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zwirner
03-06-09, 14:12
Una brillante oratoria non riesce a nascondere le intenzioni del Presidente abortista



di Renzo Puccetti*


ROMA, lunedì, 1° giugno 2009 (ZENIT.org).- discorso tenuto il 17 maggio all’università cattolica di Notre Dame, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in giurisprudenza, contestato da 80 Vescovi americani e con la Ann Mary Glendon che ha rifiutato una onorificenza, con abilità oratoria universalmente riconosciutagli, Barak Obama ha invitato gli ascoltatori ad aprire le loro menti ed i loro cuori.

Da consumato oratore nei palchi politici il presidente Obama ha attratto l’attenzione del pubblico proprio là dove voleva che essa andasse: la forma[1].

In un involucro di buona volontà, di apertura al dialogo, di desiderio di attenzione per il destino delle persone, il contenuto del messaggio, un perfetto relativismo, è stato una volta di più confezionato come suprema fonte a cui attingere.

Viene da chiedersi: “possiamo bere questa pozione?”. La mia risposta è: “No”. No, perché essa non apre né il cuore né la mente, ma al contrario la chiude.

Il confronto non è evocato nell’intento di scoprire la verità; nelle parole del presidente Obama, alla fine ciò che va coltivato non è la ricerca ed il rispetto della verità, ma il dubbio. Non un dubbio socratico che spinge alla ricerca, ma quel dubbio pilatesco, ideologicamente chiuso alla stessa esistenza della verità.

Mentre aspettiamo di ascoltare lo stesso invito al dubbio quando egli si rivolgerà ai sostenitori della libera scelta, il signor Obama trasforma il suo dubbio in certezza quando afferma che la scelta di sopprimere un essere umano vivente colpevole solo della propria dipendenza è un fatto di libertà.

Vi è in questo atteggiamento una potente affermazione di certezza: il valore dell’essere umano, quando si trova allo stato di sviluppo embrionale e fetale, non è fondato nella sua natura, nella sua irripetibile dignità, ma è attribuito. Così facendo egli si dimostra discepolo dello stesso pensiero subito per secoli nella propria carne da milioni di esseri umani di colore, particolarmente nel paese di cui Obama è presidente.

Paradossalmente il campione politico del pensiero debole dimostra la vera natura dell’atteggiamento che lo ispira: un fondamentalismo relativista. Dall’altra parte stanno coloro che, seppure dipinti come integralisti, esercitano il vero pensiero del dubbio, che non esclude alcuna possibilità, compresa quella che il concepito sia una persona, dotata di diritti inalienabili per il suo essere persona e non per quello che riesce a fare, o per quanto riesce a farsi apprezzare.

Il presidente Obama non chiede ai pro-life di convertirsi alla causa abortista, ma di convertirsi all’integralismo relativista, consentendo che in una tale materia ciascuno abbia libertà di pensare ed agire come vuole.

È un’argomentazione coincidente con quella che il giudice Stephen Douglas rivolse ad Abraham Lincoln nei celebri 7 dibattiti nell’Illinois in vista delle elezioni per il congresso: la sovranità popolare democraticamente espressa deve essere rispettata.

Se i cittadini di un stato vogliono la schiavitù, diceva allora Douglas, non si vede perché essa non dovrebbe essere legalizzata; se i cittadini vogliono l’aborto, dice oggi Obama, questa è una scelta che dovete rispettare[2].

Il presidente Obama parla come se il suo primo atto significativo, il ripristino dei fondi federali a favore delle lobbies abortiste, il cui obiettivo è proprio quello d’introdurre l’aborto nei paesi dove esso è illegale e molte volte incostituzionale, fosse operazione dettata da sublime neutralità e non invece una continua opera volta ad abbattere i valori e i costumi di una comunità per sostituirli con quelli del grande circolo relativista mondiale.

“Aprite la mente”, ha detto dal palco della Notre Dame mr. Obama. Sì, signor presidente è necessario che le menti si aprano, a partire dalla sua. La ricetta che il grande affabulatore propina condendola con la sua proverbiale salsa mielata non è poi così diversa da quella già enunciata dalla femminista Hillary Rodham Clinton, rendere l’aborto “safe, legal and rare”[3] attraverso servizi di salute riproduttiva più accessibili; in pratica la solita minestra riscaldata fatta di più contraccezione, più pillole del giorno dopo e aborto facilitato.

Anche in Italia si è cercato di emulare questa ricetta, provvidenzialmente senza riuscirci[4]. Difficile intravedere in tale progetto rilevanti aperture mentali, quanto meno nei confronti di quegli ingombranti testimoni della verità che sono i fatti. È un fatto che le politiche di facilitazione dei servizi abortivi incrementino il ricorso all’aborto[5].

È un fatto che la necessità del consenso dei genitori riduca il numero di aborti tra le minori[6]. È un fatto che minori costi per abortire ne incrementano la diffusione[7]. Sono fatti noti alla comunità scientifica che leggi più permissive nei confronti dell’aborto, maggiori finanziamenti pubblici all’aborto, maggiore disponibilità di cliniche abortive favoriscono direttamente l’incremento del tasso di abortività[8].

È ancora un fatto che nel mondo occidentale non si riduce l’aborto inondando le donne con i contraccettivi [9,10,11]. È una volta di più un fatto che in Spagna, nonostante la copertura contraccettiva sia aumentata del 40%, il tasso di abortività sia aumentato del 60% in soli 6 anni[12].

È un fatto che le stesse agenzie che tentano di esportare a livello planetario il diritto all’aborto non possono smentire che nei paesi dove l’aborto è illegale esso è meno frequente[13]. Sono i numeri che dimostrano per l’aborto: “if legal, less rare”[14].

Se la legalizzazione dell’aborto non causasse un incremento del numero degli aborti l’approccio proporzionalista al problema riceverebbe un indubbio supporto, aprendo la strada alla legalizzazione dell’aborto come scelta di un male minore.

La strategia proporzionalista si regge solamente dimostrando che la legalizzazione riduce la pericolosità dell’aborto senza aumentarne il numero. Ma perché in Etiopia il numero dei casi fatali per aborto è aumentato dopo la legalizzazione?[15]

Perché in un paese dove l’aborto è consentito soltanto in caso di pericolo di vita della madre come l’Irlanda la mortalità materna è 8 volte inferiore rispetto alla vicina Inghilterra, dove invece è possibile su semplice richiesta?[16] Perché nella Cuba che dell’assistenza sanitaria e del diritto all’aborto “safe and legal” fa un vanto la mortalità materna è più che doppia rispetto all’Uruguay? E perché le donne che abortiscono hanno una mortalità ad un anno tripla rispetto a quelle che danno alla luce un figlio?[17]

Dove sono i benefici dell’aborto legale, quando tutti gli indicatori di salute conducono a evidenziarne il ruolo di trattamento futile per la madre e mortifero per il figlio? La verità scientifica ha ormai portato ad una mole estremamente solida di evidenze che fanno a pezzi l’approccio utilitaristico all’aborto.

Il presidente Obama, caricandosi del compito di rappresentare il pensiero pro-choice in un ateneo che della cultura dovrebbe avere somma cura, ha reso un pessimo servizio a quanti caparbiamente hanno voluto non ripensare alla scelta di conferirgli una laurea ad honorem. Forte con i deboli, debole con i forti, mr. Obama alla fine ha potuto portare alla Notre Dame University soltanto “junk science” e “junk ethics”.