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Visualizza Versione Completa : Carlo e Nello Rosselli – 1937-2017: il dovere della memoria



Frescobaldi
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di Paolo Bagnoli – “Nuova Antologia”, a. CLII, Fasc. 2283, Luglio-Settembre 2017, Firenze, Polistampa.



1937-2017: ottant’anni sono passati dall’assassinio a Bagnoles sur l’Orne di Carlo e Nello Rosselli per mano dei fascisti francesi assoldati dal governo fascista italiano.
Quello dei fratelli Rosselli è uno degli assassinii politici che più ha segnato la storia italiana del Novecento come lo furono quelli di Giacomo Matteotti, Piero Gobetti, Giovanni Amendola, Antonio Gramsci e don Giovanni Minzoni.
Ottant’anni sono tanti, poco meno di un secolo, e nel corso dei decenni trascorsi l’Italia democratica non si è dimenticata dei Rosselli. In questo lungo periodo di tempo la ricorrenza è sempre stata onorata e poi, se andiamo a vedere, convegni, libri, filmati, tesi di laurea hanno continuato, con modalità costanti, a non far dimenticare non solo il sacrificio, ma anche il pensiero, l’azione, la lezione che con il loro sacrificio hanno lasciato in eredità – una delle più alte – all’Italia democratica. Si è trattato sicuramente non solo di un atto dovuto; non solo di uno dei tanti tabellari capitoli della cultura delle ricorrenze del nostro Paese, ma di un qualcosa di più profondo di un dovere della memoria, quasi un inespresso impulso non solo di non dimenticare, ma anche di capire la loro relazione con la nostra vicenda nazionale. Possiamo, quindi, affermare, senza paura di essere smentiti, che siamo arrivati alla scadenza dell’Ottantesimo avendo alle spalle un insieme ricco di analisi e di conoscenza su Carlo e Nello Rosselli.
Ciò detto, ci domandiamo se il canone del ricordo debba continuare ad essere quello che conosciamo o se, invece, occorra una più ficcante azione di valutazione storico-critica-politica e non tanto per ricadere nella frustra tentazione di parlare, come spesso è accaduto, della loro attualità, quanto perché la loro unicità disegna ancora uno scenario di sviluppo democratico che ha trovato nell’opposizione e nella lotta al fascismo l’impegno, pregiudiziale e tutto, di quel momento storico; un dovere verso la storia per scrivere un’altra storia. Lo diciamo perché quanto è intimo nel rossellismo continua a interrogare la coscienza di un’interpretazione nazionale che si dipana lungo un filo unitario del quale essi non sono solo un episodio, ma il punto di ricomposizione che risolve, nel concreto della vicenda politica, sia la rivoluzione liberale che la rivoluzione democratica che Piero Gobetti aveva posto al centro del proprio impegno di rinnovamento.
La vicenda rosselliana, infatti, intreccia un filo ideale e non solo che dal Risorgimento si dipana nel segno della libertà mettendosi alla prova nella lotta al fascismo e che, dopo la loro scomparsa, continua ad agire nella storia italiana attraverso molteplici canali ed esperienze che rincontrano essenzialmente la storia del socialismo, ma non solo, perché se l’eredità che, lasciata da Carlo, incontra e pungola la storia del socialismo italiano, il giellismo agisce in un campo ancora più ampio abbracciando un paradigma intricato ma ben connotabile della sinistra democratica italiana che è tanta parte della storia e del costume morale della Repubblica. Un’Italia di minoranza, certo, ma un’Italia che afferma una concezione civile e moderna di se stessa al servizio del Paese tutto e della sinistra in primo luogo. Sono tante le personalità che ne sono espressione nella politica e nella cultura; di cifra liberale, socialista o repubblicana e, per tutte, ci limitiamo a fare un solo nome: quello di Ferruccio Parri.
