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Discussione: Accade in Amerika.

  1. #1551
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.

    Citazione Originariamente Scritto da pomo-pèro Visualizza Messaggio
    Una fredda cella non mi pare il posto migliore per uno in condizioni di salute non ottimali...
    Hai ragione.
    Ma pensa se invece fosse stata concessa l'estradizione che fine avrebbe fatto...

  2. #1552
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  3. #1553
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.

    Citazione Originariamente Scritto da IlWehrwolf Visualizza Messaggio
    Hai ragione.
    Ma pensa se invece fosse stata concessa l'estradizione che fine avrebbe fatto...
    Sarebbe marcito in una cella USA invece che in una cella UK. Tra l'altro per gli USA è ancor più conveniente se crepa lì e non in una cella americana, perché così possono scaricare le colpe sul fedele alleato di sempre...

    ps: se poi si vuole suicidarlo non è che farlo in UK sia più difficile che in USA

  4. #1554
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.

    Biden e Harris hanno giurato
    Vaccino e razzismo prime sfide

    Adesso so con certezza che la lotta a questo vaccino è giusta.

  5. #1555
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.



    Joshua Philipp intervista #SteveBannon, ex capo stratega della Casa Bianca,

    sulle #elezioni presidenziali del 2020 e sull'influenza della #Cina negli Stati Uniti.

    L'intervista è stata registrata il 22 dicembre 2020 ma il suo contenuto è ancora perfettamente attuale.
    "Non sei uno schiavo perchè qualcuno ti domina,ma qualcuno ti domina perchè sei uno schiavo."



  6. #1556
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.

    L’inaugural address di Biden e l’America che verrà

    Il dado è tratto. Come da programma, il rituale laico dell’insediamento presidenziale, il più surreale e blindato della storia americana, si è compiuto: adesso, ufficialmente, Joe Biden è il 46esimo presidente degli Stati Uniti d’America e Kamala Harris sua vicepresidente.

    Di pronostici sulle future scelte dell’amministrazione Biden ne sono stati sciorinati molteplici: ritorno dell’approccio multilateralista, dialogo con la Cina, ambiente, l’America latina e l’europeismo. L’unica cosa che sappiamo di certo sono gli impegni presi per i primi 100 giorni nei quali il presidente promette una lotta senza quartiere alla pandemia, il rientro nell’Accordo di Parigi, e numerose svolte in materia di immigrazione, welfare e stimoli economici.

    Pur essendo una componente tradizionale e lirica della cerimonia d’insediamento, l’inaugural address, ovvero il discorso con cui il presidente si presenta alla Nazione, solitamente è lo strumento per comunicare la rotta dei futuri quattro anni. Analizziamone i tratti salienti.

    Lo stile oratorio liberal
    Il discorso del nuovo presidente si colloca perfettamente nello stile tipico dell’oratoria liberal, un sermone laico esortativo più che esplicativo di un programma. È con la parola democrazia che Biden ha aperto il suo saluto alla Nazione rimarcando l’obiettivo della causa democratica, la fragilità del sistema democratico che, tuttavia, sulle scale di Capitol Hill, oggi, sembra tornare a splendere. Un discorso patriottico ma non nazionalista che non scivola nell’attacco al suo predecessore ma che rispolvera il tono paternalistico, fraterno, che non è solo patrimonio dem ma che dal 1776 anima il discorso politico d’oltreoceano: lo testimonia il ringraziamento ai suoi predecessori presenti, molto differenti fra loro ma animati comunque dallo stesso humus storico.

    We the people, tuona Biden citando la costituzione americana, rimarcando quell’”unione più perfetta” ricercata dai primi coloni e che sottolinea l’ideale di unione nell’era in cui tutti continuano a parlare di Stati Disuniti d’America. È proprio la parola unità, assieme alle sue articolazioni “unione”, “uniti”, “insieme”, che ricorre più spesso nel testo di Biden, un accorato appello nella fase più buia della storia americana e mondiale recente. L’unica parte utopica di un discorso che dell’utopia ha fatto saggiamente a meno all’insegna di un invito ad un nazionalismo civico che compia finalmente questa democrazia incompiuta.

    Urgenza e avversari politici
    Urgenza è l’altra parola che segna il giuramento di Biden. Urgenza intesa come grido di giustizia razziale, il primo esempio politico concreto che il neopresidente cita, a cui segue la causa ambientalista con il suo “appello alla sopravvivenza che viene dal Pianeta”. Due urgenze che assieme alla lotta alla pandemia avevano già segnato la campagna elettorale disegnando una sorta di dottrina Biden in nuce. Ma è soprattutto sulle divisioni sociali interne che il futuro inquilino della Casa Bianca stressa i toni: il terrorismo domestico, il suprematismo bianco, razzismo e paura vengono citati come mali americani e come sfide per il futuro.

