MA L?ITALIA E' VEREAMENTE UN BEL PAESE? PRIMA PARTE
Di
, 11-06-12 alle 11:13 (1226 Visite)
Roberto Moro
Ma l’Italia è davvero un Belpaese?
1. Nel suo immobilismo l’Italia appare come un paese testardamente replicante, un paese blindato nella sua mobilità sociale e culturale. Questa storia immobile e ripetitiva si è oggi ulteriormente appesantita e trasformata in una generale sfiducia. Sfiducia nella classe politica e dirigente, sfiducia nelle istituzioni, sfiducia nel futuro della convivenza nazionale a favore di un individualismo che nulla ha più di creativo e confonde libertà e privilegio, libertà e assenza di regole. In questo clima nel quale la temperatura storica e sempre più bassa e forse vicina allo zero ci apprestiamo a celebrare il 150° anno del processo unitario. La società italiana sembra franare verso il basso sotto un’onda di pulsioni sregolate. L’inconscio collettivo appare senza più legge, né desiderio. E viene meno la fiducia nelle lunghe derive e nella efficacia della classe dirigente. È questo il clima che registriamo quotidianamente: una temperatura sociale e istituzionale sempre più vicina allo zero. Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita. È una temperie nella quale la storia, il legame con il passato, appare sempre più opaco e, di riflesso, si allontana il futuro. Quel che si registra è la crisi dei miti fragili dell’ultimo ventennio: il primato del mercato, la verticalizzazione e personalizzazione del potere, il decisionismo di chi governa. [Rapporto CENSIS 2010]
2. La nostra classe dirigente attuale, a differenza di quanto accade in altri paesi, non è né coesa né solidale. Possiede una grande consapevolezza di sé e nessuna consapevolezza dei problemi generali. Non è mai riuscita a costituirsi in élite responsabile. È più semplicemente il frutto della tradizione feudale che connota ancora il nostro Paese. La sua fragilità e la sua pochezza derivano dai meccanismi ereditari o di “cooptazione benevola” che ne hanno segnato i percorsi nel corso degli anni. Rari sono i casi che hanno visto premiato il merito, l’applicazione, le capacità. Questa “classe dirigente generale” deve ri-costituirsi in una vera e propria grande “agenzia di senso” e ri-prendere in mano il destino e il futuro dell’Italia. [Rapporto EURISPES 2011]
3. Un Paese diviso da tensioni vecchie e nuove, sempre più profonde. Un Paese contraddittorio, attraversato da risentimenti e timori sempre più diffusi. La prima linea di divisione separa la società dalla politica. Cresce, anzitutto, la sfiducia verso i partiti. Ma anche verso il Parlamento. E vien percepito l'indebolirsi dei legami tra le persone e, insieme, la rimozione del futuro dall'orizzonte sociale. Fra gli italiani è cresciuta la sfiducia verso il futuro ma soprattutto nei confronti degli altri. Noi: sempre più stranieri a casa nostra, perché gli altri ci appaiono stranieri. Noi: schiacciati nel presente perché impauriti dal futuro. Un Paese sospeso e diviso tra molte Italie. Anche se gran parte della popolazione, alla vigilia delle celebrazioni del 150° anniversario, considera l'Unità d'Italia una conquista positiva, molti segnali vanno in direzione opposta. Ed evocano un clima di ri-sentimento nazionale. Acceso dai progetti di riforma in discussione in Parlamento. Primo fra tutti il «federalismo», percepito come una minaccia da ampi settori della popolazione. [Rapporto DEMOS 2010]
4. In questi mesi la società italiana si è rivelata fragile, isolata e eterodiretta. Siamo fragili a causa di una crisi che viene dal non governo della finanza globalizzata e che si esprime sul piano interno con un sentimento di stanchezza collettiva e di inerte fatalismo rispetto al problema del debito pubblico. Siamo isolati, perché restiamo fuori dai grandi processi internazionali (rispetto all’Unione europea, alle alleanze occidentali, ai mutamenti in corso nel vicino Nord Africa, ai rampanti free rider dell’economia mondiale). E siamo eterodiretti, vista la propensione degli uffici europei a dettarci l’agenda. I nostri antichi punti di forza (la capacità di adattamento e i processi spontanei di autoregolazione nel welfare, nei consumi, nelle strategie d’impresa) non riescono più a funzionare. Viviamo esprimendoci con concetti e termini che nulla hanno a che fare con le preoccupazioni della vita collettiva (basti pensare a quanto hanno tenuto banco negli ultimi mesi termini come default, rating, spread, ecc.) e alla fine ci associamo ‒ ma da prigionieri ‒ alle culture e agli interessi che guidano quei concetti e quei termini. [Rapporto CENSIS 2011]
E si potrebbe continuare in un oceano di dati, numeri, notizie, dibattito, inchieste e libri e recensioni di libri di una interminabile biblioteca persa nella polvere del tempo. e la domanda con la quale possiamo concludere ancor prima di cominciare è una sola, evidente: ma questo è davvero un Belpaese?
Ma è questo lo scenario che fa da sfondo al racconto di un anno, il 2011, un anno terribile. E forse anche un anno di svolta, di cambiamento di rotta e ...