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Il diritto internazionale capovolto:
la crisi jugoslava e il caso del Presidente Milosevic

Intervento del prof. Aldo Bernardini, ordinario di diritto internazionale all'Università di Teramo, alla Conferenza Internazionale tenutasi a L'Aia il 26 febbraio 2005

Lettera al Corriere della Sera

23 novembre 2005

Lettere
(non pubblicate)
a Liberazione

18 novembre

29 novembre

Il contesto nel quale il Tribunale penale internazionale per i crimini in ex Jugoslavia (ICTY) sta operando, è caratterizzato da un assoluto e totale capovolgimento del diritto internazionale. Tra gli scopi delle Nazioni Unite dice l'articolo 1 comma 1 della carta c'è il "mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed è a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace."

La prassi ha stabilito che questo principio non concerne con le misure ex capitolo 7 della Carta dell'Onu (che è quello che regola le azioni a tutela della pace N.d.R.): ma il significato delle limitazioni date dalla Carta alle misure previste nel capitolo 7 è che queste non possono violare a loro volta il diritto internazionale, né essere contrarie ai principi di giustizia; sono misure puramente esecutive, misure di polizia, per fermare e rimuovere situazioni pericolose contemplate dall'articolo 39 (il quale recita "Il Consiglio di Sicurezza accerta l'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa accomodazioni o decide quali misure debbano essere prese in conformità degli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale" N.d.R.). Alcuni scrittori affermano anche che il riferimento al concetto stesso di giustizia (un concetto sostanziale che dipende da interpretazioni soggettive) consenta un approccio meno rigido alle leggi internazionali. In realtà, il riferimento alla giustizia è interpretato solo in virtù degli scopi delle Nazioni Unite di cambiare il diritto internazionale. Il pilastro del sistema delle Nazioni Unite era l'azione del Consiglio di Sicurezza che agiva in virtù del capitolo 6 (soluzione pacifica delle controversie) facendo raccomandazioni seguite da accordi con gli Stati stessi, agendo in conformità alla Carta che all'articolo 24.2 specifica che il Consiglio non può oltrepassare gli specifici attributi dalla Carta indicategli. Ma dal 1989 1991, questo pilastro è e continua ad essere illegittimamente distrutto. Il Diritto Internazionale subisce costantemente delle violazioni nelle sue istanze principali. Si è passati dalla forza del diritto al diritto della forza. Il Consiglio di Sicurezza e i suoi organi sussidiari agiscono contro il diritto internazionale e contro la giustizia (nella sua accezione sostanziale). Può sembrare strano, ma è la verità.

Nelle crisi Jugoslave ad essere a rischio sono prima di tutto la corretta definizione e il corretto approccio agli aspetti che riguardano la sovranità e l'autodeterminazione dei popoli. Contrariamente alle teorie più diffuse, nel sistema dell'ONU e in generale nel diritto internazionale, l'autodeterminazione dei popoli non può violare la sovranità dei singoli Stati, nonché con la loro integrità territoriale. Lo Stato sovrano, soggetto al diritto internazionale, è libero di difendere se stesso da secessioni, e interventi di Stati stranieri nei suoi affari sono proibiti. L'unica eccezione accettabile, e dal diritto internazionale accettata, è quella che riguarda le lotte e le guerre di liberazione dei popoli colonizzati o dei popoli che si trovano in situazioni simili: illegittima occupazione straniera o, persino in condizioni di discriminazione (apartheid) anche se ciò si verifica entro i confini nazionali. In altre parole, solo quando una popolazione o parte di essa, identificabile con un territorio compatto, unita in una regione, o che costituisce la maggioranza di uno Stato, è sotto oppressione nazionale o discriminazione, la sovranità di quello Stato appare non rappresentativo di quel settore di popolazione: non può essere considerato lo stato di quel popolo. Questo è il prerequisito per il diritto all'autodeterminazione. Una norma scritta, la quale definisce i possibili casi di autodeterminazione, è l'articolo 1.4 del primo Protocollo del 1977 alle Convenzioni di Ginevra: " Le situazioni trattate nel precedente paragrafo includono i conflitti armati in cui i popoli combattono contro il dominio coloniale e un regime razzista nell'esercizio del loro diritto all'autodeterminazione". Penso che ciò non abbia nulla a che vedere con le secessioni interne, poiché queste riguardano la forma dello Stato o del Governo, le relazioni governo-popolo e così via, quindi un affare interno. In caso di "discriminazione delle nazionalità o d'oppressione" invece, fin dagli anni '60, il così detto diritto all'autodeterminazione è affare di diritto internazionale, così i popoli discriminati che lottano per cambiare la loro situazione, persino tramite la secessione, possono essere appoggiati in varie forme di azioni, anche aiuti militari, da Stati terzi, senza così violare la proibizione

all'intervento. Irresoluta rimane la questione se lo Stato centrale è legalmente libero o meno, in virtù delle leggi internazionali, di reagire con mezzi militari alla guerra di liberazione, almeno questa lotta abbia raggiunto un riconosciuto livello o un internazionale riconoscimento (naturalmente, non abusivo ma seguendo i requisiti su menzionati). La legittima repressione di un'illegittima secessione non è mai requisito per un'autentica auto-determinazione. Ma tutto ciò è vero solo nei casi di lotta contro uno stato costituito. In situazioni dove l'entità Statale non esiste, o è estinta, o il potere sovrano su un territorio e sulla sua popolazione è rimosso o fatto oggetto di rinuncia, il diritto all'auto-determinazione di un'entità territoriale compatta e unita è pieno e illimitato e non può essere contrastato da interventi esterni. Le differenti parti territoriali di una regione senza costituito potere sovrano hanno lo stesso diritto di creare e costituire il loro Stato, o comunque di determinare in un altro modo il loro status. Quando un potere sovrano non è venuto ancora ad esistenza, ma è coinvolto in un iter costituente, le varie entità territoriali hanno appunto lo stesso diritto a costituire un loro stato. Il principio dell'uti possidetis juris non è una regola generale di diritto internazionale: storicamente, è stato molto limitato in America Latina e in Africa durante il processo di decolonizzazione. Occorre far menzione di un significativo precedente: il West Virginia nella guerra civile americana. Una cosa è negare l'esistenza del diritto all'auto determinazione di una non discriminata popolazione in uno Stato costituito, altra cosa è imporre su una popolazione o parte di essa la forzata integrazione in uno Stato, il cui processo di formazione è ancora in corso. In questo caso si assiste ad un processo autonomo e non etero diretto. Un auto-determinazione pilotata è una contraddizione. Nelle crisi Jugoslave la secessione di alcune repubbliche era un problema di insurrezione locale contro lo Stato sovrano. In questa sede esaminerò la questione da un puro punto di vista giuridico. Di sicuro non c'erano i prerequisiti per l'autodeterminazione, cioè non si era verificata alcuna discriminazione contro la popolazione delle Repubbliche secessioniste. In tale situazione ogni interferenza esterna è assolutamente proibita. Nessun dubbio che la Federazione Jugoslava era ancora esistente, quando il riconoscimento di Slovenia, Croazia, Bosnia-Herzegovina arrivò dalle potenze occidentali. La caratteristica principale della Federazione Jugoslava era data dal fatto che era un unione di popoli costitutivi che attribuivano il nome alle repubbliche federate, più altre nazionalità e minoranze: ma non c'era mai la stretta coincidenza tra il popolo che assegnava il nome ad una determinata repubblica e la repubblica stessa. In altre parole, Croazia e Serbia furono costituite dai due popoli costitutivi, mentre la Bosnia-Herzegovina ospita tre popolazioni (Musulmana, Croata e Serba). Questo sistema era stato stabilito dalle Costituzioni degli Stati Federali, conformemente a quella del 1974. Questa carta nel preambolo riconosce il diritto di secessione, ma non alle repubbliche federate bensì ai vari popoli costituenti la nazione jugoslava, senza in ogni caso prevederne l'iter. Era possibile che l'eventuale secessione avvenisse in maniera trasversale in relazione alle singole repubbliche federate: così una singola popolazione dividendosi dal resto della nazione poteva coinvolgere più di una repubblica. Mentre per le stesse repubbliche federate la procedura era molto più complicata, poiché per cambiare propri confini interni, c'era bisogno del consenso di tutte le nazioni. E' fuori di dubbio che le secessioni delle singole repubbliche siano avvenute violando la Costituzione, come rilevato dalla Corte costituzionale Federale Jugoslava. L'intervento dell'esercito federale jugoslavo dopo la dichiarazione di indipendenza della Slovenia (25 giugno 1991) fu perciò legittimo. L'interferenza della Comunità Europea, che nella conferenza di Brioni optò per il ritiro dell'esercito federale dalla Slovenia, accompagnato da pressioni di ogni genere, presenta senza dubbio una violazione della legalità internazionale. In Croazia, di fronte ai graduali passi verso la secessione, culminata nella dichiarazione di indipendenza (anche in questo caso il 25 giugno 1991), la maggioranza serba in Krajina proclamò la sua repubblica e perciò fu attaccata dalle forze di polizia croate. Anche lì l'esercito federale agì legittimamente (luglio 1991). Le repubbliche secessioniste provocarono la paralisi delle istituzioni federali: dopo il blocco Serbo-Montenegrino, affrontarono col rischio della disintegrazione, e assunsero il controllo delle istituzioni (3 ottobre), provocando la protesta delle potenze occidentali; l'8 ottobre la Slovenia e la Croazia dichiararono definitivamente la loro indipendenza. Sebbene per un pò di tempo difendessero la stabilità, la sopravvivenza della repubblica Federale Jugoslava, gli stati europei cominciarono subito (già il 2 agosto 1991) a dare il via libera alla loro vera ma illegittima politica: in assenza di un accordo tra le repubbliche Federate, i confini internazionali, ma anche quelli interni in Jugoslavia, furono rispettati. La linea fu confermata in un altro meeting internazionale e persino dal Consiglio di Sicurezza nella risoluzione numero 713 del 1991 del 25 settembre, che definì la situazione Jugoslava come un pericolo per la pace. In modo particolare sotto la pressione di Germania, Austria e Vaticano, il 15 gennaio 1992, Slovenia e Croazia furono riconosciute come stati indipendenti, e Bosnia-Herzegovina e Macedonia seguirono la stessa strada, e ci fu poi l'ammissione nelle Nazioni Unite (22 Maggio). Questo processo fu stimolato dai Ministri degli affari esteri degli stati aderenti all'Unione Europea, che il 16 dicembre 1991 hanno pubblicato le linee guida " per il riconoscimento dei nuovi stati dell'Europa dell'est e dell'Unione Sovietica": un'incredibile iniziativa, che invita tali Stati ad agire per ottenere il riconoscimento. Le potenze occidentali stabilirono che la Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia dovesse finire, sebbene ci fossero ancora delle istituzioni, come l'esercito e la Presidenza Federale anche se tronca, che la stavano ancora difendendo. La posizione della Jugoslavia e di Milosevic (Presidente della Serbia dal 1989) fu in un primo tempo quella di non accettare che il paese fosse depennato, e poi che la Federazione dovesse sopravvivere per tutti i popoli e le regioni che vi volevano ancora vivere (ciò fu in malafede concepito come un piano per costruire la cosiddetta 'Grande Serbia'). In questo contesto le potenze riaffermarono il principio del rispetto dei confini interni, specialmente in relazione alla Krajina e la Bosnia Serba , dove i Serbi proclamarono la loro repubblica: loro non parteciparono al referendum sull'indipendenza della Bosnia. Il punto principale è che il processo di dissoluzione della Jugoslavia era senza dubbio in corso, ma non era consolidato, stabilizzato, condizione fondamentale per considerarlo effettivo. All'inizio della cessazione dell'opposizione attiva con riguardo ai nuovi sviluppi della situazione, dalle autorità legittime fu promulgata la Costituzione del 1992 della parte residua della Jugoslavia e successivamente fu deciso il ritiro dalla Bosnia e dalla Croazia. ciò significa che le azioni delle potenze occidentali erano illecite: furono un interferenza in affari interni dello stato, allo scopo di aiutare gli insorti nelle loro mire separatistiche. la fattispecie di crimine contro la pace fu escluso dallo statuto dell'ICTY non per caso. D'altra parte la forma dei nuovi stati non era ancora stata stabilita: il loro processo di formazione non era ancora concluso, non avevano ancora il libero e pieno controllo su tutto il territorio che reclamavano (fatta eccezione per Slovenia e forse Macedonia). Il prematuro riconoscimento (e le conseguenti attività di supporto, di condanna, sanzioni e limitazioni alle azioni costituzionali dell'esercito Federale), furono gli elementi dell'azione illegale condotta dagli Stati occidentali. Farò menzione del secondo protocollo alla Convenzione di Ginevra . L'intervento in conflitti interni, il prematuro riconoscimento di stati ancora non completamente giunti a formazione: un giovane studioso italiano (Tancredi, Secessione p.464) espresse molto chiaramente il capovolgimento dei criteri fondamentali di effettività: un non esistente (a livello internazionale) diritto alla secessione fu creato dalla volontà politica di un gruppo di Stati stranieri mediante il riconoscimento, il quale ha dato alla questione rilievo internazionale, attribuendo il diritto all'auto-determinazione, sebbene non ci fossero le condizioni. " Il riconoscimento degli stati secessionisti della Jugoslavia, costituisce una nuova strategia, non più la passiva accettazione del fato, ma si pilotano gli eventi". Il tutto con illegali conseguenze: la proibizione per le autorità centrali di contrastare la secessione, la proibizione per stati terzi dare assistenza al potere centrale, mentre diventa legale per i secessionisti ricevere aiuto, anche militare, dall'esterno. Bene quindi, non l'indipendenza di fatto dichiarata che corrisponda alla reale situazione giuridica, ma una creazione giuridica artificialmente posta in essere i cui aiuti sono decisivi per ottenere l'indipendenza - non ancora ottenuta effettivamente. Cosicché la Jugoslavia passò per l'aggressore (in un primo momento per mantenere lo status quo, poi per aiutare i serbi di Croazia e di Bosnia cui era stato negato il diritto all'autodeterminazione). Chiaramente, se in un conflitto accadono episodi di crudeltà e financo criminali ad opera di entrambe le parti, è naturale e piuttosto automatico, attribuirli in toto all' "aggressore", ricorrendo alla calunnia e amplificando i singoli casi col beneficio dei mass-media e dei loro manipolatori. Dopo l'assoluto stravolgimento delle relazioni tra sovranità e auto-determinazione rispettivamente di Jugoslavia e repubbliche secessioniste, ecco che abbiamo anche la negazione all'autodeterminazione all'interno delle stesse repubbliche secessioniste, sebbene queste non fossero ancora definitivamente formate. Abbiamo già ricordato che quando uno stato è coinvolto in un processo di formazione, ogni componente etnica della popolazione (che sia identificabile con un'entità territorialmente compatta) ha il medesimo diritto di costituire il suo stato, o rimanere nel vecchio stato. Ma anche a questo proposito ci sono stati dei capovolgimenti del diritto: l'imposizione dell' uti possidetis elevò i confini interni a confini riconosciuti a livello internazionale, contrariamente a quanto sosteneva la Costituzione Jugoslava (che contemplava, ripeto, la secessione ma in relazione ai popoli, mentre la procedura per apportare modifiche ai confini delle Repubbliche era stabilita, così come i confini stessi e le condizioni per la convivenza tra differenti popolazioni nella stessa Repubblica, dalla Costituzione Federale, e la loro validità finì col cessare della Costituzione). Attraverso questo imbroglio, la repressione delle negate auto-determinazioni dei serbi di Croazia e di Bosnia furono considerate un affare interno delle Repubbliche (non ancora costituite), l'aiuto a tale auto-determinazione (da parte della Jugoslavia) invece illecito, di conseguenza persino l'intervento armato di Stati terzi o di organizzazioni fu legittimato contro l'assistenza Jugoslava. Assolutamente sbagliato, se non per meglio dire vergognoso, anche dal punto di vista del diritto internazionale, deve essere considerata la forzata formazione dall'esterno della cosiddetta Federazione di Bosnia-Herzegovina, un' entità artificiale, nemmeno realmente indipendente. Ma l'azione di moderazione del Presidente Milosevic durante gli accordi di Dayton non può essere dimenticata.

