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Combat
19-05-09, 18:46
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Già da tempo – iniziata la crisi finanziaria da derivati e subprime, poi scaricatasi in campo reale e in particolare nel settore automobilistico, ormai “stramaturo” – si vociferava che, nel giro di pochi anni, ci sarebbe stato mercato per soli 5-6 grandi produttori di vetture. Guarda un po’: con l’acquisizione di Chrysler la Fiat assumerebbe in
effetti la sesta posizione. Le si vogliono però concedere – alcuni, almeno, tentano di
concedergliele, anche fra i gruppi politici tedeschi filo-americani intorno alla sopra nominata Merkel – ulteriori possibilità di ampliamento con l’Opel (l’operazione è difficile,
ma si può stare sicuri che alcuni ambienti governativi, e ovviamente finanziari,
americani sono già in azione; a mo’ di sottomarino, di cui nemmeno si vede la scia
dei siluri che intenderebbero arrivare a segno). Con simile operazione, se tutto fila liscio,
si mira a due obiettivi.
Innanzitutto, il più “fenomenicamente” evidente dei due, è l’avere un “amico” (di
fatto servo) fidato in Italia, in grado di riprendere la testa della nostra GFeID onde ostacolare
quel minimo di manovre autonome rispetto agli Stati Uniti, che non gradiscono
certo l’espansione di operazioni del tipo di quelle Eni-Gazprom. Con i loro addentellati
nel Nord Africa (dato che il Medio Oriente, grazie anche al sicario Israele,
è area di influenza e di investimenti soprattutto per chi è completamente gradito agli
Usa)1, le uniche aziende energetiche sottratte al controllo statunitense sono mal tollerate;
il Southstream è combattuto (con buoni appoggi nella UE) per favorire il Nabucco
in funzione antirussa, ecc.

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Ribadito ancora una volta che le strategie e tattiche statunitensi sono principalmente
impegnate e rivolte ad altre aree mondiali – e anche per ciò che concerne
l’Europa esse utilizzano principalmente la Nato e le varie basi predisposte un po’
dappertutto, ed in particolare nei paesi europei orientali fu “socialisti” – non è certamente
negativo un aiuto concesso ad aziende decotte (tipo Fiat) quale supporto
all’opera di predominio statunitense, soprattutto nella zona di più antica e sicura fedeltà
(dal 1945). Intanto, malgrado le pantomime (di tipo “etico” soprattutto), si sono
forniti fondi massicci alle banche americane (fra l’altro, anche per prolungarne la
predominanza su quelle europee, e sulle italiane in specie). La nomina a Segretario
del Tesoro di un già repubblicano, Geithner, fidato uomo dei finanzieri, è un segnale
che più chiaro non si può. Gli stress test ordinati sono di fatto pilotati per riuscire positivi
e portare a forti aumenti di capitali per le maggiori banche, con l’appoggio evidente
dello stesso Tesoro; ci sono perfino buone probabilità che esse riprendano a
imbastire operazioni non troppo diverse dalle precedenti.
Ancora una volta va ribadito che questo “intervento dello Stato” non ha nulla che
vedere con la visione economicistica degli statalisti (antiliberisti); molto invece con
lo sfruttamento perfino della crisi onde accrescere la propria potenza, utilizzando a
tale scopo anche la finanza “sconquassata”. Tuttavia, ci si può servire abilmente pure
del dissesto di un settore ormai vecchio e ultramaturo come l’automobilistico. Si stabilisce
una linea (politica, solo mascherata da motivazioni economiche, fornendo prestiti
che si sostiene “ufficialmente” dovranno essere rimborsati, manovrando pacchetti
azionari, ecc.; il tutto per far credere che si tratti di operazioni nel “libero mercato”)
al fine di legare ai “propri destini” un’azienda straniera in gravi difficoltà (anch’esse
mascherate da anni) e dunque pronta ad assolvere il ruolo di “mercenaria” delle strategie
Usa.
Come tutti i settori stramaturi (si pensi all’immobiliare, ad esempio), quello automobilistico
è importante per l’occupazione, direttamente e ancor più per l’indotto. Si
fa quindi balenare la possibile chiusura di stabilimenti, in Italia e/o forse altrove. Ci
saranno lotte, contrattazioni defatiganti; tutte le forze che si dichiarano contro il capitale,
in senso meramente tradunionistico per dirla alla Lenin, saranno ossessionate dal
tema della difesa dei posti di lavoro, perdendo completamente di vista il senso reale
dell’operazione che fa parte appunto – sia pure in funzione subordinata a mosse di
ben altra rilevanza – della tattico-strategia statunitense nell’epoca di “San Obama”. Il
Governo italiano, l’opposizione (che dovrà in qualche modo escogitare critiche al
Governo), pure certi ambienti economici e politici tedeschi, organismi europei vari,
ecc. saranno invischiati in questa ragnatela di cui si sa poco, si lascia trapelare meno,
facendo appunto solo ventilare pericoli per i lavoratori (dell’auto e dell’indotto, in
Italia e in altri paesi).
Gli uni verranno messi contro gli altri, qualche paese (e l’Italia figuriamoci!) tirerà
fuori “nuovi soldini” per parare i “brutti colpi”. Eccetera, eccetera, eccetera. Tutte
commedie già fritte e rifritte. In particolare dalla Fiat che è una sanguisuga fin dalla
sua nascita; e dal 1945 in poi – fingendo di far parte della “Resistenza”, essendo passata
bellamente dal fascismo alle trame con americani e inglesi durante la guerra per
il cambio di alleanze (vedi lo scritto di Berlendis in questo blog e nel sito) – non ha
fatto altro che imporre un distorto modello di sviluppo all’Italia e ha ricevuto continui
finanziamenti, diretti e indiretti.
In questo modo, oltre a distogliere l’attenzione delle forze che dovrebbero opporsi
alla sudditanza allo straniero (Usa) – mentre invece queste ultime si agiteranno solo
per non perdere del tutto il consenso dei lavoratori, già ampiamente incrinato – si ottiene,
o si cerca di ottenere, il risultato di indirizzare la politica economica di alcuni
Governi europei (soprattutto di quello italiano) al tentativo di rilancio di settori maturi,
ostacolando invece lo sviluppo di quelli della più recente ondata innovativa e della
ricerca scientifico-tecnica che ne sta alla base; esattamente la politica (combattuta
nell’800 da List contro il predominio dell’Inghilterra) che fu portata avanti a spron
battuto dopo il “crollo del muro”, inneggiando alla cosiddetta globalizzazione dei
mercati (considerata il top della politica di “armonico sviluppo” mondiale; e si è infatti
visto di quale armonia si trattasse e a chi fosse favorevole!).