    C’è un richiamo profondo alla storia americana: la figura di Lincoln, che ritorna come padre nobile della Nazione, sottolineando il parallelismo con le grandi sfide interne che il presidente affrontò; il richiamo progressista alla speranza, quel “tornare forza leader nel mondo” in nome di quell’”ideale americano” refrain spesso abusato dalla politica a stelle e strisce, soprattutto all’estero. Ma c’è spazio anche per la guerra civile, citata più volte come fosco ricordo di anni di America contro America, la lotta per i diritti delle donne e Martin Luther King che proprio a pochi passi dai luoghi del giuramento pronunciò il suo “I have a dream”.

    Gli appelli all’unità diventano strumento per veicolare messaggi agli avversari politici: “sarò presidente di tutti gli Americani”, “oggi siamo qui per festeggiare una causa non un candidato”, “chiedo agli americani di unirsi a me in questa causa” fanno da sfondo, ripetutamente, ai contrasti d’America che il presidente ripetutamente cita a suon di “We will”, altro tratto tipico della retorica presidenziale dove l’assunzione di un impegno viene sempre condivisa con il popolo attraverso un complesso meccanismo linguistico di collaborazione/deresponsabilizzazione.

    Alleanze e fede
    Sul finire del suo discorso, Biden per la prima volta cita, al di là delle generiche esortazioni sull’ “America come raggio di sole nel mondo”, la questione delle alleanze. In questo flebile accenno alla politica estera vi è solo spazio per l’impegno “non sulle cause di ieri” ma sugli obiettivi del futuro attraverso (e per farlo usa un gioco di parole kennediano) “non l’esempio del potere ma con il potere dell’esempio” sancendo, forse, l’inizio di un approccio meno guascone nelle relazioni internazionali.

    Last but not least, c’è stata una forte impronta cattolica in questo insediamento e in questo testo. Non solo per via della presenza del reverendo Leo J.O’Donovan, sacerdote gesuita ex presidente della Georgetown University e intimo amico della famiglia Biden. Papa Francesco viene citato più volte e questo potrebbe far presagire una sorta di “asse” con il Vaticano in senso politico, umanitario e sulle questioni climatiche. Al netto delle numerose citazioni spirituali (Sant’Agostino o il biblico passo del “la gioia viene al mattino”) questa impronta è tutto tranne che casuale e negli Stati Uniti ha e avrà il suo peso politico.

    Il consueto e paradossalmente laico “God bless America” consegna Biden alla storia. Ai posteri l’ardua sentenza.


    https://www.nicolaporro.it/perche-av...ntifica-biden/

    Perché aver paura di chi santifica Biden




    Per carità, nessuno nega che democratici e repubblicani siano portatori di due visioni del mondo opposte e diverse. Così come è inoppugnabile che chi scrive e legge questo sito è profondamente avverso alla ideologia democratica. Ma, detto ciò, vi propongo un esperimento mentale: considerare il solo semplice fatto di una guerra di potere, o di una lotta politica, che divide oggi in due l’America, e in due e più parti persino ognuno dei due campi che si fronteggiano. E giudicare avalutativamente, come entomologi, la situazione.

    Il primo dato che emerge è la scomparsa da un bel po’della tendenziale “terzietà” e “autorevolezza” della grande stampa anglosassone, quella dei “fatti separati dalle opinioni” per intenderci: oggi il sistema dell’informazione, e anche quello dell’intrattenimento, si è politicizzato, è sceso in campo, come e più di quanto è stato per tutto il Novecento nel vecchio continente.
    Secondo dato: si è schierato tutto, o quasi tutto, da una sola parte, quella dei democratici. Un vero e proprio lavoro di egemonia, giunto senza ombra di dubbio a compimento. Poiché tuttavia viviamo in un mondo ove le notizie sono scientemente costruite a priori da comunicatori e spin doctor, ed è il terzo dato oggettivo e studiato persino nelle scuole di comunicazione, il risultato è che la realtà è sempre più costruita a priori, orientata e interpretata secondo schemi che fanno capo a una sola parte. Portano non a mentire (le fake news, che i son sempre state, sono il lato più banale della faccenda) ma a “colorare” la realtà con forti elementi interpretativi a senso unico.
    Così, a livello mediatico, non c’è un vero conflitto delle interpretazioni ma una sola narrazione che si pone come realtà e pone le altre possibili come irreali o addirittura le esclude a priori dal discorso pubblico. Che giudica i leader della propria parte l’incarnazione del Bene, e gli altri il Male assoluto. Di questa evidente asimmetria se ne è avuta la prova ieri nell’Inauguration Day, soprattutto se si confronta la rappresentazione della cerimonia sui media con quella che ebbe quattro anni fa Donald Trump. Lì nessuna star dell’infotainment, e anzi un coro di indignazione totale verso l’uomo e le idee; qui un profluvio di nani e ballerine, di tutto il mondo dell’America che (si) piace e della narrazione mielosa con cui si pone come la parte buona.

