Risultati da 1 a 10 di 10
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    Ghibellino
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    Predefinito 27 Ottobre 1962 - Enrico Mattei

    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

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    Ghibellino
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    Predefinito Re: 27 Ottobre 1962 - Enrico Mattei

    27 ottobre 1962: L'assassinio di Enrico Mattei

    Beniamino Andrea Piccone




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    In tempi così tristi e senza apparente futuro, prendiamo ispirazione dal Foscolo - A egregie cose il forte animo accendono l'urne de' forti (I Sepolcri) - e guardiamo agli italiani migliori.
    Settimana scorsa abbiamo ripercorso la figura di Enrico Mattei, imprenditore formidabile al servizio dello Stato. In qualità di commissario liquidatore dell'Agip riuscì a convincere Alcide De Gasperi della necessità - per l'industrializzazione dell'Italia - di indipendenza e autonomia energetica.
    Mattei può quindi essere considerato il fondatore dell'ENI, che così lo ricorda: "Nel 1906 nasceva Enrico Mattei, figura centrale nella storia del sistema industriale nazionale e internazionale. Passione, visione strategica, innovazione: gli ideali che Enrico Mattei ha trasmesso a Eni hanno portato la Società a crescere fino a diventare la sesta compagnia petrolifera mondiale".
    Nel 1991 il giornalista Mario Pirani - collaboratore di Mattei in Nord Africa nei primi anni Sessanta - scrisse un interessante saggio: Tre appuntamenti mancati dell'industria italiana (Il Mulino, nov-dic 1991). La conclusione era la seguente: "La sorte avversa di tre personalità di grande preveggenza - Enrico Mattei, Felice Ippolito e Roberto Olivetti - finì per determinare uno sviluppo dell'economia italiana qualitativamente diverso da quello che avrebbe potuto essere se le intuizioni maturate a cavallo degli anni Sessanta non fossero state volutamente respinte".
    Approfondiamo quindi il mistero - l'Italia è il Paese dei misteri, in teoria in questo caso la magistratura ha accertato che l'aereo è esploso in volo e quindi si è trattato di un attentato - della morte di Enrico Mattei.
    La prima inchiesta sulla morte di Enrico Mattei - avvenuta il 27 ottobre 1962 - venne chiusa a Pavia nel 1967 e ritenne accidentale il disastro di Bascapè. Nel 1994 – a seguito delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaetano Iannì – vennero riaperte le indagini. Il successivo rinvio a giudizio, nel gennaio 1998, ha stabilito inequivocabilmente che l’aereo a bordo del quale viaggiavano Enrico Mattei, Irnerio Bertuzzi (pilota) e William Mc Hale (giornalista, ospite di Mattei), venne dolosamente abbattuto.
    I resti dell'aereo di Mattei a Bascapè
    Venne utilizzata una limitata carica esplosiva. Nelle parole del pm Calia: “...di ritenere inequivocabilmente provato che l’I-Snap (“I” stava per Italia, “Sna” per “Snam”, e “P” per presidente) precipitò a seguito di una esplosione limitata, non distruttiva verificatasi all’interno del velivolo, probabilmente innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei loro alloggiamenti”. “Tale carica esplosiva, equivalente a cento grammi di “Compound B, fu verosimilmente sistemata dietro il cruscotto dell’aereo, a una distanza di circa 10-15 centimetri dalla mano sinistra di Mattei”.
    Diversi storici hanno escluso un attentato da parte della CIA (tra i possibili mandanti dell'omicidio) poichè Mattei era alla vigilia di un viaggio negli Stati Uniti dove avrebbe dovuto tenere una lecture a Harvard University, e incontrare alla Casa Bianca il Presidente J.F. Kennedy. Era in via di definizione un accordo con una delle Sette sorelle – la Esso – che avrebbe anticipato un periodo diappeasement petrolifero.
    Noi siamo dell’idea che l’aereo di Mattei – come dalla prima testimonianza dell’agricoltore Mario Ronchi (raccolta dal giornalista RAI Bruno Ambrosi, e successivamente "silenziata") – sia esploso in volo: “Il cielo rosso bruciava come un grande falò, e le fiammelle scendevano tutt’attorno...l’aeroplano si era incendiato e i pezzi stavano cadendo...sui prati, sotto l’acqua”. Anni dopo si è acquisita la testimonianza di un’altra contadina di Bascapè, Margherita Maroni: “Nel cielo una vampata, uno scoppio, e delle scintille venivano giù che sembravano stelle filanti, piccole comete”.
    Mattei davanti al suo aereo
    Inoltre ci sono altri elementi che inducono a pensare a uno scoppio in quota:
    1. lo sparpagliamento dei resti dell'aereo in un diametro di un chilometro;
    2. la scarsa profondità (“circa un metro”) della buca nel punto di impatto dell’aereo;
    3. la mancanza di tracce di incendio sui tronchi d’albero intorno alla zona dell’impatto, che si rivela dalle fotografie scattate subito dopo l’incidente. Così le risultanze dei carabinieri di Landriano: “Qua e là si rinvenivano resti umani per un raggio di circa un chilometro...gli alberi non presentavano segni di rottura o altra forma di violenza prodotta dalla velocità dell’aereo”.
    Invito tutti i lettori – ma soprattutto i miei studenti - a vedere il magnifico film di Francesco Rosi – Il caso Mattei (1973), con una magistrale interpretazione di Gian Maria Volontè.
    GM Volontè (Mattei) a Gagliano
    Io – quando rivedo Mattei in Sicilia (Gagliano, Enna), poche ore prima della tragedia, che parla dell’avvenire industriale siciliano – mi emoziono ancora: “Con le riserve che saranno accertate, una grande ricchezza è a disposizione della Sicilia. Amici miei, noi non vi porteremo via niente. Noi non portiamo via il metano, il metano rimane in Sicilia, rimane per le industrie, per tutte le iniziative, per tutto quello che la Sicilia dovrà esprimere”.
