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  1. #61
    Rossobruno cattivone
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    "La pantomima sulle condizionalità del MES e l’accesso ad altri fondi è semplicemente indecente". Intervista all'economista Marco Passarella



    di Francesco Fustaneo e Alessandro Pascale per Marx 21


    Marco Veronese Passarella, 44 anni, veneto, è docente di economia presso l’Economics Division della Leeds University Business School. Fa parte della redazione di Economia e Politica ed è membro del gruppo Reteaching Economics. Lo abbiamo intervistato per la rivista Marx21 sull'attuale fase economica cercando di capire se dal suo punto di vista gli strumenti messi in campo dalle istituzioni europee siano o meno idonee per arginare la crisi, con un passaggio obbligato poi, sui trattati europei e sulle relazioni geopolitiche attuali e su possibili mutamenti di scenario.



    - Professore, tutto il mondo si avvia verso una recessione economica che forse non ha precedenti: è possibile e auspicabile uscire da questa crisi restando all'interno di rapporti di produzione capitalistici? Se sì, quali strategie economiche e politiche può mettere in campo uno Stato come il nostro?

    - Non so se sia possibile. Di certo non è auspicabile. E tuttavia non vi sono, al momento, segnali di un superamento imminente dei rapporti di produzione capitalistici. Dobbiamo giocoforza misurarci con un paese ed un contesto internazionale in cui il movimento operaio e le sue organizzazioni storiche o quello che ne rimane, sono in fase di arretramento. Nel caso italiano il problema è amplificato dai vincoli istituzionali e politici imposti dall’adesione all’Area Euro, che limitano drammaticamente le possibilità di intervento proprio quando l’economia viene colpita da shock esterni.


    - Che cosa si può fare dunque?

    - Credo che la priorità dovrebbe essere la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e la protezione dei lavoratori. È infatti evidente che l’alto livello di debito pubblico, in assenza di una banca centrale che lo garantisca illimitatamente, fa sì che il paese semplicemente non possa permettersi una chiusura delle attività economiche protratta nel tempo. D’altra parte, è altrettanto evidente che in alcune regioni italiane la produzione non si sia mai davvero fermata, mettendo a rischio centinaia di migliaia di lavoratori e le loro famiglie, come se già non bastassero le “normali” morti sul lavoro. Per questo è fondamentale abbattere le probabilità di contagio attraverso tamponi, mascherine ed altri dispositivi di sicurezza, oltre ovviamente a maggiori investimenti nel sistema sanitario e nella ricerca. Bisogna inoltre attuare un’estensione e rafforzamento delle misure di sostegno di chi perde il lavoro o è costretto a chiudere la propria piccola attività. L’ideale sarebbe affiancare e sostituire progressivamente il reddito di cittadinanza con un piano per il pieno impiego, ma qui rischiamo di entrare nel regno dei sogni. In ogni caso, le risorse necessarie vanno reperite in tempi rapidi, affidandosi alla copertura accordata dalla Banca Centrale Europea e attraverso tassazione di redditi elevati e patrimoni. Questo secondo aspetto è importante perché non possiamo sapere per quanto a lungo la Banca Centrale Europea potrà continuare con il proprio piano di acquisti differenziati di titoli di Stato.


    - Nella crisi in corso ritiene adeguati gli strumenti messi a disposizione dalle istituzioni europee?

    - Adeguati? La pantomima sulle condizionalità del MES e l’accesso ad altri fondi è semplicemente indecente. Sarebbe bastato che la banca centrale avesse dichiarato che per far fronte alla crisi, era disposta a procedere con acquisti illimitati ed incondizionati di titoli per mettere la museruola alla speculazione e far risparmiare decine di miliardi di interessi all’Italia e agli altri paesi periferici. In subordine, anche un piano di emissione di titoli sottoscritti da tutti i paesi dell’unione monetaria e garantiti dalla Banca Centrale Europea, i c.d. Eurobond, avrebbe potuto sortire gli effetti desiderati, sia pure in tempi meni rapidi e con maggiori difficoltà tecniche. E invece si continua a giocare con acronimi e tecnicismi che servono semplicemente a mettere in chiaro che la crisi, per i capitali del Nord Europa (e i loro governi), è semplicemente l’ennesima occasione per stabilire un vantaggio sui concorrenti e rafforzare il proprio dominio commerciale e finanziario nell’area. Altro che aiuto e solidarietà europei! Vedete, il problema del MES non è solo e tanto quali condizioni siano imposte a chi vi faccia ricorso. Il problema è che l’esistenza stessa del MES è la prova provata che ai paesi membri dell’Area Euro non è accordata alcuna copertura illimitata e incondizionata. È la prova provata che quei paesi possono fallire e magari essere spinti ad uscire dall’Area Euro (è questo che segnala lo spread). È, insomma, la prova provata che il progetto di integrazione europeo è basato sulla competizione aggressiva con il vicino, non sulla cooperazione. Che, insomma, quel progetto è la continuazione dei conflitti che hanno lacerato il continente europeo con altri mezzi, non la loro fine.


    - In questa fase è sostenibile e conveniente sostenere un'uscita dalla gabbia europea e lo stralcio unilaterale dei trattati?

    - Sostenibile non lo so. Sul conveniente dobbiamo intenderci. Una volta che un paese consegna le chiavi della propria banca centrale ad un ente terzo, si mette in una condizione di vulnerabilità estrema. Per poter limitare gli effetti negativi dovuti all’incertezza e alle difficoltà tecniche che accompagnerebbero la fase di transizione e poi l’uscita dalla moneta unica, la Banca d’Italia dovrebbe operare di concerto con la Banca Centrale Europea (e le altre maggiori banche centrali mondiali) per favorire un riallineamento morbido della nuova valuta e la stabilità delle attività finanziarie oggetto di ridenominazione. Lo stesso sistema dei pagamenti bancari rischierebbe di collassare senza un intervento coordinato. Bisognerebbe poi lavorare congiuntamente alla revisione degli accordi di scambio, giacché l’uscita dall’Area Euro si accompagnerebbe verosimilmente alla fine della permanenza nell’Unione Europea. Il problema è che questa collaborazione tra istituzioni nazionali e internazionali è, in tutta evidenza, del tutto irrealistica in un contesto di scontro frontale con le istituzioni europee. D’altra parte, un’uscita non concordata sarebbe un salto nel vuoto, dalle conseguenze economiche potenzialmente disastrose nel breve periodo (anche per via delle prevedibili ritorsioni dei paesi del Nord Europa), sebbene credo, vi sarebbero buone prospettive di ripresa nel medio periodo. Ecco perché non mi sento di indicare l’uscita dall’euro come la soluzione alla crisi corrente e alla crisi del debito che ci attende di qui a pochi mesi se la BCE dovesse essere costretta a ridurre la propria azione di copertura. Semmai l’abbandono della valuta unica potrebbe diventare inevitabile proprio a seguito dell’insostenibilità del debito pubblico italiano (nel contesto delle regole europee). Per questo è importante avere pronto un piano di uscita. Ma dobbiamo essere coscienti che i rapporti di forza non volgono a favore delle forze progressiste. Il rischio è che l’uscita, come d’altra parte l’ingresso e la permanenza nell’Area Euro, la paghino soprattutto i lavoratori. Insomma, soluzioni facili non ve ne sono.