    E poi i nuovi feticci: la popstar finto-trasgressiva ma integrata nel sistema (Lady Gaga); l’altra che è anche un marchio di moda e fa trendy (Jennifer Lopez), a rappresentante delle subidentità e subculture che, in quanto “discriminata”, ha una corsia privilegiata (la sottosegretaria pediatra trans alla Salute è un po’ “inquietante” per i critici del gender ma è il prezzo che il “povero” Biden ha dovuto pagare ai nuovi idola fora che albergano in casa democratica); la ragazzina 22 enne elevata a poetessa, ma che è la versione moderna del giullare di corte, che esalta la democrazia che ha vinto sulla forza demoniaca (che è ovviamente quella trumpiana). Ora, Biden è troppo intelligente e “navigato” e anche altri democratici lo sono, per non sapere che la sua è una narrazione fra le altre e che Trump, che sicuramente c’ha messo del suo per farsi considerare (e anche per essere) un eversore delle istituzioni, ha fatto anche cose che hanno impresso un corso positivo a faccende, soprattutto di politica internazionale, una direzione che probabilmente sarà riconfermata anche dalla nuova amministrazione.

    Ma può un leader che gioca su un terreno tutto politico non giocarsi tutte le carte per togliersi dai piedi un avversario ingombrante anche per il futuro? Soprattutto poi se il potere mediatico è tutto schierato con lui? E perché non dovrebbero approfittarne fra i repubblicani coloro che temono ancora la forza di Trump e che vogliono toglierselo fra i piedi come futuro competitor. Usare le idee per fare lotta politica è naturale. Il problema è che, su questo terreno “culturale”, non essendoci competizione, la conseguenza non può che essere il conformismo del “pensiero unico”. E il fatto è poi che ciò che è conforme e uniforme, non è affatto liberale. E non corrisponde allo spirito profondo che ha fatto grande nei decenni la civiltà americana. Siamo sicuri, come recitava ieri la retorica dell’Inauguration Day, che alla fine ha vinto la democrazia?

    Corrado Ocone

    https://www.nicolaporro.it/perche-av...8217;inaugural address di Biden e l’America che verrà

  7. #1557
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.


  8. #1558
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.


  9. #1559
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.

    DI COSA PARLAVA LA “SIGNORA CON I BISCOTTI”?

    https://www.controinformazione.info/...on-i-biscotti/

  10. #1560
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    Predefinito Re: Accade in Amerika.

    L’ULTIMO (PER ORA) DISCORSO DI TRUMP ALLA CASA BIANCA

    Trump non è più alla Casa Bianca, ma dopo di lui l’America e il mondo non sono più gli stessi. In quattro anni del suo mandato ha impresso nella coscienza delle persone di buon senso il significato e il valore della vita di tutti, dalla creatura nel grembo della madre all’anziano, dal malato ai carcerati.

    In un articolo precedente su SC sono stati elencati i successi ottenuti dal Presidente Trump https://www.marcotosatti.com/2021/01...ata-dai-media/ Nessun presidente della storia ha raggiunto traguardi simili. Chi non è accecato dall’ideologia lo considera il più grande presidente della storia americana. Come vedremo, nel suo discorso di addio, ha ricordato i successi della sua amministrazione, confermati dai fatti. Niente di spropositato, anzi. Non ha parlato, per esempio dei finanziamenti tolti alle cliniche che praticano l’aborto, una decisione che ha rovesciato una norma di Obama che toglieva i fondi alle cliniche che rifiutavano di praticarlo. Nelle ultime ore, prima che il presidente Trump lasciasse l’incarico, la Casa Bianca ha pubblicato la lista di 73 amnistie e 70 commutazioni da lui emesse. The Donald non ha iniziato guerre ed ha riportato migliaia di giovani soldati americani a casa. Il Presidente si meritava come mínimo il premio Nobel per la pace, invece la sinistra mondialista e i media lo hanno calunniato senza sosta. In compenso il guerrafondaio Obama, con centinaia di migliaia di morti sulla coscienza, è stato premiato col Nobel per la pace. Non è difficile, dunque, capire che la sinistra mondialista, le multinazionali, le grandi istituzioni, Chiesa bergogliana inclusa, sono costituite da gente senza scrupoli e antivita.

    Dato che il sito della Casa Bianca (oggi 20 gennaio 2021, ore 19 italiane) ha già oscurato il testo del discorso di Trump, mentre i quotidiani e le TV hanno dato poco o nessuno spazio, lo riporto integralmente per i lettori di SC.



    Video originale: https://www.youtube.com/watch?v=QVXtNkzeKUU

    Osservazioni del Presidente Trump per l’Addio alla Nazione

    Rilasciato il: 19 gennaio 2021

    La Casa Bianca

    IL PRESIDENTE:

    «Miei concittadini americani: Quattro anni fa abbiamo lanciato un grande sforzo nazionale per ricostruire il nostro Paese, per rinnovarne lo spirito e per restituire ai cittadini la fedeltà di questo governo. In breve, abbiamo intrapreso una missione per rendere di nuovo grande l’America – per tutti gli americani.

