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Discussione: Chi sono io?

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    Predefinito Chi sono io?

    CHI SONO IO ? IL SENSO E L’ASSURDO


    chisonoio.htm


    Quando si riflette sulla vita umana in generale è difficile non essere presi, prima o poi, da un senso di sgomento, il quale riunisce in sé contrastanti sentimenti di paura, delusione, mistero, inquietudine. Questo capita soprattutto quando pensiamo che la nostra vita finirà con la morte e ciò può capitare dopo un minuto dalla nostra nascita oppure dopo cento anni ma - ed è questo che è terribile ! - è comunque lo stesso, giacché la sorte è identica : chi inizia a vivere è destinato a morire, a concludere questa esistenza terrena; e che ciò avvenga subito o dopo molti anni, non cambia in apparenza la sorte, che rimane identica. La nostra vita è finita e tutto ciò che abbiamo fatto di bene e di male viene livellato dalla realtà della morte. Del resto - si dice - la stessa specie umana non è immortale ed un giorno la vita su questo pianeta finirà, per cui tutto ciò che per noi, oggi, è importante, non sarà più nulla. Pensiamo infatti alle civiltà del passato : che ne sappiamo dei nostri progenitori ? Ben poco, e poi... non ci interessa granché (a meno di non essere storici o archeologi) ... quello che conta, per noi, è eventualmente sapere il significato di questo nostro passaggio, alquanto effimero (settanta, ottanta anni di media) su un pianeta di uno sperduto sistema solare (così dicono gli astronomi) in una delle tantissime galassie. Insomma, l'importante per noi è riuscire a sapere: chi sono io ?

    A questa domanda nessuno si accontenta di rispondere con un semplice "sono un insegnante", "sono un impiegato", "sono un uomo", "sono una donna" ecc. Ovviamente sono risposte giuste però non sono certo esaurienti e ci lasciano insoddisfatti. Quando infatti ci domandiamo "chi sono io?" non intendiamo tanto sapere qual è la nostra professione e neppure quali caratteristiche mi distinguono esteriormente dagli altri. La questione è molto più profonda .Vogliamo sapere che cosa significa essere "uomini", vogliamo sapere quale sarà il nostro "destino", e ciò vuol dire chiederci in fondo questo : riusciremo a fare qualcosa che ci distinguerà da ogni altro essere che è vissuto su questa terra ? In altre parole, quando ci chiediamo "chi sono io?", scopriamo l'unicità della nostra persona e cioè acquisiamo progressivamente la consapevolezza di essere persone singolari, uniche, diverse da qualunque altra vi sia stata o vi sarà mai… non solo su questo pianeta ma in tutto l'universo.

    Ci avete mai riflettuto ? E' sconvolgente! Io sono … io… e cioè una persona unica, che non ha uguali in tutto il resto del mondo! Quando ce ne rendiamo conto, sentiamo subito un peso enorme su di noi : è la terribile consapevolezza della nostra responsabilità nei confronti di noi stessi e di tutti gli altri. Perché responsabilità ? Perché essere unici vuol dire che nessun altro farà mai quello che io ho fatto o potrò fare. Dunque a me spetta fare delle cose che non potranno mai essere fatte da nessun'altra persona al posto mio (e non c'entra zappare l'orto o dirigere una azienda : è la fatica quotidiana del vivere che è qualitativamente importante) . Ciò che farò o ciò che non farò contribuirà a formare il mio "io", a definire sempre meglio chi sono, a distinguermi dagli altri. Non solo : ogni nostro atto influisce su tutto il resto, così che l'universo non è più lo stesso da quando ci sono io perché le conseguenze delle mie scelte si ripercuotono dovunque, anche se non ne siamo affatto consapevoli.

    Da quanto detto finora, scopriamo che non è poi così importante sapere veramente che cosa sia questo "io", ma quel che più conta è riconoscere la nostra unicità . Così, alla domanda "chi sono io?" non risponderemo più definendoci in qualche modo (semmai lasceremo che gli altri ci definiscano). Acquisiremo invece consapevolezza delle nostre scelte : impareremo che ogni scelta è gravida di responsabilità e contribuisce ad edificare, momento per momento, quello che potremmo chiamare "il nostro destino"(ci ritorneremo). In altri termini, ad una tale domanda, io posso solo rispondere con tutte le mie scelte, con tutta la mia vita e vi rispondo in un modo unico, specifico, diverso da ogni altro essere umano. E non potrebbe essere diversamente : alla domanda "chi sono io?" nessuno può rispondere al posto degli altri, dando una risposta che possa soddisfare tutti oltre me stesso. In breve, io sono … il risultato di tutte le mie scelte, dei miei desideri, delle mie speranze, delle mie sconfitte e delle mie vittorie, dell'ambiente in cui vivo e delle influenze degli altri su di me… ecco chi potrei essere.

