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Maestrale

Le 2 facce della Luna

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Prologo: Lei


Si piazzò davanti alle porte della navetta, in piedi, almeno 5 minuti prima dell'arrivo a destinazione, in modo da essere la prima ad uscire. Non che ce ne fosse bisogno, la navetta era quasi vuota a quell'ora. Ma, come spesso le capitava, si era ridotta a far la spesa di corsa all'ultimo momento. Nera era fatta così: se una cosa non le piaceva recalcitrava fino all'ultimo momento utile, quasi come se continuando a rimandare le incombenze, esse sparissero da sole, oppure venissero svolte da qualcun altro, chissà da chi. Per poi sbrigare le commissioni di fretta e con una buona dose di ansia. Era un retaggio adolescenziale e lo sapeva, ogni volta si riproponeva di cambiare, ma alla fine si ritrovava punto a capo. Non che non ci tenesse, o che vivesse serenamente la sua pigrizia. Anche perchè quando era più magnanima con sè stessa ci pensava suo padre a risvegliare il suo senso critico (e le critiche di papà erano praticamente quotidiane, puntuali come una sveglia a microchip). Ma non c'era niente da fare, era più forte di lei, rimandava il più possibile.

Quando le porte si aprirono, si precipitò verso l'Ipermercato, riuscendo a correre quasi come se fosse sulla Terra. Ormai erano anni che veniva a trovare suo padre ogni 6 mesi, e non aveva più bisogno degli esercizi col fisioterapista che fanno tutti i nuovi arrivati non appena sbarcano a Perseverantia. I novelli qui li riconosci subito, d'altra parte lo era stata anche lei. Si muovono goffamente come se dovessero imparare a camminare per la prima volta. Qualche volta le era capitato di assistere a scene piuttosto divertenti, tipo quella di incontrare qualche autorevole militare sulla cinquantina che gattona come un neonato nei corridoi della base, terrorizzato dalla paura di decollare all'improvviso e infrangersi sul tetto in titanio. Il suo corpo piccolo e snello invece aveva interiorizzato piuttosto velocemente la differenza di gravità fra la Terra e la Luna, e nel giro di poche settimane dal suo primo sbarco Nera era già in grado di muoversi disinvolta come se fosse sempre stata qui.

Corse così veloce verso l'ingresso dell'iperstore che il lettore antiterrorismo non fece in tempo a registrarla, motivo per il quale prese una leggera scossa alla caviglia sinistra.
"Ma vaffan..." imprecò, con una smorfia sul volto.
Non perse tempo a finire di sillabare il concetto, e si ridiresse subito di fronte al lettore, appoggiando la mano con una certa veemenza, e fissando il macchinario il cagnesco. Il lettore, evidentemente intimidito dall'aggressività della fanciulla, questa volta ci impiegò solo un secondo a riconoscere il polpastrello del suo indice sinistro e ad accendere la luce verde, permettendole di entrare nell'iperstore.



Lui

Entrò in casa alle 6 in punto, stanco morto come al solito. Anche oggi avrebbe voluto farsi un paio di mani a The hide guy con gli altri braccianti alla fine del turno, ma non poteva. Era giorno di provviste per il branco (così amava chiamare, in spirito cameratesco, gli altri 4 ragazzi che abitavano con lui nell'alloggio Q56 della stazione Polenta, in pieno Firmico) e toccava a lui.
Era stato un turno massacrante. Erano i giorni del censimento sementiero alle piantagioni, e per lui era di gran lunga più stancante star tutto il giorno davanti ai monitor a inserire dati, piuttosto che andar nelle serre a bordo dei trattori robotici. Come al solito anche quel giorno aveva malditesta, e il dottore proprio ieri gli aveva detto che probabilmente la causa era la sua vista. Peccato che il prossimo turno dell'oculista su Polenta è fra una settimana, gli aveva risposto lui. Non che al dottore interessasse un granchè, sia ben chiaro. Lui abitava senz'altro dalle parti del Lago di Perseveranza, o giù di lì. Zona di ricchi, quella. Gente che ha tutti gli oculisti e gli ottici che vuole, a qualsiasi ora del giorno.

Era già nudo di fronte al vano doccia, quando si accorse che era già occupato. Fece un rapido ragionamento per capire chi c'era dentro. I 2 algerini sicuramente in quel momento non c'erano, perchè era il periodo di ramadam e quindi o lavoravano o passavano il tempo a pregare rivolti alla Mecca. E quando dico rivolti alla Mecca, intendo proprio che la guardavano in faccia, in mondovisione. Sì signori, perchè dalla sala del Cupolone di Polenta si vede sempre distintamente il nostro amato pianeta natale, e si riesce persino a scorgere la penisola arabica con un buon cannocchiale. Quindi difficilmente era uno di loro 2.
Anche Ivo non poteva essere, 10 ore fa prima di uscire lo aveva sentito che dormiva pesantemente. La russata del portoghese è inconfondibile, è l'unica che si sente in tutte le stanze dell'alloggio. Quindi faceva il turno successivo, e ora senz'altro sta lavorando.
Rimane Giuseppe.

