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  1. #31
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    Predefinito Re: Dipendenti pubblici, in Italia 5,8% (Francia 9,4%, Regno Unito 9,2%)

    Citazione Originariamente Scritto da samuel cramer Visualizza Messaggio
    Non mi sembra molto scientifico e matematico, inglesi e tedeschi in passato hanno tagliato la spesa pubblica ed hanno avuto risultati inversi, il punto é che é solo teoria che non tiene conto dell' elemento morale del popolo, quindi mentre per altri popoli la "cosa pubblica" é vista come una risorsa per far funzionare meglio lo stato per gli italiani è vista come una risorsa per le proprie tasche personali, un luogo dove mettere al sicuro se stessi e i propri familiari a vita, che poi sia funzionale o no con lo stato e la società non frega una mazza.
    In Italia negli ultimi 20 anni abbiamo assistito (causa in primis Berlusconi)ad una scadenza morale forse oramai inarrestabile delle ultime generazioni, all'estero lo stereotipo "sbiccazieri-puttane-pizza" é in continua ascesa, e i movimenti della DR dovrebbero porre la questione morale-filosofica tra i primi punti come al tempo fece Mussolini.
    Ho letto tra i programmi un punto che mi ha fatto sorridere, la nazionalizzazione del settore rc auto, si certo in linea teorica é matematico e scientifico, ma in Italia equivale a vedere dopo un mese una persona su dieci girare col collare bianco perché la figlia della vicina con la bicicletta gli ha tamponato l'auto.
    Non solo è scientifico e matematico, è storia: prima dei tagli di Monti, debito/PIL al 120%; dopo, 126%.

  2. #32
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    Predefinito Re: Dipendenti pubblici, in Italia 5,8% (Francia 9,4%, Regno Unito 9,2%)

    Citazione Originariamente Scritto da Bisentium Visualizza Messaggio
    Non solo è scientifico e matematico, è storia: prima dei tagli di Monti, debito/PIL al 120%; dopo, 126%.
    Sarà, ma per me non conta tanto l'aumento numerico della spesa pubblica ma la qualità.
    Negli anni 70 80 la spesa pubblica furoreggiava, era il bengodi di collusi, mafiosi, fancazzisti, imboscati , corrotti e corruttori e difatti il debito/pil raddoppio.
    I discorsi e gli enunciati economici per me sono fuffa se non tengono conto dell' elemento umano-morale-culturale-razziale.

  3. #33
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    Predefinito Re: Dipendenti pubblici, in Italia 5,8% (Francia 9,4%, Regno Unito 9,2%)

    Citazione Originariamente Scritto da samuel cramer Visualizza Messaggio
    Sarà, ma per me non conta tanto l'aumento numerico della spesa pubblica ma la qualità.
    Negli anni 70 80 la spesa pubblica furoreggiava, era il bengodi di collusi, mafiosi, fancazzisti, imboscati , corrotti e corruttori e difatti il debito/pil raddoppio.
    I discorsi e gli enunciati economici per me sono fuffa se non tengono conto dell' elemento umano-morale-culturale-razziale.
    Tra il 1981 e il 1991 il rapporto debito/PIL aumentò dal 60% al 105%.
    Perchè nel 1981 il Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta sancì con decreto ministeriale il c.d. "divorzio Bankitalia-Tesoro". Mentre fino ad allora la Banca d'Italia era costretta ad acquistare titoli di Stato mantenendo basso il tasso d'interesse riconosciuto sui medesimi titoli, a partire da allora il Tesoro fu costretto a collocarli esclusivamente sul mercato finanziario.
    Inoltre fino al 1983 il Tesoro poteva obbligare ugualmente le banche private a acquistare titoli del debito pubblico, con analogo effetto di calmiere sugli interessi passivi.
    Dopo i provvedimenti del 1981 e del 1983, la spesa per interessi passivi esplose e portò il rapporto debito/PIL al livello conosciuto.
    Tra il 1989 e il 1991, il passaggio della lira dalla banda di oscillazione ampia (+/-6%) a quella stretta (+/-6% dello SME (Sistema Monetario Europeo) provocò le stesse disfunzioni in termini di rigidità dei tassi di cambio che successivamente avrebbe creato l'Euro, con l'epilogo della famosa crisi del 1992 e conseguente svalutazione (allora, grazie a Dio, si poteva fare). Risultato, solo dal 1989 al 1991 il debito crebbe di 15 punti (dal 90% al 105%).
    Quindi nego recisamente che la crescita del rapporto debito/PIL negli anni 80 dipenda dalla spesa pubblica, essa ha origini schiettamente monetarie.
    Se permetti, questa è storia economica, fuffa è quella moralistica del Corriere della Sera, di Repubblica e degli altri giornali filo-montiani e che tu segui, in base alla quale vogliono colpevolizzare il popolo italiano per fargli credere di dover scontare chissà quale peccato originale che non esiste.