Un altro aspetto dello stravolgimento del diritto internazionale: la negazione della continuità della Repubblica Federale del 1992 rispetto alla Repubblica Socialista e l'affermazione che questo era ormai un'altro Stato, visto il venir meno dei membri originali e perciò delle caratteristiche originali dello stato membro, bisognava pertanto rifare la procedura di adesione. E' sufficiente affermare che, al contrario, si era di fronte semplicemente ad un caso di rimpicciolimento , non di una radicale modifica o sostituzione del vecchi sub strato sociale: non si trattava di smembramento, ma di una serie di secessioni di alcune repubbliche: secessioni che avevano visto l'opposizione attiva e legittima dello stato centrale, anche se stava progressivamente perdendo il suo controllo di fatto sul suo territorio, fino a quando sospese o rinunciò alla sovranità sui vari territori, ma non, almeno all'inizio, per il beneficio delle Repubbliche secessioniste. Inoltre non ci fu una contro-rivoluzione socio-economica, come nelle altre Repubbliche. Ma la cosa più sorprendente fu il diverso trattamento riservato alla Russia, considerata come entità avente continuità con l'Unione Sovietica anche per quanto riguarda il seggio presso permanente presso il Consiglio di Sicurezza. Forse avrebbe dovuto svilupparsi un lavoro teorico maggiore per quanto riguarda lo smembramento dell'URSS, dove nessuna attività di opposizione contro le secessioni fu mossa nel '91, mentre la Russia era attiva nel processo di estinzione della forma dello Stato precedente. Un fatto importante che non deve essere dimenticato sulla Jugoslavia "residuale": le Costituzioni di Serbia e di Jugoslavia (1990 e 1992) grazie all'attivo impegno politico del Presidente Slobodan Milosevic, non erano nazionalistiche, dando eguale diritto di cittadinanza ad ogni abitante, a differenza di quella croata, che sancisce la Croazia come stato dei croati, mentre gli altri gruppi sono considerati minoranze.

Altri elementi sullo a proposito dello stravolgimento: l'aggressione del 1999,la cosiddetta guerra del Kosovo. In questa non prenderò in considerazione i fatti come il presunto genocidio e il restringimento dell'autonomia regionale avvenuta nel 1989-90, che fu una decisione della Federazione e non di Milosevic. E' sufficiente riportare l'intervista al generale Heinz Loquai del contingente tedesco presso l'Osce: "Circa il genocidio, non solo "pianificato" ma "perpetrato" dal governo Jugoslavo, sia i parlamentari del Bundestag sia il Governo tedesco hanno dato il via libera a delle esagerazioni enormi.Ciò che le armi di distruzione di massa irachene rappresentano per Bush, la cosiddetta catastrofe umanitaria in Kosovo fu per la Germania la giustificazione per la guerra".Egli afferma pure che, il giorno prima dell'aggressione, esperti del ministero della difesa tedesco affermarono che "non era in corso nessuna pulizia etnica". E ancora: in Kosovo "c'era una guerra civile. La NATO è intervenuta unilateralmente contro una parte, la Jugoslavia: la guerra ha provocato una reale catastrofe umanitaria: 70000 rifugiati dal Kosovo nei vicini paesi all'inizio del conflitto, 800000 alla fine". In questo severo resoconto dei fatti troviamo ancora il capovolgimento del diritto internazionale. L'intervento umanitario - consentito dal diritto internazionale- è un'invenzione frutto della nuova epoca caratterizzata dal dominio imperialista. L'intervento in una guerra civile, o in un conflitto interno, i quali sono tipici affari interni di uno stato, è a livello di principio proibito (e mancava pure l'autorizzazione del consiglio di sicurezza che comunque non avrebbe lasciato la questione priva di dubbi). A tal proposito c'è una regola internazionale che conferma questa tesi, si tratta dell'art 3 del secondo Protocollo del 1977 alle convenzioni di Ginevra del 1949, relativamente alla protezione delle vittime in conflitti non internazionali: "Nessun articolo di questo Protocollo può essere invocato per influire sulla sovranità degli Stati sulla responsabilità dei governi, sia direttamente che indirettamente, per nessuna ragione". Questo Protocollo è in vigore dal 7 dicembre 1978 ed è stato ratificato dalla Jugoslavia e poi dagli USA, Italia, Germania, Gran Bretagna. Si può stabilire un'importante analogia con la questione cecena. Fu un'aggressione, per il piacere dei gruppi criminali e terroristi: ora il Kosovo è illegalmente separato dalla Jugoslavia (Serbia), sono in corso pulizie etniche contro i Serbi e le altre minoranze etniche: nessuno pagherà delle "corti internazionali" per i crimini di aggressione (da parte della NATO) e altri criminali di guerra occidentali, e per i crimini perpetrati dai gruppi al potere oggi in Kosovo.

Legalità, imperatività delle norme di legge è prima di tutto l'affermazione della definizione dei crimini e delle sanzioni, delle procedure giuridiche , dei modi e dei mezzi per creare nuove regole e organi. Questo è particolarmente vero nel caso di norme internazionali e decisioni riguardanti l'individuo e non le attività tra stati.Le questioni sui diritti umani, stanno emergendo almeno nel sistema delle Nazioni Unite, non passare inosservate. Per quanto riguarda il cosiddetto delicta contra gentium , si deve assicurare che i diritti individuali sanciti dalle leggi internazionali siano rispettati (anzi, aggiungerei bisogna garantire anche il corretto adempimento da parte dello stato).

Sottolineerei un punto che solitamente viene tralasciato: nella legislazione delle Nazioni Unite l'accettazione di obblighi internazionali da parte degli Stati è espressamente vincolato al rispetto dei dettati costituzionali interni. E questo è un principio fondamentale, come ha affermato un grande studioso austriaco di diritto internazionale, Alfred Verdross: l'ONU non ha sovranità direttamente sugli individui. In quest'ambito che bisogna rispettare la sovranità degli Stati, cosicché la diretta azione dell'Onu sugli individui, senza passare attraverso la struttura legislativa dello Stato, è esclusa. Ciò è essenziale, ragione strutturale perché un'iniziativa come l'ICTY è da respingere come totalmente illegale. Ma siamo in una fase storica dove la legge della forza prevale sulla forza del diritto. Il quale è, come vuole la vulgata, la base legale per la creazione da parte del Consiglio di sicurezza di tal straordinario, anzi meglio dire senza precedenti organo come l'ICTY (nonché il tribunale del Rwanda). Prima di tutto, il suo potere discrezionale sconfinato nel definire le minacce o i pericoli per la pace (non si parla di pace internazionale come invece si legge nella norma) ai sensi dell'articolo 39 della Carta, è il risultato di un'accezione erronea sfortunatamente corroborata da prassi fuorvianti e dalla acquiescenza degli stati. In secondo luogo, alla base della determinazione di questo strumento c'è l'affermazione che il Consiglio di Sicurezza abbia possibilità illimitate nell'adottare ogni sorta di misura che ritiene utile e necessaria. Ciò è stato confermato anche in anni recenti, dalla prassi illegale, ma ciò è profondamente falso. Gli articoli 41 e 42della Carta prevedono due tipi di misure (rispettivamente con e senza l'uso della forza), senza dubbio in maniera esemplificativa, in modo da limitare le tipologie connesse con funzione di auto tutela, in cui è proibita l'azione individuale degli stati, e dove ci si debba affidare all'azione collettivamente decisa. Attività del genere lo stato leso poteva mettere in opera, conformemente al vecchio diritto internazionale, che includeva tra le contromisure, rappresaglie,auto-tutela e così via. Ciò ora è rimpiazzato dalle iniziative collettive sempre dello stesso tipo. Con ciò si vorrebbe impedire l'auto tutela individuale per favorire quella collettiva, rimuovendo situazioni (reali o imminenti) minacciose per la pace, senza imporre soluzioni (previste dal capitolo 6 ma solo sotto forma di raccomandazioni). In questo senso, è una pura funzione esecutiva. Perciò nessun potere di modifica dell'esistente ordine legale, o di creazione di regole e di organi o di leggi è attribuito all'ONU e in particolare al Consiglio di Sicurezza in base al capitolo 7 (non è prevista nessuna funzione giuridica interstatale, tanto meno sugli individui). L'istituzione dei cosiddetti tribunali con lo scopo di giudicare i crimini perpetrati da individui è secondo me una questione che desta qualche dubbio. Il minimo requisito per un organo del genere dovrebbe essere che alla base ci sia un accordo tra gli stati, un accordo direi, che rientri nel quadro delle regole delle Nazioni Unite, che rispetti le istanze costituzionali dei paesi coinvolti e i principi fondamentali dei diritti umani. La convenzione sul genocidio del 1948, ovviamente accettata dagli Stati, prevede la costituzione di un tribunale, che non è mai stato costituito, la cui giurisdizione abbia l'esplicito consenso degli stati. Altri successive corti internazionali sono state istituite a seguito di accordi internazionali. La creazione dell'ICTY (e del tribunale del Rwanda) ad opera del Consiglio di Sicurezza è inammissibile da un punto di vista strettamente giuridico. L'opposta opinione, che corrisponde con quella dell'ICTY stesso, si basa sull'interpretazione degli articoli 39, 41, 42 tendente a dare ampio potere discrezionale al Consiglio di Sicurezza. Accettare questa dottrina equivale ad accettare una dittatura mondiale del Consiglio di Sicurezza su individui e Stati.Siamo consapevoli di essere già sulla buona strada: le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza lo testimoniano; lo stesso si dica della risoluzione 827 che da vita all'ICTY. Questo è un puro atto di giustizia dei vincitori, espressione del diritto della forza contro la forza del diritto. Sono i principi del Fuhrer espressi a livello planetario.Come tale istituzione può essere inclusa nella carta dell'ONU?La risoluzione 827 non è né una decisione collettiva che non implica la forza né una misura che la prevede ex.articolo 42.Non è, in generale, un mezzo collettivo di autotutela atto a impedire l'autotutela individuale ad opera degli stati stessi: avete mai visto un istituzione come un tribunale usata come contromisura o come rappresaglia da uno stato leso?Secondo la corretta interpretazione,il consiglio di sicurezza non ha tale potere:le istituzioni di un organo di questo tipo non è una misura esecutiva, ma normativa che implica il potere legislativo e potere giudiziario persino sugli individui, poteri mai conferiti al consiglio di sicurezza.Un fondamentale saggio di Gaetano Arangio-Ruiz, (''on the security counsil's law making'' ex membro della commissione diritto internazionale presso le nazioni unite nonché uno dei maggiori studiosi della dottrina sostiene: ''Si ha l'impressione che i giuristi internazionali tendano ad essere soddisfatti senza mostrare un minimo di senso critico, facendo solo qualche proposta marginale circa la procedura volta a far si che le azioni del Consiglio di Sicurezza siano meno problematiche, ma politicamente più gradite... non si nota, in dottrina, nessuna trattazione a proposito dei problemi che si pongono circa l'interpretazione e l'applicazione della Carta . Questa per mezzo secolo sono sempre state in balia di svariate letture... si percepiva, in quel tempo, nell' approccio alla materia, un' atteggiamento rinunciatario da parte dei giuristi in ossequio al potere politico e al 'realismo' ". Le conclusioni di Arangio-Ruiz sull'ICTY sono perentorie: "Chiaramente, l'istituzione di un tribunale con le funzioni cui sono state date all'ICTY, rappresentano un duro impatto ai diritti e agli obblighi degli Stati, la cui sovranità e giurisdizione penale potrebbero risultare danneggiate dall'espletamento di tali funzioni. Due possibilità -data l'impraticabilità del trattato- erano così aperte circa la questione del Consiglio. Una era quella di avviare un'azione militare nei territori coinvolti, aprendo in questo modo la possibilità di formare una corte penale nel contesto delle operazioni militari svolte dall'Onu, operando nell'ambito degli articoli 42 e 51; la seconda strada era quella di creare una corte penale come forma isolata riguardante solo gli stati in gioco. Prerogativa questa che avrebbe permesso di agire al di fuori di qualsiasi operazione militare vincolata ai dettami della Carta e del diritto internazionale. Non potendo, o non volendo seguire la prima opzione, e traviato da esperti in legge, il consiglio scelse la seconda. Così facendo il Consigli non intraprese una legittima azione di "peace-enforcement" prevista dal capitolo 7, ma si attribuì un potere legislativo, che viola il capitolo 7 dal momento che questo non prescrive una tale funzione. In questo modo l'Onu ha ignorato la distinzione di importanza capitale fatta dalla Carta tra peace-enforcement e il potere di creare, modificare e rinforzare le leggi, quest'ultime non sono attribuite agli organi delle Nazioni Unite da nessuna parte". Io aggiungerei questo- nemo dat quod non habet- il Consiglio di Sicurezza non può istituire un organo sussidiario ex art. 29 e attribuirgli poteri che lui stesso non possiede. Così ICTY è un puro strumento di natura politica. Ho lasciato da parte ogni sorta di commento circa il suo Statuto, sulla suo specifico modo di procedere, sull'infame rifiuto di giudicare i crimini della NATO (bombe, uranio impoverito ecc.), il vergognoso rapimento di Slobodan Milosevic, la violazione dello Stato e dell'immunità che spetta ai suoi organi (come previsto dalla decisione della corte Internazionale di giustizia il 14 Febbraio 2002: caso riguardante l'autorizzazione all'arresto del 11 aprile 2000 - Repubblica Democratica del Congo contro Belgio) e così via, per non parlare dei capi di accusa contro Slobodan Milosevic contrari ad ogni principio di diritto penale. Quello contro Milosevic è un processo politico: il crimine dell'ex Presidente è stato quello di non accettare il diktat delle potenze occidentali. I processi, quasi tutti contro personalità di nazionalità Serba (non si sono visti i leader delle altre Repubbliche come Tudjman o Itzebegovic e nemmeno i leader odierni albanesi), sono un avvertimento per tutti coloro che non si sottomettono al nuovo ordine mondiale: hanno bisogno di abbellire delle vere e proprie aggressioni, per poi condannare presunti crimini commessi da presunti mostri. La risoluzione 36/103 del 9 Dicembre 1981 dell'Assemblea Generale (dichiarazione di ammissibilità dell'intervento e di interferenza in affari interni agli stati) afferma: " Il dovere di ogni Stato di astenersi dal promuovere campagne diffamatorie o di propaganda ostile con lo scopo di intervenire o interferire negli affari interni" nonché " il dovere per ogni Stato di evitare ogni strumentalizzazione e distorsione di questioni riguardanti i diritti umani come mezzo per interferire in affari interni, per far pressione sugli altri stati, o per seminare distruzione e disordine tra stati o gruppi di Stati". Notate una certa somiglianza con l'atteggiamento delle potenze occidentali e dei media? Mai prima d'ora la differenza di atteggiamento tra le due parti era stata così evidente: uno Stato che rifiuta financo di accettare l'adesione alla convenzione del 1998 di Roma che istituiva la Corte Penale Internazionale con i suoi alleati che appoggiano un processo farsa contro le vittime dell'aggressione, e i leader che tentano di difendere la propria patria. Tale mancanza di legalità è equivalente ad una violenza sconfinata. Non c'è da stupirsi se la violenza e il terrorismo (vero o presunto) si stia spargendo su tutto il pianeta, se i più elementari principi di legalità vengono violati dall'Onu stesso.