Si mise a bussare vigorosamente sulla porta di ferro.
"Giuseppeee!"
Niente per 5 secondi circa. Poi l'acqua si spense.
"Chi è.... Piero?""
"Devo andare a fare la spesa."
Pausa di un altro paio di secondi.
"Ma che ore sono?"
"Le sei e venti."
"Aspetta, esco subito."
Clang! La porta si aprì.
"Che cazzo fai tutto nudo?"
"Anche tu fai la doccia nudo"
"Sì, ma quando sono entrato in doccia io non c'era nessuno. E nonostante questo come vedi ho addosso l'asciugamano, che mi son portato dentro prima di entrare."
"Tranquillo, oggi non ti violento."
"Sei proprio un milanese ricchione."
"E tu sei un terrone. E poi non sono milanese, te l'ho già detto. I miei erano di Tortona."
"Sempre quella parlata del cazzo hai." disse Giuseppe, sorridendo.
"Spostati, vah."
Clang! la porta si richiuse, e Piero accese l'acqua.
"Non capisco proprio perchè quando tocca a te devi andare a far provviste in un posto in culo al mondo... anzi in culo alla Luna."
"Che t'importa?"
"M'importa perchè quell'iperstore è al confine con un quartiere ricco, e quindi i prezzi sono quasi il doppio."
"Ti ho già detto che la differenza la metto tutta io."
"Contento tu. Se ti piace buttar via i soldi."
L'acqua si spense di nuovo. Clang! Piero uscì.
"Minchia, questo lo chiami fare la doccia? Un minuto e mezzo c'hai impiegato!"
"Volevo solo darmi una rinfrescata. Devo viaggiare da solo, non devo broccolare in discoteca. Ahmed ha fatto il pieno all'autocisterna? E ha controllato le gomme?"
"Echemminchia ne so io. Chiamalo." disse Giuseppe, ormai vestito, uscendo dal bagno.

Era inutile chiamarlo, e lo sapevano entrambi. In quel momento probabilmente era sdraiato sul suo tappetino al Cupolone, a pronunciare quella specie di rosario incomprensibile. Quindi non avrebbe mai risposto. Ma come Piero immaginava, Ahmed aveva fatto quanto aveva promesso, come sempre. Quel ragazzo sembrava più uno svizzero che un algerino, sia per l'aspetto che per la precisione.

Piero salì sull'autocisterna, la accese e impostò il pilota automatico. Dopodichè inclinò il sedile e si apprestò finalmente a riposare, sperando di non essere svegliato dall'allarme del navigatore. Fortunatamente per Piero, l'autocisterna nel suo cammino verso l'iperstore non incontrò nessuna buca, sasso o qualsivoglia ostacolo che necessitasse la guida manuale per evitarlo. Così potè dormire per ben 3 ore, al termine delle quali l'autocisterna arrivò a destinazione con ampio anticipo rispetto all'orario che si era dato.

Loro

To be continued....

Aggiornato il 19-03-16 alle 02:48 da Maestrale

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Commenti

  1. L'avatar di Maestrale
    Pensa Violet che ho in testa questa storia da un pò ma ci sono punti che ancora non mi sono chiari. Uno di questi è che non avevo idea di come far incontrare questi due ragazzi così diversi sulla Luna. Poi qualche giorno fa ho letto proprio il tuo bel blog sul supermercato, e... tac! Anche sulla Luna si deve mangiare, come ho fatto a non pensarci prima. Merito anche tuo quindi
    Quando venderò milioni di copie ti dovrò riconoscere una percentuale
  2. L'avatar di Maestrale
    Loro


    Erano entrambi nel corridoio della frutta esotica, l'uno di fianco all'altra. Nera aveva solo uno zainetto e un sacchetto biodegradabile, come quelli che si usavano nei vecchi supermercati del XXI secolo. Anche il resto del suo aspetto a prima vista poteva sembrare un pò retrò. Era una di quelle persone che, quando le incontri in giro, probabilmente riescono ad attirare l'attenzione più facilmente di altre, distogliendoti dai tuoi pensieri quotidiani per qualche secondo. Non che si vestisse in modo eccentrico, quello no. E' che se la guardavi per più di un istante, ti accorgevi che il suo in realtà era un look, sì, trasandato, ma anche estremamente ricercato. Non apparteneva alla classe povera, ma si vestiva così perchè le piaceva. Era la sua moda personale. Probabilmente per la stessa ragione che la spingeva a rifiutare il RoboTaxi che suo padre le insisteva a metterle a disposizione ogni volta che doveva andare a far la spesa, naturalmente invano. A nulla serviva la cocciuta insistenza del padre, che non riusciva proprio a capire perchè sua figlia si dovesse esporre a tutti i pericoli di uno spostamento sul suolo lunare, passando in zone non pressurizzate su un semplice autobus a 4 ruote probabilmente male ossigenato. Ma in queste piccole battaglie familiari lei aveva sempre la meglio e, seppure il padre non riuscisse a capirla, aveva le sue ragioni. Lei preferiva prendere la navetta, come qualsiasi altro pendolare che veniva a lavorare al Lago della Perseveranza, perchè le piaceva inserirsi nel variegato mondo degli esseri umani comuni per osservarli. I loro volti raccontavano storie che il suo inconscio, in qualche modo, percepiva. Storie drammatiche, intense, racchiuse in ogni singola ruga. Storie di vita. Storie che poi lei riproduceva sulla tela, quando ritraeva i loro volti.