  4. #34
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    Predefinito Re: Dipendenti pubblici, in Italia 5,8% (Francia 9,4%, Regno Unito 9,2%)

    Citazione Originariamente Scritto da Bisentium Visualizza Messaggio
    Tra il 1981 e il 1991 il rapporto debito/PIL aumentò dal 60% al 105%.
    Perchè nel 1981 il Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta sancì con decreto ministeriale il c.d. "divorzio Bankitalia-Tesoro". Mentre fino ad allora la Banca d'Italia era costretta ad acquistare titoli di Stato mantenendo basso il tasso d'interesse riconosciuto sui medesimi titoli, a partire da allora il Tesoro fu costretto a collocarli esclusivamente sul mercato finanziario.
    Inoltre fino al 1983 il Tesoro poteva obbligare ugualmente le banche private a acquistare titoli del debito pubblico, con analogo effetto di calmiere sugli interessi passivi.
    Dopo i provvedimenti del 1981 e del 1983, la spesa per interessi passivi esplose e portò il rapporto debito/PIL al livello conosciuto.
    Tra il 1989 e il 1991, il passaggio della lira dalla banda di oscillazione ampia (+/-6%) a quella stretta (+/-6% dello SME (Sistema Monetario Europeo) provocò le stesse disfunzioni in termini di rigidità dei tassi di cambio che successivamente avrebbe creato l'Euro, con l'epilogo della famosa crisi del 1992 e conseguente svalutazione (allora, grazie a Dio, si poteva fare). Risultato, solo dal 1989 al 1991 il debito crebbe di 15 punti (dal 90% al 105%).
    Quindi nego recisamente che la crescita del rapporto debito/PIL negli anni 80 dipenda dalla spesa pubblica, essa ha origini schiettamente monetarie.
    Se permetti, questa è storia economica, fuffa è quella moralistica del Corriere della Sera, di Repubblica e degli altri giornali filo-montiani e che tu segui, in base alla quale vogliono colpevolizzare il popolo italiano per fargli credere di dover scontare chissà quale peccato originale che non esiste.
    Le ragioni sono entrambi, sia monetarie che morali, la lotta politica ad oggi si combatté su due fronti, uno interno ed uno esterno, internamente esiste una spaccatura tra una fazione clientelista, ruffiana, criminale, ciarlatana che si fa rappresentare da una casta politica collusa con mafia, poteri forti e finanza, dall'altra una fazione umiliata e tartassata da tasse e nepotismi rappresentata da nessuno. Esternamente poi subiamo attacchi da banche centrali, lobby internazionali e via dicendo.
    Non si dimentichi che il fascismo quando salì al potere portò avanti una politica fortemente morale nel tentativo di creare una vera coesione nazionale, ricordo a tal proposito una poesia di La Rochelle che glorificava il duce per aver portato alla ribalta mondiale un popolo prima considerato di perditempo e girovaghi.
    Guarda che se fosse per me istituirei il reddito di cittadinanza, 500 euro al mese per tutti dallo stato basta essere italiani e comportarsi da tali, meglio darli direttamente in mano i soldi che farli filtrare tramite incentivi, fondi, sovvenzioni e menate varie utili solo ad alzare la spesa pubblica e a mantenere e favorire la fazione nemica, meglio darli direttamente in mano senza far niente che illudere uno di avere un lavoro perché in 15.000 sono pagati dalla Calabria per camminare per i boschi.
    Ultima modifica di samuel cramer; 16-01-13 alle 01:55

  5. #35
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    Predefinito Re: Dipendenti pubblici, in Italia 5,8% (Francia 9,4%, Regno Unito 9,2%)

    Forse è un po' O.T. ma è comunque legato al tema della discussione....posto un estratto di un recente articolo di Luigi Copertino, autore cattolico tradizionalista che pubblica periodicamente i suoi articoli su EFFEDIEFFE, che smaschera l'inganno sul debito pubblico:

    Il Grande Inganno

    L’attuale crisi economica, che, in un certo senso, è appunto il replay di quella del 1929, sta provocando il collasso sociale dei ceti medi, già da decenni provati dall’apertura globale dei mercati che ha impoverito proprio gli strati sociali popolari. La reazione sociale di tali ceti, in tutti i Paesi europei, non si è affatto fatta attendere e spesso essa ha assunto la forma di un nuovo, temuto dalle élite del capitalismo finanziario, populismo, sia di sinistra (il movimento di Grillo o quello di Ingroia, in Italia, i «pirates» in Germania, i movimenti libertari di massa in Spagna, Grecia, Portogallo) sia di destra (i movimenti nazionalisti ed etnici in Olanda, Germania, Ungheria, il Fronte Nazionale in Francia, la neonazista Alba Dorata in Grecia, la Destra storaciana e Forza Nuova in Italia).

    Nei mesi scorsi i popoli europei sono scesi nelle piazze. Non solo a Roma, Madrid, Lisbona ed Atene. Ma persino a Berlino, Parigi, Bruxelles ed Amsterdam. Segno che l’insofferenza per le politiche di rigore eurocratiche va crescendo sempre più ed ovunque in Europa. Non solo nei Paesi cosiddetti PIIGS ma anche nella presunta florida Germania, con i suoi sedici milioni di poveri e disoccupati, nel presunto ricco Belgio, con il suo, in proporzione percentuale, altrettanto drammatico livello di povertà e disoccupazione in aumento. Perché quella dell’efficienza della Germania o del Belgio, e di altri Paesi ritenuti, con i parametri monetaristi eurocratici, virtuosi, è solo una mitologia. In un reportage di recente pubblicazione, delle cui conclusioni naturalmente nulla si dirà nelle TV pubbliche e private, è stato smontato il mito dell’efficienza sociale nordica, anche se viene messo in rilievo che i tedeschi poveri non se la passano altrettanto male dei loro co-sfortunati colleghi di altri Paesi, potendo contare su una maggior assistenza pubblica (ossia pagata con il tanto famigerato «debito pubblico»).

    Apprendiamo dunque, dalla «viva voce» dell’autore dell’indagine in questione, come vivono i «poveri di un Paese ricco»:

    «In Germania lo è uno su cinque, circa 16 milioni, e gli sfortunati, tra gli europei più fortunati, vanno aumentando, sia pure di poco: il 19,7% e, alla fine di quest’anno, saranno il 19,9%. Naturalmente nessuno soffre la fame, e tutti, se lo vogliono, hanno un alloggio, sia pure di una stanza e servizi. I clochard in inverno avranno dove ricoverarsi (…). Le misure sociali sono sempre le migliori d’Europa, quindi del mondo: ognuno, abbia lavorato o no nella sua vita, riceve 367 euro al mese, il minimo vitale, più un alloggio con tutte le spese connesse, compresa la TV. Ma sopravvivere non è vivere. Secondo i calcoli della UE, è povero chi ha a disposizione meno di 848 euro al mese, che sembrerà molto per chi pensa ancora in lire, un milione e 700 mila lire. È una media comunque ingannevole. In campagna e nelle cittadine è una cifra che consente ancora un’esistenza dignitosa, ma nelle grandi città si finisce nel ghetto degli sfortunati (…). Il record di povertà è sempre di Lipsia (ex DDR), dove cominciò la rivoluzione pacifica nel 1989, con il 25%, ma è quasi uguale a quella di Dortmund (ex Repubblica Federale), nella Ruhr, un tempo il cuore del carbone e dell’acciaio, che arriva al 24,2% (…). Ad Hannover siamo al 22,6%, a Colonia al 20%, a Düsseldorf… al 19,2%, a Brema al 21,3%. Il trend dei cittadini poveri… va dunque crescendo, nonostante tutte le misure adottate. A Berlino, un bambino su tre vive sotto il limite di povertà, e la percentuale di chi vive grazie alle misure sociali è del 21,1% sui 3,5 milioni di abitanti. È l’unica capitale europea più povera della media nazionale (…). La disoccupazione diminuisce, siamo al livello più basso dalla caduta del Muro, sotto i 3 milioni, ma lavorare non basta per evitare la ‘quasi’ povertà: molti hanno salari intorno ai 1.500 euro netti e, pagate tutte le spese, non si vive molto meglio di chi riceve l’assegno sociale, e non deve pensare all’affitto, al riscaldamento e a tutto il resto (…). Per chi non se la cava bene, abbia un lavoro o meno, è più frustante vivere in mezzo all’agiatezza (…). A Berlino, stanno per aprirsi i tradizionali mercatini natalizi che tanto affascinano i turisti, ma uno sarà riservato ai poveri. Si potrà comprare qualche balocco o gustare una frittella solo mostrando la tessera dell’assistenza sociale» (8).