    - Guardando all'evoluzione geopolitica internazionale, per l'Italia è più conveniente restare ancorati al blocco atlantico, ossia all'alleanza con gli USA, oppure intensificare le proprie relazioni con la Cina? Si dà per scontato che le due cose siano in antitesi, oppure non è così?

    - Sicuramente bisogna intensificare le relazioni con la Cina, non soltanto quelle economiche, ma anche quelle politiche. D’altra parte, se davvero si pensa che la rottura con l’Area Euro sia una possibilità, è necessario mantenere un rapporto relativamente disteso anche con gli Stati Uniti (e la Gran Bretagna). I due aspetti non sono necessariamente incompatibili, ma certo la vicinanza a Washington è un’arma a doppio taglio. Non soltanto perché questo significa accettare di partecipare alle avventure militari statunitensi, ma anche perché non va mai dimenticato che l’Unione Europea è parte integrante del dispositivo di difesa atlantico. Insomma, se gli Stati Uniti vedrebbero indubbiamente di buon occhio ogni fattore di contenimento dei tentativi di espansione tedesca e di ridimensionamento delle ambizioni imperialistiche francesi, questo vale solo finché non si metta in discussione la cornice atlantica. Ecco perché una strategia a geometrie variabili (che coinvolga anche altre potenze regionali) è l’unica, peraltro rischiosissima, opzione per il nostro paese. Resta il fatto che non si intravede, al momento, alcun movimento organizzato che abbia la forza di imporre questi temi al dibattito pubblico, né, tanto meno, una classe dirigente che sia in grado di raccoglierli e tradurli in proposta politica. Qui sta il paradosso: in un mondo attraversato da crisi economiche, sociali ed ambientali sempre più acute, le condizioni oggettive potrebbero presto aprire spazi di cambiamento radicale del sistema. Eppure in Italia e in Europa in genere, il richiamo che le due destre (quella universalista astratta, che vorrebbe esportare i diritti sui caccia bombardieri del grande capitale transnazionale, e quella particolarista, che alimenta la guerra tra disperati a solo vantaggio del piccolo capitale nazionale reazionario) esercitano su ciò che rimane della sinistra operaia, rischia di farci arrivare all’appuntamento totalmente impreparati.

    Notizia del: 20/05/2020

    https://www.lantidiplomatico.it/dett...la/5496_35062/
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  2. #62
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    LA FINTA SVOLTA EUROPEA di Leonardo Mazzei




    Che succede in Europa?

    Gli euroinomani esultano. M&M (Merkel e Macron) sembrano averli tratti d’impaccio. Strana Europa quella che si risolve nella resurrezione dell’asse a due del Patto di Aquisgrana. Ma la droga è droga, e quando c’è il rischio dell’astinenza non si va tanto per il sottile. Ecco allora il grido di gioia di tutti gli euristi di casa nostra. Uno per tutti il solito Fubini, che sulle pagine del Corriere annuncia l’inversione ad U: quella cancelliera che nel 2010 si accordò con Sarkozy per colpire i Piigs, stavolta i “maiali” li vuole aiutare accordandosi con Macron.

    Questa la lieta novella che viene diffusa urbi et orbi. Ma siamo davvero di fronte ad un cambiamento reale? Gli euroinomani pensano di sì. Del resto la loro teoria prevede da sempre l’uso delle crisi per far passare quel che altrimenti non passerebbe. «L’Europa si farà attraverso le crisi, e sarà costituita dalla sommatoria delle soluzioni che saranno date a queste crisi», scrisse Jean Monnet. Era il 1976, le grandi crisi sono arrivate dal 2008 in avanti e non si può dire che questa profezia abbia avuto successo. Più esattamente, l’Europa (in realtà l’UE) è diventata famosa per la capacità di aggravare le crisi, non certo per quella di risolverle. Difficile che stavolta sia diverso.

    Ma ricordare queste cose agli euro-tossici è ovviamente tempo perso. Sta di fatto che il Fubini già immagina la svolta. Secondo lui ci sarà la condivisione del debito, e per finanziarlo avremo nuove tasse europee, naturalmente “verdi” e magari consigliate pure per la cura della pelle. Il tutto unito (non ridete troppo) alla lotta ai paradisi fiscali.

    Quale sarà l’approdo finale della proposta di M&M?

    Tutta questa euforia si basa sul progetto di M&M sul Recovery Fund, la cosiddetta “quarta gamba” del pacchetto europeo che dovrebbe affrontare la crisi del coronavirus. La novità dell’annuncio del duo di Aquisgrana sta (starebbe) nella possibilità di sovvenzioni a “fondo perduto” per 500 miliardi di euro. Su questa ipotesi, per ora di questo si tratta, vanno dette subito due cose: in primo luogo 500 miliardi sono una cifra del tutto insufficiente; in secondo luogo il “fondo perduto” proprio non c’è.

    L’ipotesi di M&M è infatti quella di emettere titoli coperti con il bilancio Ue. Ma a questo bilancio contribuiscono tutti i paesi. Tra questi, ad esempio, l’Italia è oggi un contributore netto, il che significa che versa nelle casse Ue più di ciò che riceve. Le sovvenzioni finanziate con i titoli del Recovery Fund verrebbero quindi ripagate con i contributi di ciascun stato. Niente “fondo perduto” dunque, ma tuttavia – ecco quella che sarebbe la vera novità – una qualche forma di condivisione del debito, finora un’autentica bestemmia per l’ordoliberismo di marca teutonica.

    La questione merita perciò grande attenzione. Al di là dei trionfalismi fuori luogo degli euro-dopati, è giusto interrogarsi su ciò che sta avvenendo. La proposta franco-tedesca dovrà passare al vaglio della Commissione e, successivamente, a quello dei 27 stati dell’Ue. Quattro di questi, i cosiddetti “Frugal four” (Austria, Olanda, Danimarca e Svezia), hanno già espresso il loro no.

    «Vogliamo essere solidali con gli stati che sono stati colpiti duramente dalla crisi, ma riteniamo che la strada giusta siano mutui e non contributi», ha detto il premier austriaco Sebastian Kurz. Sulla stessa linea, ma ancora più netto, il capo del governo olandese Mark Rutte, secondo il quale i prestiti ai paesi dovranno essere concessi solo in cambio di un “piano di riforme”: «Se si richiede un aiuto è necessario attuare riforme di vasta portata in modo da poter essere autosufficienti la prossima volta».

    Chiaro il concetto? Al massimo avrete dei prestiti, ma solo alle nostre condizioni. Certo, da soli i Frugal four non possono contare troppo. Ma, a parte il fatto che non si tratta comunque di paesi marginali, siamo proprio sicuri che siano soli? Detto più chiaramente, siamo proprio sicuri che la Germania non faccia il doppio gioco, lasciando ai quattro la responsabilità di un no che non vuole assumersi in prima persona?

