorno in Inghilterra dal viaggio di circumnavigazione col brigantino Beagle del capitano Fitz Roy (esperienza che gli dettò le pagine del Viaggio di un naturalista intorno al mondo), nel 1836, ebbero a che fare sia con la fragilità speculativa della sua teoria, sia con le implicazioni negative circa il significato della vita, il posto dell'uomo nella natura e perfino la struttura ella società (con il cosiddetto darwinismo sociale).

Illuminante, in proposito, un articolo di Roberto Fondi, docente all'Istituto di Geologia e Paleontologia dell'Università di Siena, apparso sul numero di aprile 1982 del mensile Scienza & Vita, pp. 6-10), del quale ci permettiamo di riportare alcuni brani particolarmente significativi.

"(…) si sa che Fitz Roy protestò spesso con Darwin per avergli sentito esprimere dubbi sul primo libro del Genesi, dubbi evidentemente sorti in seguito alla lettura dei Principles of Geology di sir Charles Lyell, oggi ritenuto il vero fondatore della geologia moderna.(…)

"Darwin approdò alle sue posizioni filosofiche anche in risposta all'insistenza dogmatica con cui Fitz Roy difendeva la Bibbia? È impossibile non domandarselo. Chissà quale 'silenziosa alchimia' può aver lavorato nel cervello di Darwin durante cinque lunghi anni di arringhe insistenti. Fitz Roy può benissimo essere stato molto più importante dei fringuelli delle isole Galapagos, nell'ispirare il tono materialistico ed anti-teistico del particolare accostamento di Darwin alla soluzione dei principali problemi biologici. Certo è che la concezione trasformistica non aveva ancora preso pieno campo nella mente del nostro personaggio, se non come pura 'possibilità', fra l'altro giudicata improbabile dallo stesso Lyell.

"Né, l resto, si può dire che le stesse osservazioni naturalistiche effettuate da Darwin lo spingessero inesorabilmente verso questa concezione. Darwin, infatti, continuava a dare prova di scarsa preparazione scientifica e di spirito per lo più dilettantistico, giacché in geologia non aveva alcuna chiara idea riguardo alla stratigrafia e alla tettonica, mentre in biologia non disponeva di sufficienti cognizioni anatomiche e spesso - coma appunto per il caso dei fringuelli delle Galapagos - neppure si preoccupava di indicare l'esatto luogo di provenienza dei suoi esemplari. Ogni sua descrizione ed interpretazione era, quindi, sempre abbastanza approssimativa e speculativa in quanto non soggetta ad alcun rigoroso metodo di indagine, per cui egli perse molto tempo nello stendere un gran numero di appunti che poi, all'atto pratico dell'investigazione scientifica vera e propria, si sarebbero rivelati inutilizzabili.

"In conclusione, quindi, il viaggio intorno al mondo fu per Darwin molto importante, ma non in quanto esso gli abbia fornito dati ed informazioni scientifiche tali da condurlo alla formulazione della sua teoria; bensì unicamente perché gli diede respiro, libertà e tempo per meditare a modo suo, cioè lasciando corda libera all'immaginazione. Nel 1836, allorché il Beagle rientrò in Inghilterra, Darwin non disponeva di alcuna teoria propria. Ma qualcosa dentro di lui era cambiato ostava cambiando. Qualcosa che avrebbe finito per spingerlo a consumare il resto dei suoi giorni in un carcere volontario dominatodall'ambizione e dalla nevrosi., e reso più confortevole soltanto dal calore degli affetti familiari.(…)

"La soluzione, consistente nel meccanismo variazioni-selezione naturale, gli venne in seguito a riflessioni e letture del tipo più disparato. Può stupire di dover constatare che i principali autori utilizzati non furono biologi, ma un sociologo (Robert Malthus), un economista (Adam Smith) e uno statistico (Adolphe Quételet); ma lo stupore svanisce, non appena si riflette che, in definitiva, la teoria dell'evoluzione per selezione naturale altro non è se non un'estensione alla biologia del principio del laissez-faire economico di Adam Smith. Per Smith, infatti, se si vuole un'economia ordinata e assicuratrice del massimo benessere per tutti, bisogna lasciare che gli individui competano liberamente fra di loro e combattano l'uno contro l'altro per il proprio tornaconto. Il risultato, dopo aver eliminato gli inefficienti e favorito i più efficienti, sarà una politica stabile ed armonica. L'ordine e l'armonia, insomma, sorgerebbero spontaneamente dalla lotta fra gli individui e non discenderebbero da una 'autorità' predestinata o da controlli effettuati dall''alto'.