Intanto dobbiamo dire che va superato lo schema che colloca Carlo e Nello in due disegni di ruolo riversi: politico il primo, storico il secondo. E certo Carlo è una grande figura politica, un leader antifascista di livello europeo e Nello, non meno politico del fratello, è uomo dedito essenzialmente alla ricerca. I due fratelli, tuttavia, educati in una famiglia dall’impronta risorgimental-mazziniana, si collocano in un unico luogo storico-politico-culturale: Carlo nell’elaborazione di una concezione socialista per la quale la giustizia sociale si conquista con impegno volontaristico e non per determinismo economico come è nell’ideologia marxista, mentre Nello scava la storia riandando alle radici risorgimentali del movimento operaio, democratico e socialista, occupandosi di Mazzini, Pisacane e Montanelli. E se Mazzini è l’alfiere della repubblica, Pisacane il teorico del socialismo federale, Montanelli è il rivoluzionario democratico che per primo convoglia il garibaldinismo nelle forme dell’organizzazione operaia; quel garibaldinismo, sottolineiamo, che, come osservato da Giorgio Spini, costituisce il movimento del primo socialismo italiano. Insomma, Carlo e Nello vivono una medesima intenzione culturale e politica che disegna un versante di valore politico della storia nazionale. Con Nello ha inizio una nuova disciplina di studi storici, quella riguardante la storia dei movimenti e dei partiti politici, che si muoverà accademicamente con Carlo Morandi dal “Cesare Alfieri” di Firenze.
Ora, se, ai fini di una valutazione storica politica, consideriamo questo dato, cogliamo subito come quanto deriva dall’iniziativa rosselliana rappresenti una vera e propria rottura nella cultura politica italiana del Novecento e come ciò influenzi concretamente la politica fattuale segnando un vero e proprio spartiacque nella storia del movimento socialista.
Carlo Rosselli, infatti, fin dal 1922, apre nel campo socialista un fronte di riflessione che riguarda le insufficienze del socialismo italiano rispetto al fascismo. Intensa la polemica con Claudio Treves, difensore di quello che sarà un tratto distintivo del socialismo italiano, la cui vicenda è raccolta in quella del suo protagonista storico, il PSI, per tutta la vita di questo. Vale a dire la continuità nell’interpretare se stesso e la propria azione politica, e quindi le proprie responsabilità, se pur nel procedere e cambiare degli eventi e delle situazioni.
Intendiamoci. Il PSI, insostituibile forza storica della sinistra e, naturalmente, del socialismo italiano, ha prodotto positività e incomprensioni, al pari di tutte le altre forze politiche nazionali anche se, ad uno sguardo retrospettivo, non possiamo non riconoscere che il dato positivo supera quello passivo fortemente, tra l’altro, gravato dalle forme, modi e sostanza della sua scomparsa nel 1992.
Ma il PSI, pur nella diversità dei comportamenti tenuti nelle diverse stagioni storiche, ha interpretato se stesso con continuismo. La ragione di ciò è dovuta al fatto che si è scambiata la funzione che gli deriva dalla storia per l’affermazione della democrazia, l’allargamento progressivo delle libertà e il riscatto sociale, morale e civile delle classi subalterne con il ruolo che la funzione gli assegnava. Il non aver colto tale connessione ha fatto sì che il socialismo italiano non abbia fatto fino in fondo i conti con il Risorgimento nazionale, né con cosa comportava la democrazia come valore e come istituzioni pur essendo forza produttrice di democrazia istituzionale la quale, come si riscontra nella grande esperienza municipale di cui è protagonista, realizza nei fatti il concetto sociale insito nell’idea stessa di democrazia e nel non aver capito come, in un Paese che si dichiarava liberale, ciò che deficitava era proprio il liberalismo. Inoltre, che la funzione attiva della libertà politicamente considerata non spettava né a un assetto istituzionale, né a fare del socialismo un partito nello Stato; in uno Stato che si dichiarava liberale, ma che era, invece, conservatore ai limiti della reazione di stampo militaristico in quanto l’inclusività promossa dal liberalismo sociale di Giovanni Giolitti cozzava contro il limite di un mancato sviluppo della democrazia, per cui anche il senso di quell’azione finiva per ridursi a un progressismo bloccato.
Il PSI non aveva compreso che oltre a lottare per l’emancipazione delle classi più deboli doveva lottare anche per la democrazia che è la derivazione politica della libertà e che, quindi, le istituzioni dello Stato andavano sicuramente cambiate, ma che la rivoluzione sociale, come Filippo Turati definiva il socialismo, andava condotta legando in un pensiero compiuto libertà, democrazia e giustizia sociale.
Il rifarsi al marxismo aveva permesso a Turati di tenere in piedi un partito, facendone una grande forza, percorso da insopprimibili pulsioni libertaristiche, ma ciò aveva trascurato anche per il forte, e certo non negativo, sentire internazionalistico di riflettere a fondo sul suo posizionarsi nella storia dell’Italia italiana.