    Chi vivrà vedrà. Di sicuro le parole di un certo signor Dombrovskis, uno che conosciamo bene, rassicuranti non sono. Dombrovskis, che per la cronaca della Commissione europea è il vicepresidente, ha dichiarato che alla fine il Recovery Fund sarà un mix tra prestiti e sovvenzioni (un concetto assai vago, in qualche modo già presente nelle conclusioni del Consiglio europeo di aprile) e che così facendo si arriverà ad una dotazione di mille miliardi.

    Ma le affermazioni più importanti dell’ex premier lettone sono state altre:

    «Ci sarà un chiaro legame con le riforme. Finanzieremo pacchetti di riforme e investimenti degli Stati membri con il semestre europeo e le raccomandazioni che fungeranno da guida nel preparare i piani nazionali di ripresa»

    Insomma, l’uso dei finanziamenti (anche fossero solo prestiti) verrà in generale monitorato, mentre nel caso particolare dei Paesi dell’area mediterranea la minaccia del commissariamento è chiara. Detto che il Patto di Stabilità resta il punto di riferimento, Dombrovskis ha precisato che:

    «I paesi membri devono tenere a mente gli obiettivi di stabilità a medio termine».

    Se l’idea di fondo è quella di tornare ai santi vecchi non appena sarà terminata l’emergenza, chiaro quale sia il primo destinatario del messaggio che arriva dalle “raccomandazioni” di Bruxelles: senza dubbio, l’Italia.

    E se il Recovery fund fosse peggio del Mes?

    Prima di arrivare ad un giudizio più definito, ricapitoliamo intanto le molteplici incertezze sul Recovery Fund cui abbiamo già accennato. In primo luogo non conosciamo la sua dotazione effettiva. In secondo luogo non è chiaro quale sarà (se ci sarà) il mix tra prestiti e sovvenzioni. In terzo luogo non è certo quale sarà il suo finanziamento: con un aumento dei contributi nazionali al bilancio Ue, o con l’imposizione di una nuova tassa europea, magari una quota dell’IVA? In quarto luogo non sappiamo fino a che punto si spingerà il no dei Frugal four. In quinto luogo (legato al quarto) non sappiamo cosa voglia davvero la Germania. In sesto luogo, è tutto da scoprire il quadro delle condizionalità per accedere ai finanziamenti del Recovery Fund.

    Tante, troppe incertezze, per poter formulare adesso un giudizio definitivo, salvo che per un punto, che è però quello decisivo: questi fondi avranno delle condizioni – sia finanziarie che politiche – da farli somigliare ad un veleno a rilascio lento.

    Fiumi di inchiostro sono stati (giustamente) scritti sul Mes, una pistola puntata alla tempia dell’Italia. Ma non c’è solo il Mes. Accanto ad esso i soliti torturatori dell’oligarchia eurista stanno predisponendo altri, non meno micidiali strumenti. Tra di essi, statene certi, vi saranno le condizioni – scritte e non scritte – del Recovery Fund. Condizioni che il governo italiano fingerà di non vedere, affiancato dai media e dagli strilloni professionali del regime.

    Di cosa si tratti è facile a capirsi. Accettare un pacchetto – Mes, Sure, Bei, Recovery Fund – basato essenzialmente (se non esclusivamente) su prestiti significa cacciare l’Italia in un vicolo cieco. Significa rinunciare all’unica soluzione degna di questo nome, la monetizzazione integrale del debito da parte della Bce. Significa ricaricare alla massima potenza l’arma del debito, che ci verrà rivolta contro non appena possibile. Significa prepararsi a nuove sanguinose stagioni di austerità. Significa gettare via ogni residuo di sovranità. In una parola, significa il disastro.

    Dice, ma perché te la prendi tanto col Recovery Fund proprio nel momento in cui sembra aprirsi la strada alla condivisione del debito? Intanto perché questa condivisione è tutta da vedersi. Poi perché (qui il diavolo è nei dettagli) resta da capire come quel debito verrà eventualmente coperto. Ma bisogna essere contro soprattutto per altri due motivi: sul piano economico, perché ci verrà chiesto un rovinoso rientro sulla strada dei famosi parametri europei; su quello politico, perché l’Italia sarà ancora più dipendente dalla Commissione europea, che deciderà chi e cosa finanziare in base alle sue priorità, non certo alle nostre.

    Del resto la linea tedesca sull’Italia è sempre la stessa. Tenerci a galla solo quanto basta per impedire quell’uscita dall’euro che tanto preoccupa a Berlino. Ogni piccola apertura tedesca ha in ciò la sua unica motivazione, ricordiamocelo sempre.

    Vedremo quel che accadrà nelle prossime settimane, a partire dalle decisioni della Commissione annunciate per il 27 maggio. Il Recovery Fund, lo abbiamo già ricordato, fa parte di un “pacchetto” che è nel suo insieme insufficiente oltre che negativo per il Paese. Al suo interno spicca il Mes, che i dirigenti piddini – come sempre i peggiori di tutti – non vedon l’ora di attivare per legarci ancor più all’amata (da loro) Europa.

    Ma alla fine le regole, le condizionalità del Recovery Fund, potrebbero rivelarsi perfino peggio del Mes. Una ragione in più per ribadire la via dell’Italexit, l’unica via d’uscita degna di questo nome. L’unica alternativa al disastro alle porte.

    https://www.sollevazione.it/2020/05/...do-mazzei.html
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  3. #63
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    Tutte le fake news di Mentana sul MES



    di Thomas Fazi



    Sta facendo molto discutere un post di Enrico Mentana* in cui il giornalista si chiede, a proposito del famigerato Meccanismo europeo di stabilità (MES), «perché si dovrebbe rinunciare a un prestito decennale senza condizioni a interesse 0,1% per un valore di 37 miliardi, nel momento di maggiore necessità di finanziamenti per il nostro paese»?



    Insomma, dice Mentana, perché dovremmo prendere a prestito soldi dai mercati, a tassi decisamente più onerosi, se possiamo prenderli in prestito dal MES a un tasso praticamente pari allo zero, per di più "senza condizionalità"? Detta così sembrerebbe avere un senso. In verità, vi sarebbero ottime ragioni per opporsi al MES anche se il prestito fosse così conveniente, a partire dal fatto che il MES "senza condizionalità" non esiste*. Peccato, però, che la storia del tasso annuo dello 0,1% – così come quella del MES "senza condizionalità" – sia una colossale bufala.


    Lo 0,1%, infatti, è il cosiddetto "tasso marginale", che però – come si può leggere sul sito del MES – va sommato, oltre a tutta una serie di altri costi operativi, al "tasso base", cioè a quello che paga il MES per reperire sui mercati i soldi che a sua volta ripresterà (con una piccola cresta, ça va sans dire) agli Stati. Sommando questi vari costi si ottiene il tasso finale effettivo che andranno a pagare gli Stati. Come riportato sempre sul sito del MES*, questo ad oggi ammonta ad una media dello 0,76% – poco meno dell’1% insomma. Una bella differenza! Certo, questo tasso, che riguarda i titoli emessi dal MES a partire dal 2012, potrebbe anche scendere (così come potrebbe salire), giacché dipende dall'andamento del mercato, ma ciò non toglie che chiunque abbia affermato che 0,1% è il tasso finale applicato agli Stati l'ha sparata grossa. La verità è che, ad oggi, non sappiamo quale sarà il tasso finale applicato dal MES. E questo imporrebbe quantomeno una certa cautela.