"Non si intuisce, dietro tutto questo, il bisogno di Charles Darwin di non sentirsi più soggetto a nulla e a nessuno (il padre, gli studi obbligati, le arringhe di Fitz Roy, la Bibbia, Dio) e di competere liberamente con gli altri a modo proprio, obbedendo alla propria natura e solo per proprio diletto? È proprio così. La teoria di Darwin rifletteva in tutto la sua psicologia, costantemente oscillante fra i due poli dell'ansia e del bisogno di libertà. Insofferente e timoroso dell'autorità e del severo giudizio prima paterni e poi divini, Darwin manifestò, con la sua teoria, tutto il suo bisogno di liberarsi dal padre celeste e di competere con Lui, sostituendolo nella considerazione dei suoi simili. Dietro la sua facciata cortese e apparentemente calma e cordiale di prefetto gentleman vittoriano, il naturalista dilettante e il meno filosofico tra gli uomini, Darwin nutriva prepotentemente l'ambizione di essere considerato una grande figura della scienza e della storia del pensiero, anche.

"A partire da questi anni, Darwin fu affetto quasi quotidianamente da una strana malattia che si manifestava con sintomi cangianti ed imprecisi (nausee, dolori gastrici ed intestinali, palpitazioni cardiache, debolezze ed insonnia) sulla quale molto è stato scritto, ma che - data la sua robusta costituzione ereditata dal padre - era sicuramente di natura psico-somatica.

"Questa malattia gli impedì per tutto il resto della vta di compiere alri viaggi, di partecipare a convegni scientifici, di intrattenere a lungo ospiti od amici e di dedicarsi per troppe ore al suo lavoro. Ciò lo convinse a ritirarsi con la sua famiglia (nel 1839 aveva sposato la cugina Emma Wedgwood, dalla quale ebbe 10 figli) in un luogo tranquillo e non troppo facilmente raggiungibile, e la scelta cadde su una graziosa casa di campagna situata in prossimità di Downe, nel Kent.(…)

"Perché quella reclusione volontaria? E come mai quella strana malattia? Viene da pensare che Darwin, per lo meno al livello inconscio, avesse paura, ma di che cosa? Sicuramente egli ambiva a rivelare al mondo la sua teoria trasformistica, ma si rendeva anche perfettamente conto di due ostacoli piuttosto duri da superare.

"In primo luogo, la teoria implicava una spiegazione puramente materialistica delle forme viventi, uomo compreso., e ciò sarebbe stato molto più eretico dell'idea evolutiva medesima - che, in se stessa, non era affatto una novità -, scardinando tutte le tradizioni più profonde del pensiero occidentale. Ciò gli avrebbe inimicato la maggior parte degli ambienti accademici, distruggendolo. In secondo luogo, la teoria era stata, sì, formulata; ma non in base a tutto un corredo di fatti scientificamente plausibili. Essa, al contrario, aveva preceduto i fatti. Come giustificarla e sostenerla, quindi, di fronte ai biologi?

"Il primo di questi ostacoli, Darwin lo superò con il silenzio, nascondendo cioè le sue vere idee e facendo sapere che era semplicemente interessato a raccogliere informazioni riguardanti il problema della variabilità dei viventi. Scrisse, comunque, due brevi saggi (molto simili all'Origine delle specie nel contenuto e nella struttura generale) che consegnò alla moglie affinché venissero pubblicati nell'eventualità della sua morte.

