Nella singolare figura di Jacob Böhme, il calzolaio di Gorlitz, spirito dialettico, gnosi dualistica e magia trovano una affascinante sintesi. La sua idea della natura è totalmente qualitativa, estranea alla nascente scienza naturale di Newton e Galileo.
Nonostante il linguaggio oscuro, talvolta grammaticalmente scorretto, il pensiero di Böhme vede con chiarezza la natura dialettica della realtà, cogliendo nelle antitesi fra le diverse qualità naturali la chiave per il progressivo crearsi di tutte le cose.
Punto di partenza del pensiero di Böhme è il problema del Male. Da dove nasce l’oscurità che ciascuno di noi scorge all’opera nella sua interiorità e nelle vicende del mondo ? E’ chiaro che tale interrogazione, spinta nei suoi esiti più radicali, non può che chiamare in causa Dio stesso, nel quale Böhme vede presente, accando a ciò che produce il Bene, la luce, un oscuro fondamento, una radice negativa che è, poi, all’origine del Male di cui tutti facciamo esperienza.
Böhme percepisce tale fondo oscuro non già come un’altra divinità, come nel mito manicheo, che si oppone a quella del Bene, ma bensì come un desiderio che nasce da una mancanza, come un appetito che nasce dalla fame. Tale è, infatti, il Negativo, questo cercare soddisfazione di sé, questo aspro contrarsi in sé della volontà, nasce da un acuto ed insopprimibile bisogno, da una assenza percepita come vuoto. Anche la creazione del mondo nasce, secondo Böhme, da tale assenza, perché la pienezza di sé è sterile nella sua completa perfezione. Non c’è creazione né conoscenza senza questo movimento, questa uscita da sé originata dal desiderio, dalla mancanza. In un certo senso, in Böhme cìè un eco del tutto inconsapevole delle parole di Eraclito, secondo cui πολεμος è il padre di tutte le cose ed, anche, una evidente anticipazione della dialettica di Hegel, che, infatti, conosceva ed ammirava Böhme.