Aldo Bernardini

Traduzione di Pacifico Scamardella (Forum Belgrado Italia)
Fonte: N. 6 - 30 agosto 2005 (http://www.resistenze.org/sito/os/ta/osta5i01.htm)

Stalinator
13-10-10, 23:49
SLOBODAN MILOSEVIC ERA INNOCENTE


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Stalinator
07-02-11, 18:55
Kosovo Criminale: il regalo degli USA all’Europa
26/01/2011


Diana Johnstone NSPM 10 gennaio 2011

I media degli USA hanno dato maggiore attenzione alle vaghe accuse di incontri sessuali di Julian Assange con due loquaci donne svedesi, che a un rapporto ufficiale che accusa il Primo Ministro del Kosovo Hashim Thaci di gestire una impresa criminale che, tra i vari crimini contestati, l’aver ucciso dei prigionieri per venderne gli organi vitali sul mercato mondiale.
La relazione del liberale svizzero Dick Marty fu richiesta due anni fa dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE). Da non confondere con l’Unione europea, il Consiglio d’Europa è stato fondato nel 1949 per promuovere i diritti umani, lo stato di diritto e la democrazia, ed ha 47 stati membri (rispetto ai 27 dell’UE).
Mentre gli esperti giuridici statunitensi tentano febbrilmente di giocare le accuse che possono utilizzare per richiedere l’estradizione di Assange negli Stati Uniti, per essere debitamente punito aver sconcertato l’impero, il portavoce del Dipartimento di Stato americano Philip Crowley ha piamente reagito alle accuse del Consiglio d’Europa, dichiarando che gli Stati Uniti continueranno a lavorare con Thaci in quanto, “qualsiasi persona in qualsiasi parte del mondo, è innocente fino a prova contraria”.
Tutti, cioè, ad eccezione, tra gli altri, di Bradley Manning che è in isolamento, anche se non è stato trovato colpevole di nulla. Tutti i prigionieri di Guantanamo sono stati considerati colpevoli, punto. Gli Stati Uniti stanno quotidianamente applicando la pena di morte a uomini, donne e bambini in Afghanistan e Pakistan, che sono innocenti fino alla morte.
Gli imbarazzati sostenitori dell’auto-proclamato piccolo stato di Thaci respingono le accuse, dicendo che il rapporto Marty non prova la colpa di Thaci. Naturalmente non è così. Non può. Si tratta di una relazione, non di un processo. Il rapporto è stato ordinato dalla PACE proprio perché le autorità giudiziarie hanno ignorato le prove dei gravi crimini. Nel suo libro di memorie del 2008 ‘La caccia. Io e i criminali di guerra’, l’ex procuratrice presso il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia (ICTY) dell’Aja, Carla del Ponte, ha denunciato che le è stato impedito di svolgere un’indagine approfondita sui rapporti sull’estrazione di organi da serbi e altri prigionieri, effettuata dall’”Esercito di liberazione del Kosovo (UCK)” in Albania. Infatti, le voci e le relazioni di tali atrocità, diffuse nei mesi successivi l’occupazione del Kosovo da parte delle forze di occupazione NATO, sono state diligentemente ignorate da tutte le autorità giudiziarie interessate.
La relazione di Marty afferma di aver scoperto prove corroboranti, comprese le deposizioni di testimoni la cui vita sarebbe in pericolo, se i loro nomi venissero rivelati. La conclusione della relazione non è e non potrebbe essere un verdetto, ma una domanda alle autorità competenti di intraprendere un procedimento giudiziario in grado di vagliare tutte le prove ed emettere un verdetto.

Scetticismo sulle atrocità
E’ sempre prudente essere scettici riguardo storie di atrocità circolanti in tempo di guerra. La storia mostra molti esempi di racconti di atrocità totalmente inventate, che servono a fomentare l’odio del nemico in tempo di guerra, come la larga diffusione, durante la prima guerra mondiale, di rapporti di tedeschi che “tagliano le mani ai bambini belgi”. Giornalisti e politici occidentali hanno abbandonato ogni scetticismo prudente riguardo la diffusione di truculenti racconti di atrocità serbe, usate per giustificare i bombardamenti NATO sulla Serbia nel 1999. Personalmente, il mio scetticismo si estende a tutte queste storie, a prescindere dall’identità dei presunti colpevoli, e ho evitato per anni di scrivere le storie albanesi di trapianto di organi, proprio per questo motivo. Non ho mai considerato Carla del Ponte una fonte affidabile, ma piuttosto una donna ingenua e arrogante che era stata scelta dagli sponsor statunitense del TPIY, perché pensavano di poterla manipolare. Non c’è dubbio per chi gli sponsor del Tribunale stavano lavorando, dato che è stata impostata da e per gli Stati Uniti e la NATO, al fine di giustificare la loro scelta di campo nelle guerre civili jugoslave, che avrebbero imposto una battuta d’arresto prima che potesse allontanarsi dal percorso assegnatoli, prima di ficcare il naso neii crimini commessi dagli albanesi protetti dagli USA. Ma questo non prova che i presunti reati siano stati effettivamente commessi.
Tuttavia, il rapporto Marty va al di là delle vaghe voci facendo accuse specifiche nei confronti del “Gruppo di Drenica” dell’UCK, guidato da Hashim Thaci. Nonostante il rifiuto delle autorità albanesi a cooperare, vi è un’ampia dimostrazione che il KLA abbia gestito una catena di “case sicure” in territorio albanese, durante e dopo la guerra della NATO contro la Serbia del 1999, utilizzandole per trattenere, interrogare, torturare e, talvolta, uccidere i prigionieri. Una di queste case sicure, appartenente ad una famiglia individuata dall’iniziale “K”, è stata citata da Carla del Ponte e dai media, come “la casa gialla” (sebbene dipinta di bianco). Per citare il Rapporto Marty (paragrafo 147):
“Ci sono sostanziali elementi di prova che un piccolo numero di prigionieri fatti dall’UCK, tra cui alcuni serbi rapiti, trovarono la morte a Rripe, in corrispondenza o in prossimità della casa dei K.. Abbiamo appreso di queste morti non solo attraverso le testimonianze di ex soldati dell’UCK che hanno dichiarato di aver partecipato alla detenzione e trasporto dei prigionieri, mentre erano in vita, ma anche attraverso le testimonianze di persone che hanno assistito indipendentemente alla sepoltura, disseppellimento, spostamento e risepoltura cadaveri dei prigionieri’(…)”
Un numero imprecisato, ma apparentemente piccolo, di prigionieri è stato trasferiti su furgoni e autocarri in un sito che operava nei pressi dell’aeroporto internazionale di Tirana, dal quale gli organi potevano essere recapitati rapidamente ai destinatari.
“Gli autisti di questi furgoni e camion – molti dei quali sarebbero testimoni cruciali degli abusi descritti – hanno visto e sentito i prigionieri soffrire molto durante i trasporti, in particolare a causa della mancanza di una corretta alimentazione aerea del loro scompartimento nel veicolo, o a causa del tormento psicologico del destino che si suppone li aspettava“. (paragrafo 155).
I prigionieri descritti nella relazione come “vittime della criminalità organizzata” includevano “persone che abbiamo scoperto esser state prese in Albania centrale per essere assassinate immediatamente prima di avere i loro reni rimossi in una clinica di fortuna.” (paragrafo 156).
Questi prigionieri “indubbiamente subirono la prova più terribile, sotto la custodia dei loro rapitori dell’UCK. Secondo le testimonianze originarie, i prigionieri ‘filtrati’ in questo sottoinsieme, venivano inizialmente mantenuti vivi, alimentati bene e con il permesso di dormire, trattati con relativa moderazione da parte delle guardie dell’UCK e dagli aguzzini, che altrimenti li picchiavano indiscriminatamente” (paragrafo 157).
“Le testimonianze su cui abbiamo basato le nostre scoperte, parlano in maniera credibile e coerente di una metodologia con la quale sono stati uccisi tutti i prigionieri, di solito con un colpo di pistola alla testa, prima di essere operati per rimuovere uno o più dei loro organi. Abbiamo appreso che questo era principalmente un traffico di ‘reni dai cadaveri’, cioè i reni estratti postumi, non si trattava di un insieme di procedure chirurgiche avanzate che richiedono studi clinici controllati e, per esempio, un ampio uso di anestetici” (paragrafo 162).

Scetticismo sulla “liberazione“
Il rapporto Marty ricorda, inoltre, ciò che è noto comunemente in Europa, vale a dire che Hashim Thaci e il suo “Gruppo di Drenica” sono notori criminali. Mentre il Kosovo “liberato” affonda sempre più nella povertà, hanno accumulato fortune in vari tipi di commerci illegale, in particolare la riduzione in schiavitù delle donne per la prostituzione e il controllo dei narcotici illegali in tutta Europa.
“In particolare, in rapporti confidenziali che coprono più di un decennio, le agenzie dedicate alla lotta contro il contrabbando di droga, in almeno cinque paesi, hanno definito Hashim Thaci e gli altri membri del suo “Gruppo di Drenica”, esercitanti il controllo violento del traffico di sostanze stupefacenti, di eroina e altro” (paragrafo 66).
“Allo stesso modo, gli analisti d’intelligence che lavorano per la NATO, come pure quelli in servizio in almeno quattro governi stranieri indipendenti, hanno tratto risultati interessanti dalla loro raccolta di informazioni relative al periodo immediatamente successivo al conflitto nel 1999. Thaci è stato comunemente identificato e citato, nei rapporti di servizi segreti, come il più pericoloso dei ‘boss criminali’ dell’UCK” (paragrafo 67).
La sinistra, che aveva abboccato all’esca, lenza e piombo della propaganda per la “guerra per salvare i kosovari dal genocidio“, che giustificava l’assalto, i bombardamenti e l’invasione della NATO, nel 1999, aveva accettato prontamente l’identificazione del “Kosovo Liberation Army” in un movimento di liberazione nazionale che meritava il suo sostegno. Non fa parte della leggenda romantica i rivoluzionari che rapinano le banche per la loro causa? La sinistra assume che tali attività criminali siano semplicemente un mezzo per il fine dell’indipendenza politica. Ma cosa succede se l’indipendenza politica è in realtà il mezzo per proteggere le attività criminali?
L’assassinio di poliziotti, la specialità dell’UCK prima di essere avere in dote il Kosovo dalla NATO, è un’attività ambigua. L’obiettivo è dell’”oppressione politica“, come sostiene, o semplicemente l’applicazione della legge?
Che cosa hanno fatto Thaci e compagnia con la loro “liberazione”? Prima di tutto, hanno permesso ai loro sponsor statunitensi di costruire una grande base militare, Camp Bondsteel, sul territorio del Kosovo, senza chiedere permesso a nessuno. Poi, dietro una cortina di chiacchiere sulla costruzione della democrazia, hanno terrorizzato le minoranze etniche, eliminato i loro rivali politici, favorito la criminalità e la corruzione dilagante, applicato brogli elettorali e si sono ostentatamente arricchiti grazie alle attività criminali che costituiscono l’economia reale.
Il Rapporto Marty ricorda cosa è successo quando il presidente jugoslavo, Slobodan Milosevic, sotto la minaccia NATO di spazzare via il suo paese, ha deciso di ritirarsi dal Kosovo e permettere a una forza delle Nazioni Unite, denominata KFOR (subito acquisita dalla NATO) di occupare il Kosovo.
“In primo luogo, il ritiro delle forze di sicurezza serbe dal Kosovo aveva ceduto nelle mani di diversi gruppi scissionisti dell’UCK, incluso il “Gruppo di Drenica” di Thaci, l’efficace controllo, senza restrizioni, di uno ampio spazio territoriale in cui effettuare le varie forme di contrabbando e di traffici” (paragrafo 84).
“KFOR e UNMIK sono stati incapaci di attuare la legge in Kosovo, controllare i movimenti delle persone o di controllare le frontiere dopo i bombardamenti della NATO nel 1999. Le fazioni e frange dell’UCK avevano il controllo di aree distinte del Kosovo (villaggi, tratti di strada, a volte anche singoli edifici) e sono stati in grado di attuare imprese criminali organizzate quasi a volontà, anche nello smaltimento dei trofei della loro vittoria percepita sui serbi” (paragrafo 85).
“In secondo luogo, l’acquisizione di Thaci di un maggior livello di autorità politica (Thaci dopo aver nominato se stesso Primo Ministro del governo provvisorio del Kosovo) aveva apparentemente incoraggiato il “Gruppo di Drenica” a cancellare tutti i loro più aggressivi rivali, presunti traditori e persone sospettate di essere “collaboratrici” dei serbi” (paragrafo 86).
In breve, la NATO ha esautorato la polizia già esistente, consegnando la provincia del Kosovo a dei gangster violenti. Ma questo non è stato un caso. Hashim Thaci non era solo un gangster che ha approfittato della situazione. E’ stato accolto a braccia aperte dalla segretario di Stato USA Madeleine Albright e dal suo braccio destro, James Rubin, per il suo lavoro.

“Vi ho visto nei film…”
Fino al febbraio 1999, la sola rivendicazione di Hashim Thaci alla fama si trovava negli archivi della polizia serba, dove era ricercato per vari crimini violenti. Poi, all’improvviso, nel castello francese di Rambouillet fu chiamato, spintoo sotto i riflettori del mondo dai suoi gestori statunitensi. Fu uno dei colpi di scena più bizzarri di tutta la saga tragicomica del Kosovo.
La signora Albright era impaziente di usare il conflitto etnico in Kosovo per dare una dimostrazione della potenza militare degli Stati Uniti bombardando i serbi, al fine di riaffermare il predominio degli Stati Uniti sull’Europa tramite la NATO. Ma i leader europei di alcuni paesi della NATO pensavano che fosse politicamente necessario dare almeno un pretesto per cercare una soluzione negoziata al problema del Kosovo, prima dei bombardamenti. E così una falsa “trattativa” venne allestita presso Rambouillet, progettato dagli Stati Uniti per spingere i serbi a dire di no a un ultimatum impossibile, al fine di sostenere che l’Occidente umanitario non aveva altra scelta che bombardare.
Per questo, avevano bisogno di un albanese del Kosovo, che avrebbe giocato al loro gioco.
Belgrado aveva inviato una folta delegazione multietnica a Rambouillet, pronta a proporre una soluzione dando ampia autonomia al Kosovo. Dall’altra parte c’era una delegazione puramente di etnia albanese del Kosovo, tra cui molti intellettuali di spicco locali con esperienza in tali negoziati, compreso il leader riconosciuto a livello internazionale del movimento separatista albanese in Kosovo, Ibrahim Rugova che, si riteneva, avrebbe guidato la delegazione “kosovara“.
Ma per la sorpresa generale degli osservatori, gli intellettuali erano stati messi da parte, e la leadership della delegazione era stata rilevata da un giovane, Hashim Thaci, conosciuto negli ambienti della polizia come “il serpente“.
Gli statunitensi promossero la scelta di Thaci per ovvie ragioni. Mentre i vecchi albanesi del Kosovo rischiavano effettivamente di negoziare con i serbi, e quindi raggiungere un accordo che avrebbe impedito la guerra, Thaci doveva tutto agli Stati Uniti, e avrebbe fatto come gli era stato detto. Inoltre, mettere un “ricercato” criminale al vertice della delegazione, fu un affronto ai serbi contribuendo a fare naufragare i negoziati. E, infine, l’immagine di Thaci faceva appello all’idea degli statunitensi di cosa sia un “combattente per la libertà“, dovrebbe apparire.
Il più stretto collaboratore di Albright, James Rubin, ha agito come un talent scout, supervisionando la buona immagine di Thaci, dicendogli che era così bello che doveva stare a Hollywood. Infatti, Thaci non ha l’aspetto di un gangster di Hollywood, stile Edward G. Robinson, ma di un eroe pulito con una vaga somiglianza con l’attore Robert Stack. Joe Biden s’è lamentato che Madeleine Albright era “innamorata” di Thaci. L’immagine è tutto, dopo tutto, soprattutto, quando gli Stati Uniti stanno gettando la loro superproduzione del Pentagono, per “salvare i kosovari“, al fine di ridisegnare i Balcani, con il loro stato satellite “indipendente“.
Il pretesto per la guerra del 1999 era quello di “salvare i kosovari” (il nome assunto dalla popolazione albanese della provincia serba, per dare l’impressione che si trattava di un paese e che ne erano i legittimi abitanti) dalla minaccia immaginaria di “genocidio”. La posizione ufficiale degli Stati Uniti era quella di rispettare l’integrità territoriale della Jugoslavia. Ma era sempre evidente che dietro le quinte, gli Stati Uniti avevano fatto un accordo con Thaci per dargli il Kosovo, come piano per la distruzione della Jugoslavia e la paralisi della Serbia. Il caos che seguì il ritiro delle forze di sicurezza jugoslave, permise alle bande dell’UCK di prendere il sopravvento e agli Stati Uniti di costruire Camp Bondsteel.
Acclamato da una virulenta lobby albanese negli Stati Uniti, Washington ha sfidato il diritto internazionale, ha violato i propri impegni (l’accordo di porre fine alla guerra del 1999 richiedeva alla Serbia di inviare la polizia nel Kosovo, ma non le fu mai permesso), e ignorato obiezioni sordina da parte degli alleati europei di sponsorizzare la trasformazione della provincia serba in un povero di etnia albanese “stato indipendente“. Dall’indipendenza unilateralmente dichiarata nel febbraio 2008, lo staterello fallito è stato riconosciuta solo da 72 su 192 membri delle Nazioni Unite, tra cui 22 dei 27 Stati membri dell’Unione europea.