    “Questi risultati, che aprono un grande avvenire al nostro paese, sono il frutto di un lavoro tenace, duro, e spesso fra l’incomprensione e la sfiducia dei più” (Enrico Mattei, 19 giugno 1949)
    “Abbiamo cominciato in un’atmosfera di ostilità. Negli idrocarburi italiani non credeva nessuno; avevamo l’ostilità del governo e dell’iniziativa privata: questa è la verità. Io non voglio contrapporre l’iniziativa dello stato e l’iniziativa privata: io credo soltanto nell’iniziativa senza aggettivi, nell’iniziativa di tutti. E’ l’iniziativa che crea ricchezza, che aumenta il reddito, che apre nuovi posti di lavoro, che stimola il benessere di tutto il paese” (Enrico Mattei, 26 ottobre 1949)
    “Chissà, forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei è stato il primo gesto terroristico nel nostro paese, il primo atto della piaga che ci perseguita” (Amintore Fanfani, 1987).
    “Fu Cosa Nostra siciliana a decretare la morte di Enrico Mattei...Il piano per eliminare Mattei mi fu illustrato da Salvatore Greco “Cicchiteddu” e da Salvatore La Barbera...Mattei fu ucciso su richiesta di Cosa Nostra americana perchè con la sua politica aveva danneggiato importanti interessi americani in Medio Oriente...Di Cristina procurò l’accesso a una riserva privata dove accompagnare Mattei a caccia. L’aereo di quest’ultimo fu manomesso durante questa battuta di caccia” (Tommaso Buscetta in Addio Cosa Nostra, Pino Arlacchi, Rizzoli, 1994)
    “L’ENI era una “banda” formata da un solo uomo...Per questa ragione, era possibile liquidare una politica liquidando Mattei” (Giorgio Galli, La regia occulta, Tropea, 1996)
    “Alla morte di Mattei dietro all’apparenza del dolore e del ricordo collettivo aleggiava all’interno del governo, nei circoli politici e soprattutto in quelli commerciali, un’atmosfera di sollievo”, (Foreign Office britannico, 1963)
    “Senza di lui, tutto sarebbe stato diverso...La mia delusione nasceva dalla convinzione che fosse giusta la previsione di Mattei sulla ineluttabilità, non troppo lontana, della fine dell’epoca caratterizzata dal basso prezzo del greggio – allora tra 1,70 e 2,20 dollari al barile – manovrato dalle Sette sorelle...Tutta la politica dell’ENI veniva ribaltata, la rete di alleanze, di simpatie, di credito che ci eravamo conquistati in tutto il Terzo Mondo era non solo stracciata, ma platealmente sconfessata (dal successore di Mattei, Eugenio Cefis, che un giorno disse a Egidio Egidi, capo della ricerca: "Il petrolio vado a comprarlo dalle Sette Sorelle e Lei, caro Egidi, deve liquidare la ricerca petrolifera", ndr). Ci allineavamo in posizione subalterna alle Sette Sorelle...Eppure, la crisi sarebbe scoppiata di lì a pochissimo, in coda alla guerra del Kippur, nell’ottobre del 1973, quando i paesi dell’Opec decisero l’interruzione degli approvvigionamenti petroliferi ai paesi consumatori, con conseguente, vertiginoso aumento dei prezzi che in un anno lievitarono di quattro volte, da 3 a 12 dollari il barile, per toccare nel 1979, con la seconda crisi petrolifera, susseguente alla rivoluzione khomeinista in Iran, i 35 dollari, e inevitabile spostamento di enormi flussi finanziari dai paesi consumatori ai paesi produttori” (Mario Pirani, collaboratore di Mattei, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010)
    “Avevo assistito alla stagione della sua (dell’ENI, ndr) decadenza e al coinvolgimento nel sistema corruttivo della politica italiana, con un rovesciamento della strategia di Mattei quando i partiti venivano finanziati per impedire che varcassero i cancelli del grande gruppo pubblico. E così avveniva. Poi prevalse il contrario, i partiti sfrondarono le difese, si spartirono posti e soldi, gli scandali dilagarono fino alla maxitangente Petronim e all’affare Enimont. Pensavo che il Gruppo ENI non ne sarebbe più uscito. E invece no. Quasi come un’araba fenice che risorge dalle sue ceneri, l’ENI, nelle sue ultime gestioni, non solo è tornata a crescere, ma si è affermata come l’unica grande multinazionale italiana rimasta sul proscenio, vitale e attiva. Sono convinto che, senza quelle radici gettate da Mattei più di mezzo secolo fa, rimaste per tanto tempo sotto traccia ma mai sradicate del tutto, tale recupero non avrebbe goduto i vantaggi di quella “continuità storica” che fa parte del pedigree di alcuni grandi gruppi internazionali (Mario Pirani, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010).
    Bibliografia e approfondimenti:
    Italo Pietra, Mattei. La pecora nera, Sugarco Edizioni, 1987
    Nico Perrone, Obiettivo Mattei, Gamberetti Editrice, 1995
    Giorgio Galli, La regia occulta. Da Enrico Mattei a Piazza Fontana, Tropea Editore, 1996
    Nico Perrone, Giallo Mattei, Stampa Alternativa, 1999
    Nico Perrone, Enrico Mattei, Il Mulino, 2001
    Leonardo Maugeri, L’era del petrolio, Feltrinelli, 2006
    Benito Li Vigni, Il caso Mattei, Editori Riuniti, 2003
    Nicola Casertano, La sfida al’ultimo barile, Brioschi Editore, 2009
    Massimo Nicolazzi, Il prezzo del petrolio, Boroli Editore, 2009
    Gerbi-Liucci, Montanelli l'anarchico borghese, Einaudi, 2009
    Mario Pirani, Poteva andare peggio, Mondadori, 2010
    Enrico Mattei, Scritti e discorsi, 1945-1962, Rizzoli, 2012



    Leggi il resto: 27 ottobre 1962: L'assassinio di Enrico Mattei | Faust e il Governatore
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

  3. #3
    Ghibellino
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    Predefinito Re: 27 Ottobre 1962 - Enrico Mattei