    Ad essere sinceri Piero l'aveva già notata, ma non per il suo look. Dieci minuti prima, nel lungo corridoio delle farine da coltivazioni lunari, aveva notato il suo fondoschiena, che gli passò di fianco mentre lui cercava di far entrare due sacchi di farina di riso nel suo carrello elettronico. Per un paio di secondi fu ipnotizzato dai suoi fianchi, che sembravano ondeggiare ad un ritmo perfetto mentre la ragazza si allontanava. Poi il suo riflesso condizionato di maschio terminò così come era iniziato, e non appena fu tornato cosciente ricominciò la sua guerra con le leggi della fisica, che gli impedivano di inserire quei sacchi in uno spazio, a loro dire, insufficiente. Dopo esserci riuscito, nel carrello non entrava più niente. Al massimo ci stavano ancora i datteri per i 2 compagni algerini, ma per quanto riguarda le latte coi preparati energetici, e soprattutto le sue bottiglie di Barbera, non c'era niente da fare. Per fortuna Ahmed, quando aveva fatto il calcolo delle provviste da acquistare per quel mese, lo aveva ammonito sul fatto che nel carrello non ci sarebbero entrate tutte. E per evitare di noleggiarne un altro (il noleggio dei carrelli elettronici costava 5 euro l'ora in quell'iperstore), gli aveva prestato una delle sue sacche da minatore. Ahmed calcolava tutto alla perfezione, non sbagliava quasi mai. In quell'occasione però, commise un piccolo errore. Non si accorse che la sacca che aveva prestato a Piero aveva una piccola lacerazione, sul fondo. Nè se ne accorse Piero. E, come capita alle persone precise quella volta su cento in cui sbagliano, successe un casino.

    Nera cercava di ricordarsi se al Vice Vicario di Perseverantia, nonchè sottosegretario alla sicurezza e maggiore delle forze antisommossa, valoroso eroe nazionale della Prima Guerra Lunare e, nei ritagli di tempo, anche suo padre, piacessero gli ananas. Quando Piero parcheggiò il carrello elettronico e si avvicinò con la sacca in spalla al bancone della frutta esotica, riconobbe subito i fianchi che aveva adocchiato prima. Ora che aveva quasi finito la scorta (la sacca era già stata riempita con le latte), istintivamente dedicò più tempo all'osservazione di quella creatura, cercando di farlo nel modo più discreto possibile. Era una ragazza minuta, con la carnagione chiara e un bel fisico atletico. Fu catturato soprattutto i suoi occhi che, al pari dei suoi capelli, non erano castani, erano proprio neri. Nerissimi. Ed erano intenti a scrutare un ananas che la ragazza aveva in mano, che continuava a rigirare da parte a parte, in cerca di chissà quale dettaglio che le permettesse di scoprire il segreto di quel frutto.
    Il tempo che Piero dedicò all'osservazione di Nera durò per 3 secondi netti. Forse sarebbe durato anche di più, ma non lo sapremo mai. Perchè allo scoccare del terzo secondo la sacca di Ahmed, evidentemente esausta, decise di porre termine alla sua lunga e faticosa vita. E non fu un'uscita di scena silenziosa, no signori. Il fondo della sacca si lacerò di colpo, e le 6 latte da 2 chili l'una precipitarono una dopo l'altra sul pavimento in ferro.
    Il frastuono fu tale che venne udito in tutto l'iperstore. Piero sentì la sacca rinculare verso l'alto sulla schiena per ben 6 volte, come il cannone di un vascello che spara le sue pesanti munizioni alla velocità di una mitraglietta. Al primo colpo non capì, addirittura gli passò per la testa l’ipotesi che fosse in corso un attentato dei ribelli. Poi, sentendo sulla schiena la sacca che si svuotava, e vedendo una delle latte che rotolava lungo il corridoio, realizzò. E fu peggio, perché istintivamente cercò di fermare la quarta latta col piede. E naturalmente, come potrebbe capitare a chiunque cercasse di calciare al volo una latta da 2 chili, si fece male. In più calciò la latta, che nel frattempo si era aperta, verso Nera. Quando la sacca era quasi vuota, adottò un'ultima, disperata misura per fermare questa incontrollabile escalation di eventi: cercò di togliersi la sacca dalle spalle. E così facendo, nel gesto di roteare il braccio, riuscì a far cadere l’ultima latta su un cesto di susine gialle, sullo scaffale davanti a loro. Il risultato fu una bella macedonia. Strike, pensò.
    Nera si spaventò, svegliata di soprassalto dal mondo interiore in cui si era chiusa insieme all’ananas che aveva in mano. Ma che cav…, si girò di colpo e vide un ragazzo che calciò al volo, imprecando, una grossa lattina di ferro. Fu un attimo. La lattina fece un rimbalzo, si aprì, e prese a correre dritta verso di lei, fermandosi solo quando le sue scarpe opposero resistenza. Le si rovesciò sul piede destro una montagna di crema arancione, ricoprendole abbondantemente anche la parte bassa dei fuseaux, e in parte anche l’altra scarpa. Anzi, a ben guardare poi, gli schizzi di quella roba puzzolente erano dappertutto intorno a loro. Anche sulla sua maglietta. Alzò lo sguardo, e incrociò quello del ragazzo.
    Si fissarono per un istante senza dire niente. Ci fu qualche secondo di silenzio in tutto il corridoio, anche fra le poche persone nei paraggi che guardavano increduli la scena. Poi Piero, che era un mago delle sintesi, ruppe il ghiaccio con un’unica parola, quella che riassumeva il suo pensiero in quel momento.
    “Cazzo.”
  3. L'avatar di Maestrale
    Citazione Originariamente Scritto da v!olet
    romanticismo = zero => mi piace moltissimo