    Mentre concludo il mio mandato come 45° Presidente degli Stati Uniti, mi trovo davanti a voi veramente orgoglioso di ciò che abbiamo realizzato insieme. Abbiamo fatto quello per cui siamo venuti qui – e molto di più.

    Questa settimana inauguriamo una nuova amministrazione e preghiamo per il suo successo nel mantenere l’America sicura e prospera. Vi porgiamo i nostri migliori auguri, e vogliamo anche che abbiano fortuna – una parola molto importante.

    Vorrei iniziare ringraziando solo alcune delle persone straordinarie che hanno reso possibile il nostro notevole viaggio.

    Per prima cosa, permettetemi di esprimere la mia schiacciante gratitudine per l’amore e il sostegno della nostra spettacolare First Lady, Melania. Permettetemi anche di condividere il mio più profondo apprezzamento per mia figlia Ivanka, mio genero Jared, e per Barron, Don, Eric, Tiffany e Lara. Voi riempite il mio mondo di luce e di gioia.

    Voglio anche ringraziare il Vice Presidente Mike Pence, la sua meravigliosa moglie Karen e tutta la famiglia Pence.

    Grazie anche al mio Capo di Stato Maggiore, Mark Meadows; ai membri dello Staff e del Gabinetto della Casa Bianca e a tutte le persone incredibili della nostra amministrazione che hanno riversato il loro cuore e la loro anima per combattere per l’America.

    Voglio anche prendermi un momento per ringraziare un gruppo di persone veramente eccezionale: i Servizi Segreti degli Stati Uniti. Io e la mia famiglia saremo per sempre in debito con voi. La mia profonda gratitudine va anche a tutti i membri dell’Ufficio Militare della Casa Bianca, alle squadre del Marine One e dell’Air Force One, a tutti i membri delle Forze Armate e alle forze dell’ordine statali e locali in tutto il nostro Paese.

    Soprattutto, voglio ringraziare il popolo americano. Servire come vostro Presidente è stato un onore indescrivibile. Grazie per questo straordinario privilegio. Ed è proprio questo – un grande privilegio e un grande onore.

    Non dobbiamo mai dimenticare che, mentre gli americani avranno sempre i nostri disaccordi, noi siamo una nazione di cittadini incredibili, dignitosi, fedeli e amanti della pace, che vogliono tutti che il nostro Paese prosperi e fiorisca e che abbia molto, molto successo e sia buono. Siamo una nazione davvero magnifica.

    Tutti gli americani sono rimasti inorriditi dall’assalto al nostro Campidoglio. La violenza politica è un attacco a tutto ciò che amiamo come americani. Non potrà mai essere tollerata.

    Ora più che mai, dobbiamo unirci attorno ai nostri valori condivisi e superare il rancore di parte, e forgiare il nostro destino comune.

    Quattro anni fa, sono venuto a Washington come l’unico vero outsider che abbia mai vinto la presidenza. Non avevo trascorso la mia carriera di politico, ma di costruttore, guardando gli skyline aperti e immaginando infinite possibilità. Mi sono candidato alla presidenza perché sapevo che c’erano nuovi vertici per l’America che aspettavano solo di essere scalati. Sapevo che il potenziale per la nostra nazione era illimitato, a patto che mettessimo l’America al primo posto.

    Così mi sono lasciato alle spalle la mia vita precedente e sono entrato in un’arena molto difficile, ma un’arena comunque, con ogni sorta di potenziale, se fatto correttamente. L’America mi aveva dato così tanto, e io volevo dare qualcosa in cambio.

    Insieme a milioni di laboriosi patrioti in questa terra, abbiamo costruito il più grande movimento politico della storia del nostro Paese. Abbiamo anche costruito la più grande economia della storia del mondo. Si trattava di “America First” perché tutti noi volevamo rendere di nuovo grande l’America. Abbiamo ripristinato il principio che una nazione esiste per servire i suoi cittadini. Il nostro programma non riguardava la destra o la sinistra, non riguardava la destra o la sinistra, non riguardava i repubblicani o i democratici, ma il bene di una nazione, e questo significa l’intera nazione.

    Con il sostegno e le preghiere del popolo americano, abbiamo ottenuto più di quanto si potesse pensare. Nessuno pensava che potessimo avvicinarci.

    Abbiamo approvato il più grande pacchetto di tagli fiscali e riforme della storia americana. Abbiamo tagliato più regolamenti per la soppressione di posti di lavoro di quanto qualsiasi amministrazione avesse mai fatto prima. Abbiamo risolto i nostri accordi commerciali falliti, ci siamo ritirati dall’orribile Trans-Pacific Partnership e dall’impossibile Accordo sul clima di Parigi, abbiamo rinegoziato l’accordo unilaterale con la Corea del Sud, e abbiamo sostituito il NAFTA con il rivoluzionario USMCA – cioè Messico e Canada – un accordo che ha funzionato molto, molto bene.