    Mattei, Pasolini e De Mauro:
    una scia di sangue e petrolio
    intervista di Antonella Loi
    a Giuseppe Lo Bianco, autore con Sandra Rizza di
    Profondo nero - Mattei, De Mauro, Pasolini. Un'unica pista all'origine delle stragi di Stato
    www.tiscali.it

    Enrico Mattei, Pier Paolo Pasolini, Mauro De Mauro. Cosa c’è dietro la morte del presidente dell’Eni nei cieli di Bascapè? E di chi era la mano che uccise il poeta all’Idroscalo di Ostia: fu veramente il 17enne Giuseppe Pelosi o, come da lui stesso dichiarato in una recente intervista, “lo uccisero in 5, gente intoccabile”? E ancora, cosa aveva scoperto il giornalista Mauro De Mauro a proposito della morte di Mattei, tanto da diventare un pericolo per chi ne ordinò il sequestro e la morte? Una trama oscura che passa attraverso il libro che Pasolini stava ultimando, Petrolio, e la sceneggiatura per un film di Rosi sul Caso Mattei su cui il cronista siciliano lavorava. Uno dei tanti misteri d’Italia, un puzzle intricato che passa attraverso la loggia massonica P2, i servizi segreti deviati e la lotta per il potere di personaggi senza scrupoli a cui Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, nel loro libro Profondo nero - Mattei, De Mauro, Pasolini. Un'unica scia all'origine delle stragi di Stato (edito da Chiarelettere, 2009, 295 pp., 14,60 euro) hanno provato a dare un volto. Facendo nomi e cognomi.
    Lo Bianco, l’uccisione di Mattei è stata un punto di svolta nella storia italiana?
    "Direi proprio di sì. Enrico Mattei aveva in testa l'idea di un'Italia autonoma, energeticamente e finanziariamente, libera dalla dipendenza dalle Sette Sorelle, Mattei aveva un po' sconvolto l'equilibrio mondiale del mercato del petrolio. Era un personaggio assai scomodo, all'estero perché alterava questi equilibri e in Italia perché oltre ad avere una grande capacità economica aveva anche una grande capacità politica. Mattei era diventato una sorta di ministro degli Esteri italiano, era più importante del ministro degli Esteri, e in qualche modo decideva larghe fette di politica estera italiana, stringeva rapporti con i paesi del Medioriente e dell'Africa sulle questioni energetiche. Con la sua morte in molti hanno tirato un sospiro di sollievo e questo emerge dalle carte processuali e da documenti dei servizi segreti".
    Dalla coltre di fumo che per anni ha circondato il "caso Mattei" emerge la figura di Eugenio Cefis, collante di un sistema eversivo sostenuto da una classe dirigente fuori dagli schemi della democrazia. Chi era Cefis?
    "Cefis era un burocrate di Stato, un boiardo, un grande manager pubblico che come Mattei veniva dalla Resistenza. Condividevano la stessa esperienza anche se si erano annusati e non si piacevano molto. Avevano combattuto insieme sulle Alpi lombarde. Come tutti coloro che vengono dalla Resistenza avevano due caratteri forti, temprati dalla guerra, molto duri. Ma al contrario di Mattei, Cefis preferì fin dall'inizio allacciare rapporti con gli americani, rapporti che segneranno poi tutta la sua carriera. Cefis era un uomo con l'ossessione della segretezza, Giorgio Bocca l'ha raccontato molto bene. Sue fotografie in giro non ce ne sono. Quelle agli atti dei processi sono state più volte acquistate così come, forse per conto di Cefis, sono state acquistate anche quelle della tragedia di Bascapè dove perse la vita Mattei. Foto acquistate dall'investigatore privato Tom Ponzi che, successivamente, finì coinvolto in storie di spionaggio".
    Un personaggio misterioso.
    "Un'informativa dei servizi segreti indica Cefis come il capo della loggia massonica P2, che poi avrebbe lasciato in eredità a Licio Gelli e Umberto Ortolani. Quello che ci ha colpito scrivendo questo libro è che per oltre quarant'anni, al di là delle responsabilità di Cefis e del 'sistema Cefis', a noi italiani hanno fatto credere che questo aereo si fosse schiantato a Bascapè in una sorta di incidente aereo. Sono riusciti a camuffare un sabotaggio facendolo passare per un incidente aereo. E ci sono riusciti benissimo per molti anni".
    Perché non si è mai arrivati ad una verità giudiziaria sul caso Mattei?
    "Perché i primi testimoni, penso al colono Mario Ronchi, hanno ritrattato quello che hanno detto di aver visto nell'immediatezza ai giornalisti della Rai, documenti poi scomparsi o alterati: dal video di un servizio Rai è sparito addirittura l'audio. Sono entrati in gioco una serie di meccanismi di copertura e di depistaggio fortissimi, che non potevano non avere radici nell'apparato dello Stato. Penso appunto al colono Ronchi al quale, dopo questa sua ritrattazione, è stata costruita una strada interpoderale a spese dell'Eni, o meglio della Snam. Ronchi è stato assunto dalla Snam con un contratto annuale per fare il custode di quello che sarebbe diventato il memorial Mattei, fu assunta perfino una figlia. Lui era l'unico testimone che aveva detto di aver visto la palla di fuoco in cielo, cioè era l'unico che aveva visto qualcosa che dimostrava che era successa qualcosa a bordo dell'aereo sul quale viaggiava Mattei, aveva visto le fiamme in aria. Sparita quella prova poi tutto finì".
    Anche una commissione d'inchiesta indagò sulla morte del presidente dell'Eni.