"Il secondo ostacolo fu superato 'spremendo' semplicemente i cervelli di altri, fossero questi ultimi allevatori profani, scienziati professionisti o semplici conoscenti. Poiché la sua malattia e la sua condizione di naturalista dilettante non gli permettevano di andare molto più in là di qualche primitivo esperimento nel suo giardino o nel capannone che vi era situato, egli poneva continuamente ed insistentemente questi e problemi ai suoi 'esperti' (Joseph Hooker,Asa Gray, Charles Lyell, Thomas Huxley, ecc.) trattandoli con affetto più che cordiale e, a volte, adulandoli in maniera anche abbastanza sfacciata (egli chiamava Lyell, ad esempio, il suo 'Lord alto Cancelliere', e Hooker 'il giudice di gran lunga più competente in Europa')." (…)

"Col tempo, ai due ostacoli suddetti se ne aggiungerà un terzo, consistente nel fatto di non riuscire a capire chiaramente in che modo si originano le variazioni in natura. Darwin non seppe venirne fuori, e, per non ricadere nelle stesse posizioni di Lamarck, ripiegò nell'ammettere che esse si originavano per puro caso.

"Per i motivi suddetti, dopo ben 20 anni alla formulazione della sua teoria, Darwin non aveva ancora pubblicato nulla in proposito, consumando molto tempo in ricerche meno pericolose (ad esempio i 4 volumi sui crostacei cirripedi) e continuando ad accumulare tensione nervosa per le sue ambizioni insoddisfatte. Probabilmente - è lecito sostenerlo - non avrebbe mai pubblicato nulla, se non fosse stato per il fatto che Alfed Russell Wallace minacciava di anticiparlo e di spogliarlo della tanto proclamata e difesa originalità della sua teoria: il che lo indusse a scrivere in fretta i suoi punti di vista, riutilizzando i brevi manoscritti che aveva consegnati alla moglie.(…)

"Ora, se in privato Darwin ammetteva tranquillamente di aver ricavato da altri le informazioni utilizzate per comporre l'Origine, in pubblico sembrava presentarli come proprie ricerche originali. In realtà, il meno che si può dire è che i fatti da lui raccolti erano di seconda mano, ed in molti casi neppure verificati; ma Darwin nemmeno se ne accorgeva. Egli non si poneva mai la questione cardinale di mettere freddamente a confronto i dati favorevoli e quelli invece sfavorevoli alla sua teoria.(…)

"Darwin (…) assumeva che la mera possibilità di immaginare una serie di passaggi intermedi tra una condizione organica ed un'altra doveva essere accettata come ragione valida per ritenere probabili questi passaggi, inducendo a far tranquillamente credere che essi si erano effettivamente realizzati. Allorché, finalmente, Darwin si accorgeva di non poter render conto di certi fatti sfavorevoli alla sua teoria, chiudeva ogni discussione in modo assai candido col rimarcare che una tale teoria, in grado di spiegare così tante cose altrimenti inesplicabili, non poteva assolutamente essere falsa! (…)

"Secondo noi, di Darwin si può dire quello che una volta Sigmund Freud disse di se stesso: 'Io non sono realmente un uomo di scienza, né un osservatore, né uno sperimentatore, e neppure un pensatore. Per temperamento, io non sono altro che un conquistador, con la curiosità, sfrontatezza e tenacità che appartengono a questo tipo di essere."



Non ci proponiamo certo, in queste brevi righe, di confutare il darwinismo; volgiamo soltanto porre alcuni interrogativi sul metodo di lavoro adottato da Darwin, sull'arroganza di una casta di scienziati che hanno trasformato una teoria assai vacillante in una sorta di nuova religione, e sulla visione del mondo che tale teoria implica. La teoria dell'evoluzionismo si basa sui due concetti di caso e di adattamento: per caso vengono trasmessi certi caratteri ereditari agli individui, e mediante l'adattamento quei caratteri si rivelano vincenti rispetto ad altri nella strenght for life, la malthusiana lotta perla vita: ove è sottinteso che, come vuole Adam Smith, s'impongono i "migliori". Del resto, il concetto di miglioramento non è implicito nel concetto di evoluzione? Evolvere, vuol dire avanzare dal semplice al complesso, dal meno perfetto al più perfetto: dunque, progredire migliorando. Si noti: il fatto di progredire sottintende un miglioramento, e il fatto di migliorare presuppone un progresso: tipico esempio di ragionamento viziato da una tautologia di fondo. Che lo stato stazionario, in tale prospettiva, non possa non apparire come una forma di rinuncia, di fallimento, ne è la logica conseguenza. Sarà un caso, che gli stessi anni in cui Darwin formulava la sua teoria dell'evoluzione-progresso-miglioramento delle specie, la civiltà occidentale era letteralmente accecata dall'ebbrezza di un iperattivismo che essa chiamava progresso e che si manifestava nella corsa al dominio tecnologico sulla natura, politico-militare e culturale sugli altri popoli, politico-economico sulle proprie classi subalterne? La stessa idea di 'lotta per la vita' implica una concezione violenta della natura, una concezione non solo atea e materialista, ma anche priva di un qualsiasi orizzonte di senso. Darwin, in privato, ne era consapevole e, forse, sconcertato: "In tutto questo - scriveva in una corrispondenza privata - io cerco di trovare un significato ma, per quanto mi sforzi, non riesco a vederne alcuno." Se il caso è, in ultima analisi, il motore dell'evoluzione, bisogna infatti riconoscere che tutta la natura non è che il teatro di un dramma assurdo, ove i generi, le specie e i singoli individui senza scopo fanno la loro comparsa e senza scopo spariscono nella materia che li ha generati.