    Inoltre, e cosa molto importante, abbiamo imposto alla Cina tariffe storiche e monumentali; abbiamo fatto un grande nuovo accordo con la Cina. Ma prima ancora che l’inchiostro fosse asciutto, noi e il mondo intero siamo stati colpiti dal virus cinese. I nostri rapporti commerciali stavano cambiando rapidamente, miliardi e miliardi di dollari si riversavano negli Stati Uniti, ma il virus ci ha costretti ad andare in una direzione diversa.

    Il mondo intero ne ha sofferto, ma l’America ha superato economicamente gli altri paesi a causa della nostra incredibile economia e dell’economia che abbiamo costruito. Senza le fondamenta e i piedi, non avrebbe funzionato in questo modo. Non avremmo avuto alcuni dei migliori numeri che abbiamo mai avuto.

    Abbiamo anche sbloccato le nostre risorse energetiche e siamo diventati di gran lunga il primo produttore mondiale di petrolio e gas naturale. Alimentati da queste politiche, abbiamo costruito la più grande economia della storia del mondo. Abbiamo riacceso la creazione di posti di lavoro in America e abbiamo raggiunto il record di bassa disoccupazione per gli afroamericani, gli ispano-americani, gli asiatici, le donne – quasi tutti.

    I redditi sono saliti alle stelle, i salari sono aumentati, il sogno americano è stato ripristinato e milioni di persone sono state sollevate dalla povertà in pochi anni. È stato un miracolo. Il mercato azionario ha stabilito un record dopo l’altro, con 148 massimi borsistici in questo breve periodo di tempo, e ha incrementato i pensionamenti e le pensioni dei cittadini laboriosi di tutta la nostra nazione. Sono a un livello mai raggiunto prima. Non abbiamo mai visto numeri come quelli che abbiamo visto, e questo prima della pandemia e dopo la pandemia.

    Abbiamo ricostruito la base produttiva americana, abbiamo aperto migliaia di nuove fabbriche e abbiamo riportato la bella frase: “Made in USA”.

    Per migliorare la vita delle famiglie lavoratrici, abbiamo raddoppiato il credito d’imposta per i bambini e abbiamo firmato la più grande espansione mai realizzata di finanziamenti per la cura e lo sviluppo dei bambini. Ci siamo uniti al settore privato per garantire l’impegno a formare più di 16 milioni di lavoratori americani per i posti di lavoro di domani.

    Quando la nostra nazione è stata colpita dalla terribile pandemia, abbiamo prodotto non uno, ma due vaccini con una velocità da record, e altri ne seguiranno presto. Dicevano che non si poteva fare, ma ce l’abbiamo fatta. Lo chiamano “miracolo medico”, ed è così che lo chiamano adesso: un “miracolo medico”.

    Un’altra amministrazione avrebbe impiegato 3, 4, 5, forse anche fino a 10 anni per sviluppare un vaccino. Noi l’abbiamo fatto in nove mesi.

    Ci addoloriamo per ogni vita persa, e ci impegniamo nella loro memoria a spazzare via una volta per tutte questa orribile pandemia.

    Quando il virus ha avuto il suo brutale impatto sull’economia mondiale, abbiamo lanciato la più rapida ripresa economica che il nostro Paese abbia mai visto. Abbiamo superato quasi 4 trilioni di dollari di aiuti economici, abbiamo salvato o sostenuto oltre 50 milioni di posti di lavoro e dimezzato il tasso di disoccupazione. Sono numeri che il nostro Paese non ha mai visto prima.

    Abbiamo creato scelta e trasparenza nell’assistenza sanitaria, abbiamo tenuto testa alle grandi aziende farmaceutiche in tanti modi, ma soprattutto nel nostro sforzo di aggiungere clausole di nazione favorita, che ci daranno i prezzi dei farmaci con prescrizione medica più bassi del mondo.

    Abbiamo superato VA Choice, VA Accountability, Right to Try e la riforma della giustizia penale.

    Abbiamo confermato tre nuovi giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti. Abbiamo nominato quasi 300 giudici federali per interpretare la nostra Costituzione come scritta.

    Per anni, il popolo americano ha supplicato Washington di rendere finalmente sicuri i confini della nazione. Sono lieto di dire che abbiamo risposto a questa richiesta e abbiamo raggiunto il confine più sicuro della storia degli Stati Uniti. Abbiamo dato ai nostri coraggiosi agenti di frontiera e agli eroici ufficiali dell’ICE gli strumenti di cui hanno bisogno per fare il loro lavoro meglio di quanto abbiano mai fatto prima, e per far rispettare le nostre leggi e mantenere l’America al sicuro.

    Lasciamo con orgoglio la prossima amministrazione con le più forti e robuste misure di sicurezza di frontiera mai messe in atto. Questo include accordi storici con Messico, Guatemala, Honduras ed El Salvador, insieme a più di 450 miglia di nuovo potente muro.

    Abbiamo ripristinato la forza americana in patria e la leadership americana all’estero. Il mondo ci rispetta di nuovo. Vi prego di non perdere questo rispetto.