    Soprattutto se consideriamo che i BTP a breve a scadenza (da tre mesi a tre anni) hanno tutti un rendimento più basso di quello attualmente offerto dal MES: un BTP a tre anni "costa" lo 0,5%, un BTP a un anno lo 0,1%, mentre i titoli a sei mesi hanno addirittura un rendimento negativo! Da gennaio a fine aprile, infatti, l’Italia ha piazzato titoli a breve scadenza per un totale di quasi 70 miliardi ad un tasso di interesse medio annuo negativo: -0,03%!

    Se invece prendiamo i titoli a più lunga durata (5-10 anni, la durata massima di un prestito del MES), i tassi di interesse risultano un po’ più alti di quelli attualmente offerti dal MES: tra l’1,3 e l’1,6%. Ma in questo caso, seguendo la logica di Mentana, bisognerebbe innanzitutto chiedere alla BCE perché abbia permesso ai tassi di salire in un momento di emergenza come questo – i tassi sui BTP a 10 anni sono letteralmente raddoppiati rispetto al periodo pre-pandemia –, quando quello che dovrebbe fare una banca centrale in tempo di crisi – e che infatti hanno fatto e stanno facendo tutte le altre banche centrali – è l’opposto: far scendere i tassi di interesse per facilitare le necessità di finanziamento dei governi.

    Curioso che Mentana e gli altri – che adesso vorrebbero farci credere che indebitarci sul mercato piuttosto che col MES rappresenterebbe il più colossale sperpero di soldi della storia (parliamo di un costo aggiuntivo, in termini di spesa per interessi, di uno o due miliardi) – non abbiano avuto nulla da ridire su questo aumento dei tassi, che alla fine ci costerà molto di più rispetto a quello che potremmo risparmiare col MES, visto che parliamo di cifre infinitamente più grandi dei 36 miliardi del MES.

    Ciò detto, c’è un altro punto da tenere in considerazione: è vero che (per colpa della paradossale architettura dell’euro) sui BTP paghiamo tassi di interesse un po’ più alti di quelli offerti dal MES. Ma una parte significativa di quegli interessi andrà ad investitori italiani e dunque rimarrà nel paese, mentre nel caso del MES verrebbero versati per intero al fondo lussemburghese. Se prendiamo l’ultima emissione di BTP Italia, infatti, vediamo che dei 23 miliardi raccolti – due terzi del massimale di un ipotetico ricorso al MES –, la quasi totalità dei 14 miliardi acquistati dagli investitori individuali e il 51,9% della parte istituzionale sono stati sottoscritti da investitori domestici. Inoltre, è lecito aspettarsi che una parte dei titoli sottoscritti dagli investitori esteri verrà acquistata della BCE, che a sua volta rigirerà una parte degli interessi all’Italia.

    E comunque, anche se la spesa per interessi dei BTP finisse tutta all’estero, il gioco varrebbe comunque la candela, visto che sono soldi che possiamo decidere in autonomia come spendere e che non comportano vincoli di destinazione, condizionalità o sorveglianze. Ciò detto, in prospettiva l’Italia non ha altra scelta che affidarsi ai BTP: quest’anno il paese avrà un fabbisogno aggiuntivo di 100-150 miliardi, per un totale di circa 500-550 miliardi di emissioni di debito. Ora, lo capisce anche Mentana che coi 36 miliardi del MES non andiamo molto lontano.
    Certo, data l’architettura dell’euro e in particolare l’assenza di una banca centrale che faccia da prestatrice di ultima istanza e il fatto che l’Italia si indebita in quella che di fatto una valuta "estera", anche affidarsi ai mercati per le proprie esigenze di finanziamento presenta dei rischi, giacché vuol dire rimettersi, in ultima analisi, alla mercé e alla "buona volontà" della BCE, che, come abbiamo visto in passato, non si fa scrupoli ad usare il proprio potere di emissione monetaria per ricattare interi paesi. Per questo riteniamo che sia assolutamente fondamentale per l’Italia riappropriarsi della propria sovranità monetaria.

    Ma, nelle condizioni date, indebitarsi sui mercati è indubbiamente meglio che indebitarsi col MES. D’altronde se gli altri paesi europei hanno tutti dichiarato di non voler fare uso del MES un motivo ci sarà. O forse è solo che non leggono Mentana…

    [*https://www.facebook.com/enricomenta...7724169332545; micromega-online - micromega *https://www.lafionda.org/2020/04/05/...ndizionalita/; https://www.esm.europa.eu/content/eu...2ByYW5TScoLig; *https://www.esm.europa.eu/lending-rates]
    Notizia del: 23/05/2020

    https://www.lantidiplomatico.it/dett...s/33535_35147/
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  4. #64
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    Noam Chomsky: "La Casa Bianca è nelle mani di un sociopatico. Ma l'Europa dell'austerità è per certi aspetti anche peggio"



    Gli Stati Uniti stanno finendo nell'abisso senza un piano federale per affrontare la pandemia di coronavirus, ritirando fondi per la salute pubblica ignorando l'inesorabile progresso del riscaldamento globale, ha dichiarato in un'intervista all'AFP il filosofo americano Noam Chomsky, considerato il fondatore della linguistica moderna.



    Seguono alcuni estratti dell'intervista concessa all'AFP dal politologo, linguista, Noam Chomsky, fra i più grandi intellettuali del nostro tempo, che come AntiDiplomatico abbiamo tradotto.


    AFP: come interpreta ciò che sta accadendo negli Stati Uniti, che è diventato il paese più colpito dal coronavirus nel mondo?

    Chomsky: non esiste una leadership coerente. È caotica. La Casa Bianca è nelle mani di un sociopatico megalomane che è interessato solo al proprio potere, alle sue prospettive elettorali e a cui non importa cosa succede nel paese o nel mondo.
    Deve mantenere il supporto della sua base elettorale, che è fondamentalmente composta dalla grande ricchezza e dal potere aziendale. Ci sono 90.000 morti e ce ne saranno altri, perché non esiste un piano coordinato.


    AFP: Come emergerà il panorama politico globale e statunitense dopo la pandemia? Ci appoggeremo a un mondo più cooperativo e democratico o vedremo un aumento di estremismo, nazionalismo?