EULEX contro Fedeltà di Clan
Pochi mesi dopo, l’Unione europea aveva istituito uno “Stato di diritto dell’Unione europea in Kosovo” (EULEX), destinato ad assumere l’autorità giudiziaria nella provincia dalla Missione delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK), che aveva apparentemente esercitato tali funzioni dopo che la NATO aveva cacciato i serbi. La creazione stessa dell’EULEX era la prova che il riconoscimento UE dell’indipendenza del Kosovo era ingiustificata e disonesta. E’ stata una ammissione che il Kosovo, dopo essere stato consegnato alle bande dell’UCK (alcuni in guerra l’uno contro l’altro), non è stata in grado di fornire neanche una parvenza di legge e ordine, e quindi, in alcun modo preparato ad essere “uno stato indipendente“.
Naturalmente l’occidente non potrà mai ammetterlo, ma è stata la denuncia della minoranza serba, negli anni ‘80, che non potevano contare sulla protezione da parte dei tribunali o della polizia, allora gestiti dal partito comunista a maggioranza etnica albanese, che ha portato alla limitazione dell’autonomia del Kosovo da parte del governo serbo, mossa ritratta in Occidente come una persecuzione gratuita motivata da odio razziale di proporzioni hitleriane.
Le difficoltà nell’ottenere giustizia in Kosovo sono essenzialmente le stesse, ora come allora, – con la differenza che la polizia serba capiva la lingua albanese, mentre gli internazionali dell’UNMIK e dell’EULEX, sono quasi totalmente dipendenti dai locali interpreti albanesi, la cui veridicità non possono controllare.
Il Rapporto Marty descrive le difficoltà nelle indagini sulla criminalità in Kosovo:
“La struttura della società kosovara albanese, ancora molto orientata al clan, e l’assenza di una vera società civile, hanno reso estremamente difficile stabilire i contatti con le fonti locali. La situazione è aggravata dalla paura, spesso fino al punto dell’autentico terrore, che abbiamo osservato in alcuni dei nostri informatori, immediatamente dopo la definizione del soggetto della nostra ricerca.
“Il senso radicato di fedeltà al proprio clan, e il concetto di onore … rendono i testimoni albanesi ancor più irraggiungibili, per noi. Dopo aver visto due importanti azioni penali intraprese dall’ICTY, che hanno causato la morte di tanti testimoni, e in ultima analisi, la mancata attuazione di justice16, un relatore dell’Assemblea parlamentare con misere risorse, è assai improbabile che muterà le probabilità di tali testimoni di parlarci direttamente.
“Numerose persone che hanno lavorato per molti anni in Kosovo, e che sono diventate tra i commentatori più autorevoli in materia di giustizia nella regione, ci hanno consigliato che le reti criminali organizzate di albanesi (‘la mafia albanese’) in Albania, nei territori limitrofi, compresi Kosovo e ‘l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia’ e nella diaspora, erano probabilmente più difficili da penetrare di Cosa Nostra, e anche gli operatori di basso livello, piuttosto si prendevano una pena detentiva di decenni, o una condanna per oltraggio, che abbandonare il loro clan.”
Un secondo rapporto, presentato questo mese al Consiglio d’Europa dal relatore Jean-Charles Gardetto, sulla protezione dei testimoni nei processi per crimini di guerra nell’ex Jugoslavia, osserva che non esiste nessuna legge di protezione dei testimoni in Kosovo e, più seriamente, non c’è modo di proteggere i testimoni che possono testimoniare contro i compaesani di etnia albanese.
“Nei casi più gravi, i testimoni sono in grado di testimoniare solo in modo anonimo. Tuttavia, ha precisato il relatore, queste misure sono inutili fintanto che il testimone è fisicamente in Kosovo, dove tutti conoscono tutti. La maggior parte dei testimoni sono subito riconosciuti dalla difesa quando consegnano la loro testimonianza, nonostante tutte le misure di anonimato.”
“Ci sono molte limitazioni al regime di protezione attualmente disponibili, anche perché il Kosovo ha una popolazione di meno di due milioni in una comunità molto affiatata. I testimoni sono spesso percepiti come traditori della loro comunità quando testimoniano, inibendo i possibili testimoni a farsi avanti. Inoltre, molte persone non credono che abbiano il dovere morale o legale di deporre come testimoni nelle cause penali.
“Inoltre, quando un testimone vuole farsi avanti, vi è una reale minaccia di ritorsioni. Questi non è necessariamente messo in pericolo diretto, perdendo il posto di lavoro per esempio, ma ci sono anche esempi di testimoni chiave assassinati. Il processo di Ramush Haradinaj, l’ex leader dell’UCK, illustra bene questo caso. Il signor Haradinaj è stato incriminato dal Tribunale dell’Aja per i crimini commessi durante la guerra in Kosovo, ma è stato successivamente assolto. Nella sua sentenza, il Tribunale ha evidenziato le difficoltà che essa aveva avuto nella raccolta delle prove dai 100 testimoni dell’accusa. A trentaquattro di loro sono state concesse misure di protezione e 18 dovevano essere rilasciati con atti di citazione. Un certo numero di testimoni che stavano andando a testimoniare al processo è stato assassinato. Tra queste, Sadik e Vesel Muriqi, entrambi i quali erano stati assoggettati ad un programma di protezione dall’ICTY.”

Il dilemma dell’Europa
Naturalmente, i complici europei nel mettere la banda Thaci alla guida del Kosovo, sono stati rapidi nel respingere il rapporto Marty. L’apologeta di Tony Blair ed ex ministro laburista Dennis MacShane, ha scritto sul The Independent (UK) che, “Non c’è un solo nome o un solo testimone, nelle accuse a Thaci di essere coinvolto nella raccolta di organi umani, da parte delle vittime assassinate.” Per chi non conosce le circostanze e la relazione, potrebbe sembrare un’obiezione. Ma Marty ha messo in chiaro che lui è in grado di fornire i nomi dei testimoni alle competenti autorità giudiziarie. Thaci ha riconosciuto che esistono, quando ha dichiarato che avrebbe pubblicato i nomi dei testimoni di Marty – una dichiarazione intesa come una minaccia di morte per coloro che hanno familiarità con la scena Pristina.
Uno degli europei di maggior spicco a sperare che il rapporto Marty sparisca, è l’umanitario mediatico francese Bernard Kouchner, fino a tempi recenti ministro degli Esteri di Sarkozy, che ufficialmente dirigeva il Kosovo, come primo capo della UNMIK, dopo l’occupazione della NATO. Contrariamente alle proteste di ignoranza di Kouchner, il capo della polizia UNMIK nel 2000 e 2001, il capitano canadese Stu Kellock, ha definito “impossibile” che Kouchner non fosse a conoscenza della criminalità organizzata in Kosovo. La prima volta che un giornalista chiese a Kouchner delle accuse di trapianto l’organo, pochi mesi fa, Kouchner ha risposto con una forte risata da cavallo, prima di dire al giornalista di andare dallo psichiatra. Dopo la relazione di Marty, Kouchner si limitava a ripetere il suo “scetticismo“, e ha richiesto un’indagine… da EULEX.
Altri difensori della NATO hanno adottato la stessa linea. Una di queste inchieste ne chiama un’altra, e così via. Indagare le accuse contro l’UCK sta cominciando ad assomigliare al processo di pace in Medio Oriente.
Il Rapporto Marty si conclude con un chiaro invito a EULEX a “perseverare con il suo lavoro di indagine, senza tenere in alcun conto le cariche ricoperte da possibili sospetti o dall’origine delle vittime, facendo di tutto per far luce sulla scomparse criminali, sulle indicazioni di traffico di organi, corruzione e collusione, così spesso denunciate, tra gruppi criminali organizzati e circoli politici” e ad “adottare tutte le misure necessarie per garantire una protezione efficace ai testimoni e acquisirne la fiducia“.
Questo è un compito arduo, visto che l’EULEX in ultima analisi dipende dai governi dell’UE, profondamente coinvolti in Kosovo, e che hanno ignorato la criminalità albanese per oltre un decennio. Eppure, alcune delle personalità più implicate, come Kouchner, si stanno avvicinando alla fine della loro carriera, e ci sono molti europei che ritengono che le cose siano andate troppo oltre, e che il pozzo nero del Kosovo deve essere ripulito.
EULEX sta già indagando sul traffico di organi in Kosovo. Nel novembre 2008, un giovane turco che aveva appena avuto un rene rimosso, svenne all’aeroporto di Pristina, portando la polizia a effettuare un raid nella vicina clinica Medicus dove un 74enne israeliano era convalescente per il trapianto del rene del giovane. L’israeliano aveva presumibilmente pagato 90.000 euro per il trapianto illegale, mentre il giovane turco, come altri stranieri disperatamente poveri attirato a Pristina da false promesse, è stato defraudato dei soldi promessi.
Il processo è attualmente in corso a Pristina con sette imputati accusati di coinvolgimento nel traffico illegale di organi del racket Medicus, compresi i massimi membri albanesi della professione medica del Kosovo. Ancora in libertà sono il dottor Yusuf Sonmez, un noto trafficante di organi internazionale, e Moshe Harel, un israeliano di origine turca, accusati di aver organizzato il commercio internazionale illecito di organi umani. Israele è noto per essere il mercato privilegiato degli organi umani, a causa delle restrizioni religiose ebraiche che limitano fortemente il numero dei donatori israeliani.
La relazione di Marty osserva che le informazioni che ha ottenuto “sembrano rappresentare una più ampia, più complessa cospirazione criminale organizzata alla base dei trapianti illegali di organi umani, con la partecipazione di co-cospiratori in almeno tre diversi paesi stranieri, oltre al Kosovo, che dura oltre un decennio. In particolare, abbiamo trovato un certo numero di credibili indizi convergenti, che la componente del traffico d organi delle detenzioni post-conflitto, descritte nella nostra relazione, sia strettamente legata al caso contemporaneo della Clinica Medicus, anche attraverso importanti personalità kosovari albanesi e internazionali, che li caratterizza entrambi come co-cospiratori.”
Ma le indagini di EULEX sul caso Medicus, non significano automaticamente che le autorità giudiziarie europee in Kosovo porteranno avanti le indagini sull’ancora più criminale traffico di organi denunciato dal rapporto Marty. Un ostacolo è che i crimini imputati hanno avuto luogo sul territorio di Albania, e finora le autorità albanesi non sono state cooperativi, per non dire altro. Una seconda inibizione è la paura che il tentativo di perseguire importanti figure dell’UCK avrebbe portato a disordini. Infatti, il 9 gennaio, diverse centinaia di albanesi portando le bandiere albanesi (non la bandiera del Kosovo imposta dall’occidente), hanno dimostrato a Mitrovica contro la relazione Marty gridando “UCK, UCK“. Eppure, l’EULEX ha incriminato due ex comandanti dell’UCK per crimini di guerra commessi sul territorio albanese nel 1999, quando presumibilmente i prigionieri albanesi del Kosovo, furono torturati perché sospettati di “collaborare” con le legali autorità serbe o perché erano oppositori politici del KLA.
Un fatto politico sorprendente e significativo che emerge dal rapporto Marty è che:
“La realtà è che le più significative attività operative intraprese dai membri del KLA – prima, durante e nel periodo immediatamente successivo al conflitto – ha avuto luogo sul territorio di Albania, dove le forze di sicurezza serbe non sono mai state schierate“. (Paragrafo 36).
Così, in misura molto grande, la provincia serba del Kosovo è stata oggetto di una invasione straniera attraverso la sua frontiera, da parte dei nazionalisti albanesi appassionati dalla creazione della “Grande Albania” aiutati, in questo sforzo, dalla lobby della diaspora e, decisamente, dai bombardamenti della NATO. Lungi dall’essere un “aggressore” nella sua stessa provincia storica, la Serbia è stata vittima di una grave invasione su due fronti.