    Abbiamo rivendicato la nostra sovranità difendendo l’America alle Nazioni Unite e ritirandoci dagli accordi globali unilaterali che non sono mai serviti ai nostri interessi. E i Paesi della NATO ora pagano centinaia di miliardi di dollari in più rispetto a quando sono arrivato io, pochi anni fa. È stato molto ingiusto. Stavamo pagando il costo per il mondo. Ora il mondo ci sta aiutando.

    E forse la cosa più importante di tutte, con quasi 3.000 miliardi di dollari, abbiamo ricostruito completamente l’esercito americano – tutto realizzato negli Stati Uniti. Abbiamo lanciato il primo nuovo ramo delle Forze Armate degli Stati Uniti in 75 anni: la Forza Spaziale. E la scorsa primavera sono stato al Kennedy Space Center in Florida e ho visto gli astronauti americani tornare nello spazio con i razzi americani per la prima volta dopo molti, molti anni.

    Abbiamo rivitalizzato le nostre alleanze e abbiamo radunato le nazioni del mondo per tenere testa alla Cina come mai prima d’ora.

    Abbiamo cancellato il califfato dell’ISIS e messo fine alla miserabile vita del suo fondatore e leader, al Baghdadi. Abbiamo tenuto testa all’oppressivo regime iraniano e abbiamo ucciso il peggiore terrorista del mondo, il macellaio iraniano Qasem Soleimani.

    Abbiamo riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele e abbiamo riconosciuto la sovranità israeliana sulle alture del Golan.

    Come risultato della nostra audace diplomazia e del nostro realismo di principio, abbiamo raggiunto una serie di storici accordi di pace in Medio Oriente. Nessuno credeva che potesse accadere. Gli accordi di Abramo hanno aperto le porte a un futuro di pace e armonia, non di violenza e spargimento di sangue. È l’alba di un nuovo Medio Oriente, e noi stiamo riportando a casa i nostri soldati.

    Sono particolarmente orgoglioso di essere il primo Presidente da decenni a questa parte che non ha iniziato nuove guerre.

    Soprattutto, abbiamo riaffermato la sacra idea che, in America, il governo risponde al popolo. La nostra luce guida, la nostra Stella Polare, la nostra incrollabile convinzione è stata che siamo qui per servire i nobili cittadini americani di ogni giorno. La nostra fedeltà non è agli interessi speciali, alle società o alle entità globali, ma ai nostri figli, ai nostri cittadini e alla nostra stessa nazione.

    Come Presidente, la mia priorità assoluta, la mia preoccupazione costante, è sempre stata il miglior interesse dei lavoratori americani e delle famiglie americane. Non ho cercato la strada più facile, ma di gran lunga la più difficile. Non ho cercato la via che avrebbe ricevuto meno critiche. Ho affrontato le battaglie più dure, le lotte più dure, le scelte più difficili perché è questo che mi avete eletto a fare. Le vostre esigenze sono state il mio primo e ultimo obiettivo incrollabile.

    Questa, spero, sarà la nostra più grande eredità: Insieme, rimettiamo il popolo americano al comando del nostro Paese. Abbiamo ripristinato l’autogoverno. Abbiamo ripristinato l’idea che in America nessuno è dimenticato, perché tutti contano e tutti hanno voce. Abbiamo combattuto per il principio che ogni cittadino ha diritto a pari dignità, pari trattamento e pari diritti, perché siamo tutti fatti uguali da Dio. Ognuno ha diritto ad essere trattato con rispetto, a far sentire la propria voce e a far ascoltare il proprio governo. Voi siete leali al vostro Paese, e la mia amministrazione vi è sempre stata fedele.

    Abbiamo lavorato per costruire un Paese in cui ogni cittadino potesse trovare un ottimo lavoro e sostenere le sue meravigliose famiglie. Abbiamo combattuto per le comunità dove ogni americano potesse essere al sicuro e per le scuole dove ogni bambino potesse imparare. Abbiamo promosso una cultura in cui le nostre leggi fossero rispettate, i nostri eroi onorati, la nostra storia preservata e i cittadini rispettosi della legge non sono mai dati per scontati. Gli americani dovrebbero trarre grande soddisfazione da tutto ciò che abbiamo realizzato insieme. È incredibile.

    Ora, lasciando la Casa Bianca, ho riflettuto sui pericoli che minacciano l’inestimabile eredità che tutti noi condividiamo. In quanto nazione più potente del mondo, l’America si trova ad affrontare minacce e sfide costanti dall’estero. Ma il pericolo più grande che dobbiamo affrontare è una perdita di fiducia in noi stessi, una perdita di fiducia nella nostra grandezza nazionale. Una nazione è forte solo quanto il suo spirito. Siamo dinamici solo quanto il nostro orgoglio. Siamo dinamici solo quanto la fede che batte nel cuore del nostro popolo.