    Il quadro delineato da questo reportage spiega molto bene la politica liberal-conservatrice della Germania della Merkel fondata sulle esportazioni verso l’esterno, approfittando della moneta unica che non consente ai concorrenti di svalutare, e sul contenimento salariale all’interno. In tal modo la Germania riesce a lucrare ingenti profitti nel commercio estero mantenendo i tassi del proprio debito pubblico bassi così da disporre delle somme necessarie, senza eccessivi costi, per l’assistenza sociale dei suoi poveri. Tutto questo, però, si regge non solo a scapito dei lavoratori tedeschi penalizzati nel salario, quindi con contrazione della domanda aggregata interna compensata dalle esportazioni, ma soprattutto a scapito di tutti gli altri europei, ed in particolare di quelli meridionali. I quali da un lato sono stati per dieci anni, dall’entrata dell’euro, i beneficiari del credito facile e dell’ingente flusso di capitali tedeschi (così si spiega, ad esempio, il boom edilizio della Spagna di Zapatero ora trasformatosi nel quasi default della Spagna di Rajoy) e dall’altro sono diventati le colonie e, predestinate, vittime della crisi non appena quei capitali e quel credito facile sono venuti meno. Una conferma, questa, dell’assunto che per ogni nazione è un rischio gravissimo esporsi troppo verso l’estero in termini di debito, di vincolo esterno, mentre è saggio riservare all’estero solo una parte non maggioritaria del proprio debito e del proprio import/export.

    All’efficienza economica o finanziaria non corrisponde affatto, nei Paesi «virtuosi», un’efficienza sociale e civile. Il «miracolo» tedesco, ad esempio, è stato ottenuto – e non solo dal governo conservatore della Merkel ma prima di esso dal governo socialdemocratico di Schröder – al prezzo di gravi sacrifici imposti ai ceti meno abbienti.

    Forse i popoli europei stanno iniziando a capire il «grande inganno» di cui sono stati vittima ovvero che la causa della crisi non è nel debito pubblico – il quale quando non supera certi non stretti, ma neanche troppo larghi, limiti e quando è nelle mani prevalentemente interne dei popoli, e non in quelle dei «mercati» ossia degli speculatori tipo hedge fund, equivale a ricchezza dei cittadini perché misura la spesa che ciascuno Stato sostiene per il proprio popolo – ma nel debito privato delle banche, nell’esposizione finanziaria privata sui casinò incontrollati della globalizzazione del capitalismo terminale fondato sulla volatilità cibernetica del denaro creato dal nulla.

    Per salvare le banche, che hanno giocato d’azzardo, anche con i soldi loro affidati in deposito dai clienti convinti che fossero usati per sostenere l’economia reale, gli Stati sono dovuti intervenire, con una discutibile quanto illegittima interpretazione della politica keynesiana (9), a salvataggio del sistema bancario globale, con il solo risultato di consentire al capitale finanziario speculativo transazionale, una volta passato, per esso, il peggio registrato a cavallo del 2007/2008, di mordere, mosso dalla sua natura perversa che consiste nell’insaziabile fame da profitto egoistico nonché immediato ed assoluto, la mano pubblica che lo aveva improvvidamente salvato e, quindi, iniziare a speculare sui «debiti sovrani», attaccando, come fa la belva quando assale il branco delle sue prede, i soggetti più deboli.

    L’aggressione ha funzionato in particolare in Europa perché gli Stati dell’UE, incastrati nella follia di un trattato monetarista e neoliberista come quello di Maastricht, sono, più di altri Stati, esposti alla speculazione, per via della mancanza, per statuto della BCE, di una vera Banca Centrale a loro servizio, da essi non indipendente ed ad essi sottoposta, quindi chiamata, come ad esempio la Federal Reserve americana, a monetizzare il debito pubblico calmierando spread e tassi di interesse sui titoli di Stato. La BCE, invece, è oggi indipendente dagli Stati dell’UE, su di essi sovrana, e impone loro tagli della spesa sociale o tassazione, o entrambe le cose, per monetizzare, e parzialmente, i loro fabbisogni finanziari.