    bravo maestrale !! per non aver saputo fino a ieri come farli incontrare, bisogna dire che il racconto fluisce che è un piacere..

    vediamo come continua ?
    Coming soon
  4. L'avatar di Maestrale
    Matisse

    I piccoli robot delle pulizie accorsero velocemente, come formiche che si avventano su un pezzo di pane.
    "Davvero, scusami... sorry." Armeggiava nella sua tuta da bracciante, alla ricerca dei suoi fazzoletti umidi.
    "Sono italiana anch'io" disse lei, immobile, senza toglierli gli occhi di dosso.
    Piero interruppe brevemente la sua ricerca e la guardò. Poi riprese la sua perquisizione nelle tasche, senza aggiungere altro.
    Mentre lui continuava la sua ricerca febbrile nelle tasche, Nera disse:
    "Che roba è?"
    "Un omogeneizzato di tonno e peperoni."
    "Che schifo."
    "Anche a me non piace, ma Usuf lo adora."
    "Chi è Usuf?"
    "Uno dei miei coinquilini. E' algerino."
    "Usuf non è un nome da algerino."
    Questa volta la guardò senza interrompere la ricerca del fazzoletto.
    "Beh, mi pare che suo padre era turco... o giù di lì. Ecco."
    Le porse il fazzoletto.
    "Grazie." disse, accettandolo.
    Peccato che quei fazzoletti fossero concepiti per permettere ai braccianti di ripulirsi dalla polvere lunare. Che, al massimo dopo un'ora di permanenza sulla tuta dei lavoratori, tornava ad assumere lo stato originale che aveva prima dell'irrigazione artificiale. Cioè tornava secca. L'omogeneizzato invece era umido, quindi l'effetto fu opposto. Il preparato si espanse sulla maglietta come una macchia d'olio. Per fortuna alle sue scarpe, oltre che al resto del pavimento, ci stavano pensando le formiche robot, che erano molto più professionali.
    "Adesso sembro un quadro del Matisse." disse lei, dopo il disastroso tentativo di riportare la maglietta al suo beige originale.
    "Oh, cazzo.... senti..." disse Piero, grattandosi la testa "ho delle tute da lavoro pulite nell'autocisterna. Se mi aspetti qua vado al parcheggio, ne prendo una e te la regalo, ci metto un attimo. E' il minimo che possa fare dopo tutto il casino che ho combinato."
    "Grazie. Ma non posso. Devo prendere l'ultima navetta fra un quarto d'ora, non c'è abbastanza tempo."
    "Dove devi andare?" chiese lui.
    "Perseverantia."
    Piero guardò l'orologio digitale sullo schermo a muro, a pochi metri dallo scaffale
    "Guarda che l'ultima navetta per Perseverantia partirà verso le 10.30. Lo so perchè vado ogni settimana a ritirare le ricevute del mio stipendio, nella colonia del Lago della...."
    Non potè finire la frase, perchè Nera lo interruppe, sbarrando gli occhi mentre leggeva lo stesso display.
    "Ma sono già le 10 e 24! Scusami, devo correre alle uscite."
    "Aspett..." facendo un passo verso di lei, Piero si rese finalmente conto delle condizioni del suo piede. Una fitta lancinante lo sorprese, percorrendo il suo corpo dal piede al cervello in un nanosecondo. Istintivamente si appoggiò alla spalla di lei. Poi quando il dolore si affievolì se ne accorse e, arrossendo un pò, cambiò sostegno e si appoggiò allo scaffale.
    "Se vuoi posso accompagnarti io. Non ho l'autorizzazione ad entrare a Perseverantia, però posso lasciarti ad una delle porte d'ingresso della colonia." le disse.
    Nera ci pensò un istante, poi prese la sua decisione. "Sei gentile, grazie. Ma non ce n'è bisogno, ce la faccio. Ciao."
    Piero guardò l'agile creatura che si allontanava correndo. Lo zaino in spalla e il sacchetto in mano sembravano non costituire alcun limite per quelle falcate, anzi si adattavano perfettamente alla velocità del ritmo imposto dalle gambe. Probabilmente non sarebbe riuscito a starle dietro neanche con i piedi sani.