    "La commissione parlamentare, che venne insediata dall'allora ministro della Difesa, Giulio Andreotti, però non riuscì ad arrivare a nessuna verità. E anche se il comandante Giambalvo, che il procuratore Calia (il magistrato che nel 1994 aprì un'inchiesta che per la prima volta mise in correlazione gli omicidi Mattei, Pasolini e De Mauro n.d.r.) ha sentito e il cui verbale fu allegato agli atti dell'inchiesta, ha detto di avere lasciato la commissione con un'intesa tra i componenti della commissione stessa, e di avere visto poi un esito del tutto diverso spuntato nell'ufficialità dei documenti finali. Anche quella è una pagina molto oscura. Soltanto dopo la riesumaizone dei cadaveri, l'esame dei reperti dell'aereo custoditi negli hangar, il pm Calia fece un lavoro brillante, faticoso e tenace, riuscendo a ristabilire la verità, una verità che era stata nascosta agli italiani".
    Da Mattei a Pasolini. Il poeta - ucciso il 2 novembre 1975 - provò a denunciare l’eversione di stato: Pelosi ha parlato di una banda di picchiatori che, mentre massacravano il poeta, urlavano “frocio, comunista”. Quella di Pasolini è stata dunque una morte "politica"?
    "Pelosi non la racconta tutta. Evidentemente non la racconta tutta e non la racconta ancora giusta. Però è pure vera una cosa: come dice la Maraini, nel suo raccontare questa verità a rate, ci si avvicina sempre di più a quello che lei e il gruppo di intellettuali vicini a Pasolini avevano gridato, cioè che si trattava di un delitto politico. Bernardo Bertolucci, grande amico di Pasolini, parlò di una fatwa lanciata dal palazzo. Pelosi evidentemente, arrivato a cinquant'anni, sente forte il peso di questa responsabilità che non vuole più portare da solo. In fondo ha pagato solo lui".
    Pelosi racconta una storia totalmente diversa da quella resa al processo.
    "Pelosi parla oggi di un commando di cinque persone, parla di un appuntamento che Pasolini avrebbe preso con lui una settimana prima, aprendo uno scenario del tutto nuovo: non è stato un adescamento casuale alla stazione Termini, ma un appuntamento concordato che poteva offrire agli assassini l'occasione per ammazzare Pasolini. E Pelosi fa i nomi. La cosa singolare che abbiamo evidenziato bene nel libro è che due di questi erano stati identificati due mesi dopo dal maresciallo Renzo Sansone che, inflitrandosi in una bisca del Tiburtino, riuscì a raccogliere le confidenze dei fratelli Franco e Giuseppe Borsellino che dissero di aver ucciso Pasolini insieme a Giuseppe Mastini detto "Johnny lo Zingaro". Ma ad assassinare Pasolini erano in cinque, quindi ce ne sarebbero altri due, che Pelosi descrive come "quarantenni con la barba" che non avrebbero direttamente partecipato al pestaggio ma avrebbero in qualche modo sovrinteso all'agguato dell'Idroscalo e questi potrebbero essere legati ai servizi segreti deviati. Ma tutto questo dovrà essere accertato giudiziamente se, come chiesto dall'avvocato Maccioni, il fascicolo verrà riaperto".
    Un altro omicidio legato alla morte di Mattei e poi di Pasolini, è quello del giornalista Mauro De Mauro - sparito da Palermo il 16 settembre del 1970 - che indagava sui giorni siciliani, gli ultimi, di Enrico Mattei.
    "Il delitto di Pasolini è legato più logicamente che giudiziariamente agli altri due. Il delitto De Mauro invece è legato in maniera fortissima al delitto Mattei. De Mauro indagava sul delitto Mattei per conto del regista Rosi. Due giorni prima della sua scomparsa De Mauro aveva incontrato il senatore Graziano Verzotto, un personaggio chiave di questa vicenda perché attraversa incredibilmente tutti e tre i delitti. Verzotto, capo delle pubbliche relazioni dell'Eni, è l'uomo che chiama Mattei in Sicilia per quell'ultimo viaggio trasformato nel viaggio della morte".
    Verzotto è legato a Mattei ma anche a De Mauro.
    "Sì, Verzotto è l'uomo che incontra De Mauro e al quale fa tutta una serie di confidenze, fino all'ultimo incontro il 14 settembre due giorni prima della sua scomparsa, quando gli parla di una serie di cose, indicandogli Cefis come un possibile mandante del delitto Mattei. Verzotto, nella sua qualità di presidente dell'Ente minerario, è finanziatore di quell'agenzia che si chiama 'Roma informazioni' e che è collegata a 'Milano informazioni', che pubblicò il libro Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato presidente, scritto da tale Giorgio Steimetz, misteriosamente ritirato dagli scaffali, da cui Pasolini aveva tratto spunti per il suo Petrolio. Quindi De Mauro aveva capito probabilmente una fetta di verità relativa a Mattei e proprio per questo, secondo noi, è stato fatto scomparire".
    Dal suo libro emerge un intreccio di depistaggi ed omissioni che tocca imprenditori, politici, servizi segreti, passando per la mafia e la massoneria. Una sequela di non-verità che si protraggono fino ai giorni nostri: l’Italia degli anni ’70 vive ancora oggi?
    "L'Italia degli anni '70 si proietta in maniera inquietante negli anni '90 e nel terzo millennio. Non siamo riusciti a fare chiarezza su tutti i buchi neri del nostro passato recente, nonostante una bellissima relazione di maggioranza della Commissione stragi presieduta da Giovanni Pellegrino abbia messo dei punti fermi sulla storia sottotraccia di questo Paese, disegnando perfettamente quella che fu negli anni '70 la strategia della tensione". Una pagina chiusa?
    "Tutt'altro, quella strategia non è conclusa, quella stagione si proietta ancora fino ai giorni nostri e lo ha sottolineato lo stesso pubblico ministero Calia quando, nella sua inchiesta, cita una società che si chiama 'Cefinvest' che sarebbe in qualche modo collegata alla Edilnord centro residenziali, già Edilnord Sas di Silvio Berlusconi. Lui cita questo come un dato di cronaca ma fa riflettere abbastanza, al di là delle informative dei servizi segreti che indicano Cefis come il vero fondatore della loggia P2. È una parte oscura, che arriva fino alle stragi del '92 e '93 - quindi alla nascita della Seconda Repubblica, che avrebbe bisogno di venire illuminata.