    Di «grande inganno» iniziano ormai a parlare in molti (10)

    Si inizia, forse, a comprendere che è falsa la rappresentazione alle opinioni pubbliche, messa in scena da un sistema mediatico prezzolato dalla finanza transnazionale, dell’origine della crisi come di un problema di debito pubblico e di spesa pubblica. Banchieri, grandi corporation finanziarie e think tank monetaristi hanno convinto i popoli di aver vissuto sopra i loro mezzi e che la colpa da cui emendarsi sarebbe la spesa sociale. In realtà, più vengono imposte politiche di rigore e più la spesa pubblica aumenta per il semplice fatto che da un lato essa, rese indipendenti le Banche Centrali, deriva quasi del tutto dal vincolo da interesse esterno che gli Stati, non più sostenuti dalla propria Banca Centrale, sono costretti a sopportare senza possibilità di ridurla per effetto dell’anatocismo liberamente praticato dai «mercati» (lo Stato, privato del controllo della propria sovranità monetaria, per pagare gli interessi di ieri, deve oggi ulteriormente indebitarsi con gli stessi speculatori contraendo gli interessi che dovrà pagare domani, in un circolo vizioso fondato sul debito e favorevole solo ai banchieri) e dall’altro per il semplice fatto che, depressa l’economia reale non solo per le tasse, come troppo si tende a dire, ma soprattutto per i tagli alla spesa pubblica – l’unica in grado, soprattutto in tempi di recessione, di incentivare la domanda aggregata e quindi il mercato reale –, nessuna crescita è possibile compresa quella della base imponibile (che consentirebbe un abbassamento della pressione fiscale) con conseguente ulteriore divaricazione tra PIL e debito pubblico.

    La dimostrazione sta nel fatto che attualmente la spesa sociale è ferma da anni – le pensioni sono al 15% del PIL e la sanità all’8% – mentre il debito pubblico aumenta sempre di più.

    Per nascondere questa realtà, la propaganda liberista punta l’indice contro gli sprechi e le inefficienze del pubblico. Sprechi che, se senza dubbio ci sono e devono essere eliminati, non sono però la vera causa dell’indebitamento pubblico, la quale è, come si è detto poc’anzi, nel vincolo da interesse esterno e nelle politiche di rigore che strozzano l’economia reale. Alla favola degli sprechi – che, ripetiamo, devono essere eliminati, ma innanzitutto per un criterio di moralità pubblica – come causa unica o prevalente del debito pubblico abboccano solo gli allocchi, chiunque essi siano e da qualunque parte politica essi provengano.

    I fatti hanno dimostrato ampiamente che le politiche neoliberiste, imposte in questi anni dalla tecnocrazia bancocratica – quella che ha costruito questa Europa monetarista –, stanno tristemente peggiorando la situazione presentando il conto della crisi, non ai veri responsabili ossia ai banchieri, finanzieri e speculatori, ma ai popoli indifesi ed inermi di fronte allo strapotere della finanza transnazionale e dei loro servi ovvero i politici da operetta che calcano la scena pubblica ed i media menzogneri.

    La collera contro governi che tagliano pensioni, salari e servizi pubblici per cederli alla speculazione privata e non si oppongono alla globalizzazione deindustrializzante, sta crescendo. L’austerità regressiva porterà, prima o poi, al deflagrare delle tensioni sociali con gli esiti più imprevedibili.

    Come è accaduto per il comunismo, imposto ai popoli ad esso soggetti da una nomenclatura di «auto-eletti» e perseguito con fanatico dogmatismo fino al collasso definitivo, così accadrà, anzi sta già accadendo, per questa nuova dottrina totalitaria che è il neoliberismo e che chiede, con mentalità azteca, sacrifici umani sull’altare del rigore e dei tagli.

    Del resto liberismo e comunismo hanno le stesse radici filosofiche immanentiste nell’antisacralità e nell’antipoliticità.

    L’economia non è un grafico

    Il fallimento del governo di Mario Monti, il commissario della finanza transnazionale imposto con un golpe legalitario, ma non per questo costituzionalmente legittimo, ad una Nazione come l’Italia che già con Berlusconi al potere era, per dirla con Dante, «Serva, non Donna di province ma bordello», non sarà mai pubblicamente ammesso. Anzi i media hanno ricevuto l’ordine, e lo stanno già eseguendo, di insistere sul fatto che Monti avrebbe ridato credibilità internazionale all’Italia quando invece egli ha solo reso tranquilli gli speculatori circa l’obbedienza italiana nel fare i «compiti a casa» e nel continuare a «servire il debito». Ma la triste realtà, dopo un anno di sospensione tecnocratica della democrazia, è che il debito pubblico è aumentato proprio tagliando la spesa pubblica ossia ingenerando depressione economica.