Il rifarsi al marxismo porta il socialismo, nel primo dopoguerra, a ritenere che la crisi delle istituzioni democratiche sia solo l’espressione di un prossimo tracollo borghese non ritenendo che le istituzioni siano di tutti e, quindi, anche del movimento operaio e che il fascismo non è una mera reazione di classe, ma il venire a sintesi dei mali italiani che la soluzione risorgimentale non ha risolto. Che il fascismo, per dirla con Piero Gobetti, è l’autobiografia della nazione.
Furono molti che non compresero ciò. Lo comprese bene Piero Gobetti e pure Carlo Rosselli che, riprendendo l’interpretazione di Gobetti, cambia completamente il canone del movimento socialista e delle sue radici ideologiche rompendo quella continuità cui prima accennavamo. Lo cercherà di fare prima dall’interno come militante esterno, poi da iscritto al PSU dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti; infine, con Socialismo liberale, che scrive al confino di Lipari cui è condannato nel 1927 per l’espatrio di Turati, ove elabora la teoria di un socialismo non basato sul determinismo economico propria del marxismo – egli, come ci dicono le carte, conosceva bene l’opera di Carlo Marx – ma sulla determinazione della volontà: il socialismo è conquista basata sulla morale non inevitabile sbocco di processi economici. È il socialismo fondato, appunto, sulla libertà. Da qui anche l’esigenza, a fronte della novità rappresentata dal fascismo, di pensare la lotta contro di esso in termini nuovi; di superare il prefascismo e di dar vita – cosa che avviene alla fine del 1929 – a un soggetto nuovo che rappresenti un campo largo capace di riunire in un duplice sforzo – abbattere il fascismo e rifondare l’Italia a Paese moderno – energie di varia provenienza legate dal vincolo ideale della libertà rigeneratrice della condizione umana e delle istituzioni del Paese: è questa la morale e la politica di cui necessita il Paese per rinnovarsi in profondità e vedere nella lotta al fascismo non solo un ritorno alla situazione del prefascismo, ma un’occasione per cancellare tutte quelle ragioni per le quali il fascismo era potuto sorgere e affermarsi.
Socialismo liberale fu duramente criticato dai comunisti per la penna di Togliatti che definì Rosselli “un fascista dissidente” e, sul piano della dialettica tra socialisti dall’interno del PSI, soprattutto da Giuseppe Saragat per il quale – come scrive su l’Avanti! – Avvenire dei lavoratori il 10 gennaio 1931 – ciò che va contestato di Socialismo liberale è “proprio il punto di partenza” poiché “il marxismo non è determinismo filosofico”. Per cui: “L’errore di Rosselli nasce dalla sua interpretazione formalistica dell’idea di libertà. Non si può accusare Marx di antiliberalismo unicamente perché formula delle previsioni”.
Anche dopo la Liberazione, nell’Italia democratica, almeno fino al 1958 quando il Movimento di Unità Popolare entra nel PSI sotto la guida di Tristano Codignola, già azionista, esponente di punta della Resistenza a Firenze e leader degli azionisti toscani, che alle fine del PdA, a differenza di altri compagni come Riccardo Lombardi e Francesco De Martino, non aveva fatto la scelta del PSI per seguire un proprio difficile e accidentato percorso alla ricerca di un socialismo autonomo sulla scia della lezione rosselliana, solo allora il PSI riconoscerà che la frattura con Rosselli e il rossellismo si era risarcita. Ma così non fu; quella ferita non si è mai, al di là di riprese occasionali in cui ci si rifaceva a Rosselli, risarcita per il continuismo con il quale il PSI continuava a pensare se stesso mentre Socialismo liberale implicava una rottura e di non poco conto.
In effetti Socialismo liberale, reimpostando il problema ideologico e metodologico del socialismo su un piano completamente diverso da quello del socialismo ufficiale, traccia una interpretazione che non smentisce, naturalmente, la ragione ideale del socialismo italiano, ma la innova grazie a una rilettura storico-ideologica del problema nazionale e di quello teorico che non riguarda solo l’Italia. Ci sentiamo di dire che se tale lettura si fosse affermata e fosse stata assunta quale fattore di rinnovamento del PSI dopo il fascismo, le sorti del Partito, ma non solo, della stessa sinistra italiana, sarebbero state ben diverse da quelle che sono state.