    Mattei, Pasolini e De Mauro, una scia di sangue e petrolio
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

  4. #4
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    Predefinito Re: 27 Ottobre 1962 - Enrico Mattei

    Enrico Mattei: un gigante. Un patriota. Un italiano vero. A lui gloria imperitura. A chi lo ha assassinato ed ai complici italioti la maledizione eterna.
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

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    Predefinito Re: 27 Ottobre 1962 - Enrico Mattei

    di REDAZIONE Il caso Mattei dietro la scomparsa e l’omicidio del giornalista de “L’Ora” Mauro De Mauro. Due misteri che si intrecciano, due storie collegate. E’ questa la chiave di lettura dei giudici di Palermo sul sequestro e l’assassinio del cronista, scomparso nel nulla la sera del 16 settembre del ’70 a Palermo. La corte d’assise, che oggi ha depositato le 2.200 pagine di motivazione della sentenza che, a giugno scorso, ha assolto il boss Toto’ Riina dal delitto De Mauro, ha scelto dunque la pista Mattei. ”Si era spinto troppo oltre nella sua ricerca sulle ultime ore del presidente dell’Eni in Sicilia”, scrivono i giudici.
    Il cronista, dunque, sarebbe giunto troppo vicino ”a scoprire la verita’ non soltanto sul sabotaggio dell’aereo, ipotesi della quale era stato del resto sempre convinto e che, se provata, avrebbe avuto effetti devastanti per i precari equilibri politici generali in un Paese attanagliato da fermenti eversivi e un quadro politico asfittico, ma anche sull’identita’ dei mandanti, o almeno di uno di loro: Graziano Verzotto”. Ma chi e’ Verzotto? Ex senatore democristiano, ex dirigente dell’Eni, presidente dell’Ente Minerario Siciliano, autore di un libro dal suggestivo titolo ‘Dal Veneto alla Sicilia, il sogno infranto, il metanodotto Algeria-Sicilia”. Legato ai servizi segreti francesi, ma anche ai potenti cugini Nino e Ignazio Salvo, mafiosi e concessionari delle esattorie siciliane, Verzotto, che e’ morto due anni fa, e’ uno dei protagonisti principali, secondo i giudici, dei due misteri italiani. Veneto, ex partigiano, venne inviato in Sicilia da Mattei per l’Eni e comincio’ un’intensa attivita’ politica. Sarebbe una delle chiavi del delitto dell’ex presidente dell’Eni. Avvicinato dai Servizi Francesi sarebbe stato incaricato di fermare Mattei che aveva da tempo rapporti strettissimi con l’Fln algerino e che di fatto aveva rotto il monopolio francese in Algeria nella ricerca e nello sfruttamento degli idrocarburi.
    Una politica quella dell’Eni di Mattei avversata dalla Sette Sorelle, le grandi compagnie petrolifere inglesi, francesi e americane. Verzotto avrebbe avuto un ruolo nel complotto internazionale pensato per uccidere Mattei e grazie ai suoi rapporti coi cugini Salvo, legati ai clan, avrebbe fatto eliminare l’ex presidente da uomini di Cosa nostra. Un terribile segreto che De Mauro, incaricato dal regista Francesco Rosi di ricostruire gli ultimi giorni di vita e il viaggio in Sicilia di Mattei, stava per scoprire. Il giornalista era a un passo dalla verita’: tanto che si rese necessaria la sua eliminazione. La sua morte avrebbe fatto comodo a Verzotto, ma anche ai Salvo, implicati nel caso Mattei e alle cosche. Verzotto ”non avrebbe potuto reggere ancora per molto il gioco sottile che lui stesso aveva innescato, cercando di orientare l’indagine di De Mauro nella direzione a se’ piu’ conveniente, a cominciare dall’individuazione dei probabili mandanti del complotto”, scrivono i giudici.
    Il lavoro di de Mauro per Rosi era quasi terminato: ”Nella sceneggiatura approntata, dovevano essere contenuti gli elementi salienti che riteneva di avere scoperto a conforto dell’ipotesi dell’attentato. Bisognava agire dunque al piu’ presto, prima che quegli elementi venissero portati a conoscenza di Rosi e divenissero di pubblico dominio”. E a fare ”il lavoro” fu Cosa nostra: ma non quella di Toto’ Riina, bensi’ quella di Stefano Bontade, Giuseppe Di Cristina e don Tano Badalementi che all’epoca avevano un potere e un controllo del territorio tali da poter organizzare un delitto eccellente senza la complicita’ dei corleonesi.

    De Mauro ucciso dalla Mafia perchè vicino alla verità su Mattei | L'Indipendenza
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    Predefinito Re: 27 Ottobre 1962 - Enrico Mattei

    ONORE A ENRICO MATTEI: VITTIMA DI UN ATTENTATO IMPUNITO

    di Gianni Lannes


    Mezzo secolo fa, ma secondo le coordinate geopolitiche è adesso. 27 ottobre 1962, ore 18 e 57 minuti, secondo più secondo meno. Sembra ieri, ma è oggi, e incombe l’attualità: gas, petrolio, terzo mondo, politica internazionale, indipendenza, sovranità nazionale, nuovo ordine mondiale.

    C’è un aereo - un Morane Saulnier 760 Paris II - che sta volando da Catania a Milano. A bordo ci sono tre passeggeri: Enrico Mattei, presidente della più importante agenzia petrolifera italiana, quella statale, l’esperto pilota Irnerio Bertuzzi, e il giornalista William McHale, capo delle redazione romana delle riviste Time e Life.

    Ore 18 e 54 minuti: fra poco più di 3 minuti saranno morti. Ore 18 e 55 minuti il velivolo è in rotta con il radiofaro di Linate. Il comandante Bertuzzi comunica con la torre di controllo. India Papa Alfa annuncia sono a duemila piedi. Ore 18, 56 minuti e 30 secondi: l’aereo sta compiendo la manovra d’atterraggio. Si apre il carrello e scoppia un ordigno. Il piccolo aeroplano si schianta nella campagna di Bascapè.