    To be continued...
  5. L'avatar di Maestrale
    Nella merda

    Alle casse automatizzate c'era parecchia coda. La vicinanza del Natale si faceva sentire anche qui sulla Luna. Molti braccianti, qualche minatore, ma soprattutto tutti gli impiegati e i funzionari originari dei paesi occidentali usavano lasciare il satellite nel periodo natalizio, per tornare sulla Terra a passare le feste coi propri cari. E alcuni di loro acquistavano qui i loro regali. Per esempio quelli a cui, prima di ripartire, la scorsa estate il figlioletto prediletto ha detto Papà, quando torni mi porti qualcosa dalla Luna?
    Non che le merci poi fossero veramente Made on Moon, intendiamoci. Sulla Luna l'essere umano faceva solo 2 cose da quando l'aveva colonizzata: coltivare cereali ed estrarre elio-3 per le nuove centrali a fusione nucleare. Ma, accidenti, erano cose da cui dipendeva il destino di qualche decina di miliardi di persone.
    Tutte le altre merci venivano fabbricate sulla Terra, piazzate negli store delle colonie lunari, acquistate e riportate indietro a Natale. Ma i bambini in questione erano comunque felici di potersi vantare con i compagni di gioco di possedere un oggetto di un altro mondo, e tanto bastava.
    A Piero piaceva il periodo natalizio. I corridoi di Polenta si svuotavano, restava solo chi, come lui, non aveva nessuno da andare a trovare sulla Terra, oppure non aveva sufficiente disponibilità economica per permettersi il viaggio di andata e ritorno. Era quella ormai la sua famiglia, da quando i genitori morirono nell'eccidio di Centro Firmico, durante la Prima Guerra Lunare, quando lui aveva 11 anni.
    Quando fu il suo turno alle casse robotiche, scese dal carrello automatizzato zoppicando, e iniziò con la sacca nuova, appena comprata nel reparto fai da te, riempita nuovamente di preparati energetici dopo l'incidente avuto con la ragazza dagli occhi neri. Inserì nello stesso buco di ferro anche gli acquisti che erano nel carrello, e quando ebbe finito mise il polpastrello del suo indice sinistro sul lettore. La voce femminile del macchinario lo ringraziò e gli augurò buona giornata, sebbene la notte lunare di novembre fosse già iniziata da più di 100 ore.

    Dopo aver versato il contenuto del carrello nella cisterna, e appoggiata la sacca sopra uno dei sedili passeggero, si sedette al posto di guida e si aprì lo stivale.
    Lungo il lato esterno del suo piede sinistro c'era una bella protuberanza violacea che a brevi intervalli regolari mandava impulsi di dolore al suo cervello. Sapeva che avrebbe dovuto medicarsi al più presto, ma nell'autocisterna non c'era alcun kit del pronto soccorso. Era abbastanza esperto di infortuni perchè nelle piantagioni erano all'ordine del giorno. Le norme della sicurezza sul lavoro erano roba da lavoratori terrestri. Sulla Luna qualche politicante locale ne parlava giusto prima delle elezioni, per poi sparire negli anni successivi, mentre lui e i colleghi andavano a raccattare con barelle di emergenza gente che subiva ferite di ogni tipo: dai semplici malori, fino ai cadaveri recuperati in qualche miniera. Magari una settimana dopo il suo imprevedibile crollo, con calma.
    Esaminò il suo piede. Se era fortunato, si trattava semplicemente di un bell'ematoma. Se invece non lo era, c'era anche qualche microfrattura.
    E a quel punto, realizzò di colpo.
    Sono nella merda