Scrive Giuseppe Sermonti (in Dimenticare Darwin, Milano, Rusconi, 1999, p. 148: "Non sono le specie e le loro forme a produrre un senso, è invece un senso pervasivo e ultramondano che arruola le cose e dispone le forme, ed è prima di loro. Ci sembra, e non sapremmo come altrimenti dar conto del mondo, che gli esiti finali, le forme concluse - il cristallo, il leone, la rosa - evochino i processi chele producono. La stereochimica dei cristalli, la genetica delle popolazioni e l'analisi macromolecolare non anticipano o lasciano prevedere la realtà che vediamo. Il mondo è come l'opera dell'artista, che non è nella tela, nei pennelli e nei colori, ma in un'immaginazione totale che di quegli strumenti si serve. Quando muore il grande artista, ecco all'opera il tempo che sgretola le tele, e i riparatori che restaurano o scartano l'opera declinante. Ma non sono loro - la mutazione, il repair o la mutazione - che fanno il mondo.

Torniamo allora ad ammirare la sagoma ed i volteggi degli uccelli, lo sfoggio discreto o festoso dei fiori, i giochi delle nuvole, la figura, la danza e il canto della donna, perché essi sono la saggezza e la bellezza instancabili del mondo. Ogni volo d'uccello e ogni fiore sbocciato, al ritorno della stagione, merita il suo stupore, come l'arrivo della bella per l'innamorato, della parola per il poeta."

Ecco: l'evoluzionismo darwiniano chiude gli occhi sulla bellezza del mondo; bellezza che non è separabile dall'idea di uno scopo, di un fine verso cui sono diretti gli enti materiali. La bellezza non può essere frutto del caso: non più di quanto - è stato detto - potrebbe accadere che una scimmia, battendo a caso i tasti di una macchina da scrivere, finisca per comporre la Divina Commedia. Un mondo senza scopo è anche un mondo senza bellezza, e un mondo dominato dalla bruttezza genere ansia, nevrosi e infelicità in coloro che hanno la sfortuna di abitarvi. Che si trovino qui una parte delle radici della strana malattia che ha tormentato Darwin per tutta la vita, dopo il ritorno dal suo viaggio sul Beagle? E che questa intuizione - di un mondo senza Dio, senza bellezza, senza pietà per i viventi - abbia a che fare col suicidio del capotano Fitz Roy, colui che aveva condotto Darwin in quel giro intorno al mondo da cui sarebbe scaturita una filosofia materialista destinata ad affermarsi con la forza di un pensiero unico, come mai quelle di Democrito, Epicuro o Lucrezio erano riuscite a fare?

A proposito della strana malattia del padre dell'evoluzionismo biologico, ecco cosa scrive Rossella Magliano in Storiaell'ansia (Milano, Mediamed Ediz. Scientifiche, 2001, pp. 91-92):

"Nel periodo in cui visse a Londra, seguì regolarmente le riunioni di varie società scientifiche e fu anche segretario della Geological Society. Questa attività e i normali rapporti con le persone risultarono così gravosi perla sua salute che decise di stabilirsi in campagna, nel Surrey. Nel primo periodo di residenza nella nuova casa, i coniugi Darwin frequentarono un po' la società locale e ricevettero gli amici, ma la salute di Charles risentiva di questa eccitazione ansiosa tanto che sopravvenivano un violento tremore e attacchi di vomito. Fu quindi costretto a rinunciare alle tante riunioni conviviali. Persino il sentimento che legava Darwin ai più cari amici si attenuò a causa della grande angoscia morale derivante da stanchezza associata a visite e conversazioni che durassero più di un'ora. I medici che lo curarono, non riuscirono mai a concludere niente di preciso circa la causa delle sue lunghe crisi e non arrivarono ad alcuna diagnosi di disturbo organico. La nausea, le vertigini, l'insonnia e la debolezza di cui soffriva, fanno parte di un quadro morboso che ha come elementi caratteristici gli stabilimenti idropatici vittoriani, il sofà e lo scialle.