    C’è un testimone oculare: il contadino Mario Ronchi, che però, su pressioni dei vertici dell’Eni al momento opportuno cambia versione. Nell’archivio della Rai c’è addirittura un’intervista a caldo di Ronchi, dove è stato cancellato l’audio nel momento in cui Ronchi racconta di aver visto l’esplosione in volo. Incombe Eugenio Cefis, vero capo della P2, come aveva intuito il giornalista Mauro De Mauro (scomparso mercoledi 16 settembre 1970 dopo le 21 a Palermo, e mai più ritrovato) nonché Pier Paolo Pasolini, assassinato su ordine degli stessi mandanti il 2 novembre 1975, mentre sta ultimando il romanzo (saggio) Petrolio. Cefis era stato cacciato via dall’Eni proprio da Mattei.

    L’inchiesta è condotta dalla Procura della Repubblica di Pavia e dal generale Ercole Savi per conto dell’Aeronautica Militare - su richiesta dell’allora ministro della Difesa Giulio Andreotti - che archiviano il caso nel 1966 come incidente. Secondo questa ridicola ricostruzione, senza uno straccio di prove, il pilota avrebbe perso il controllo del velivolo.

    Le indagini saranno riaperte a Pavia dal pubblico ministero Vincenzo Calìa nel 1994, sulla base delle dichiarazioni di alcuni pentiti di mafia, tra cui Tommaso Buscetta. Il nuovo accertamento giudiziario rileva la presenza di tracce di esplosivo sul relitto e sui resti umani delle vittime. Negli atti giudiziari (procedimento penale numero 349/95, pagina 129) è scritto che:

    «l’indagine tecnica, confortata dalle prove orali e documentali raccolte, in assenza di evidenze contrarie, permette di ritenere inequivocabilmente provato che (l’aereo sul quale viaggiava Mattei, ndr) è precipitato a seguito di un’esplosione limitata, non distruttiva, verificatasi all’interno del velivolo».

    Secondo il magistrato in base al rapporto della Scientifica, Enrico Mattei sarebbe stato ucciso con una bomba a bordo dell’aereo in fase di atterraggio. Nonostante le evidenze, compresa la presenza dei servizi segreti e la manovalanza di Cosa Nostra, il giudice è costretto a richiedere l’archiviazione del procedimento nel 2005, sebbene abbia stabilito che il Morane Saulnier della Snam partito dall’aeroporto di Catania, su cui viaggiava il presidente dell’Eni, fu sabotato.

    Le indagini di Pavia, scaturite precisamente dalle rivelazioni di Tommaso Buscetta e di un pentito della “Stidda” di Gela, Gaetano Iannì, hanno stabilito un punto fermo.

    «Deve ritenersi…acquisita la prova che l’aereo a bordo del quale viaggiavano Enrico Mattei, William Mc Hale e Irnerio Bertuzzi venne dolosamente abbattuto nel cielo di Bascapè la sera del 27 ottobre 1962», ha scritto il pubblico ministero Calìa.
    «L’indagine tecnica confortata dalle testimonianze orali e dalle prove documentali…ha infatti permesso di ritenere inequivocabilmente provato che l’I-Snap (nome in codice dell’aereo, ndr) precipitò a seguito di un’esplosione limitata, non distruttiva, verificatasi all’interno del velivolo».

    E ancora:

    «Come è già stato dimostrato il mezzo utilizzato fu una limitata carica esplosiva probabilmente innescata dal comando che abbassava il carrello».
    La programmazione e l’esecuzione dell’attentato furono complesse e coinvolsero, argomenta Calìa, «…uomini inseriti nello stesso ente petrolifero e negli organi di sicurezza dello Stato con responsabilità non di secondo piano. Tale coinvolgimento trova conferma nei depistaggi, nelle manipolazioni, nelle soppressioni di prove e di documenti, nelle pressioni, nelle minacce e nell’assoluta mancanza, in ogni archivio, di qualsiasi documento relativo alle indagini e agli accertamenti sulla morte di uno dei personaggi più eminenti nel quadro economico e politico dell’epoca».

    E più avanti:

    «E’ facile arguire che tale imponente attività, protrattasi nel tempo, prima per la preparazione e l’esecuzione del delitto e poi per disinformare e depistare, non può essere ascritta…esclusivamente a gruppi criminali, mafiosi, economici, italiani e stranieri, a “sette […o singole] sorelle” o servizi segreti di altri Paesi, se non con l’appoggio e la fattiva collaborazione…di persone e strutture profondamente radicate nelle nostre istituzioni e nello stesso ente di Stato petrolifero, che hanno conseguito ordini o consigli, deliberato autonomamente o col consenso e il sostegno di interessi coincidenti, ma che, comunque, da quel delitto hanno conseguito diretti vantaggi».

    Ha concluso il magistrato Calìa:

    «Le prove orali documentali e logiche raccolte…non permettono l’individuazione degli esecutori materiali né, per quanto concerne i mandanti, possono condurre oltre i sospetti e le illazioni…di per sé inadeguati non soltanto a sostenere richieste di rinvio a giudizio, ma anche a giustificare l’iscrizione di singoli nominativi sul registro degli indagati».

    Delitto, anzi strage in cerca d’autore. Così l’accusa chiuse il caso, chiedendo e ottenendo dal giudice l’archiviazione delle indagini. Una scelta a dir poco incongruente con le risultanze, in base all’assunto che se crimine c’è dev’esservi anche un criminale (o più di uno), che l’abbia commesso.