    Passi per il malditesta da vista, per quello aveva preso già preso una nanocapsula prima di partire. E comunque se fosse peggiorato aveva le capsule con sè.
    Ma con quel piede non poteva guidare, non c'erano storie. Se provava a piegare la caviglia sinistra vedeva le stelle. Perciò niente freno. E senza freno, niente possibilità di guida manuale. Affrontare il deserto lunare in queste condizioni era troppo pericoloso: se l'autocisterna avesse incontrato ostacoli che il pilota automatico non era in grado di evitare sarebbe rimasto lì. Magari in una zona poco coperta dalla rete, senza la possibilità di avvertire i soccorsi. Per non parlare della Polizia Lunare di Firmico: se lo avessero beccato alla guida con quella ferita gli avrebbero senz'altro ritirato immediatamente l'autocisterna con tutto il carico.
    Al pensiero di tutto ciò che questo comportava, gli aumentò il maldistesta nelle tempie. Era inutile chiamare i compagni d'alloggio, perchè non possedevano altri mezzi per spostarsi da una colonia all'altra. E lo avrebbero giustamente sfanculato per aver deciso di far provviste a 17 km da casa. Restava una sola possibilità: chiamare un RoboTaxi, e tornare indietro senza provviste. Per poi mandare qui qualcuno del branco (che lo avrebbe comunque sfanculato) a riprendersi tutto.
    Nervoso, aprì lo sportello e uscì zoppicando nel parcheggio dell'iperstore, a fumarsi una sigaretta.

    Sta diventando la spesa più costosa dell'universo. Passeggiava (anzi, zoppicava) nervosamente Tutto per un cazzo di buco in una sacca del cazzo! Immerso nei suoi pensieri, questa volta non fu lui a notarla per primo.

    "Ehi!"
    Si girò di scatto, barcollando per la conseguente fitta di dolore al piede.
    "Cosa fai qui?" gli chiese.
  6. L'avatar di Maestrale
    Il padre che non c'era

    Acquistò le ultime cose afferrandole al volo, mentre correva per i corridoi svicolando fra le persone come se fossero paletti di uno slalom di sci alpino. Per fortuna conosceva a memoria l'ipermercato, e alle 10.27 era già davanti alla cassa. Ma trovò 6 persone in fila.
    Urca, e adesso cosa faccio. Si guardò intorno. Alle altre casse la fila era più o meno uguale. Ma proprio oggi doveva esserci tutta quella ressa? Dalla vetrina dell'ingresso vide la navetta che aveva già i led accesi, pronta a partire. Le scocciava dover contattare suo padre e farsi mandare un RoboTaxi, ma sembrava proprio che questa volta non ci fosse alternativa.
    Quando, qualche minuto dopo, la fila non si era mossa di un millimetro e vide la navetta scomparire dietro al portellone d'ingresso della colonia commerciale, accettò definitivamente la situazione e pensò al da farsi.
    Appena uscita, estrasse il Teled nella tasca, selezionò il recapito del padre e proiettò la videochiamata su uno degli schermi a muro del parcheggio. Lo schermo rimase blu. Riprovò una seconda volta. E una terza.
    Niente. Papà non si decideva a comparire su quel benedetto schermo. Evidentemente era ad una importante riunione di lavoro, come sempre. Come quando era un'adolescente e lui non si presentò ai campionati femminili di ciclismo. O come quando non potè venire alla sua maturità. O come quando, recentemente, non lo vide alla sua prima mostra in una galleria d'arte di Milano. In quest'ultimo caso non trovò neanche il tempo di telefonarle per complimentarsi. E non perchè fosse impegnato, ma perchè non capiva, o non sapeva, quanto fosse importante per lei. Quello schermo blu era la metafora perfetta del suo senso di solitudine. Il vuoto lasciato dal padre che, nei momenti in cui lei lo avrebbe tanto voluto, non c'era.
    Rimase assorta nei suoi pensieri deprimenti per qualche istante, poi reagì. Decise che non avrebbe aspettato che il padre la richiamasse, e che se la sarebbe cavata da sola anche questa volta. Cercò un posto appartato nel parcheggio degli automezzi, e frugò nella borsa. Non avendo un proprio automezzo, nè tantomeno la patente lunare, quando usciva dalla colonia della capitale su navette, RoboTaxi, Aviotraghetti o altri mezzi pubblici Nera si portava sempre dietro il suo kit di emergenza. Era arrivato il momento di sperimentarlo.
    Trovò entrambe. La tuta aderente a riscaldamento interno, e il tubetto di ossigeno.
    Tenendo entrambi gli oggetti in mano, cercò un posto isolato nel parcheggio.
    Il posto più appartato le sembrò quello tra una grossa autocisterna e un fuoristrada da roccia dura. Si appostò in mezzo ai 2 grossi automezzi e si guardò intorno. Nessuno. Bene. Si chinò e iniziò a spogliarsi.
    Quando si era tolta i pantaloni sentì il rumore di un carrello robotico avvicinarsi. Rimase immobile, abbracciata alle sue gambe nude, sperando che il rumore cambiasse direzione o si interrompesse. Ma non fu così. Il rumore terminò proprio di fianco all'autocisterna, a pochi metri da Nera. Sentì azionare i meccanismi di carico merci. Era il proprietario dell'autocisterna.
    Il solito culo!
    Poi da sotto il telaio vide i suoi piedi, dall'altra parte del veicolo, che si avvicinavano al posto di guida, a passi irregolari. Forse era ubriaco.
    Perfetto, anche violentata da un camionista ubriaco. Non dovrà nemmeno fare la fatica di strapparmi i vestiti.
    L'ubriacone salì, e chiuse la portiera. Nera tirò un sospiro di sollievo, per fortuna non si era accorto di lei. Raccolse le sue cose alla svelta, con l'intenzione di sgattaiolare via prima che l'autocisterna partisse, ma in quel momento la portiera si riaprì. Nera si bloccò di colpo, come se fosse stata colpita da un fulmine paralizzante.
    Oddio, mi ha vista negli specchietti.
    Col cuore che le batteva all'impazzata raccolse la pietra più grossa che trovò nei paraggi. Sentì il camionista accendersi una sigaretta, poi camminare intorno all'autocisterna. Terrorizzata, Nera tese i muscoli del suo braccio, pronta a scagliare quel sasso con tutta la sua forza non appena la testa di quel maniaco sessuale fosse in vista. Poi lui le passò davanti senza degnarla di uno sguardo, e lei vide il suo profilo. A quel punto lo riconobbe. Era il calcialattine di prima.
    "Ehi!" gli disse.