    Ho tralasciato apposta finora di disquisire su quella parolina che in italiano suona "io". Perché? Perché se nella domanda "chi sono io?" riveste un posto importante, ritengo che non dobbiamo lasciarci fuorviare dalla sua presunta importanza . In altre parole, credo che sapere che cosa voglia dire "io", non ci faccia avanzare di molto nella scoperta di noi stessi. Anche se indichiamo col termine "io" la nostra anima o il nostro spirito o la nostra più profonda essenza , abbiamo forse chiarito di più la questione ? Non credo proprio. Comunque, da secoli sappiamo che non dobbiamo perdere tempo nella ricerca del famigerato "io" : da Buddha a Gesù, da Pascal a Hume, da Kant a Freud, per non citare che alcuni nomi, tutti costoro hanno ritenuto fuorviante la ricerca, la definizione, l'attaccamento all'io. Che esso esista o no, la risposta che è stata data in questi millenni è comunque deludente : dell'io sappiamo poco o nulla. Ma questo ci fa capire che dobbiamo forse cercare altrove, e cioè dobbiamo prendere atto che le grandi questioni esistenziali non sono risolvibili a parole, con i discorsi, con una logica o una razionalità, bensì vivendole nel quotidiano. Insomma, la risposta è la vita, è la mia vita !

    Per concludere, vorrei ancora dire qualcosa sul rapporto fra il cosiddetto "io" ed il "destino". Forse io non so chi sono nel più profondo di me stesso ("noi siamo a noi stessi i più lontani", diceva Nietzsche; "io è un altro", diceva il poeta). Però sento di "dover fare qualcosa", di "dover adempiere" un determinato compito, e di sentirmi insoddisfatto se non lo faccio. Posso anche oppormi a questo mio "destino", posso cercare di rimandarlo, di evitarlo, di negarlo, eppure, prima o poi, dovrò fare i conti con esso, e dovrò, alla fin fine, riconoscerlo e accettarlo, e solo così scoprirò di essere veramente libero, felice, realizzato… "me stesso".

    Sembrerà paradossale, tuttavia quando ne avremo la consapevolezza, avremo forse fatto il primo passo verso la scoperta dello stretto rapporto che lega me stesso, il mio "io" (e che solo rarissimamente è vissuto come tale) al mio "destino". Gli antichi Greci avevano un detto bellissimo per esprimere tale conquista : "diventa ciò che sei", così essi esortavano. Questa profonda verità ci invita in primo luogo a riconoscere che noi esistiamo, che siamo vivi, che ci siamo. Dopo aver preso atto di questo, devo cercare di diventare quello che sono, devo cercare di vivere la mia vita in prima persona, devo identificarmi col mio destino. Anche perché, se non lo faccio, e finché non lo faccio, resterò insoddisfatto, non potrò mai realizzarmi pienamente, non potrò mai essere libero e felice. E tutto ciò ci apparirà forse più chiaro verso la fine di questa vita terrena : tornando indietro a ripensare quello che abbiamo fatto - o non fatto - ci accorgeremo che una sorta di filo sottile ha legato tutte le nostre vicende e guarderemo meravigliati (fors'anche un po' timorosi) la trama della nostra vita. Allora, forse, potremo finalmente intravedere ciò che siamo stati e potremo rispondere serenamente a quella terribile domanda : "chi sono io?".