    Infatti, le perizie sui frammenti metallici che furono estratti dai resti anatomici di Mattei e Bertuzzi dopo la loro esumazione e le analisi sulle viti di un piccolo strumento fissato al cruscotto dell’areo, l’”indicatore triplo”, che il capo del magazzino centrale della Snam aveva portato a casa e conservato, permisero di rilevare su questi oggetti tracce riconducibili a un’esplosione provocata da un ordigno di qualche decina di grammi forse nascosto nella parte sinistra della cabina di pilotaggio, dov’era ai comandi Bertuzzi. Il magistrato precisò che la carica di esplosivo era collegata all’interruttore di comando dei carrelli, che il pilota aveva già provveduto ad azionare dopo l’ultima comunicazione con la torre di controllo di Linate, alle 18,57. L’esplosione mise fuori uso la strumentazione di bordo, frantumò il tettuccio, il parabrezza, i finestrini del Morane Saulnier, stordì il pilota e i passeggeri.

    Il velivolo precipitò su un campo allagato dalle piogge, conficcandosi nel terreno dopo una strisciata di una decina di metri. La maggior parte dei rottami con i due reattori furono trovati interrati nella buca che l’aereo aveva scavato nel violentissimo impatto con il suolo fangoso. Decine di persone udirono il rombo forte e anomalo di un aereo che volava a bassissima quota, ad alzare gli occhi e a scorgere un bagliore improvviso nel cielo, seguito da una pioggia di particelle in fiamme.

    Il primo a parlare di una palla di fuoco in cielo che si frantumava in stelle filanti fu Mario Ronchi, un contadino che abitava in una cascina in località Albaredo, a 300 metri dal punto d’impatto dell’aereo. Ronchi rilasciò a caldo queste dichiarazioni a un giornalista televisivo della Rai. Ma davanti alla commissione d’inchiesta ritrattò. Il giudice Calìa appurò in seguito che l’agricoltore, in cambio del silenzio, aveva goduto per tutti questi anni di benefici economici, tra cui l’assunzione della figlia, Giovanna, per sedici anni in una società riconducibile a Cefis, la Pro.De. E scoprì che la parte sonora del nastro che era stato utilizzato per le riprese della Rai risultava cancellata proprio nel punto in cui Ronchi descriveva la dinamica dell’accaduto. La verità emerse dall’esame labiale delle immagini video nonostante l’agricoltore si ostinasse a negare, davanti al magistrato, ciò che aveva visto quella sera.

    Le testimonianze di quanti avevano visto ed erano accorsi ad Albaredo indicarono in modo concorde circostanze che la commissione ministeriale, presieduta dal generale dell’aeronautica Ercole Savi, aveva trascurate o ignorate. A parte la conferma che la ruota sinistra dell’aereo era stata ritrovata intatta a circa cento metri dal relitto, e che altri rottami giacevano a decine di metri dal corpo dell’aereo, quasi tutti i testimoni riferirono di aver visto brandelli di carne umana e piccoli parti incandescenti o fuse del velivolo, ancora fumanti, sparse nel raggio di 300-400 metri dal relitto, di avere visto altri brandelli di carne e i resti di un braccio penzolare dalle cime dei pioppi e di aver notato che gli alberi intorno al relitto non avevano preso fuoco a riprova del fatto che il Morane Saulnier non esplose a terra, ma in volo e che le fiamme sulla coda dell’aereo, che fuoriusciva dal terreno, erano alimentate dal kerosene riversatosi per la rottura del serbatoio.

    Il ritrovamento di resti umani e parti dell’aereo così distanti dal relitto non si concilia con l’incidente. Quando l’aereo precipita per un incidente, i corpi hanno la stessa velocità di caduta del velivolo e il loro smembramento avviene con l’impatto. In questo caso, invece, brandelli di carne sono stati ritrovati anche nei due reattori, come conferma la relazione dei vigili del fuoco. I corpi arrivarono dunque a terra già smembrati. Solo un’esplosione in aria può aver generato un movimento laterale di pezzi dell’aereo e di resti umani. L’esplosione, infatti, provoca un cono di frammenti, mentre la caduta non genera movimento laterale se non per fortuiti rimbalzi che nel caso in questione non poterono esservi perché il velivolo precipitò in un pantano di fango. Il carrello ritrovato lontano si sarebbe dovuto infossare con la fusoliera. Ed è possibile individuare tracce di esplosivo a oltre trent’anni di distanza perché i residui incombusti di un’esplosione sono chimicamente molto stabili e resistono persino per molti anni al lavaggio dell’acqua.

    Le particelle incombuste avrebbero dovuto essere ricercate, subito dopo il disastro, sui resti dell’aereo e sui frammenti conficcati nei corpi, ma la commissione ministeriale aveva fretta di chiudere l’inchiesta. Il direttore dell’Istituto di medicina legale, Tiziano Formaggio, riferì che i resti anatomici di Mattei, Bertuzzi e Mc Hale furono portati in laboratorio già “detersi” del fango e, siccome si dava per scontato l’incidente, non furono fatti accertamenti per stabilire se la causa delle lesioni fosse da attribuire a deflagrazione in volo. A questa versione aderì anche l’allora presidente del consiglio Amintore Fanfani. Non solo: dal Tribunale di Pavia, che chiuse la prima inchiesta sul disastro nel 1966 con un «non luogo a procedere per insussistenza del fatto», la Snam ebbe restituiti su sua richiesta i resti del velivolo, di cui si disfece dopo averli lavati e fusi.

    Della vicenda di Mattei si sono occupati in molti, forse troppi inconcludenti. Sono stati pubblicati decine di libri e centinaia di articoli. Tutto in un unico calderone: processi, inchieste, indagini, soprattutto chiacchiere morte e tanta confusione alimentata come sempre ad arte, dai servizi di intelligence italiani e stranieri.

    Singolare coincidenza. Il 25 ottobre 1962 il Financial Times di Londra pubblica una corrispondenza da Roma dal sapore inquietante. Il titolo è: “La scena italiana. Il signor Mattei dovrà andarsene”? Il dettaglio potrebbe apparire trascurabile se non fosse che, due giorni dopo, proprio il “signor Mattei” perde la vita in un attentato

    Non a caso, proprio in quei mesi si era attivata la produzione da parte britannica (Foreign Office e ministero dell’Energia) di una serie di memorandum segreti che mettevano in risalto la pericolosità del fondatore dell’Eni nei confronti degli interessi inglesi in Africa, Asia e Medio Oriente. Rapporti elaborati nel luglio e agosto 1962.