E crediamo altresì che tale valutazione abbia un senso significativo ancora oggi che in Italia non esiste più, non solo un partito socialista degno di questo nome e di una grande storia, ma nemmeno una sinistra che rappresenti e organizzi il mondo del lavoro salariato non solo per salvaguardarlo, ma per dare dignità piena e autonomia di persona a chi vive del proprio lavoro, ponendosi alla testa delle lotte che devono essere fatte per conquistare i diritti e cambiare la barbarie derivante dallo sfruttamento, dalle logiche del profitto e della rendita e cambiare uno Stato che, se fosse conformato pienamente ai principi della Costituzione – ma ciò spetta alla politica, naturalmente - sarebbe già un bel pezzo più avanti rispetto ad oggi per quanto concerne la permeabilità della libertà, l’allargamento della democrazia e di sostanziali conquiste di giustizie sociali. Considerato in tal senso diviene legittimo rifarsi al socialismo rosselliano definendolo come “attuale”. E se ciò è valido per l’Italia non lo è meno per il continente europeo. Non dimentichiamoci, infatti, che Rosselli fu un europeista convinto e che la tradizione del socialismo occidentale è, al contempo, europeista e internazionalista; Carlo Rosselli lo dimostrò sui campi di battaglia della guerra civile spagnola in difesa della Repubblica attaccata da Francisco Franco. Nei tempi recenti il socialismo europeo, invaghitosi nella scia di Tony Blair del mercato drogato dalla globalizzazione finanziaria, si è ridotto in una condizione di marginalità e di inadeguatezza rispetto al ruolo che gli compete.
Va chiarito un altro punto. Talora, parlando del socialismo rosselliano, lo si è battezzato come una terza via tra la socialdemocrazia e il comunismo. Rispetto a quest’ultimo la posizione di Rosselli è netta poiché, afferma più volte, ciò che lo divide dai comunisti è il “punto fondamentale” della libertà. Un sistema che non si basi sulla libertà non può dirsi socialista. Socialismo e comunismo, quindi, sono due entità ben diverse tra loro. Ciò era ben chiaro a Rosselli; ciò è stato ben chiaro alla Storia. Rispetto alla socialdemocrazia il discorso è di altra natura. Il socialismo rosselliano, infatti, è sì un altro modo di intendere il socialismo poiché, mentre la socialdemocrazia punta essenzialmente alla conquista dei diritti e delle salvaguardie sociali soprattutto per il mondo del lavoro in un compromesso con il modo capitalistico, e dobbiamo riconoscere che ciò ha permesso importanti conquiste e progressi sociali di civiltà senza, tuttavia, con ciò, fare propria la concezione alternativistica che il socialismo ha verso il mondo capitalistico, il socialismo rosselliano postula il superamento del capitalismo attraverso la libertà e la democrazia; ingloba la questione dei diritti sociali, ma va oltre. Non è quindi un socialismo terzo tra una prassi esclusivamente riformista e il cosiddetto socialismo realizzato – senza aggettivi – nella libertà.
Inoltre, tra le tante che si potrebbero fare, c’è un’altra considerazione che quasi mai, quando si parla di Carlo Rosselli, viene nemmeno accennata. Per Rosselli, infatti, il socialismo non è un’ideologia di parte; primariamente lo è naturalmente, ma essa si configura come una vera e propria dottrina della democrazia su cui rifondare lo Stato, concepire la società, valorizzare accanto alle istituzioni della democrazia politica le istituzioni sociali, rifondando così, in una sostanziale cornice di libertà, i rapporti tra cittadino, società e statualità. In tale visione, proprio in sul finire della sua vita, salutando da parte dei comunisti la fine della teoria del socialfascismo, delinea, basandosi sulla novità rappresentata da GL, le linee di un disegno di ricomposizione della sinistra italiana considerata in un’ottica più ampia rispetto a quella scissasi a Livorno del 1921.
Il socialismo liberale di Carlo è un testo che, facendo lezione della storia italiana e rifacendo i conti con l’ideologia marxista, elabora una proposta moderna, basata sui valori e sulla concretezza della libertà e della giustizia. A ottant’anni dalla sua morte insieme al fratello Nello per mano fascista questo è quanto ci preme, maggiormente, di richiamare. Le idee muovono gli uomini e, quindi, muovono la storia. Come è nel caso di Carlo Rosselli, il suo socialismo ha plasmato un esempio di vita e un’alta ragione di impegno e di civiltà; quell’esempio continua a parlare a chi non si vuole rassegnare, ma crede che sia dovere morale attivarsi e lottare per il bene collettivo.
Dopo ottant’anni la lezione che viene da Carlo e Nello Rosselli ancora parla con la forza di un passato che è necessario per costruire un futuro di civiltà.