    Chomsky: Non appena (Donald) Trump è arrivato al governo, la prima cosa che ha fatto è stato smantellare l'intero meccanismo di prevenzione della pandemia, sbilanciare i Centers for Disease Control (CDC), il più grande istituto di sanità pubblica del governo del paese. Annullare i programmi che hanno collaborato con scienziati cinesi per identificare potenziali virus. Gli Stati Uniti erano particolarmente mal preparati.
    Questa è una società molto ricca e privatizzata con enormi vantaggi (...) ma dominata dal controllo privato. Non esiste un sistema sanitario universale ... assolutamente cruciale ora. È il massimo sistema neoliberista.
    L'Europa per alcuni aspetti è peggio, perché i programmi di austerità amplificano il pericolo, a causa del grave attacco alla democrazia e del trasferimento di decisioni a Bruxelles e della burocrazia della troika non eletta (ndlr: la Commissione europea, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale). Ma almeno ha il residuo di una certa struttura socialdemocratica che dà un po' di supporto, cosa che ritengo manchi negli Stati Uniti.
    Per quanto grave sia questa pandemia, non è il problema peggiore. Ci sarà una ripresa dalla pandemia, a grande costo. Ma non ci sarà alcun recupero dallo scioglimento delle calotte polari e dall'innalzamento del livello del mare e dagli altri effetti mortali del riscaldamento globale.
    Cosa stiamo facendo al riguardo? Ogni paese sta facendo qualcosa, non abbastanza. Gli Stati Uniti stanno facendo molto,eliminando tutti i programmi, tutte le normative che possono mitigare la catastrofe.
    Questa è la situazione, ma non deve essere così. Esistono forze opposte globali. La domanda è: come emergeranno queste forze opposte. Ciò determinerà il destino del mondo.


    AFP: Diversi paesi stanno usando la tecnologia per rintracciare i cittadini o archiviare il loro DNA per combattere il virus. Stiamo entrando in una nuova era della sorveglianza digitale con la pandemia?

    Chomsky: Ci sono aziende che sviluppano tecnologia in modo che i datori di lavoro possano vedere cosa c'è sullo schermo e monitorare cosa fai, quale tasto premi, se ti alzi. E sarà integrato con il video.
    Il cosiddetto "Internet delle cose" sta arrivando. È pratico. Implica che puoi accendere il bruciatore quando stai tornando a casa. Ma anche che le informazioni vanno a Google, Facebook e il governo. Un'enorme quantità di sorveglianza, controllo e potenziale invasione.
    Se lasciamo che le grandi aziende tecnologiche controllino le nostre vite, è quello che succederà. Sarà come in Cina, dove alcune città hanno un sistema di credito sociale, c'è tecnologia di riconoscimento facciale ovunque e tutto ciò che fai è guardato. Se attraversi la strada nel posto sbagliato, perdi crediti.
    Non è inevitabile, così come il riscaldamento globale non è inevitabile. Accadrà a meno che la gente non lo fermi.


    AFP: Ma è giustificato per contenere in anticipo il virus?

    Chomsky: Può essere, in tempi di minaccia. Ma nulla è permanente. Puoi dire: "sì, puoi avere questa autorità adesso, ma può essere revocata in qualsiasi momento".


    Notizia del: 25/05/2020

    https://www.lantidiplomatico.it/dett...ggio/82_35198/
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  5. #65
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    Recovery Fund? Qualche giorno di propaganda in attesa del verdetto della Bce



    Di Giuseppe Masala

    Grazie Europa che hai deciso di sfamarci dandoci 750 mld di Recovery Fund. In tre anni. Metà a prestito e l'altra metà da restituire con l'aumento dei contributi al bilancio europeo per i prossimi sette anni e con l'introduzione di una plastic tax.


    Sia chiaro, l'Europa imporrà in cambio di tutto questo bendiddio delle riforme ovvero, meno diritti sul lavoro, più tasse, meno pensioni ecc.

    E quindi cosa ci ha dato? Non lo so. Ma dico viva l'Europa che ci ha dato tuttoquestobendiddio lo stesso.

    Sapete perchè? Perchè non me ne frega nulla.

    Esattamente come non ne frega nulla a loro, dove l'unica cosa che conta sarà qualche giorno di propaganda (poi le condizioni peggioreranno grazie ai paesi frugali che agiscono per conto della Germania).

    Ciò che conta è:

    4 Giugno, Board Bce dove la Lagarde dirà se aumenterà o lascerà invariati i piani di acquisto di titoli pubblici (Pspp, Pepp);

    Una data compresa tra il 4 Giugno ed il 3 Luglio entro la quale il Bundestag voterà un qualcosa (per ora nessuno sa che cosa) e deciderà se Bundesbank uscirà o meno dai programmi di acquisto Bce.

    Tutto il resto, a partire dai Recovery Fund, vero o falso, genuino o manipolato, non conta nulla. Dunque faccio finta di credere alla propaganda e mi accodo: granzieruopa per tutto il bendiddio che ci stai dando
    Notizia del: 27/05/2020

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  6. #66
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    RECOVERY FUND: UN NUOVO GRANDE MES di Leonardo Mazzei




    Sul Recovery Fund abbiamo già scritto la scorsa settimana, a commento della proposta Merkel-Macron. Dopo quella decisiva imbeccata, ieri l’altro la Commissione Ue ha annunciato il suo progetto. Un fondo di 750 miliardi (md), rappresentato da un mix di prestiti (250 md) e di sovvenzioni (500 md, di cui quelli che andranno direttamente agli stati sono meno di 400).

    Sulla parola “sovvenzione” è bene fare subito chiarezza. Senza dubbio è questa la traduzione corretta del termine inglese “grant” usato dall’Ue. Nella lingua italiana possono esserci però due tipi di sovvenzione, quella a “fondo perduto” (elargizione) e quella concessa come prestito a condizioni vantaggiose. Nel caso del Recovery Fund scordatevi pure il “fondo perduto”, che proprio non c’è, salvo che nelle dichiarazioni degli esponenti del governo e nelle solite grida d’appoggio dei pennivendoli di mestiere. In quanto alle presunte “condizioni vantaggiose” ne parleremo più avanti.

    Prima, però, è necessario un passo indietro. Ai politici ed ai media piace molto l’annuncio. Ma l’esperienza ci insegna come tra l’annuncio e la decisione effettiva intervengano spesso differenze sostanziali. Ora, col Recovery Fund siamo appunto alla fase dell’annuncio, cui seguirà una lunga trattativa prima di arrivare alla formulazione definitiva. Ovviamente un annuncio della Commissione Ue ha il suo peso, ma in questo genere di trattative il diavolo sta nei dettagli. Che nel caso specifico sono assolutamente decisivi, sia per la determinazione delle cifre spettanti a ciascuno stato, ma soprattutto per la definizione delle condizioni a cui dovranno sottostare i paesi “sovvenzionati”. Quest’ultima questione è a tutti gli effetti quella veramente decisiva. Non a caso quella più vaga nell’annuncio della Von der Leyen.

