In principio fu Adam Smith, secondo il quale il “libero scambio” avrebbe aumentato la ricchezza degli Stati e il benessere di tutti.
E’ quel “pensiero” la pietra miliare, la pietra fondante, della globalizzazione. “Aggiustato”, “adeguato” - come logico, non appena crollato il Muro di Berlino - secondo le divine leggi del profitto e dell’usura.
E’ quasi un luogo comune, oggi, registrare il suo “sviluppo”: oltre il 40% del commercio internazionale - grazie a organismi-guida quali Nafta, Ue, Omc - è saldamente nelle mani di un gruppo limitato di multinazionali... anzi è affare interno tra filiali e case madri delle stesse multinazionali. Che, per prima cosa, hanno “globalizzato” il lavoro. Andando a produrre in Messico o in Cina dove una giornata lavorativa costa 50 volte di meno che nei Paesi (già) industriali. Una scelta indicata alle “corporations” dalle loro guide: Facciamo i nomi dei maggiori fra questi “timonieri”: Citicorp, Morgan Stanley, Merrill Lynch, Chase Manhattan, Goldman Sachs, Barclays, Warburg e Hong Kong Midland.
La loro filosofia di fondo è la stessa di Adam Smith, quella con la quale nell’ ‘800 l’Inghilterra imponeva con le cannoniere (al califfato di Baghdad, al Celeste Impero e ovunque interessasse la Compagnia delle Indie) l’ossequio al “libero mercato”.
Una “filosofia” già affondata dalla Grande Depressione del 1929... e che ora si ripropone pari pari: con il crollo dell’industria e del commercio. Del credito. Della liquidità e del Lavoro, fonte del benessere diffuso.

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