    Il ragazzo si girò di scatto.
    "Cosa fai qui?" gli chiese.
  7. L'avatar di Maestrale
    Catwoman

    Errata corrige:

    "Ehi!" gli disse.
    Il ragazzo si girò di scatto.
    "Cosa fai qui?"le chiese.

    -----------

    "Ho perso la navetta."
    Con la sua andatura zoppicante si avvicinò alla ragazza, che nel frattempo si era liberata del sasso e cercava di coprirsi le gambe con lo zaino e i suoi vestiti.
    "Perchè sei nuda?" disse, guardando le sue cosce.
    "Mi stavo cambiando."
    Si guardarono per un istante, senza dire niente. Poi lei chiese:
    "Mi puoi dare una mano?"
    La guardò con un'espressione da punto interrogativo dipinto sul volto, cercando di capire cosa volesse. Poi si arrese.
    "E come posso aiutarti?"
    "Vieni qui davanti, così se passa qualcun altro nel parcheggio mentre mi cambio, il tuo corpo gli impedirà di vedermi."
    Piero pensò che, naturalmente, la ragazza non volesse entrare nel Robotaxi che l'avrebbe riportata a casa con i vestiti che puzzavano di peperone. E si sentì colpevole della situazione. Era nuda nel parcheggio di una colonia commerciale a causa sua.
    "Certo."
    Entrò anche lui (zoppicando) nello spazio tra i 2 automezzi posteggiati. Ora erano uno di fronte all'altra. Nera era ancora chinata su se stessa e abbracciata alle sue gambe, e lo guardava dal basso verso l'alto.
    "Adesso girati, per favore."
    Senza dire niente, Piero obbedì.
    "Arriva qualcuno?"
    "No, tranquilla."
    Si tolse anche la maglietta.
    "Ti sei fatto male al piede?"
    "Già."
    "Ma riesci a guidare?". Gli chiese, infilandosi i pantaloni della tuta aderente.
    "Potrei anche farcela, ma credo che sia troppo pericoloso. Mi sa che chiamerò un RoboTaxi anch'io."
    "Io non ho chiamato un RoboTaxi."
    "E come tornerai a casa?"
    Nera si tirò in piedi e chiuse la lunga lampo che partiva dal suo pube e le arrivava al collo. Nel mentre disse:
    "Attraverserò il deserto a piedi."
    "Cosa?!?"
    "Puoi girarti adesso."
    Piero non aveva mai visto prima una tuta non ossigenata. A volte gli capitava di dover andare nel deserto lunare anche per un turno intero, quando c'era da istallare il telaio di irrigazione di quello che, da lì a qualche mese, dopo aver costruito anche i muri e il tetto della serra, sarebbe diventato un nuovo campo di granturco. Di conseguenza nel suo lavoro quell'indumento sarebbe stato estremamente scomodo, perchè richiedeva la contemporanea presenza di una bombola di ossigeno sulle spalle.
    Guardandola, le venne in mente un vecchio fumetto del XX secolo che aveva letto una volta per curiosità, prendendolo dal comodino di Ivo. Il portoghese detestava i videobooks, era una delle poche persone che leggeva ancora quegli strani fogli illustrati stampati sulla carta. Era in possesso di fumetti di molto antichi che, a suo dire, erano cose di valore. Quel fumetto in particolare raccontava di un uomo pipistrello che se le dava di santa ragione con una donna gatto. Non fraintendetemi: non era, come nei moderni videobooks progressisti, una critica nei confronti delle mostruosità generate dagli esperimenti genetici del XXII secolo. 2 secoli fa termini come "DNA" o "clonazione" erano appena stati pronunciati, e solo gli addetti al settore ne conoscevano il significato. Erano semplicemente un uomo pipistrello e una donna gatto. Il primo era l'eroe dai lettori. La donna gatto invece era il criminale cattivo.
    Ma a Piero, leggendo il fumetto, non era sembrata poi tanto cattiva. Aveva le sue ragioni. E poi, soprattutto, era sexy. Come lo era Nera, vestita con quella tuta color cuoio dalla testa ai piedi, perfettamente incollata a tutta la sua superficie del suo corpo, escluso il foro dal quale facevano capolino i suoi occhi neri e parte del suo viso.
    "E come pensi di respirare conciata così?"
    "Con questo."
    Tirò fuori il tubetto di ossigeno concentrato e glielo porse. Piero lo prese e lo esaminò per qualche istante, poi tornò a concentrarsi su Nera.