    Per capire il problema passiamo subito a quel che è in ballo per l’Italia. Per gli euroinomani ci sarà solo una valanga di soldi direttamente in arrivo dal Brennero. Inutile dire che le cose sono leggermente più complesse. Ammesso e non concesso che le cifre finali siano quelle annunciate dalla Commissione, all’Italia spetterebbero 91 md di prestiti ed 82 md di sovvenzioni. Ovviamente i prestiti andranno restituiti, con quale tasso di interesse ancora non si sa. Anche se i tempi di restituzione dovrebbero essere piuttosto lunghi (dal 2028 al 2058), da un punto di vista finanziario attingere a questi prestiti non sarà poi così diverso dal dover emettere titoli, visto che in ogni caso si tratterà di debito aggiuntivo.

    In quanto alle sovvenzioni bisogna tenere conto che esse verranno coperte con un contributo straordinario al bilancio Ue, che per l’Italia è al momento valutabile in circa 60 md. Dunque, il saldo positivo dovrebbe aggirarsi sui 22 md (82-60=22). Poco più di un punto di Pil, una cifra che a qualcuno sembrerà importante, ma che in realtà è assolutamente modesta. Basti pensare che solo nel settennio 2012-2018 il nostro Paese, nonostante fosse (insieme alla Grecia) quello messo maggiormente in croce dalle regole europee, ha versato nelle casse Ue 36,3 md in più di quanto ha ricevuto! Bene, neppure questa rapina, e nemmeno in tempi di coronavirus, ci viene restituita! Grande la generosità europea!

    Ma il problema non è solo di saldi, di mera convenienza economica. La questione più grande è un’altra. Nelle scorse settimane abbiamo scritto più volte che il punto per l’Italia non è semplicemente il Mes. Il vero problema si chiama infatti Unione europea, della quale il Mes è solo uno degli strumenti. La contrapposizione tra un Mes cattivo ed un Recovery Fund buono è del tutto fuorviante. Sta di fatto che le cosiddette “condizionalità” previste dal Mes, alla fine ce le ritroveremo nella sostanza nel dispositivo del ben più consistente Recovery Fund. In quale forma ancora non sappiamo, ma che ci saranno stringenti condizioni – stavolta chiamate pudicamente “riforme” – è assolutamente certo.

    A qualcuno questa mia lettura delle ultime vicende in sede europea sembrerà eccessivamente critica, più il frutto di un pregiudizio che di un’analisi oggettiva dei fatti. E’ così? Diamo allora la parola ad una persona piuttosto informata di come funzionano le cose nei palazzi europei. Altro non fosse che per la sua personale esperienza, Yanis Varoufakis merita di essere ascoltato.

    Della sua intervista a La Stampa di ieri mi pare opportuno riportare alcuni passaggi.

    Il primo, sull’efficacia del Recovery Fund:

    «Qualcuno dirà che l’Europa finalmente si sta muovendo veloce. Ma la direzione è sbagliata… a un incrocio, dove c’era da una parte l’integrazione finanziaria e politica, dall’altro lo sgretolamento dell’Ue, abbiamo preso la direzione sbagliata».

    A differenza di Varoufakis, chi scrive non vuole certo l’integrazione finanziaria e politica nell’Ue, ma in ogni caso il giudizio di fatto dell’ex ministro delle Finanze di Atene è del tutto condivisibile. Il Recovery Fund consente all’oligarchia eurista di prendere ancora tempo, ma senza risolvere per questo la crisi strutturale dell’Unione.

    Ancora più netta la valutazione di Varoufakis sulla situazione italiana:

    «Bisogna che la Bce emetta eurobond trentennali. Solo così l’Italia si salva. Altrimenti già tra un anno Bruxelles sarà pronta a chiedere politiche di austerity, come ha fatto con noi in Grecia».
    Austerità dunque, che è questa la vera traduzione della parola “riforme”. In ogni caso, per il leader di DiEM25, il piano europeo è del tutto sfavorevole al nostro Paese:

    «Secondo le mie stime inciderà per circa l’1% del Pil italiano per i prossimi tre anni: un valore insignificante. Tanti miliardi, poi, essendo vincolati a investimenti in settori come le nuove tecnologie, saranno dirottati più su Francia e Germania che sull’Italia. Infine i prestiti dovranno essere ripagati e, con un debito pubblico che salirà al 200% del Pil, sarà difficile farlo».

    Che fare allora?

    «La risposta è in una parola: Giappone. E’ uno Stato per certi versi simile al vostro: Paese industriale, votato alle esportazioni con una popolazione anziana. Ma con una sua banca centrale…».

    Insomma, gira e rigira si casca sempre lì. A modo suo Varoufakis è un europeista, ma qui dimostra di avere i piedi ben piantati per terra. Solo l’Italexit e la riconquista della sovranità, politica e monetaria, potranno salvarci. Altro che Recovery Fund, questo nuovo Mes sotto mentite spoglie!

    https://www.sollevazione.it/2020/05/...do-mazzei.html
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  7. #67
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    3 domande ai tifosi del Recovery Fund e una risposta (definitiva) sull'Unione Europea



    di Thomas Fazi

    Secondo alcuni commentatori non sarebbe il caso di fare troppe distinzioni, nel Recovery Fund, tra trasferimenti a fondo perduto e prestiti, perché anche in questo secondo caso stiamo comunque parlando, di fatto, di un finanziamento "in deficit", che dunque dovrebbe essere benvenuto anche da una prospettiva "keynesiana". Se si pensa che la spesa in deficit ("a debito") sia la risposta giusta alla crisi – affermano costoro – perché lamentarsi se i fondi arrivano sotto forma di prestiti, che peraltro otterremmo a tassi di interessi più convenienti di quelli che attualmente paghiamo sui nostri titoli di Stato?

    Secondo la stessa logica, dicono, non ha molto senso fare il bilancio tra fondi versati e fondi ricevuti nel calcolo del saldo netto dei trasferimenti a fondo perduto: se i soldi arrivano ora – si fa per dire –, ma devono essere rimborsati lungo un arco di tempo relativamente lungo, il paese ricevente dovrebbe comunque beneficiare del classico moltiplicatore keynesiano, indipendentemente dal saldo netto finale tra entrate e uscite.

    Ora, c’è un fondo di verità in questa argomentazione: nelle condizioni date, indebitarci nei confronti della UE, da un punto di vista strettamente finanziario (e tralasciando dunque la questione delle famigerate condizionalità), è indubbiamente più vantaggioso rispetto all’indebitarci "sui mercati". La domanda che dovremmo porci, però, è la seguente: perché ci troviamo in questa situazione?

    Perché sui nostri titoli di Stato a dieci anni paghiamo attualmente un tasso di interesse (1,5 per cento) che è poco meno del doppio rispetto a quello del periodo pre-pandemia?

    Perché la BCE ha permesso ai tassi di salire in un momento di emergenza come questo, quando quello che dovrebbe fare una banca centrale in tempo di crisi – e che infatti hanno fatto e stanno facendo tutte le altre banche centrali – è l’opposto: far scendere i tassi di interesse per facilitare le necessità di finanziamento dei governi?