"Il dottor Kempf, dalla storia dei malanni di Darwin trasse la conclusione che l'insoddisfazione affettiva determinata dalla resistenza a una coercizione dei genitori fu causa di successivi stati ansiosi. Secondo il dottor Good, la malattia di Charles Darwin 'fu un insieme di sintomi ansiosi e depressivi, ossessivi, isterici, per lo più coesistenti."

Sappiamo bene che le nostre conclusioni circa le cause profonde dei disturbi di Darwin potranno sembrare viziate da psicologismo e da moralismo. Tuttavia siamo profondamente convinti che, in una visione olistica ella natura, i malanni dell'organismo sono fondamentalmente una forma di reazione o di protesta nei confronti di una dimensione spirituale insoddisfacente e frustrante: cioè una perdita di equilibrio e di armonia psico-fisici dovuta a una frattura nell'orizzonte di senso. Nessuno può distruggere impunemente il proprio orizzonte di senso, individuale e generale, senza subirne le più dolorose conseguenze. La nostra stessa natura protesta con veemenza contro una simile violenza che le vien fatta, e la malattia è ad un tempo il segnale e l'espressione di tale violenza. Il fatto è che l'evoluzionismo darwiniano, come dicevamo, da semplice teoria è divenuto sempre più - abusivamente - una certezza dogmatica (vedi il mio articolo L'involuzionismo, paradigma regressivo della modernità). Gli scienziati acconsentono a una tale manipolazione per tutelare i propri interessi accademici, i profani la accolgono per pigrizia mentale e per aver delegato il criterio di verità agli 'esperti', cioè agli scienziati stessi. Il risultato è che, oggi, nel mondo occidentale (e, in parte, fuori di esso) un paio di miliardi di esseri umani vivono sotto la cupa ombra di una 'verità scientifica' che distrugge il loro orizzonte di senso e li predispone, di conseguenza - insieme, è chiaro, a molti altri fattori, moltissimi dei quali comunque legati alla rivoluzione della modernità - a una serie di disturbi psico-somatici che vanno dall'ansia, alla nevrosi, alla depressione più o meno cronica, alla schizofrenia, alle tendenze suicide. In un certo senso, si può dire che l'Inferno e il Paradiso ce li stiamo creando già qui, adesso, in base al mondo in cui abbiamo deciso di credere, e in base al fatto di occupare o meno una funzione di senso all'interno di esso. Già, dimenticare Darwin - come dice Giuseppe Sermonti: forse sarebbe un modo per ricominciare. Per ritrovare una dignità, un equilibrio, una direzione e un valore nel fatto che le cose esistono, dopotutto (potrebbe anche esservi solo il Nulla) e che noi ne facciamo parte. A pieno titolo, e con uno scopo da perseguire: che non può essere solo quello di fare da testimoni e da vittime di una commedia assurda e crudele, nata dal caso e destinata a sprofondarci, per sempre, nel vuoto.

Il darwinismo è una teoria della disperazione, Francesco Lamendola (http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=11526)

donerdarko
10-08-10, 20:21
Darwin non conosceva la natura del gene e quindi non possedeva un'adeguata unità di misura per l'ereditarietà. Per questo la sua descrizione della selezione naturale è tormentata dai dubbi, ma noi oggi abbiamo ben chiari i concetti di DNA e di gene.

Il fatto è che i risultati della biologia moderna sono in contraso con qualsiasi interpretazione antropomorfica dell'universo e della vita.