    "Dammi retta, io il deserto lo conosco. E' una pessima idea."
    "La Porta di Auzout è solo a un chilometro e mezzo da qui. Ci metterò al massimo 3 ore, e questo tubetto ha un'autonomia di 5 ore per una persona sola."
    "Ma hai pensato alla temperatura? Qui è notte da più di 4 giorni, ormai ci saranno 50 gradi sottozero..."
    "La tuta ha un sistema di riscaldamento interno."
    "Ok." disse, ridandole il tubetto. Poi aggiunse: "Fa come vuoi. Comunque devi camminare lungo il bordo di un cratere tra le rocce, non è una cosa semplice. Potresti prenderti una slogatura o, peggio, romperti una gamba. In quel caso se non passa nessuno rischi di rimanere lì a morire soffocata quando finisce l'ossigeno."
    In effetti a questo Nera non aveva pensato. E la cosa la infastidì. Potevi versarle addosso un sacco di letame per sbaglio che lei non diceva niente. E' stato un errore, può capitare, pace e amen. Ma se qualcuno le diceva che non era in grado di fare qualcosa, si innervosiva subito. Ancora di più se il suo interlocutore era in grado di proporre delle motivazioni sensate.
    "Faccio sport fin da bambina, ero campionessa di mountain bike juniores a Milano. Di conseguenza conosco i terreni accidentati. Ma se tu hai un'idea migliore della mia, spara, sono tutta orecchi."
    Detto questo si spostò con la mano il lembo della tuta che copriva il suo orecchio destro, e si mise in una posizione di attesa verso il proprio interlocutore.
    "Puoi chiamare un RoboTaxi." rispose Piero, che non sembrava affatto intimidito.
    "No, non posso. Il mio Teled non è carico. Posso fare solo chiamate a carico del destinatario, ma qui sulla Luna siamo solo io e mio padre, il quale purtroppo non risponde."
    Piero pensò alla possibilità di offrirle lui la corsa in RoboTaxi. Ma non era certo uno che navigava nell'oro, e quella giornata gli era già costata un occhio. Decise di vagliare prima altre soluzioni. E ne trovò una.
    "Ti porto io. Ti do un passaggio sull'autocisterna fino alla porta di Auzout."
    "Tu? E dimmi, signor calcialattine, come pensi di guidare con un piede rotto?"
    "Non è rotto. Probabilmente ho preso solo una bella botta."
    Nera lo guardava con le mani appoggiate ai fianchi, in una posa che ostentava trionfo. Come a dire: hai visto, Signor Criticolesoluzionipropostedaglialtri, che poi spari anche tu le tue belle cazzate?
    Piero se ne accorse e incassò. Tuttavia non si arrese:
    "Senti, è vero. Sicuramente ora non sono in grado di guidare. Però potresti farlo tu."
    "Non ho la patente lunare."
    "E chissenefrega! Voglio dire, se dovremo disinserire il pilota automatico per fare qualche manovra, ti guiderò io. E se incontrassimo la Polizia Lunare, proverò a spiegar loro la situazione. E' comunque la soluzione migliore anche per me. Abito a 17 km da qui. Con te al mio fianco sull'autocisterna, i soldati all'ingresso mi permetterebbero di entrare nella tua colonia, che è molto più vicina. In questo modo potrei essere medicato al pronto soccorso, prima di intraprendere il mio viaggio di ritorno."
    Lo fissò per un momento.
    Poi abbassò le braccia di colpo e disse: "Allora potevi dirlo subito."
    "Cosa?"
    "Che sei tu ad aver bisogno di me. Non il contrario."
    Poi prese le sue cose, salì al posto di guida dell'autocisterna e lo lasciò lì da solo, a finire la sua sigaretta.
  8. L'avatar di Maestrale
    Citazione Originariamente Scritto da v!olet
    bello bello bello

    non vedo l'ora di leggere il resto!
    Grazie Violet! Arriverà presto.
  9. L'avatar di Noir
    bel racconto!
    bene anche il culetto di nera, chissà come si sculetta sulla luna.

    un momento, nera=noir?!
    magari li avessi io gli occhi neri, magari!
  10. L'avatar di Maestrale
    Grazie Noir... peccato, speravo che le assomigliassi almeno un pò

    Comunque se attivano la possibilità di modificare i blog (ho chiesto all'admin, siamo in attesa) ho intenzione di apportare alcune modifiche. Il culetto di Nera però non verrà toccato eh. Almeno, non da me
N. Post: