Jacopo Giliberto, giornalista e scrittore, è in libreria con un nuovo saggio
"La guerra dell'ambiente"
"La guerra dell'ambiente", di Jacopo Giliberto (Laterza, 12 euro) è un libro fondamentale per chi non s'accontenta dei bla-bla ecologici di piazza e di quelli propinati dai tuttologi che infarciscono i talk show televisivi. "Chi, come, perché" è il sottotitolo: il libro spiega tutto, riporta alla memoria le catastrofi ambientali degli ultimi decenni, le analizza nel loro svolgimento e nelle cause che le determinarono. Racconta i summit internazionali e i loro retroscena, le strategie delle grandi multinazionali, i programmi delle organizzazioni non governative. Lo fa con un linguaggio ineccepibile da un punto di vista tecnico-scientifico, e tuttavia comprensibile anche al più profano dei lettori. Un libro che si fa leggere, nei suoi episodi, come un romanzo anche se, purtroppo, di romanzesco non ha nulla. Perché l'autore non è né un tecnico né uno scienziato: è semplicemente un giornalista del più importante giornale economico, "Il Sole 24 Ore", dove da molti anni gli è affidato, appunto, il settore energia-industria-ecologia-ambiente. Vinse, in un recente passato, un premio Enea e due premi Federchimica. Né un tecnico né uno scienziato, dunque, ma soltanto uno che indaga per capire e quindi scrive perché anche i lettori capiscano: divulgazione d'alta classe, come è sempre il miglior giornalismo. Seveso, Bhopal, Marghera, le ciminiere che intossicano l'aria e modificano il clima, le petroliere che affondano e inquinano i mari e le coste, l'emergenza rifiuti che minaccia di trasformare il pianeta in un enorme immondezzaio, il problema degli scarti tossici che nessuno vuol seppellire nel proprio territorio... Con incoscienza l'uomo ha moltiplicato la sua capacità di consumare e di distruggere - è scritto nel risvolto di copertina - . C'è chi accusa l'industria, chi contesta la corsa al profitto. Eppure, se l'ecologia e l'economia sono state a lungo nemiche, se lo sviluppo economico escludeva la difesa dell'ambiente e la difesa dell'ambiente frenava la ricchezza economica, oggi dobbiamo arrivare a un compromesso ragionevole per entrambi. Perché è in discussione il futuro della Terra e l'esistenza stessa dell'uomo. Questa la conclusione. Di compromissorio, tuttavia, il libro non ha né il tono né il linguaggio. Denuncia i fatti (o le malefatte) senza mezzi termini, lontanissimo da ogni ipocrisia ma altrettanto lontano da ogni tentazione di enfatizzazione drammatica. Cronaca pura, nitida, limpida. Come quando racconta il disastro di Bhopal, decine di migliaia di morti, mezzo milione di feriti; e il presidente della multinazionale, Warren Anderson, arriva in India per constatare i danni, è arrestato, ma se la cava in poche ore pagando una cauzione ridicola di 25.000 rupie. O come quando parla del rischio che fra cinquant'anni i veneziani, a causa dell'acqua alta, debbano uscire di casa con gli stivali di gomma un giorno su tre. O come quando descrive i nuovi inceneritori che coi loro sistemi di filtraggio e di abbattimento dei fumi non producono più diossina di quanta ne produce (lo sapevate?) una grigliata collettiva di salsicce e braciole a un festival di partito. Altrettanto "cronistiche" sono le descrizioni dei grandi disastri. Esemplare quella che rievoca in un crescendo drammatico di frasi spezzate ciò che accadde a Cernobyl la notte fra il 25 e il 26 aprile 1986. Jacopo Giliberto, in qualità di inviato è stato in Russia, in Cina, in America, in Africa: i luoghi e i fatti che racconta, li ha ri-vissuti di persona e sa farli ri-vivere al lettore. Dalle sue minuziose cronache da Johannesburg al Summit della Terra svoltosi nel 2002 fa emergere le tre domande-base che sono state il leit-motiv dell'incontro internazionale: 1 - Come dare energia ai paesi in crescita tumultuosa senza inquinare tutto il mondo? 2 - Come ridurre l'effetto della povertà e della fame? 3 - Come dare acqua potabile ai paesi poveri? Estrema concisione che scopre il nòcciolo del problema. Ma sa anche dare una coloritura aneddotica che, di tanto in tanto, fa sorridere il lettore sottraendolo per un attimo alla serietà della materia trattata. Come quando cita una canzoncina "contestatrice" del polo industriale di Marghera alle porte di Venezia: "Marghera sensa fabriche sarìa più sana, 'na giungla de panoce, pomodori e marijuana", sarebbe più sana, una giungla di pannocchie, cantavano qualche anno fa i Pitura Freska ("Marghera reggae").
Alessandro Rossi