    Perché, in definitiva, siamo messi nella condizione di dover scegliere tra indebitarci "sui mercati" a tassi relativamente onerosi e indebitarci nei confronti della UE a tassi più convenienti?

    ll presupposto da cui partire è che non c’è nulla di "naturale" nel tasso di interesse che attualmente paghiamo sui nostri titoli di Stato. I tassi di interesse, in ultima analisi, vengono decisi dalla banca centrale: da un punto di vista strettamente tecnico, la BCE, se lo volesse, potrebbe tranquillamente portare i tassi di interesse sui nostri titoli di Stato a zero.


    Non ci interessa discutere in questa sede se non la faccia per ragioni "statutarie" o politiche. Il punto è che se oggi paghiamo sui nostri titoli di Stato un tasso di interesse tale da rendere "attrattiva" la prospettiva di indebitarci nei confronti della UE, è unicamente una conseguenza dell’appartenenza alla stessa architettura monetaria della UE.

    Se disponessimo di una nostra banca centrale, infatti, nulla ci impedirebbe di indebitarci a un tasso di interesse nullo o anche negativo – o di vendere i titoli direttamente alla nostra banca centrale –, come fanno attualmente gran parte dei paesi avanzati, incluso il Giappone, nonostante il suo rapporto debito/PIL del 250 per cento, o la Gran Bretagna, nonostante il "terremoto" della Brexit.
    In altre parole, la UE ci sta offrendo la soluzione ad un problema creato da essa stessa: l’assenza di una banca centrale degna di questo nome. Ma questo non è un errore di percorso, quanto piuttosto un aspetto costitutivo dell’eurozona. Se la BCE fosse una "normale" banca centrale, infatti, sarebbe molto più difficile costringere i governi a "rigare dritto", a fare austerità e – come in questo caso – a cedere ulteriore sovranità alla UE.

    Il Recovery Fund è, in ultima analisi, un classico esempio di quella dottrina dei "piccoli passi" o del "piano inclinato" che è stata utilizzata fin dagli albori della UE per promuovere surrettiziamente il processo di integrazione economica. I "padri fondatori" dell’Europa, infatti, consapevoli della mancanza delle condizioni per procedere esplicitamente verso la costruzione di un super-Stato europeo, teorizzarono la necessità di procedere per gradi, attraverso progressivi trasferimenti di competenze e di sovranità in ambiti specifici e circoscritti, in maniera tale da non destare allarme nelle popolazioni degli Stati membri; questo, sempre secondo la dottrina dei "piccoli passi", avrebbe poi determinato le condizioni – il "piano inclinato", appunto – per rendere inevitabili (o apparentemente tali), grazie anche a "crisi" piu? o meno orchestrate a tavolino, ulteriori trasferimenti di sovranità, facendo "scivolare" inesorabilmente i singoli paesi europei verso una "unione sempre più profonda", fino al definitivo svuotamento delle sovranità nazionali. In breve: prima si crea il problema e poi si presenta un'ulteriore cessione di sovranità come l'unica soluzione possibile.

    È questa la vera partita che si gioca intorno al Recovery Fund: la svendita di quel brandello di sovranità
    democratica che ci è rimasta – l’autonomia, almeno dal punto di vista formale, sulle politiche di bilancio e di investimento – e il rafforzamento del carattere oligarchico della UE, attraverso l’accentramento di ulteriore potere nelle mani di istituzioni anti-democratiche quali la Commissione europea, in cambio di due spicci, che in condizioni di sovranità monetaria potremmo tranquillamente reperire autonomamente.

    Il fatto che la nostra classe dirigente sia riuscita a convincere milioni di italiani che l’Italia – nonostante tutto, ancora una delle economie più sviluppate al mondo – sarebbe antropologicamente incapace di perseguire la seconda strada, cioè di gestire autonomamente la propria economia, è indubbiamente una delle conseguenze più drammatiche di vent’anni di "vincolo esterno": l’averci ridotto «in quello "stato di minorità" che è proprio di chi sente la necessità di affidare ad altri le decisioni circa le proprie priorità e il proprio futuro.

    Notizia del: 01/06/2020

    https://www.lantidiplomatico.it/dett...a/33535_35326/
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  8. #68
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    2 giugno. Dopo le parole del premier ceco l'uscita dalla Ue è questione di dignità nazionale



    di Giuseppe Masala

    Quando l'uscita dalla Ue è questione di dignità nazionale.

    Il premier ceco Andrej Babis ha dichiarato inammissibile il Recovery Fund che secondo lui non dovrebbe dare risorse ai paesi indebitati (con alto debito pubblico intende dire) senza che questi garantiscano "che la loro situazione migliorerà in futuro". In pratica il Premier Ceco ci chiede di tagliare il welfare a costo di ridurci alla fame. Vediamo ora un po' da che pulpito viene la predica.

    L'Italia nel 2017 ha pagato 12 miliardi al Bilancio UE per ricevere indietro 9,8 miliardi. Ovvero abbiamo ricevuto meno soldi di quelli che abbiamo dato. La differenza ovviamente è andata da qualche altra parte. Nel 2018 per l'Italia le cose non cambiano: abbiamo versato alla UE 14 miliardi per ricevere indietro 11,5.

    La Repubblica Ceca nel 2016 ha versato 1,361 miliardi, ottenendo invece 4,490 miliardi. Nel 2017 ha finanziato il Bilancio dell’Unione con 1,282 miliardi ricevendo indietro 3,894 miliardi di finanziamenti.

    Evito di guardare i dati storici ma da sempre è così.Insomma, qualcuno dà e qualcuno prende. Precisamente la Cechia prende e l'Italia dà. Chi prende anzichè dire grazie umilia e tratta da accattone chi l'ha sfamato.

    Altro ci sarebbe da dire. Come le decine di aziende italiane che hanno chiuso qui e aperto in Cechia creando migliaia di posti di lavoro.

    Questa è l'Europa. Una cosa invereconda. Dobbiamo andarcene indipendentemente dai discorsi di natura economica. Poi con il tempo ognuno avrà ciò che merita.
    Notizia del: 02/06/2020

    https://www.lantidiplomatico.it/dett...e/29296_35353/
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  9. #69
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    COVID-19: LA VERITA’ di Marcello Teti