    Nessuna nazione può prosperare a lungo se perde la fiducia nei propri valori, nella propria storia e nei propri eroi, perché queste sono le fonti stesse della nostra unità e della nostra vitalità.

    Ciò che ha sempre permesso all’America di prevalere e trionfare sulle grandi sfide del passato è stata una convinzione inflessibile nella nobiltà del nostro Paese e nel suo scopo unico nella storia. Non dobbiamo mai perdere questa convinzione. Non dobbiamo mai abbandonare il nostro credo nell’America.

    La chiave della grandezza nazionale sta nel sostenere e instillare la nostra identità nazionale condivisa. Ciò significa concentrarsi su ciò che abbiamo in comune: l’eredità che tutti noi condividiamo.

    Al centro di questo patrimonio c’è anche una forte convinzione della libertà di espressione, della libertà di parola e del dibattito aperto. Solo se dimentichiamo chi siamo e come siamo arrivati qui, potremo permettere che la censura politica e le liste nere si svolgano in America. Non è nemmeno pensabile. Chiudere il dibattito libero e aperto viola i nostri valori fondamentali e le tradizioni più durevoli.

    In America, non insistiamo sul conformismo assoluto, né facciamo rispettare rigide ortodossie e codici di parola punitivi. Semplicemente non lo facciamo. L’America non è una timida nazione di anime addomesticate che hanno bisogno di essere protette e protette da coloro con cui non siamo d’accordo. Noi non siamo così. Non sarà mai quello che siamo.

    Per quasi 250 anni, di fronte a ogni sfida, gli americani hanno sempre richiamato il nostro coraggio, la nostra fiducia e la nostra feroce indipendenza. Questi sono i tratti miracolosi che un tempo hanno portato milioni di cittadini comuni ad attraversare un continente selvaggio e a ritagliarsi una nuova vita nel grande Occidente. È stato lo stesso profondo amore per la nostra libertà donata da Dio che ha portato i nostri soldati in battaglia e i nostri astronauti nello spazio.

    Ripensando agli ultimi quattro anni, un’immagine si innalza nella mia mente sopra tutte le altre. Ogni volta che ho viaggiato lungo tutto il percorso del corteo, c’erano migliaia e migliaia di persone. Uscivano con le loro famiglie per potersi alzare in piedi al nostro passaggio e sventolare con orgoglio la nostra grande bandiera americana. Non ha mai mancato di commuovermi profondamente. Sapevo che non erano usciti solo per mostrarmi il loro sostegno, ma anche per mostrarmi il loro sostegno e il loro amore per il nostro Paese.

    Questa è una repubblica di cittadini orgogliosi che sono uniti dalla nostra comune convinzione che l’America è la più grande nazione di tutta la storia. Siamo e dobbiamo sempre essere una terra di speranza, di luce e di gloria per tutto il mondo. Questa è l’eredità preziosa che dobbiamo salvaguardare ad ogni singolo passo.

    Negli ultimi quattro anni ho lavorato per fare proprio questo. Da una grande sala di leader musulmani a Riyadh a una grande piazza di polacchi a Varsavia; dal pavimento dell’Assemblea coreana al podio dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite; e dalla Città Proibita di Pechino all’ombra del Monte Rushmore, ho combattuto per te, ho combattuto per la tua famiglia, ho combattuto per il nostro Paese. Soprattutto, ho combattuto per l’America e per tutto ciò che essa rappresenta – e questo è sicuro, forte, orgoglioso e libero.

    Ora, mentre mi preparo a consegnare il potere a una nuova amministrazione a mezzogiorno di mercoledì, voglio che sappiate che il movimento che abbiamo iniziato è solo all’inizio. Non c’è mai stato niente di simile. La convinzione che una nazione debba servire i suoi cittadini non si attenuerà, ma si rafforzerà di giorno in giorno. Finché il popolo americano avrà nel cuore un profondo e devoto amore per la patria, non c’è nulla che questa nazione non possa realizzare. Le nostre comunità fioriranno. Il nostro popolo sarà prospero. Le nostre tradizioni saranno custodite. La nostra fede sarà forte. E il nostro futuro sarà più luminoso che mai. Me ne vado da questo luogo maestoso con un cuore leale e gioioso, uno spirito ottimista e una fiducia suprema che per il nostro Paese e per i nostri figli il meglio deve ancora venire. Dio vi benedica. Dio benedica gli Stati Uniti d’America.»


    Grazie Presidente Trump per aver fatto del suo meglio per proteggere la Vita, la Fede e la Libertà negli ultimi quattro anni


    A cura di Agostino Nobile

    Marco Tosatti

    21 Gennaio 2021 Pubblicato da Marco Tosatti 19 Commenti

    https://www.marcotosatti.com/2021/01...a-casa-bianca/

    Inizia l’era di Biden, il presidente del compromesso. Mentre Trump già prepara il ritorno in scena: come, si vedrà.