    IL SENSO O L'ASSURDO



    Qual è il significato della nostra vita e della vita in generale ? Essa ha un senso o non ne ha alcuno ? E' forse assurda o che altro ? Le difficoltà cominciano subito, appena tentiamo di definire un po' meglio che cosa intendiamo con l'espressione "senso della vita" o simili. Per cercare di superare l'impasse, potremmo partire da una constatazione : potremmo dire che, indipendentemente dal fatto di porci o no il problema del senso della vita, l'umanità nel suo complesso ha scelto la vita, ha scelto di continuare a vivere. Non sappiamo bene perché, però gli esseri umani continuano a scegliere la vita piuttosto che la morte (sempre parlando in generale). Sì, certo, ci sono le guerre, i morti ammazzati e i suicidi, la violenza ecc., però l'uomo continua ad esistere su questo pianeta, nonostante tutto .

    Oggi c'è, per la prima volta nella storia umana, la possibilità concreta di provocare la distruzione pressoché totale della vita su questo pianeta, eppure gli uomini sembrano comportarsi come se nulla fosse e, inoltre, come se dovessero vivere per sempre. Dunque in questi esseri che si sono definiti "uomini" sembra prevalere il desiderio di vivere piuttosto che quello di morire (molti di quelli che desiderano farla finita, in realtà desiderano superare una situazione spiacevole e non certo annullarsi, anche perché… non sappiamo neppure che cosa sia …il nulla).

    L'espressione "senso della vita" potrebbe essere così trasformata dicendo che l'uomo, scegliendo di continuare a vivere, ha scelto di ritenere la vita "sensata", ha deciso che è meglio vivere che morire. Anche perché non abbiamo alcuna esperienza della morte ma solo di quel che vuol dire vivere, e visto che sappiamo che cosa implica vivere, abbiamo "deciso" che è meglio affidarci a qualcosa che conosciamo piuttosto che farci attrarre da qualcosa che ci è del tutto sconosciuto. Così non rispondiamo alla domanda "la vita ha senso?" con un semplice sì o con un no, ma diciamo, intanto, che preferiamo vivere, che continuiamo a vivere, che, visto che siamo qui, proseguiamo il nostro cammino. Che questo voglia dire "dare un senso alla vita" o considerarla "sensata" è, in fondo, secondario. Ci sembra però di capire che i cosiddetti "problemi esistenziali" - sui quali possiamo disquisire per ore e ore - non possono essere risolti o chiariti solo a parole, bensì con una scelta concreta nel comportamento quotidiano. Il "senso" è dunque il termine astratto e generico che noi usiamo per indicare l'insieme dei nostri comportamenti atti a promuovere la vita e il suo proseguimento. Tutto ciò che è in contrasto con esso, lo chiameremo "non senso" ed in genere non riscuote molto la nostra simpatia, visto che lo riferiamo ad atti malvagi del tutto contrari alle norme della convivenza pacifica.

    Noi saremmo dunque degli esseri che vogliono un "senso", che non ne possono fare a meno. Ma è poi veramente così ? Chi ci dice che la verità sia proprio questa e non un'altra ? Infatti alcuni potrebbero dire : "Sì, forse la vita umana è "sensata", però è evidente che un giorno essa finirà e quindi … che "senso" ha ? Come può avere "senso" una esistenza destinata a finire? Il "senso" non pretende forse di superare la stessa morte o addirittura di attribuire un "senso" alla morte stessa? Non sarebbe allora più corretto, anzi più vero, parlare di assurdo per quanto riguarda la vita umana? La vita vale forse la pena di viverla? E' tanto importante continuare a vivere?".
    A tutti questi interrogativi potrei rispondere con tutta una serie di contro-domande : "Perché la vita deve valere per forza qualcosa per viverla? Perché dobbiamo viverla solo se vale qualcosa? E' proprio così necessario valere qualcosa per poter vivere ? perché la vita dovrebbe avere un valore o un prezzo? Non riduciamo la vita ad una visione grettamente utilitaristica… e poi, di fatto, non continuiamo semplicemente a viverla, senza curarci tanto di porci il problema se valga o non valga qualcosa ?".

    Distinguerei inoltre tra l'affermazione della assurdità della vita dall'altra che ritiene che la vita non valga nulla. Nel primo caso infatti, anche se posso ritenere la vita "assurda", non è affatto detto che la consideri insensata e trovi indifferente vivere o morire. Che la vita sia definita "assurda" da parte mia, vuol dire che le attribuisco una caratteristica specifica, che è quella appunto della assurdità ; ma , dopo averla riconosciuta come "assurda", non per questo me ne voglio separare e voglio ad esempio esaltare il suicidio o l'omicidio o la strage; insomma, prendo atto che la vita è per me "assurda" e poi continuo a viverla, con la consapevolezza che è e rimane "assurda" (si vedano le bellissime pagine di Albert Camus, ne Il mito di Sisifo, a questo riguardo).