    Premessa

    L’uso sistematico della disinformazione strategica, nei riguardi dell’epidemia da coronavirus, è stato lo strumento più importante per riuscire a creare l’attuale clima di paura e di micidiale insicurezza nella popolazione. Una vera e propria epidemia di informazioni artatamente subdole, ambigue, spesso appositamente gonfiate, altre volte false, surrettizie, subliminali. Quasi sempre prive di ogni fondamento razionale, prima ancora che scientifico. Una campagna martellante di notizie date con lo scopo di pompare dosi sempre più massicce di paura e di angoscia in una opinione pubblica atterrita, incapace di distinguere e fare un minimo di scelte critiche. Che accetta ormai supinamente ogni imposizione, ogni sopraffazione dei suoi diritti, quando non è essa stessa addirittura a chiedere ancora più restrizioni. Una sorta di “infodemia” ben più grave della modesta epidemia in atto, la cui sorgente di infezione è proprio il Governo e la sua vasta corte di tecno-scientisti a caccia di fama, potere e lauti guadagni. In verità, senza questi mestatori, millantatori di pseudo verità scientifiche, difficilmente si sarebbero potute creare le condizioni per ingenerare una psicosi collettiva così irrazionale. Va aggiunto subito anche il ruolo decisivo che hanno svolto i grandi mass-media (giornali, tv nazionali e locali, radio, ect) nel creare la situazione surreale che stiamo vivendo da quattro mesi a questa parte. Con grande compiacenza, essi hanno amplificato a dismisura la pletora di informazioni distorte e tendenziose, quando non le hanno inventate direttamente essi stessi. Insomma, una sorta di Min-Cul-Pop (Governo-tecno-scientisti-mass-media) che sta svolgendo egregiamente il compito di soggiogare con il terrore sanitario la maggior parte della popolazione. Ma per quanti sforzi facciano gli strateghi della disinformazione, è pressoché impossibile oscurare i fatti, i dati oggettivi. I numeri hanno la testa dura, si dice. Per quanto possano essere abilmente manipolati, stanno lì e possono essere colti da chiunque, a patto di non avere il cervello obnubilato dalla paura e dal terrore circolante.

    Il Rapporto ISTAT-ISS

    E’ il caso del recente (è del 7 maggio u.s.) rapporto dell’ Istat-Istituto Superiore di Sanità (ISS) [1] in cui sono stati pubblicati i primi dati post Covid-19. Uno studio sufficientemente asettico che fornisce però (probabilmente al di la delle stesse intenzioni di chi lo ha compilato) elementi molto interessanti per confutare la sciagurata narrazione di questa epidemia. Leggendo attentamente il rapporto Istat-ISS emerge come la tanto “mortale” epidemia Covid, sia invece una malattia a bassissima mortalità. Se in Lombardia c’è stata una discreta letalità, lo è stato non tanto in forza della virulenza del virus (che non va confusa con la contagiosità, che invero per il Sars-Cov-2 è accentuata) quanto, in massima parte, per gli incredibili errori commessi da chi ha gestito l’emergenza: amministratori locali, Governo, tecnocrati di regime.

    1.1 epidemia mortale o semplice epidemia influenzale

    Il rapporto conferma, numeri alla mano, quanto era apparso chiaro fin dall’inizio. L’attuale epidemia non è sostenuta da un agente patogeno particolarmente letale, perlomeno non lo è in misura maggiore degli altri virus influenzali con i quali conviviamo a decenni. Al pari di una banale influenza, su 100 persone che contraggono il coronavirus, 80 guariscono spontaneamente dai lievissimi sintomi dell’affezione, anzi la maggior parte di questi neanche si accorgono di aver avuto l’infezione; 15 hanno problemi del tutto risolvibili; infine da 2 a 5 (ma come vedremo, analizzando il rapporto, la percentuale è molto minore) hanno sintomi gravi e generalmente decedono, in larghissima parte anziani, ultraottantenni. Come per altri virus influenzali, anche nel caso del Covid-19, spesso la causa di morte non è direttamente il virus, ma le malattie di cui il paziente era già portatore. Quindi non è corretto, anzi è fuorviante, attribuire, sic simpliciter, la causa di morte al coronavirus a soggetti a cui è stato fatto un tampone in vita o addirittura post-mortem ed è stato trovato positivo al Covid-19. Invece il conteggio dei morti è stato fatto così fin dall’inizio. E’ noto che nei malati cronici con pluri-patologie, una qualsiasi noxa ambientale (termine usato per indicare un agente patogeno o una situazione nociva) compreso il Covid-19, può far precipitare un equilibrio di per se già molto precario. In questi casi, il Coronavirus al massimo potrebbe essersi comportato come una sorta di “anticipatore” di decessi nei confronti di una coorte di soggetti “fragili” (ultraottantenni/novantenni con pluri-patologie) destinati fatalmente all’exitus in tempi più o meno brevi, anche a causa di affezioni molto banali, con o senza il coronavirus. Non vi era dunque alcun motivo razionale, anche solo da un punto di vista sanitario, che suggerisse la follia di bloccare una intera nazione agitando lo spettro di un pericolo che non è mai stato realmente grave, men che meno nel Centro e nel Meridione del Paese, Isole comprese. Come afferma il recente studio Meleam[2] sembrerebbe infatti che “il 30% della popolazione italiana è già entrata in contatto con il virus, fin dalla fine del 2019 e si sia già contagiata e immunizzata”. I casi di Ortisei (45% di positivi) e di Vò Euganeo (75%) confortano tale tesi, che probabilmente il virus si è già diffuso (forse già dal mese di ottobre) molto più di quanto pensiamo e che le misure restrittive poste in essere non erano affatto necessarie. Anzi decisamente inutili. Il succitato studio Meleam rileva inoltre che “il 90% degli infetti non ha manifestato alcun sintomo riconducibile al Covid-19”. Alla faccia, dunque, della terrificante letalità con cui la “scienza di regime” vuole accreditare il Covid-19. Quasi il 30% della popolazione italiana:18 milioni di individui, lo hanno già avuto e neanche se ne sono accorti (sic!).

    per proseguire: https://www.sollevazione.it/2020/06/...ello-teti.html
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  10. #70
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    Predefinito Re: UE ed emergenza coronavirus

    Recovery Fund o Mes? Questo dice Credit Suisse dei BTP



    di Giuseppe Masala

    E mentre il nostro governo sproloquia di Recovery Fund inesistenti al momento questo dicono i banchieri di Credit Suisse in un loro report:

    "In terzo luogo, le linee di swap, combinate con il fatto che le banche centrali straniere prestano dollari attraverso operazioni di pronti contro termine rendono le obbligazioni sovrane straniere e i dollari fungibili! I BTP battono qualsiasi altro tipo di collaterale delle banche che possono essere dati in garanzia alla BCE e alle altre banche centrali che li accettano in garanzie oltre alle obbligazioni sovrane locali - ad esempio la BoE e la BNS - poiché offrono rendimenti migliori rispetto a qualsiasi altra garanzia sovrana che fa parte del bilancio di una banca e il loro prezzo è "protetto" dalla BCE. Questa fungibilità dei BTP con i dollari dovrebbe garantire una forte domanda di BTP dai portafogli bancari per il prossimo futuro (si noti che né i BTP né i Bonos spagnoli sono stati colpiti durante il sell-off globale del mercato obbligazionario della scorsa settimana).

    Mantenere la calma, lavarsi le mani e...continua [a tradare]".


    In pratica ci stanno dicendo che i nostri Btp sono equiparabili a dollari (grazie al Pepp della Bce e agli swap accesi tra Bce e Fed) e che vengono accettati in garanzia anche dalle banche centrali di Gran Bretagna e Svizzera per questo motivo. Insomma, sono in questa fase un investimento sicurissimo e con buon rendimento. E noi, anzichè fare il pieno emettendo per finanziare la ripresa aspettiamo come dei grulli i Recovery Fund e addirittura il Mes. Amen.
    Notizia del: 12/06/2020

    https://www.lantidiplomatico.it/dett...p/29296_35572/
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