Le marionette usa e getta degli USA
La NATO potrebbe non avrebbe condotto una guerra di terra contro le forze serbe, senza subire perdite. Così ha condotto una guerra aerea di 78 giorni, devastando le infrastrutture della Serbia. Per salvare il suo paese dalla distruzione minacciata, Milosevic ha ceduto. Facendo entrare le loro forza di terra, gli Stati Uniti scelsero l’UCK. L’UCK non poteva competere con le forze serbe di terra, ma fu aiutata dagli Stati Uniti e dalla peculiare guerra della NATO.
Gli Stati Uniti hanno fornito ai combattenti dell’UCK a terra. dispositivi GPS e telefoni satellitari, per consentire loro di individuare gli obiettivi serbi da bombardare (in modo molto inefficiente, con le bombe NATO che mancavano quasi tutti i loro obiettivi militari). L’UCK, in alcuni luoghi, aveva ordinato ai civili albanesi del Kosovo di fuggire attraverso il confine verso l’Albania o verso le parti di etnia albanese della Macedonia, dove i fotografi stavano aspettando per arricchire l’immaginario di un popolo perseguitato dalla “pulizia etnica” serba – un successo propagandistico enorme.
E soprattutto, prima dei bombardamenti della NATO, l’UCK ha perseguito una strategia di provocazione, uccidendo poliziotti e civili, tra cui albanesi disobbedienti, progettati per suscitare atti di repressione da poter essere usati come pretesto per un intervento della NATO. Thaci in seguito si era anche vantato del successo di questa strategia.
Thaci ha svolto il ruolo assegnatogli dall’impero. Eppure, considerando la storia dello smaltimento dei collaboratori degli USA, quando hanno esaurito la loro utilità (Ngo Dinh Diem, Noriega, Saddam Hussein …), ha motivi per essere inquieto. Il disagio di Thaci potrebbe essere acuito da un recente viaggio nella regione di William Walker, l’agente degli Stati Uniti che nel 1999 ha creato il pretesto principale per la campagna di bombardamenti NATO, gonfiando il numero delle vittime di una battaglia tra forze di polizia serbe e guerriglieri dell’UCK nel villaggio di Racak, in un massacro di civili, “un crimine contro l’umanità” perpetrato da “persone senza alcun valore per la vita umana“. Walker, la cui principale esperienza professionale fu in America Centrale, durante la lotta sanguinosa dell’amministrazione Reagan contro i movimenti rivoluzionari in Nicaragua e in El Salvador, era stato imposto dagli Stati Uniti come capo di una missione europea apparentemente col compito di monitorare un cessate il fuoco tra le forze serbe e l’UCK. Ma in realtà, lui e il suo vice britannico, usarono la missione per stabilire stretti contatti con l’UCK, in preparazione della guerra comune contro i serbi. Il regime dei gangster riconoscente gli ha dedicato una strada a Pristina;
Tra la ricezione di una decorazione del Kosovo e la cittadinanza onoraria in Albania, Walker ha preso posizioni politiche che potrebbe rendere Thaci e EULEX nervosi. Walker ha espresso sostegno per Albin Kurti, il giovane leader del movimento radicale nazionalista “autodeterminazione” (Vetëvendosje), che sta guadagnando il supporto dai governi dell’Unione europea al suo patrocinio in favore dell’indipendenza, nonché in favore di una “Albania naturale“, che significa una Grande Albania composta da Albania, Kosovo e parti della Serbia meridionale, gran parte della Macedonia, un pezzo di Montenegro e anche il nord della Grecia. Walker era in una missione di talent-scouting, in vista della sostituzione del sempre più in disgraziato Thaci? Se Kurti è il nuovo favorito, una sostituzione scelta dagli USA, potrebbe causare ancora più problemi nei travagliati Balcani.
L’Occidente, cioè, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la NATO, potrebbero di accordarsi su un approccio “in corso su entrambe le loro case”, concludendo che i serbi che hanno perseguitato e gli albanesi che hanno aiutato, sono tutti barbari, indegni del loro benevolo intervento. Quello che non si ammetterà mai è che hanno scelto, e in gran parte creato, la parte sbagliata in una guerra per la quale essi hanno la responsabilità criminale. E delle devastanti conseguenze continuano a farsi carico gli infelici abitanti della regione, qualunque sia la loro identità linguistica e culturale.

Diana Johnstone è autrice di Fools’ Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions.


Traduzione di Alessandro Lattanzio – Aurora03.da.ru

Kosovo Criminale: il regalo degli USA all’Europa | Aurora (http://sitoaurora.xoom.it/wordpress/?p=1135)

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Bei momenti a L'Aja



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Resistenze.org - sito di controinformazione del C.C.D.P. - Via Reggio 14 - Torino (http://www.resistenze.org) - popoli resistenti - bosnia - 29-07-08 - n. 238



Srebrenica, luglio 1995: la storia “occultata”

di Enrico Vigna


Nel silenzio e nell’indifferenza del mondo e dei media occidentali, nei cimiteri della Repubblica Serba di Bosnia, i serbi piangono da soli.

Migliaia di candele accese sulle tombe o sulle lapidi delle fosse comuni; migliaia di ghirlande di fiori posate e di funzioni funebri hanno avuto luogo in questo mese, ma di cui nessuno in occidente ha parlato, fosse anche solo per rispetto della morte e del dolore di migliaia di vedove, orfani, familiari di civili, assassinati dalle bande fondamentaliste, all’interno della guerra civile in Bosnia, scatenata da Izetbegovic e supportata dalle potenze occidentali.

Anche in questo 11 Luglio 2008, giornali, televisioni e media, ambasciatori e intellettuali del mondo occidentale hanno ricordato, filmato, “partecipato” al dolore dei familiari dei combattenti fondamentalisti e secessionisti musulmani di Bosnia, morti nelle battaglie per Sarajevo, Srebrenica e nelle altre regioni bosniache, sconvolte dalla guerra civile.

Voglio continuare a sottolineare e a ricordare che furono decine di migliaia i musulmani jugoslavisti della Bosnia che hanno combattuto con la JNA (Armata Jugoslava) a fianco dei serbi, per difendere la Bosnia Erzegovina jugoslava e multietnica, in cui da oltre 50 anni vivevano. Chi si ricorda o ha mai sentito parlare di Fikret Abdic, comandante musulmano, che fino all’ultimo ha combattuto con i suoi uomini contro le forze terroriste e secessioniste musulmane legate all’ex presidente Izetbegovic?! E’ ancora oggi prigioniero nelle carceri croate.

E chi si ricorda di Ismet Duheric, il comandante dell’Unità “Mesa Selimovic”, interamente formata da musulmani, che era parte dell’Armata Serbo Bosniaca?

Di fronte alla morte occorrerebbe sempre, almeno, il rispetto ed il silenzio.

Da parte dei detentori dei mezzi di informazione e dei politici internazionali, estranei quindi al dolore delle parti in conflitto, occorrerebbero la dignità e l’etica di un metro di giudizio equidistante ed equanime per i sopravvissuti e gli scampati. Ma anche questa volta, i media occidentali hanno voluto “intossicare” l’informazione ed hanno scelto di continuare a fare propaganda fondata sulla “disinformazione strategica”, che tanta morte, violenza e odio ha generato nelle terre bosniache e nei Balcani.

Ancora una volta hanno perso un occasione per operare e favorire processi di pace e conciliazione tra quelle genti lacerate dagli avvenimenti accaduti. Ancora una volta hanno calpestato e umiliato la verità storica ed i fatti ormai documentati nei loro vari e intricati aspetti.

Anche questo 11 Luglio 2008, dov’erano questi uomini di pace, questi informatori professionali (… o “professionisti”?), dove hanno lasciato la loro indignazione, la loro umanità “ferita” dai tragici avvenimenti della guerra?

Ancora una volta migliaia di familiari dei caduti civili serbi hanno pianto, ricordato, pregato nella assoluta indifferenza del mondo. Ma quest’anno con una umiliazione e dolore in più nella coscienza e nell’anima: essendoci stata nelle scorse settimane, l’assoluzione da parte del TPI dell’Aja del criminale di guerra Naser Oric, accusato da testimoni, da video dove si faceva riprendere con i suoi uomini, alcuni con in mano le teste mozzate di serbi, attorniato dai cadaveri di civili dei villaggi serbi intorno a Srebrenica.

Naser Oric e Srebrenica: tra il 1992 e il 1993 SOLO nei Municipi di Srebrenica e Bratunac (parte orientale della Bosnia), furono assassinati 3282 serbi (civili, donne, bambini, anziani) e TUTTI i 156 villaggi di questi comuni furono incendiati e rasi al suolo dalle bande terroriste guidate da Oric (la 28° divisione musulmana), che poi si ritirava nella zona protetta dall’ONU di Srebrenica, fino a quando l’esercito serbo bosniaco non prese la città.

Questo è stato ed ha fatto Naser Oric, una leggenda di ferocia e spietatezza, che ha insanguinato la terra bosniaca per oltre tre anni, come testimoniato in interviste, denunce, dichiarazioni di ufficiali dell’UNPROFOR (le forze di protezioni ONU in Bosnia) e di Peacekeeper civili ONU (operatori di pace).

Riporto qui solo due, tra le innumerevoli ormai disponibili, stralci di testimonianze: una del Generale francese Morillon e l’altra del giornalista canadese B. Schiller.

Srebrenica e Naser Oric
(…) Nella sua testimonianza, Morillon ha confermato che l’enclave di Srebrenica veniva utilizzata dall’armata bosniaco-musulmana come base militare operativa sotto il comando di Naser Oric. Lo stesso Oric contribuì alla crisi umanitaria gestendo azioni di guerriglia mediante la strategia attacco-fuga, che avevano come obiettivo villaggi serbi. Morillon ha spiegato: “Queste enclaves vennero parzialmente occupate da forze musulmane sotto il comando di Naser Oric, che intraprese regolari battaglie (…)”.
Dermot Groome, pubblico ministero dell’ICTY, ha posto a Morillon una domanda riguardo l’attacco di Kravica nella sera del Natale ortodosso:
“Generale, la sua asserzione descrive dettagliatamente gli attacchi di Naser Oric, in particolare quello sferrato la sera del Natale ortodosso.” Morillon replicò: “Le azioni alle quali lei fa riferimento furono una delle ragioni del deterioramento della situazione nell’area, in special modo durante il mese di gennaio. Naser Oric si impegnò in attacchi durante le vacanze ortodosse, distruggendo i villaggi e massacrandone gli abitanti. Ciò originò una tale ondata di violenza e ad un livello di odio straordinario, inaudito nella regione, inducendo così la regione di Bratunac in particolare – interamente a popolazione serba – ad insorgere e ribellarsi alla sola idea che mediante gli aiuti umanitari si potesse aiutare la popolazione ivi presente (...).
(Testimonianza al TPI dell’Aja)

Terrificante signore della guerra musulmano elude le forze serbo-bosniache
Belgrado, Jugoslavia - Quando il comandante serbo-bosniaco Generale Ratko Mladic entrò trionfalmente a Srebrenica la scorsa settimana, non voleva solo prendere Srebrenica, voleva Nasir Oric. Dal punto di vista di Mladic, questo comandante musulmano fortemente armato, aveva reso la vita troppo difficile e troppo mortale per le comunità serbe della zona.
Anche se i Serbi avevano circondato Srebrenica, Oric continuava ad organizzare raid notturni contro le zone serbe. Oric, come il più assetato dei guerrieri che abbia mai attraversato un campo di battaglia, fuggì da Srebrenica prima che cadesse. Alcuni credono che abbia guidato le forze bosniache musulmane verso le vicine enclavi di Zepa e Gorazde. Oric è terrificante ed è fiero di questo.
Lo incontrai nel gennaio del 1994, a casa sua nella Srebrenica circondata dai Serbi. In una notte fredda e nevosa, mi sedetti nel suo salotto a guardare una scioccante versione video di ciò che poteva chiamarsi “il meglio di Nasir Oric”.
C’erano case bruciate, cadaveri, teste ferite e persone che scappavano. Oric sorrideva nel frattempo, ammirando il suo lavoro. “Gli abbiamo fatto un’imboscata”, disse quando sullo schermo apparvero un certo numero di Serbi morti.
La successiva sequenza di cadaveri era stata causata dagli esplosivi: “Abbiamo spedito quei ragazzi sulla luna, si vantò”. Quando apparve la sequenza di una città fantasma segnata dai proiettili senza alcun corpo visibile, Oric si affrettò ad annunciare: “Lì abbiamo ucciso 114 Serbi”. Più tardi ci furono delle celebrazioni, con cantanti che con voci tremanti facevano i suoi elogi.
Queste reminiscenze di immagini, evidentemente, venivano da quelli che i Musulmani consideravano i giorni della gloria di Oric. Questo era prima che la maggior parte della Bosnia orientale cadesse e Srebrenica diventasse una “Zona sicura”, con le forze di pace delle Nazioni Unite all’interno, e i Serbi all’esterno.
Più tardi, comunque, Oric intensificò i suoi attacchi notturni “colpisci e scappa”. (…) I Serbi considerano Oric, come un criminale di guerra (…).
(Bill Schiller, Toronto Star, Mercoledì 20 luglio 2005)

L’assoluzione di Oric all’Aja è stata l’ennesima dimostrazione del ruolo del TPI dell’Aja, dei suoi intenti, della sua natura e dei suoi obiettivi di fondo.

Ma i serbi di Bosnia e del Kosovo non sono soli.

Uomini e donne di buona volontà, coscienti e fautori della lotta per la pace, dell’amicizia e solidarietà tra i popoli, della lotta per la ricerca della verità, in ogni paese continuano una difficile ma tenace battaglia per far conoscere la verità storica: quella fondata su atti, fatti, testimonianze, documenti non “filtrati e falsificati” dalla supina e artefatta informazione, predisposta nelle quattro grandi agenzie stampa delle capitali dell’ovest, e assoggettata agli interessi storici e strategici delle potenze occidentali.

Anche queste poche righe fanno parte di questa immane battaglia ed impegno per la ricerca della verità, coscienti che solo attraverso la verità storica si può raggiungere la giustizia. Senza verità non ci potrà mai essere giustizia, di conseguenza non ci sarà pace e stabilità, e le conflittualità rimarranno latenti e persistenti

…ma tutto ciò non è nell’interesse di qualche strategia di dominio imperialista?!

Chiudo con le parole malinconiche dello scrittore serbo Pavlovic, che sono la fotografia dell’anima del popolo serbo in questi anni di falsità, menzogne e prezzi da essi pagati, per restare se stessi:


“…Belle città non ci saranno più
nel nostro paese.
Lunghe notti vogliamo e boschi fondi
dove si veda anche senz’occhi.
Lasciateci cantare e pensare su noi stessi,
perché gli altri ci hanno scordati…”




Luglio 2008, Enrico Vigna portavoce del Forum Belgrado Italia



Srebrenica - luglio 1995: la storia “occultata” (http://www.resistenze.org/sito/te/po/bs/pobs8g29-003544.htm)

Stalinator
03-06-11, 21:14
Analisi degli avvenimenti di Srebrenica


di Ed Herman, professore universitario americano, (ZMAG- USA)


(Traduzione dal francese di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

Srebrenica. L'episodio è divenuto il simbolo del male, particolarmente del male Serbo. Viene descritto come “un orrore senza pari nella storia di Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale”, che ha visto l’esecuzione a sangue freddo “di almeno 8.000 fra giovani e uomini adulti musulmani.” [1]

Gli avvenimenti si sono svolti all’interno, o nei dintorni della città bosniaca di Srebrenica, fra il 10 e il 19 luglio 1995, quando la città è stata occupata dall’esercito Serbo Bosniaco (ASB), dopo aver combattuto e ucciso un gran numero di musulmani Bosniaci, dei quali non si conosce quanti siano morti nel corso degli scontri e quanti siano stati giustiziati.

È fuori dubbio che ci siano state delle esecuzioni, e che molti musulmani Bosniaci siano morti durante l’evacuazione di Srebrenica e nelle fasi successive.

Ma veramente quello che viene raramente messo in discussione, il problema più importante, è di sapere quanti fra quelli siano stati giustiziati, essendo dato che molti dei corpi ritrovati nelle sepolture sul posto sono di vittime dei combattimenti, e che una gran parte dei musulmani Bosniaci che erano scappati dalla città sono arrivati senza intoppi in territorio bosniaco musulmano. Alcuni cadaveri riesumati sono perfino dei numerosi Serbi ammazzati nel corso di razzie effettuate dai musulmani Bosniaci, mentre se ne andavano da Srebrenica nel corso degli anni che hanno preceduto il luglio 1995.

Il massacro di Srebrenica ha giocato un ruolo particolare nella politica occidentale di ristrutturazione della ex Jugoslavia, e più in generale nelle politiche di intervento.

Il massacro ha suscitato un ritorno di interesse in concomitanza con la commemorazione del suo decimo anniversario nel luglio 2005.

Viene citato costantemente come prova del “male Serbo” e delle volontà genocide della Serbia.

È servito per giustificare la punizione dei Serbi e di Milosevic, e nel contempo la guerra del 1999 della NATO contro la Serbia.

Inoltre ha fornito un alibi morale per le future guerre occidentali di vendetta, di proiezione di potere e di “liberazione”, dimostrando che esiste un male che l'Occidente può e deve sradicare.