    D’accordo, Joe Biden è il nuovo presidente degli Stati Uniti, il 46°, e Donald Trump, il predecessore, è volato al caldo della Florida. Forse “The Donald” fonderà un suo partito, o un movimento, forse rimarrà all’interno del Gop, il Grand Old Party, forse darà vita ad un network tutto suo, forse si ricandiderà alla presidenza degli Stati Uniti nel 2024, forse lo farà uno dei suoi figli. Di sicuro, però, si ha che da un lato Biden sarà, sin da oggi, a partire dalla raffica degli ordini esecutivi sparati immediatamente (tra l’altro, l’unico e autentico potere governativo che hanno i presidenti americani), un presidente anatra zoppa, e dall’altro che Trump non sparirà.

    Di certo sarà che la presidenza Biden sarà incentrata su un continuo tentativo di compromesso, non solo per l’approvazione di qualsiasi provvedimento dell’amministrazione – dato che alla Camera dei rappresentanti i democratici hanno una maggioranza risicata di soli dieci deputati, e al Senato sono in parità , 50 e 50, con i repubblicani – ma anche per tenere insieme le almeno due anime del partito democratico: quella “moderata” di Biden e quella radicale e “socialista” dei vari Ocasio-Cortez e Sanders e Warren.

    Una ricerca di equilibrio e una necessità di sintesi che saranno il tratto distintivo del governo Biden, in cui la vice presidente, Kamala Harris, in qualità di presidente del Senato, dovrà ininterrottamente far pesare il proprio voto per far pendere la bilancia sul “blu”. Un’attività che logorerà, questa sì davvero – molto più dei tentativi di Trump di far ricontare i voti delle presidenziali del 3 novembre scorso o dell’invasione carnevalesca a Capitol Hill nei giorni della befana – l’efficienza e l’esercizio del sistema istituzionale americano, in attesa delle elezioni di metà mandato, fra due anni, in cui, di norma, ad affermarsi è il partito di opposizione: in questo caso, quello repubblicano.

    C’è da ricordare, infatti, che se è vero che la figura presidenziale Usa racchiude in sé, formalmente, sia quella del capo di stato, sia quella del capo del governo, è altrettanto vero che l’esercizio del potere esecutivo è solo in parte delegato esclusivamente all’amministrazione governativa. Se si escludono i poteri di veto presidenziali sulle decisioni prese del Congresso, e i cosiddetti ordini esecutivi, tutti gli altri indirizzi governativi devono essere approvati dal Senato.

    Ecco perché l’esercizio del potere esecutivo, in Usa, potrebbe ben dirsi come un potere governativo “diffuso” (altri lo definiscono separato o diviso), tanto che nell’agenda di Biden, proprio per superare l’impasse in Campidoglio, vi è ora il tentativo di modificare il regolamento sul filibustering, ovvero su quell’azione di ostruzionismo che in sostanza agisce con un potere di veto dell’opposizione.

    E su questo, sin dal primo giorno della presidenza, Biden ha ricevuto il primo stop. Dai repubblicani, ma anche dai dem. Il leader della minoranza al Senato, Mitch McConnell – ora potenzialmente favorevole all’inesistente ipotesi giuridica di una seconda messa in stato di accusa di Trump –, ha manifestato l’intenzione che l’ostruzionismo legislativo rimanga intatto per i prossimi due anni. Secondo il veterano del Senato, un’iniziativa di questo tipo rappresenterebbe un intoppo nei negoziati su una risoluzione organizzativa che fisserebbe le linee guida per il nuovo Senato.

    Insomma, se una nuova stagione avrà da essere nei rapporti tra democratici e repubblicani, non sarà certamente il porre la questione dell’ostruzionismo quella che potrà porre nuove basi per il continuo tentativo di accordo cui dovrà mirare il presidente. La dose l’ha rincarata anche l’ex candidata alle primarie dem, la senatrice Amy Klobuchar, che pragmaticamente ha fatto notare come ora «questo sia il momento di capire semplicemente come condividere il potere quando si ha un Senato 50 a 50, con Kamala Harris come voto decisivo».

    Per altro, non c’è spazio. Anche il tentativo dei dem al Congresso per un secondo impeachment nei confronti di Trump – più una vendetta politica che un tentativo di esercitare invece la giustizia – è motivo di divisione tra Biden e i suoi compagni di partito, con il primo teso, quanto meno nelle sue dichiarazioni pubbliche, ad un superamento delle divisioni nel Paese.

    Tra l’altro, da un lato la costituzione americana esclude la possibilità che un ex presidente possa essere condannato per atti relativi al suo governo, e dall’altro la clausola Bill of Attainder non contempla la possibilità di “squalifica” per una possibile e futura ricandidatura. Dunque, di certo, Oltreoceano, c’è che il nuovo presidente nei prossimi anni sarà più concentrato nell’attività di mediazione con i repubblicani e che, come ha detto Trump quando ha lasciato ieri la casa Bianca, «We will be back in some way».

    di Vito de Luca

    https://loccidentale.it/inizia-lera-...come-si-vedra/

 

 
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