...


Dobbiamo criticare apertamente il “ceto” politico e quello intellettuale, asserviti e
ripugnanti. Tuttavia, teniamo conto dei due “addensamenti” di gruppi (GFeID e “corpi
speciali”) che spingono, senza autentica egemonia culturale ma con il completo
controllo dell’informazione, verso la subordinazione agli Usa e quindi in oggettivo
scontro “verso est”. Dobbiamo individuare coloro che si muovono in direzione opposta
(tipo l’Eni), per quanto essi siano oggi in netta minoranza. Non sono nemmeno
appoggiati – sono anzi combattuti – dai pochi residui che si dicono “critici del capitalismo”;
poiché questi, senza fare distinzioni interne agli schieramenti capitalistici fra
loro in conflitto (coperto e mascherato), difendono ciecamente “i lavoratori”, prestandosi
alle manovre ricattatorie dei veri e più pericolosi nemici. Questo ci insegna
proprio l’azione della Fiat in tutta la sua storia, in particolare in questo dopoguerra; e
con un’evidenza solare dopo il colpo di mano giudiziario dell’inizio anni ‘90. Mentre
una lezione diversa (direi quasi opposta) – e ancora una volta impartita da tutta la sua
storia passata – apprendiamo dall’Eni, che certo dovrebbe tornare, dal punto di vista
politico, ai fasti dell’epoca Mattei.
Invece, i mentecatti del “conflitto capitale-lavoro”, e i “buonisti” che si battono
per i diseredati, ci portano a fondo, non capendo che molte lotte del lavoro sono sol-
lecitate proprio da accordi come quello Fiat-Chrysler, sotto la “saggia” guida della
nuova strategia statunitense; e sono sollecitate perché, alla fine, conducono dove volevano
arrivare coloro che stimolano esattamente queste reazioni. Non dico di trascurare
il problema dei posti di lavoro; quindi non sostengo che si debbano lasciare a loro
stessi i lavoratori. Affermo soltanto che, sia nell’analisi delle situazioni sia nei giudizi
critici da dare, si deve porre al primo posto – nella fase, non tramite le solite prese
di posizione di principio – la geopolitica, i rapporti di forza contrapposti in campo
internazionale; e subito dopo i problemi interni di carattere soprattutto sociale e, solo
in secondo luogo, economico. Un lungo e difficile lavoro ci aspetta nella nuova epoca
che si apre. Continuare con le vecchie categorie mentali – ormai dei semplici tic da
“anticapitalismo” (puramente verbale poiché certuni non sanno affatto che cos’è il
capitalismo; sono ciecamente “contro” e basta) – sarebbe deleterio.

di G. La Grassa