Comunque, esistono tre elementi che avrebbero dovuto sollevare dei pesanti interrogativi a proposito del massacro, a quell’epoca e ancor oggi, cosa che non è mai avvenuta.
Il primo è che il massacro ha soddisfatto molto opportunamente le necessità politiche del governo Clinton, dei musulmani Bosniaci e dei Croati.
Il secondo è che già in precedenza si era tenuto conto, prima di Srebrenica (e si è continuato a farlo anche in seguito), di una serie di pretese atrocità serbe, rivelate regolarmente nei momenti strategici in cui si preparava un intervento violento degli Stati Uniti e del blocco della NATO, e perciò vi era la necessità di un solido sostegno dell’opinione pubblica e di relazioni pubbliche, atrocità che in seguito venivano dimostrate essere mai avvenute.
Il terzo è che le prove di un tale massacro, di almeno 8.000 fra giovani e uomini adulti, sono sempre state per lo meno poco attendibili.


Convenienza politica

Gli avvenimenti di Srebrenica, e le rivelazioni di un enorme massacro, hanno aiutato notevolmente il governo Clinton, la dirigenza bosniaca musulmana e le autorità croate.

Clinton, nel 1995, era stato incalzato allo stesso tempo dai mezzi di informazione e da Bob Dole per una azione più energica in favore dei musulmani Bosniaci, [2] e il suo governo ricercava attivamente la giustificazione per una politica più aggressiva.

Le autorità Clintoniane si sono precipitate sulla scena di Srebrenica per confermare e rendere di pubblico dominio le affermazioni di un massacro, come più tardi, nel gennaio 1999, veniva fatto da William Walker. La pressante relazione presentata da Walker a Madeleine Albright l’aveva fatta esultare, tanto da esclamare: “La primavera è apparsa presto, quest’anno!” [3]

Srebrenica, in quell’estate del 1995, ha permesso all’autunno di “apparire prima” all’amministrazione Clinton!

I leaders Bosniaco-musulmani si erano battuti per anni per convincere le potenze della NATO di intervenire più energicamente in loro favore, e ci sono forti indicazioni che loro erano pronti non solo a mentire, ma anche a sacrificare i loro stessi concittadini e soldati per ottenere l’intervento (problemi trattati nella seconda parte).

Alcuni personaggi autorevoli musulmano-Bosniaci hanno dichiarato che il loro presidente, Alija Izetbegovic, aveva loro comunicato che Clinton aveva avvertito che l’intervento avrebbe avuto luogo solamente nel caso in cui i Serbi avessero ammazzato a Srebrenica più di 5.000 persone. [4] L'abbandono di Srebrenica da parte di una forza militare ben più consistente di quella degli attaccanti, e la ritirata che aveva reso vulnerabile questa forza superiore e che aveva comportato moltissime vittime in combattimento o nelle rese dei conti, avevano permesso di arrivare a quelle cifre che corrispondevano, più o meno, al criterio di Clinton.

Esistono le prove che la ritirata di Srebrenica non derivava da alcuna necessità militare, ma corrispondeva ad una decisione strategica, secondo la quale le perdite incorse erano un sacrificio obbligatorio in favore di una causa più importante. [5]

Le autorità Croate erano entusiaste di vedere che si svelava un massacro avvenuto a Srebrenica, poiché questo stornava l’attenzione dallo loro devastante pulizia etnica nella Bosnia occidentale, avvenuta ben prima, a spese dei Serbi e dei Musulmani di Bosnia, (pressoché completamente ignorata dai media Occidentali). [6] E questo avrebbe fornito una giustificazione per l’espulsione già pianificata di molte centinaia di migliaia di Serbi dalla regione della Krajina, in Croazia.
Questa operazione di pulizia etnica massiccia è stata condotta con l’approvazione degli Stati Uniti e il loro sostegno logistico, appena un mese dopo gli avvenimenti di Srebrenica, e ha probabilmente causato la morte di molti civili Serbi, che non avevano nulla a che vedere con le uccisioni di civili Bosniaci musulmani, avvenute in luglio nel settore di Srebrenica.

La maggior parte delle vittime musulmano-Bosniache erano combattenti, dato che i Serbi di Bosnia avevano messo al sicuro donne e bambini convogliandoli su autobus, cosa che i Croati non hanno fatto, ottenendo come risultato la morte di molte donne, bambini e vecchi, massacrati da loro nella Krajina.[7]
Il cinismo dei Croati era impressionante : “Le truppe delle Nazioni Unite hanno osservato con orrore i soldati Croati trascinare i cadaveri dei Serbi lungo la strada che fiancheggia il centro dell’ONU, imbottirli di pallottole di AK-47 e quindi schiacciarli sotto i cingoli di un carro armato.” [8] Ma di questo non si è fatta attenzione, vista l’esplosione di indignazione e di propaganda in seguito a Srebrenica, grazie ai grandi mezzi di informazione, il cui ruolo bellicista giocato durante le guerre Balcaniche era già solidamente collaudato. [9]
Anche il Tribunale Penale Internazionale per la Jugoslavia (TPIY) e le Nazioni Unite hanno giocato un ruolo importante nel consolidamento della narrazione standard del massacro di Srebrenica.

Dopo il suo esordio, il TPI è stato il braccio giuridico delle potenze della NATO che lo hanno creato, finanziato, utilizzato come strumento di polizia e di informazione, e di cui in contraccambio hanno beneficiato dei servigi che si aspettavano.[10]
Il TPI si è concentrato intensamente su Srebrenica e ha raccolto sedicenti conferme importanti, indipendenti dalla realtà del massacro, accompagnate da affermazioni di “genocidio” pianificato “utilizzabili in ambito giudiziario”.

Le Nazioni Unite non sono di meno coinvolte nelle esigenze delle potenze della NATO, ma anzi hanno fatto loro eco e, nella questione di Srebrenica, hanno assunto le posizioni pretese dagli Stati Uniti e dai loro alleati.[11]

L'interesse politico del massacro di Srebrenica non prova naturalmente che la narrazione dei fatti da parte dell’establishment sia erronea. Ma implica la necessità di essere prudenti e di diffidare delle falsificazioni e delle affermazioni esagerate. Questa vigilanza ha completamente fatto difetto nei resoconti sui fatti di Srebrenica diffusi dai mezzi di informazione.


Le menzogne senza tregua prima e dopo Srebrenica

Ad ogni tappa dello smantellamento della Jugoslavia e della sua pulizia etnica, come prima e durante la guerra della NATO per la provincia serba del Kosovo nel 1999, le menzogne propagandistiche hanno giocato un ruolo molto importante nel sostenere il conflitto e la giustificazione degli interventi antiserbi. Ci sono state menzogne per omissione e menzogne che hanno propagato informazioni ed impressioni false.

Una delle più gravi menzogne per omissione è stata la presentazione sistematica di comportamenti criminali come una specificità serba, senza aggiungere che questi comportamenti erano caratteristici anche dei Musulmani e dei Croati, per non parlare del complesso del conflitto.

Caso dopo caso, i media hanno descritto le aggressioni e le atrocità serbe, senza menzionare gli attacchi preliminari lanciati contro i Serbi nelle medesime città, quindi facendo passare le risposte dei Serbi come azioni non provocate di aggressione e di barbarie. Questo è risultato evidente fin dall’inizio degli scontri importanti del 1991 nella Repubblica di Croazia. Ad esempio, nella loro copertura degli avvenimenti nella città di Vukovar, in Croazia orientale, i media (e il TPI) hanno insistito esclusivamente sulla presa della città, avvenuta nell’autunno del 1991 da parte dell’esercito federale jugoslavo, ignorando completamente il massacro di Serbi che vivevano in quella zona compiuto nella primavera e nell’estate precedenti da parte delle truppe della Guardia Nazionale croata e di paramilitari.

Secondo Raymond K. Kent, “una parte considerevole della popolazione serba dell’importante città slavona di Vukovar è scomparsa, senza essere fuggita, e sono rimasti segnali di torture nelle vecchie catacombe austriache sotto la città, e ci sono prove di violenze e di assassini. I media occidentali, già fortemente impegnati nella demonizzazione dei Serbi, hanno scelto di ignorare questi fatti.” [12] Questo approccio tendenzioso e ingannevole è stata la pratica abituale dei grandi media e del TPI.
Altre menzogne per omissione sono state evidenti nell’aver messo in primo piano i campi di prigionia Serbo-bosniaci come quello di Omarska, descritti nei dettagli e con tanta indignazione, senza tenere conto del fatto che i Musulmani e i Croati avevano dei campi similari a Celebici, Tarcin, Livno, Bradina, Odzak e il campo Zetra di Sarajevo, fra gli altri, [13] con un numero di prigionieri e di installazioni del tutto confrontabili, ed un trattamento peggiore dei prigionieri. [14] Ma, a differenza dei Serbi, i Musulmani e i Croati hanno fatto ricorso ad agenzie competenti in relazioni pubbliche e si sono rifiutati di lasciare ispezionare le loro installazioni, e l’edificio di parzialità eretto ha fatto in modo che i media si interessassero solamente dei campi serbi. Folli affermazioni sulle condizioni di detenzione, tipo Auschwitz, nei “campi di concentramento” serbi sono state riprese dai giornalisti in servizi che hanno avvallato la propaganda diffusa dalle autorità musulmane e croate e dai loro incaricati in relazioni pubbliche.

Roy Gutman, che ha ricevuto il premio Pulitzer con John Burns per i suoi reportages sulla Bosnia nel 1993, si affidava quasi unicamente alle autorità musulmane e croate, a testimoni di dubbia credibilità e ad affermazioni inverosimili, ed è stato una fonte importante dello straordinario lavaggio dei cervelli, tendenzioso e menzognero, sui “campi di concentramento”. [15]

Il premio Pulitzer per John Burns si basava su una lunga intervista a Boris Herak, un prigioniero Serbo bosniaco, che era stato messo a disposizione sua, e di un cineasta finanziato da Soros, dai Musulmani di Bosnia. Qualche anno più tardi, Herak denunciava pubblicamente che era stato costretto a fornire la sua confessione altamente inverosimile e che aveva dovuto imparare a memoria pagine e pagine di menzogne. Proprio due delle sue presunte vittime sono risultate più tardi viventi.

Però, nel reportage su Herak, John Burns e il New York Times, (come pure il film finanziato da Soros), hanno trascurato di citare un particolare che sarebbe stato la rovina della loro credibilità : infatti, Herak accusava anche l’ex comandante dell’UNPROFOR, il generale canadese Lewis MacKenzie, di avere violentato una giovane musulmana in un bordello serbo. [16]

Questi due scandalosi premi Pulitzer sono la testimonianza della parzialità mediatica che regnava nel 1992-93.
In un recente attacco di curiosità, nel corso di una visita a Izetbegovic morente, Bernard Kouchner ha interrogato l’ex Capo di Stato della Bosnia sui campi di concentramento serbo-bosniaci. Izetbegovic gli ha reso la sorprendente confessione che l’informazione su questi campi era stata distorta allo scopo di ottenere dalla NATO il bombardamento contro i Serbi. [17] Questa confessione importante non ha avuto mai alcuna menzione da parte dei media americani o inglesi.

Una delle più spettacolari menzogne degli anni Novanta è stata quella riguardante il campo serbo di Trnopolje, visitato da giornalisti britannici della ITN nell’agosto 1992. Questi giornalisti hanno fotografato un certo Fikret Alic, mostrandolo emaciato e apparentemente rinchiuso dietro lo sbarramento di un campo di concentramento. In realtà, Fikret Alic si trovava in un campo di transito, era malato di tubercolosi ben prima di arrivare al campo, non rappresentava in alcun modo gli altri residenti del campo, e partiva poco tempo dopo per la Svezia. Inoltre, lo sbarramento circondava i fotografi, non venivano impediti i movimenti al fotografato. [18]

Ma questa foto particolarmente disonesta, che ha fatto il giro per tutto l’Occidente come prova dell’esistenza di un Auschwitz serbo, è stata accolta come prova di accusa dalle autorità della NATO, e ha fornito il fondamento per la creazione del TPI e della sua missione di combattere contro la malvagità dei Serbi.
Nel caso dell’assedio di Sarajevo, come nel caso dei conflitti intorno alle città “protette”, il governo musulmano bosniaco si è impegnato in un regolare programma di provocazioni contro i Serbi, condannandoli per le loro reazioni, mentendo sul numero delle vittime e cercando solitamente con successo di far addossare tutte le responsabilità sui Serbi.
Come ha dichiarato Tim Fenton : “Le asserzioni di massacri di musulmani Bosniaci seguivano subitamente come la notte segue il giorno : il più eloquente era il Primo Ministro musulmano Haris Silajdzic che affermava che le Nazioni Unite erano responsabili della morte di 70.000 persone a Bihac all’inizio del 1995, quando in quella zona non si avevano avuti praticamente combattimenti e il numero delle vittime era stato molto poco elevato.” [19]

Una rimarchevole caratteristica dello sforzo dei musulmani Bosniaci per demonizzare i Serbi, in vista di ottenere che la NATO corresse in loro soccorso con i bombardamenti, è stata la loro propensione ad ammazzare i loro stessi concittadini. L'esempio più eclatante è stato il bombardamento di civili di Sarajevo nel corso di tre massacri : nel 1992, il “massacro della panetteria”; nel 1994, il “massacro del mercato” di Markalé ; e nel 1995, il secondo “massacro del mercato”. Secondo la versione ufficiale, erano stati i Serbi i responsabili di queste atrocità, e bisogna ammettere che è difficile credere che le autorità musulmane abbiano trucidato il loro stesso popolo per ottenere un vantaggio politico, anche se i fatti sono tutti convergenti in questa direzione. Ma questi massacri sono stati l’oggetto di un “timing”, di una coordinazione temporale messa in atto per influenzare la decisione imminente degli Stati Uniti e della NATO per un intervento in favore dei musulmani Bosniaci.

Per altro, numerose autorità dell’ONU e comandanti militari occidentali hanno affermato che esistono forti presunzioni del fatto che i tre massacri siano stati pianificati e messi in esecuzione dai musulmani Bosniaci.[20] L'ufficiale dell’esercito USA John F. Sray, che si trovava sul posto in Bosnia al tempo di questi massacri e dirigeva la sezione dei servizi informativi americani a Sarajevo, ha fatto le stesse considerazioni, che gli incidenti, e la probabile implicazione delle autorità musulmano-Bosniache, “meritano un’inchiesta approfondita del Tribunale Penale Internazionale”. [21] Inutile dire che non è stato dato corso a nessuna inchiesta.

In una parola, l’analisi di questi tre massacri non fa riferimento alla teoria del complotto, ma trae la giusta conclusione, fondata su molteplici e attendibili constatazioni, alla quale nello stesso modo non si fa richiamo nei resoconti tendenziosi della storia recente dei Balcani. [22]

Tornando al caso di Srebrenica, prima e dopo, la manipolazione delle cifre è stata una pratica corrente, che ha contribuito a sostenere il resoconto dei fatti dominante.

Per la Bosnia, nel dicembre 1992, il governo musulmano Bosniaco ha tenuto conto di 128.444 morti militari e civili, un numero che è salito a 200.000 nel giugno 1993, poi a 250.000 nel 1994. [23] Queste cifre sono state fagocitate senza batter ciglio dai politici occidentali, dai media e dagli intellettuali che esaltano la guerra, con Clinton stesso che citava il numero di 250.000 in un discorso del novembre 1995.

L'ex-responsabile del Dipartimento di Stato George Kenney ha fatto spesso riferimento a queste cifre, e si è meravigliato di constatare la credulità con cui i media le hanno accettate, senza la minima velleità di verificarle. La sua valutazione si è situata fra i 25.000 e i 60.000. [24]

Più di recente, uno studio patrocinato dal governo Norvegese ha fatto una valutazione di 80.000 morti, e una inchiesta del TPI stesso ha concluso su 102.000 vittime. [25] Ne’ l'uno ne’ l'altro di questi risultati è stato presentato dai mezzi di informazione USA, che avevano regolarmente infarcito i loro documenti con cifre all’ingrosso.
Una inflazione paragonabile è avvenuta nel 1999, durante i 78 giorni del bombardamento della NATO, con autorità americane di alto grado a fare menzione, in momenti diversi, di 100.000, 250.000 e 500.000 Albanesi del Kosovo trucidati da parte dei Serbi, ed utilizzare a sproposito il termine “genocidio” per descrivere le operazioni serbe in Kosovo. [26] A poco a poco, queste cifre sono state ricondotte a 11.000, e si sono fermate a questo livello, sebbene non siano stati trovati che 4.000 corpi nel corso di una delle più intense indagini condotte con metodi scientifici della storia, e che un numero imprecisato di questi corpi appartenevano a combattenti, a Serbi, o alle vittime dei bombardamenti americani.
Ma deve essere accettata come esatta la cifra di 11.000 morti, in quanto i membri della NATO e il TPI l'hanno dichiarata tale, e Michel Ignatieff ha dato assicurazioni ai lettori del New York Times che “la scoperta di questi 11.334 cadaveri dipendeva dal fatto che l’esercito e la polizia della Serbia li avessero o no rimossi.” [27]
Questo récital di sistematica disinformazione non prova necessariamente la falsità della versione ufficiale del massacro di Srebrenica. Ma richiama alla mente la necessità di esaminare con più attenzione le asserzioni, che tanto si sono dimostrate convenienti, un esame che i mezzi di informazione di massa si sono sempre rifiutati di fare.


Le affermazioni molto dubbie sul massacro

Al momento degli avvenimenti di Srebrenica del luglio 1995, lo scenario era stato ben collocato in modo tale che le affermazioni sul massacro sembrassero credibili.

Praticamente nessuno aveva smentito l’incessante serie di menzogne dei media, i processi di demonizzazione e di manicheismo “bene-contro-male” erano stati ottimamente collaudati, il TPI e i dirigenti dell’ONU osservavano alla lettera il programma degli USA e dei loro alleati, e i media seguivano pedissequamente le orme del loro bellicismo. Pertanto, sarebbe stato facile svelare le incrinature del contesto.
Un primo elemento del contesto avrebbe potuto essere quello di “zona protetta”, non altro che una frode : si supponeva che queste zone fossero disarmate. Ora non era vero nulla, e con la connivenza dell’ONU. [28] I musulmani Bosniaci le utilizzavano, a Srebrenica e altrove, come trampolini di lancio di attacchi contro i villaggi serbi dei dintorni. Nel corso dei tre anni che hanno preceduto il massacro, più di 1.000 civili Serbi sono stati ammazzati dalle forze musulmane in un gran numero di villaggi devastati. [29] Ben prima del luglio 1995, il comandante musulmano di Srebrenica Naser Oric aveva fatto vedere con fierezza ad alcuni giornalisti occidentali dei video che mostravano alcune delle sue vittime decapitate, e si vantava di questi assassini. [30]
Testimoniando davanti al TPI, il 12 febbraio 2004, il comandante militare delle Nazioni Unite in Bosnia nel 1992-93, il generale Philippe Morillon, ha ribadito la sua convinzione che l’attacco a Srebrenica era stato una “reazione diretta” ai massacri dei Serbi compiuti da Naser Oric e dalle sue forze nel 1992-93, massacri di cui Morillon era perfettamente a conoscenza. [31]

La testimonianza di Morillon non è stata di alcun interesse per i media occidentali, e quando il 28 marzo 2003 il TPI si è finalmente deciso a mettere sotto accusa Naser Oric, probabilmente per costruirsi una immagine di imparzialità giuridica, quest’ultimo è stato imputato per l’assassinio di soli sette Serbi che erano stati torturati e picchiati a morte dopo la loro cattura, e di avere distrutto alcuni villaggi della zona circostante presi a casaccio. Benché si fosse vantato apertamente con i giornalisti occidentali di avere massacrato dei civili Serbi, il TPI “non ha riscontrato alcuna prova di vittime civili durante gli attacchi a villaggi serbi nel suo teatro di operazioni”. [32]

Quando i Serbi di Bosnia si sono impadroniti di Srebrenica nel luglio 1995, veniva riferito che il 28.esimo reggimento dell’Esercito Musulmano Bosniaco (AMB), costituito da parecchie migliaia di uomini, se ne era già andato dalla città. [33] I media non si sono proprio domandati come una forza tanto importante potesse trovarsi in una “zona protetta” disarmata. Inoltre, avendo ignorato le angherie perpetrate in precedenza, promosse a partire dalla zona protetta, i media potevano adottare la versione ufficiale di un “genocidio” di una indicibile crudeltà, piuttosto che quella di una ritorsione, che i media hanno comunque ammesso per giustificare in parte la violenza esercitata dalle “vittime che vanno loro a genio” (come quella degli Albanesi che danno luogo ad espulsioni e ad uccisioni dei Serbi e dei Rom, dopo l’occupazione del Kosovo da parte della NATO).
Un secondo elemento del contesto è stata la possibile ragione politica della evacuazione di Srebrenica da parte di una forza in buona posizione difensiva, superiore numericamente all’attaccante Esercito Serbo Bosniaco (ASB), nel rapporto di sei o forse otto contro uno, ma che batteva in ritirata prima dell’assalto, e prima di tutto venivano ritirati i suoi comandanti da parte del governo musulmano Bosniaco. [34] Questa ritirata ha lasciato la popolazione senza protezione, e ha reso i quadri dell’Esercito AMB vulnerabili nel momento in cui si ritiravano in disordine verso le linee musulmano-Bosniache. Si trattava di una nuova manovra di auto-sacrificio da parte dei leaders in vista di produrre delle vittime, poteva essere per raggiungere l’obiettivo dei 5.000 morti fissato da Clinton, e indurre così la NATO ad un intervento più energico? I media non si sono mai posti questo interrogativo.

Gli avvenimenti di Srebrenica presentano sicuramente degli aspetti che rendono “plausibile” la versione della esecuzione di 8.000 fra “uomini adulti e giovani”. Fra questi aspetti vi è la confusione e l’incertezza rispetto alla sorte dei soldati musulmano-Bosniaci in fuga, alcuni erano riusciti a raggiungere Tuzla sani e salvi, altri erano finiti uccisi nei combattimenti, altri ancora erano stati fatti prigionieri. La cifra pari a 8.000 è stata fornita di primo acchito dalla Croce Rossa, basata su una rozza valutazione che l’ASB aveva catturato 3.000 uomini e che 5.000 dovevano essere considerati “scomparsi”. [35] È stato ben dimostrato che migliaia di “scomparsi” sono arrivati a Tuzla sani e salvi, o sono stati uccisi in combattimento. [36] Ma in una straordinaria trasformazione che testimonia dell’ardore di situare tutto il male dalla parte dei Serbi e di fare dei Musulmani delle vittime, per i mancanti all’appello sono state ignorate le categorie “arrivati sani e salvi” o “morti in combattimento”, e tutti i dispersi sono stati considerati come giustiziati!
Questa ingannevole conclusione è stata rinforzata dalla Croce Rossa, quando, facendo riferimento ai 5.000, li definisce come “semplicemente scomparsi”, non ha corretto questa qualificazione politicamente tendenziosa e non ha mai sottolineato, quantunque l’avesse riconosciuto, che “molte migliaia” di rifugiati erano arrivati nella Bosnia centrale. [37] Questa qualificazione ha ricevuto rinforzo anche dal rifiuto delle autorità musulmano-Bosniache di fornire i nominativi e il numero delle persone che si erano salvate senza intoppi. [38] Ma, nell’establishment occidentale esisteva una spiccata propensione non solo a non tenere conto di questi che erano giunti a buon porto, ma di ignorare perfino i morti in combattimento e a considerare tutti i cadaveri come vittime di esecuzioni.
In questo caso, la fede cieca è senza limiti : il reporter David Rohde ha visto un osso emergere da un sito di tombe nei pressi di Srebrenica, e ha saputo d’istinto che si trattava delle vestigia di una esecuzione e la prova effettiva di un “massacro”. [39]

La pratica corrente dei media è stata quella di passare dalla constatazione riconosciuta di migliaia di scomparsi, o dalla notizia di una esumazione di corpi in un sito, alla conclusione che così veniva dimostrata l’esecuzione di 8.000 persone. [40]

Con 8.000 esecuzioni e alcune migliaia di caduti in combattimento, si avrebbero dovuti trovare enormi siti di seppellimenti, e si sarebbero dovute accumulare tramite satellite le prove delle esecuzioni, dei seppellimenti ed eventualmente delle rimozioni dei corpi. Ma le ricerche nel settore di Srebrenica hanno avuto riscontri “dolorosamente deludenti”, con la scoperta, per tutto l’anno 1999, di soli 2.000 corpi, compresi quelli dei morti in battaglia e anche di Serbi, alcuni morti già prima del luglio 1995.

La scarsità di questi risultati ha condotto all’idea che i corpi fossero stati rimossi e riportati in altri luoghi, ma era un’idea difficilmente convincente, visto che dopo il luglio 1995 i Serbi erano stati sottoposti ad un’intensa pressione militare. Era il periodo in cui la NATO bombardava le posizioni serbe e gli eserciti musulmano e croato sviluppavano un’offensiva in direzione di Banja Luka. L'ASB era sulla difensiva ed era carente in modo preoccupante di equipaggiamenti e di rifornimenti, compreso il carburante. Mettere in piedi un’operazione di tali dimensioni di esumazioni, del trasporto e della risepoltura di migliaia di cadaveri sorpassava di molto i mezzi che l’esercito Serbo Bosniaco disponeva a quell’epoca. Di più, mettendo in esecuzione un programma di tale ampiezza, non potevano sperare di passare inosservati da parte del personale dell’OCSE, dei civili locali e delle osservazioni da satellite.

Il 10 ottobre 1995, ad una sessione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza, Madeleine Albright ha mostrato delle foto satellitari, come parti di un dossier accusatorio dei Serbi in Bosnia. Una di queste foto mostrava delle persone, indicate come musulmani di Bosnia delle vicinanze di Srebrenica, radunate in uno stadio, ed un’altra, presumibilmente scattata poco dopo, che mostrava un campo nei pressi, con il terreno “rivoltato”. Queste foto non sono mai state rese pubbliche, ma anche se fossero state autentiche, non avrebbero potuto costituire una prova, ne’ di esecuzioni, ne’ di seppellimenti. Inoltre, benché il TPI assumesse come reale il “tentativo organizzato e globale” di dissimulare i cadaveri, e che David Rohde parlasse di un “gigantesco sforzo da parte dei Serbi di nascondere i corpi”, [41] ne’ la Albright, ne’ chiunque altro hanno mai mostrato uno straccio di foto satellitare di esecuzioni di persone, di seppellimenti o di dissotterramenti per spostare i cadaveri, o di camions che trasportassero da altre parti migliaia di cadaveri. Ossia, una mancanza flagrante di documentazione, malgrado gli avvertimenti di Madeleine Albright ai Serbi : “Noi vi terremo d’occhio !”, e malgrado che a quel tempo, durante l’estate 1995, i satelliti facessero almeno otto passaggi quotidiani e che i droni geostazionari potessero piazzarsi sopra la Bosnia e prendere fotografie ad alta definizione. [42] I grandi mezzi di comunicazione hanno considerato che queste lacune non interessavano per nulla.
Un gran numero di corpi erano stati ammassati a Tuzla, qualcosa come 7.500 cadaveri o più, molti in pessimo stato o a pezzi, la loro raccolta e la loro manipolazione incompatibili con le norme scientifiche professionali, la loro origine incerta, i loro legami con gli avvenimenti del luglio 1995 a Srebrenica lontani dall’essere provati e persino improbabili, [43] e la causa della loro morte generalmente non ben definita. È interessante notare, allorquando i Serbi venivano di continuo accusati di nascondere i corpi, che nessuno abbia suggerito che i musulmani Bosniaci, incaricati da lungo tempo della ricerca dei cadaveri, e per questo in grado di mettere in atto falsificazioni, potessero spostare dei corpi e quindi manipolare le informazioni.

È in corso un tentativo di utilizzare l’ADN per riunire i resti a Srebrenica, ma questo solleva numerosi problemi : a parte quelli delle procedure di investigazione e dell’integrità dei soggetti da esaminare, sarà di difficile risoluzione la differenziazione fra un’esecuzione e una morte in combattimento.
Inoltre, esistono degli elenchi di scomparsi, ma sono pieni di errori, con dei doppioni, con nomi di persone decedute prima del luglio 1995, che si erano allontanate per evitare di servire nell’Esercito Serbo di Bosnia, o che, in seguito, nel 1997 si sono iscritte nelle liste elettorali, e gli elenchi comprendono anche i morti in combattimento, i nomi di superstiti che si erano messi al sicuro o che erano stati fatti prigionieri, e che si sono fatti una nuova esistenza da altre parti. [44]

Per di più, la cifra di 8.000 è incompatibile con l’aritmetica elementare applicata a Srebrenica, prima e dopo il luglio 1995. Le persone che si sono spostate da Srebrenica, vale a dire i sopravvissuti al massacro che si sono fatti registrare all’inizio dell’agosto 1995 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dal governo Bosniaco, ammontavano ad un totale di 35.632.

I musulmani che hanno potuto guadagnare le linee musulmane “senza che le loro famiglie fossero informate” erano perlomeno 2.000, e circa 2.000 sono stati uccisi nei combattimenti. Considerando un totale di 37.632 superstiti, più i 2.000 morti in combattimento, se aggiungiamo gli 8.000 giustiziati, la popolazione di Srebrenica prima della guerra raggiungerebbe i 47.000 abitanti, quando in realtà si avvicinava ai 37-40.000. (Il giudice del TPI Patricia Wald ha fatto una stima di 37.000).
Quindi, le cifre non concordano! [45]

Ci sono stati riscontri di uccisioni a Srebrenica, dove persone hanno affermato di esserne stati testimoni. In numero minore, alcuni di questi testimoni avevano dei conti politici da regolare o si rivelavano poco credibili. [46] Comunque, molte testimonianze erano attendibili e descrivevano senza dubbio avvenimenti orribili e reali. Ma si parla di qualche centinaio di esecuzioni, non di 8.000 o di un numero qualsivoglia si avvicini a questo.
Il solo testimone che ha preteso di avere partecipato direttamente ad un massacro di persone che superava il migliaio è stato Drazen Erdemovic, un Croato associato ad una banda di assassini mercenari, che avevano ricevuto un compenso di 12 chili di oro per i loro servigi in Bosnia e avevano finito, lui compreso, per andare a lavorare in Congo per il servizio informazioni Francese. La sua testimonianza è stata accettata, malgrado la sua inconsistenza e le sue contraddizioni, e malgrado il fatto che soffrisse di turbe mentali, al punto di essere stato esonerato dall’essere egli stesso processato, appena due settimane prima di essere ammesso come testimone, ma con la dispensa di essere contro interrogato.

Le deposizioni di questo e di altri testimoni sono spesso state inficiate da una procedura di patteggiamento preventivo, secondo cui, se imputati, potevano negoziare una riduzione di pena in cambio della loro collaborazione con il Tribunale. [47]

Allo stesso tempo, è importante sottolineare il numero di osservatori imparziali che non hanno visto, ne’avuto riscontri minimi di un massacro, compresi i membri delle forze Olandesi presenti nella “zona protetta”, e di personaggi come Henry Wieland, il comandante del corpo investigativo dell’ONU sugli abusi contro i diritti dell’uomo, che non ha trovato alcun testimone oculare di atrocità dopo cinque giorni di interviste nell’ambito di 20.000 sopravvissuti di Srebrenica, riuniti nel campo profughi presso l’aeroporto di Tuzla. [48]


Anomalie

Una anomalia specifica per Srebrenica consiste nella stabilizzazione della cifra in 8.000 vittime musulmane Bosniache nel luglio 1995, e 8.000 sono rimaste a tutt’oggi, malgrado il carattere approssimativo della prima valutazione, malgrado le prove che molti, se non la maggior parte, dei 5000 “scomparsi” avevano raggiunto il territorio musulmano-bosniaco, o erano stati uccisi nei combattimenti, e malgrado l’incapacità di produrre testimonianze probatorie, nonostante i massicci tentativi per farlo.

In altre situazioni, come per la valutazione delle vittime degli attentati dell’11 settembre, o per la stessa dei morti in Bosnia o delle vittime dei bombardamenti sul Kosovo, le cifre sono state riviste al ribasso nel momento in cui i ritrovamenti dei corpi rendevano indifendibili le prime valutazioni sovradimensionate in modo esagerato. [49]

Ma, dato il suo ruolo politico fondamentale per gli Stati Uniti, per i Musulmani di Bosnia e per i Croati, e in ragione della fede quasi religiosa nell’esistenza delle atrocità che vi sarebbero state commesse, Srebrenica si è rivelata impermeabile ad ogni realtà. Dal primo giorno fino ad oggi, la cifra di 8.000 è stata considerata come una verità intangibile, la cui messa in dubbio deve essere considerata come una eresia e una apologia del demonio.

Un’altra anomalia che illustra il carattere sacrale, intoccabile e politicizzato del massacro nell’ideologia Occidentale, è stata la sua rapida qualificazione di “genocidio”.

In questo caso, il Tribunale ha giocato un ruolo decisivo, con la straordinaria credulità, con i psicologismi a briglia sciolta, e con l’incompetenza dei ragionamenti giuridici, che i giudici hanno manifestato esclusivamente nei confronti dei casi riguardanti i Serbi.

In materia di credulità, un giudice ha convalidato come fatto reale l’affermazione di un testimone, che i soldati Serbi avessero costretto un vecchio musulmano a mangiare il fegato del suo nipotino. [50] E i magistrati hanno ininterrottamente rievocato come cosa assodata l’esecuzione di 7.000 o 8.000 musulmani, riconoscendo nello stesso tempo che le loro informazioni “suggerivano” che la “maggioranza”dei 7-8.000 scomparsi non erano stati uccisi in combattimento, cosa che diminuiva sensibilmente la cifra accettata per vera. [51]
Il Tribunale ha risolto l’imbarazzante problema dei Serbi... autori di genocidio, che trasportano con autobus in zone sicure le donne e i bambini musulmani Bosniaci, affermando che l’avevano fatto per ragioni di pubbliche relazioni, ma, come ha sottolineato Michael Mandel, non commettere un atto criminale, malgrado il desiderio di attuarlo, viene definito come un “atto criminale non commesso”. [52] Il Tribunale non si è mai domandato perché i Serbi...autori di genocidio non abbiano accerchiato la città, prima di conquistarla, per impedire a migliaia di uomini di fuggire, e nemmeno perché i soldati musulmani Bosniaci abbiano abbandonato le loro donne, i loro bambini e tanti loro compagni feriti alla mercé dei Serbi, [53] e non ha mai evidenziato il fatto che 10.000 abitanti di Zvornik, principalmente musulmani, si siano messi al sicuro dalla guerra civile rifugiandosi nella stessa Serbia, come è stato attestato dal testimone di accusa Borislav Jovic. [54]
Fra le altre incoerenze degli argomenti dei magistrati del Tribunale, figura il concetto per il quale si tratta di genocidio quando vengono uccisi i componenti di un gruppo etnico con l’obiettivo di diminuirne nel futuro la popolazione, rendendo quindi quel gruppo non più visibile in una certa area. Si potrebbe volerli eliminare semplicemente per impedire di essere in seguito eliminati, ma la Corte conosce meglio la psicologia dei Serbi, e quindi questa non poteva essere la sola motivazione, bisognava che ci fosse uno scopo più sinistro. Il ragionamento del Tribunale, condotto sulla base psicologica favorevole all’accusa, è che ogni evento di eliminazione di un avversario può essere considerato come genocidio.
Sussiste inoltre il problema della definizione di gruppo etnico. I Serbi cercavano di eliminare tutti i musulmani di Bosnia, o i musulmani in generale? O solamente i musulmani di Sarajevo? I giudici hanno considerato che la stessa espulsione di musulmani da Sarajevo doveva essere considerata come genocidio, e hanno grosso modo assimilato il genocidio con la pulizia etnica. [55] Comunque, è importante sottolineare che il TPI non ha mai qualificato come “genocidio” la pulizia etnica di 250.000 Serbi dalla Krajina, sebbene in questo caso molte donne e bambini siano stati massacrati, e nonostante questa pulizia fosse stata applicata su un territorio più vasto e avesse causato più vittime civili che a Srebrenica. [56]
Il 10 agosto 1995, Madeleine Albright affermava a voce alta che “quasi 13.000 uomini, donne e bambini erano stati cacciati dai loro focolari” a Srebrenica. [57] Forse il Tribunale ha fatto propria l’impagabile formula di Richard Holbrooke che qualificava la Krajina come un caso di “espulsione involontaria”! [58] La parzialità risulta eclatante, la politicizzazione dell’istanza giuridica estrema.
La copertura mediatica degli avvenimenti di Srebrenica e nella Krajina ha seguito il medesimo schema ed illustra come i media abbiano differenziato le vittime buone da quelle cattive, a seconda della presa di posizione politica.
Erano i Serbi il bersaglio del governo USA, e questo governo appoggiava in modo massiccio il programma Croato di pulizia etnica nella Krajina, e perciò i media hanno gratificato Srebrenica di un trattamento esagerato e denso di indignazione, usando un linguaggio pieno di odio, lanciando appelli all’azione ed evocando al minimo il contesto. La Krajina, al contrario, non ha avuto il diritto che di un’attenzione debole e passeggera, scevra da ogni indignazione : la descrizione dettagliata della sorte delle vittime è stata ridotta al minimo, i modi per descrivere le rese dei conti sono stati neutri, e il contesto evocato ha reso gli avvenimenti degni di comprensione.

Il contrasto è stato tanto grossolano da risultare risibile: l’attacco su Srebrenica era “agghiacciante”, “assassino”, “selvaggio”, “criminalmente perpetrato a sangue freddo”, “genocida”, qualificato come “aggressione” e , ben inteso, come “pulizia etnica”; con la Krajina, nulla di paragonabile, perfino “pulizia etnica” risultava troppo. L'aggressione Croata non era che una grandiosa “rivolta” che “avrebbe indebolito il nemico”, una “offensiva lampo”, giustificata come una “risposta a Srebrenica” e un prodotto degli “eccessi” compiuti dai leaders Serbi.

Il Washington Post ha perfino citato l’ambasciatore USA in Croazia, Peter Galbraith, che ribadiva “l’esodo serbo non è una pulizia etnica”. [59] Il giornale non consentiva alcuna messa in dubbio di questo giudizio. Nei fatti, le operazioni croate in Krajina hanno fatto della Croazia il più etnicamente puro fra tutti gli stati componenti la ex Jugoslavia, benché l’occupazione del Kosovo da parte della NATO abbia consentito una pulizia che rivaleggia con la purificazione etnica della Croazia.

Un’altra anomalia nella questione di Srebrenica è l’accanimento posto nel perseguire davanti al Tribunale tutti i criminali (Serbi), e ad ottenere dei carnefici (Serbi), che riconoscessero volontariamente la loro colpevolezza, essendo la loro confessione una loro esigenza di giustizia e la condizione per la riconciliazione. Il problema è che la giustizia non può essere di parte, altrimenti cessa dall’essere giustizia, e allora rivela il suo vero volto di vendetta e di giustificazione di obiettivi politici. La pulizia etnica in Bosnia in alcun modo avveniva da una sola parte, e i morti per nazionalità non sono lontani dal corrispondere alle proporzioni della popolazione. [60]

I Serbi affermano, documenti alla mano, di aver avuto migliaia di morti per mano dei musulmani di Bosnia e dei gruppi di moudjahidin da costoro introdotti, ed anche per mano dei Croati, ed hanno il loro gruppo di investigazione alla ricerca di identificare i corpi di fosse comuni stimate nel numero di 73. [61] Queste vittime non hanno attirato l’attenzione dei media occidentali o del TPI.

L’eminente scienziato jugoslavo, il Dr. Zoran Stankovic, nel 1996 ha osservato che “il fatto che la sua squadra di lavoro avesse in precedenza identificato i corpi di 1.000 Serbi di Bosnia nella regione (di Srebrenica) non abbia riscosso alcun interesse da parte del procuratore Richard Goldstone.” [62]
Invece, si sente senza sosta la cantilena ripetitiva sulla tendenza dei Serbi di piangersi addosso e di lamentarsi, mentre le lamentazioni dei musulmani Bosniaci vengono considerate come quelle delle vittime vere e non sono mai paragonate a dei piagnistei.

Lontana dal contribuire alla riconciliazione, l’insistenza sulle vittime e sugli assassini di Srebrenica stimola l’odio e il nazionalismo, come la guerra e la violenza in Kosovo vi hanno esacerbato gli odi e le tensioni, e hanno dimostrato che l’obiettivo ostentato da Clinton di un Kosovo tollerante e multietnico equivaleva ad una farsa.
In Kosovo, la propaganda di parte e l’occupazione da parte della NATO hanno scatenato una incontrollabile violenza antiserba e antirom, antiturca e contro i dissidenti Albanesi, sostenuta dalla compiacenza delle autorità della NATO, che distolgono gli occhi quando i loro alleati, le pretese vittime, si prendono la loro rivincita e perseguono il loro obiettivo di sempre, quello della purificazione etnica. [63]
In Bosnia e in Serbia, i Serbi, senza tregua, sono stati denunciati ed umiliati, e i loro leaders e i loro comandanti militari puniti, mentre i criminali fra i musulmani Bosniaci, i Croati e i potenti della NATO (Clinton, Blair, Albright, Holbrooke, ecc.) non sono stati fatti oggetto di alcuna sanzione, ma, al contrario, alcuni fra costoro (Clinton et al.), sono presentati come campioni di giustizia. [64]

È evidente che l’intento di quelli che pretendono il castigo dei Serbi non è ne’ la giustizia ne’ la riconciliazione. Si tratta solo di unificare e consolidare la posizione dei musulmani di Bosnia, di schiacciare la Republika Srpska per eliminarla completamente come entità indipendente in Bosnia, di mantenere la Serbia in uno stato destrutturato, disorganizzato, di debolezza e di dipendenza dall’Occidente, e di continuare a presentare sotto una luce favorevole l’aggressione degli USA e della NATO e lo smantellamento della Jugoslavia.

Questo ultimo obiettivo richiede di distogliere l’attenzione dal ruolo di Clinton e dei musulmani di Bosnia nella costituzione di una testa di ponte di Al Qaeda nei Balcani, nella costruzione di un’alleanza fra Izetbegovic e Osama bin Laden, in appoggio alla “Dichiarazione islamica” che esprime l’ostilità verso lo Stato multietnico, [65] e per l’introduzione di 4.000 mudjahidin a condurre una guerra santa in Bosnia, con l’aiuto attivo del governo Clinton e dell’associazione UCK-Al Qaeda..

......CONTINUA QUI ---> CNJ / Pagina sulla disinformazione strategica relativa al caso Srebrenica (http://www.cnj.it/documentazione/srebrenica.htm)

Stalinator
03-06-11, 21:15
Ratko Mladic: I comunisti russi protestano per la sua detenzione

MLADIC HA CANCRO A SISTEMA LINFATICO. Ratko Mladic, l'ex capo militare dei serbi di Bosnia arrestato il 26 maggio scorso in Serbia e consegnato il 31 maggio al Tribunale penale internazionale dell'Aja (Tpi) ha una grave forma di cancro al sistema linfatico ed è stato sottoposto a chemioterapia e operato nel 2009 in un ospedale di Belgrado. Lo ha detto il suo avvocato difensore Milos Saljic al quotidiano Press. Tutti i maggiori ospedali di Belgrado hanno smentito con forza che Mladic possa essere stato curato presso di loro. Secondo l'avvocato Saljic poi, alcuni servizi segreti erano al corrente dello stato di salute dell'ex generale serbo, ma quando Mladic terminò la prima fase della chemioterapia si rese irrepereibile, sfuggendo al controllo proprio dei servizi. I legale di Mladic ha poi aggiunto che, visto il suo stato di salute, difficilmente «Mladic arriverà al processo all'Aja».
80 MILIONI DI EURO PER LA CACCIA AL "BOIA". La caccia a Ratko Mladic è costata allo stato serbo 80 milioni di euro in otto anni, da quando l'ex capo militare dei serbi di Bosnia, accusato di genocidio e crimini contro l'umanità, è scomparso nel 2003. Come ha detto al quotidiano Vecernje Novosti il capo del consiglio di cooperazione con il Tribunale penale dell'Aja Rasim Ljajic, per ogni giorno nelle ricerche di Mladic sono state impegnate complessivamente 10 mila persone fra componenti dello speciale team investigativo, agenti di polizia, esponenti dei servizi segreti e di altre istituzioni dello Stato. Per un costo giornaliero fra i 15 mila e i 30 mila euro, pari a una somma tra i 10 e i 12 milioni di euro all'anno. Ljajic ha poi spiegato che la lunga latitanza di Mladic ha comportato anche danni indiretti per la Serbia, per un miliardo e mezzo di euro, in termini di mancati fondi da parte della Ue. Il mancato arresto dell'ex comandante serbo-bosniaco ha infatti causato uno slittamento in avanti di diversi anni nel processo di integrazione della Serbia all'interno dell'Unione europea. Un costo, questo, pari a 159 euro al mese per ogni cittadino serbo, equivalente alla metà dello stipendio medio nel paese.
I COMUNISTI RUSSI: AJA MODERNA GESTAPO. Il partito comunista russo ha protestato in un comunicato per la sorte riservata a Mladic, “eroe serbo” consegnato alla “Gestapo” del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia. Secondo il leader dei comunisti Ghennadi Ziuganov, Mladic è un 'eroe leggendario della resistenza di fronte agli interventi dell'Occidente, e ai loro vassalli nei Balcani'. Il tribunale dell'Aja, invece, stato definito una definito come moderna Gestapo, della quale già decine di patrioti serbi sono stati vittime. Il generale serbo, secondo quanto ha detto Ziuganov, sarebbe un eroe non soltanto del popolo serbo, ma di tutti i popoli slavi. «È stato uno dei primi a sollevarsi contro l'intervento globale della Nato. Ed è proprio per questo motivo, non per crimini di guerra immaginari, che è stato trascinato davanti al tribunale assolutamente illegale dell'Aja», ha detto ancora Ziuganov. Secondo i comunisti russi la decisione “vergognosa” di Belgrado è stata determinata dalla prospettiva di un ingresso nell'Unione europea, ma secondo il leader dei comunisti russi «è assolutamente chiaro che la Serbia che da tempo è ostile all'occidente in ragione delle sue radici slave, e ortodosse, non ha alcuna possibilità di essere ammessa nell'Unione europea». Viste anche le condizioni di salute di Mladic il risultato prevedibile del suo processo, sostiene Ziuganov «è da prevere che sarà una nuova vittima dell' inquisizione euro-atlantica».

Giovedì, 02 Giugno 2011



I comunisti russi protestano per arresto di Mladic: lui è un eore - Lettera43 (http://www.lettera43.it/attualita/17766/la-caccia-a-mladic-e-costata-80-milioni-di-euro.htm)