    Diversa è invece la posizione di coloro i quali ritengono che "non vale la pena di vivere". Questi ultimi pensano forse che la vita, per essere vissuta, dovrebbe essere diversa da quella che è, che dovrebbe "valere di più", ma ciò lascia intendere che, in fondo, la vita dovrebbe essere vissuta secondo i parametri che loro stessi pretendono di attribuirle ("Una vita senza questo o senza quello non è degna di essere vissuta", così la pensano quei tali). A ben vedere, così facendo, non si riduce la vita però a schemi prefissati, ad ideali o a nostre visioni parziali, ad astrazioni intellettualistiche che vorrebbero imprigionare o dominare la vita nei suoi molteplici aspetti ? Non dico altro : inviterei solo a rifletterci un po'.

    Altra cosa ancora è rispondere a quelli che si domandano: "E' così importante continuare a vivere?". La mia personalissima risposta è la seguente : non so affatto se sia importante continuare a vivere, ma io preferisco vivere anche se non è importante, anche se non ha senso, anche se la vita è assurda.
    E perché preferisco vivere? Oh bella : perché ho tante cose da fare e poi sono curioso di vedere come andrà a finire. Potrei inoltre aggiungere che … mi sembrerebbe una occasione mancata. Intendo dire : su, sei vivo, prova dunque a continuare a vivere; ti è stata data questa occasione, non buttarla via.

    Sì, so perfettamente che alcuni potrebbero obiettare : "Ma che vita è quella di un malato terminale? Che senso ha continuare a soffrire sapendo che non c'è nulla da fare?". Eppure … secondo me, la vita è una occasione, anche se non è piena di successo, soldi, salute, amore ecc. E' un'occasione, appunto, perché dunque troncarla o volerle fare a meno ? E, soprattutto, con che diritto osereste negare una occasione anche agli altri? Ogni vita è a sé, ed il suo valore dipende semmai da noi che la stiamo vivendo - malati o sani, giovani o vecchi - e non da qualcun altro che pretende di imporsi, in qualche modo, su di noi.

    Con questo non voglio dire che non vi siano dei comportamenti preferibili rispetto ad altri e neppure che ciascuno siano "libero" di agire come più gli aggrada. Al contrario, ogni nostra scelta implica necessariamente delle conseguenze, e questo è un dato di fatto che viene, spesso e volentieri, dimenticato. Insomma, pensala come vuoi, ma ogni tua azione ha delle conseguenze. Anche se "te ne freghi", le conseguenze del tuo menefreghismo si vedranno comunque.

    Forse sono uscito un po' fuori dal seminato, ma vi ritorno subito e concludo. Immaginando di osservare da un punto fuori dell'universo la vita sul pianeta Terra, potrei dire che non la considererei forse molto importante nell'economia del tutto (non parlerei comunque né di senso né di assurdo : ha senso per noi la vita … delle formiche?) però, visto che c'è e finché c'è, la riterrei se non altro un fenomeno interessante e … starei a vedere fin dove saranno in grado di arrivare quei minuscoli terrestri !



    BIBLIOGRAFIA MINIMA


    CAMUS, Il mito di Sisifo e L'uomo in rivolta , entrambi nelle edizioni Bompiani.
    FRANK, Alla ricerca di un significato della vita , GUM Mursia.
    GUITTON, Storia e destino, Piemme.
    HESCHEL, L'uomo non è solo, Rusconi.
    MORAVIA, L'enigma dell'esistenza, Feltrinelli.
    "Non posso lasciarti né obliarti: / il mondo perderebbe i colori / ammutolirebbero per sempre nel buio della notte / le canzoni pazze, le favole pazze". (V. Solov'ev)

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    Predefinito Re: Chi sono io?

    Sarebbe interessante scendere al livello prettamente materiale, in fondo l'umano è fatto di materia... che senso ha dunque l'esistente in senso lato, è esso stesso qualità della non-esistenza e quindi inscindibile da essa? È un caso che ciò che è l'esistenza stessa esista? sarebbe più plausibile un non-esistente di cui l'esistenza è emanazione paradossale?


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