Con Dawkins - se ce ne fosse ancora bisogno - abbiamo la conferma che il darwinismo ingenuo, in effetti, è cosa superata da tempo: la darwiniana sopravvivenza del più adatto è in realtà un caso speciale di una legge più generale di sopravvivenza di ciò che è stabile. I replicatori sono i geni e noi siamo le loro macchine di sopravvivenza. L'antropomorfizzazione del gene - come ben evidenziato dall'autore de "Il gene egoista" - è puramente linguistica, poichè questo escamotage aiuta ad esplicare meglio il trasporto dell'intuizione dal mondo biologico a quello della società umana.

L'individuo non è cosa stabile e dura poco. Quando l'individuo termina il proprio compito è messo da parte mentre i geni procedono per tempi geologici, un numero sufficiente di generazioni per essere unità di selezione naturale.

In questi ultimi anni il Progetto Genoma Umano ha mostrato il ruolo centrale dei geni del DNA nell'insorgenza, ad esempio, delle malattie ereditarie, di numerose patologie e in altre dinamiche di eventi altrimenti inspiegabili.

Ma se l'uomo è solo un conglomerato di geni, da dove vengono la filosofia, la poesia, la letteratura, l'amore, ecc?

Secondo un'ottica evoluzionistica, la morale umana, le idee di "bene" e "male", la socialità in genere, sarebbero il frutto dell'evoluzione come prodotto finale della selezione naturale; senza altruismo, senza cooperazione, l'uomo si sarebbe già estinto.


In definitiva si rimprovera all'evoluzionismo il fatto che non potrà mai dare risposte alle questioni di "Verità", ma questo pertiene semmai alle "scienze dello spirito"; le scienze naturali possono invece dare risposte alle questioni d'identità, fornendo la migliore descrizione possibile e non la miglior interpretazione

Legionario
06-02-11, 20:44
Darwin non conosceva la natura del gene e quindi non possedeva un'adeguata unità di misura per l'ereditarietà. Per questo la sua descrizione della selezione naturale è tormentata dai dubbi, ma noi oggi abbiamo ben chiari i concetti di DNA e di gene.

Il fatto è che i risultati della biologia moderna sono in contraso con qualsiasi interpretazione antropomorfica dell'universo e della vita.

Con Dawkins - se ce ne fosse ancora bisogno - abbiamo la conferma che il darwinismo ingenuo, in effetti, è cosa superata da tempo: la darwiniana sopravvivenza del più adatto è in realtà un caso speciale di una legge più generale di sopravvivenza di ciò che è stabile. I replicatori sono i geni e noi siamo le loro macchine di sopravvivenza. L'antropomorfizzazione del gene - come ben evidenziato dall'autore de "Il gene egoista" - è puramente linguistica, poichè questo escamotage aiuta ad esplicare meglio il trasporto dell'intuizione dal mondo biologico a quello della società umana.

L'individuo non è cosa stabile e dura poco. Quando l'individuo termina il proprio compito è messo da parte mentre i geni procedono per tempi geologici, un numero sufficiente di generazioni per essere unità di selezione naturale.

In questi ultimi anni il Progetto Genoma Umano ha mostrato il ruolo centrale dei geni del DNA nell'insorgenza, ad esempio, delle malattie ereditarie, di numerose patologie e in altre dinamiche di eventi altrimenti inspiegabili.

Ma se l'uomo è solo un conglomerato di geni, da dove vengono la filosofia, la poesia, la letteratura, l'amore, ecc?

Secondo un'ottica evoluzionistica, la morale umana, le idee di "bene" e "male", la socialità in genere, sarebbero il frutto dell'evoluzione come prodotto finale della selezione naturale; senza altruismo, senza cooperazione, l'uomo si sarebbe già estinto.


In definitiva si rimprovera all'evoluzionismo il fatto che non potrà mai dare risposte alle questioni di "Verità", ma questo pertiene semmai alle "scienze dello spirito"; le scienze naturali possono invece dare risposte alle questioni d'identità, fornendo la migliore descrizione possibile e non la miglior interpretazione



Interessante risposta. Credo anche io che l'evoluzionismo darwinista sia una delle peggiori ideologie partorite da quel secolo insieme tragico e brillante che fu il XIXmo secolo. Un secolo che portò in sè le stigmate della rivoluzione francese, dell'ideali dell'illuminismo, dell'azione erosiva della contro-Chiesa libertaria, atea e del nazionalismo liberale laico suo alleato.