    Mario Monti è un economista neoclassico che crede alla mano invisibile del mercato solo perché sulla carta, ossia matematicamente, l’«elegante» grafico che rappresenta l’incontro spontaneo della domanda e dell’offerta, sul diagramma delle ascisse e delle coordinate, funziona. Ma l’economia come scienza matematica è un grande inganno. Non esiste l’economia come scienza fatta solo di algoritmi e grafici. L’economia è innanzitutto una scienza umana, una scienza sociale, ed ha a che fare soprattutto con la storia e con le sue fondamenta trascendenti. Anzi può dirsi che l’economia è quasi esclusivamente esperienza sociale, storicamente misurabile ma strettamente legata a presupposti morali, filosofici e teologici, di un tipo o dell’altro. In tal senso l’economia non sussiste, come scienza, se non congiunta alla storia dell’economia e del pensiero economico. Sicché un economista che non studia la storia dell’economia e del pensiero economico è destinato a non comprendere nulla degli stessi fenomeni economici. Mario Monti appartiene a questo genere di economisti che astraggono l’economia dalla storia e dalla metastoria. E questo genere di economisti sono tutti – guarda caso – di scuola liberista e neoliberista.

    Il neoliberismo, come abbiamo detto, è una dottrina totalitaria. Ergendosi a «pensiero unico» il neoliberismo ha fagocitato i suoi oppositori esattamente come facevano i regimi totalitari. Certo, si obietterà che non lo ha fatto con la repressione. Ma quando Solženicyn, appena fuori uscito dal gulag, sostenne, nel suo discorso di Harvard, che la differenza tra il totalitarismo sovietico e quello liberale dell’Occidente sta nel fatto che a quest’ultimo basta staccare la spina del microfono per ridurre al silenzio gli oppositori, intendeva proprio puntare il dito su questo carattere totalitario, benché soft, del liberalismo.

    Per questa ragione, per la sua capacità di seduzione unita alla sua repressione morbida (11), le ammalianti sirene del neoliberismo hanno finito per affascinare anche i suoi antagonisti storici ossia la sinistra e la destra sociale che sono giunte a gettare alle ortiche il loro patrimonio ideale fatto di aspirazioni alla giustizia sociale e di tutela e valorizzazione delle identità comunitarie.
    Credere - Pregare - Obbedire - Vincere

    "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo" (Ger 17, 5).

  6. #36
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    Predefinito Re: Dipendenti pubblici, in Italia 5,8% (Francia 9,4%, Regno Unito 9,2%)

    Si si può essere d'accordo su tutto, tranne sulla parte da classico democristiano italiano quando si sostiene come al solito che gli sprechi e i malfunzionamenti della cosa pubblica sono solo un problema morale di seconda importanza e non concausa del fallimento italiano, più soldi sprecati nella spesa pubblica meno soldi di sostegno alle imprese e meno infrastrutture moderne quindi di conseguenza minor competitività delle aziende quindi minor pil ed occupazione, matematico e scientifico.

    Faccio presente che improvvisamente mi veniva impedito di entrare nel forum col nickname precedente e mi sono reinserito aggiungendo il numero 2 essendo questo un nickname che già uso in un altro blog.

  7. #37
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    Predefinito Re: Dipendenti pubblici, in Italia 5,8% (Francia 9,4%, Regno Unito 9,2%)

    Ma che fine ha fatto Bisentium?
    É tra persone con opinioni diverse che si crea una vera discussione.

  8. #38
    reietto estetico
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    Predefinito Re: Dipendenti pubblici, in Italia 5,8% (Francia 9,4%, Regno Unito 9,2%)

    ma di cosa stiamo parlando ??


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    DEFORME AUTENTICO

  9. #39
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    Predefinito Re: Dipendenti pubblici, in Italia 5,8% (Francia 9,4%, Regno Unito 9,2%)

    Citazione Originariamente Scritto da marocchesi Visualizza Messaggio
    ma di cosa stiamo parlando ??


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    Curiosa la voce amministrazione generale.

  10. #40
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    Predefinito Re: Dipendenti pubblici, in Italia 5,8% (Francia 9,4%, Regno Unito 9,2%)

    Citazione Originariamente Scritto da Samuel cramer 2 Visualizza Messaggio
    Curiosa la voce amministrazione generale.

    ..saranno le matite e i gessetti...
    DEFORME AUTENTICO

 

 
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