    Secondo sir Ashley Clarke, ambasciatore di sua maestà Windsor a Roma, nel 1957 Mattei aveva obiettivi molto chiari. Il primo, piuttosto ambizioso, era di “dominare la distribuzione dei prodotti petroliferi in Italia” mediante un controllo sulle fonti. Un modo per garantire al suo Paese scorte sufficienti di greggio, necessarie all’industria petrolifera nazionale e allo sviluppo industriale. Era questo un modo di continuare la Resistenza: sia perché le grandi compagnie petrolifere costituivano oggettivamente un impero destinato a influenzare la politica e la finanza su scala planetaria, sia perché nella sua tempra di uomo tutto d’un pezzo, la sua personale lotta contribuiva ai suoi ideali di patria e di dignità nazionale.

    Ma l’obiettivo di evitare la dipendenza petrolifera dai britannici e dagli americani non era un affare di poco conto. Anche per le sue gravi implicazioni geopolitiche. Basti pensare che l’Italia rivestiva la duplice funzione di centro nevralgico dell’anticomunismo in Europa e di controllo delle risorse energetiche del Medio Oriente.
    Una partita alla quale dal 1943-‘45 giocano da un lato grandi compagnie come la Standard Oil Company per gli Usa e la Shell per la Gran Bretagna con i suoi dominions in Medio Oriente, come in Iraq, Transgiordania ed Egitto; dall’altro, per l’Unione sovietica, una politica di espansione ideologica e di alleanza con gli Stati emergenti dalla lotta anticoloniale.

    Nel 1962 il fondatore dell’Eni aveva allo studio un’intesa con le major nordamericane, ed era in procinto di partire per gli Usa per un incontro con il presidente, John Fitzgerald Kennedy, e il conferimento di una laurea ad honorem alla Stanford University.
    Nell’ufficio del giudice Calìa sfilarono i vertici delle istituzioni: sottufficiali e alti ufficiali dei servizi, dei Carabinieri e dell’aeronautica militare; politicanti; i parenti di Mattei; i familiari di Mauro De Mauro, il giornalista del quotidiano “L’Ora” di Palermo scomparso mentre indagava sugli ultimi due giorni di Mattei in Sicilia; Eugenio Cefis, che dopo aver preso il posto di Mattei aveva scalato la Montedison e ne aveva assunto la presidenza, lasciando l’Eni; nonché personaggi come Vito Guarrasi, il potente e ambiguo avvocato palermitano, lontano cugino del banchiere Enrico Cuccia, che partecipò all’armistizio corto di Cassibile (3 settembre 1943).

    Da qualsiasi lato lo si osservi, il delitto Mattei appare come una delle prime e più efficaci azioni di depistaggio e disinformazione nella storia della Repubblica. La collaborazione di Cosa Nostra al sabotaggio del Morane Saulnier parcheggiato a Fontanarossa sarebbe arrivata dal boss di Riesi Giuseppe Di Cristina, che era molto vicino a Graziano Verzotto, il segretario regionale della Dc, responsabile delle relazioni esterne dell’Eni nell’Isola, che sarebbe stato nominato presidente dell’Ente minerario siciliano. Del resto senza la mafia non ci sarebbe stato lo sbarco in Sicilia dei cosiddetti "alleati". E non a caso all'articolo 16 del Trattato di Parigi (1947), ratificato in Italia nel 1952, è allegata una clausola segreta con un elenco di personaggi intoccabili dalle istituzioni italiane (ossia boss e avanzi di galera).

    Mattei era restìo ad andare in Sicilia perché ne era appena tornato. Le minacce di morte che aveva ricevuto - tra cui quelle dell’Oas, l’Organizzazione dell’armata segreta, che perseguiva il mantenimento della presenza coloniale francese in Algeria ed aveva attentato anche alla vita di De Gaulle - lo avevano reso cauto. A persuaderlo a ripartire per Gagliano Castelferrato, un Comune della provincia di Enna, e in cui l’Eni aveva trovato metano, furono le insistenze del presidente della Regione siciliana, Giuseppe D’Angelo. Questi disse a Mattei che la sua presenza a Gagliano era necessaria per calmare gli abitanti insorti nel timore che l’Eni non volesse realizzare gli investimenti promessi. Mentiva. Mattei ricevette un’accoglienza entusiastica, il suo discorso fu un trionfo. In realtà, come appurerà De Mauro, incaricato dal regista Franco Rosi, che stava girando “Il caso Mattei”, di ricostruire gli ultimi giorni di vita del presidente, il viaggio in Sicilia si rivelò una trappola mortale: servì ad attirare Mattei in trinacria, a costringerlo a spostare l’aereo da Gela a Catania, dove qualcuno lo avrebbe sabotato, e ad anticipare la partenza dalla sera al pomeriggio del 27 ottobre. Invitato ripetutamente da Mattei ad accompagnarlo nel volo di ritorno a Milano, D’Angelo oppose sempre uno strano rifiuto. Intorno a questo diniego si arrovellò il coraggioso cronista De Mauro, sbobinando i discorsi di Gagliano.

    Mattei aveva surrogato la politica estera del Governo, scompaginato i giochi delle major petrolifere, disturbato gli interessi degli Stati Uniti e dell’Alleanza Atlantica per le sue posizioni terzomondiste e le sue aperture all’Urss e agli Stati mediorientali; esercitava una forte influenza su chi avrebbe dovuto controllarlo, il ministro delle Partecipazioni statali Giorgio Bo; aveva un forte ascendente su Giovanni Gronchi, Presidente della Repubblica; aveva creato dal nulla la corrente democristiana di base, guidata da Giovanni Marcora. E con la forza e il denaro dell’Eni alimentava la politica, i partiti. E a differenza degli altri lo dichiarava.

    Per alcuni, le cause della morte di Mattei sarebbero da ricercare in un accordo con l’Algeria, molto avversato dalle compagnie Usa, che era in preparazione proprio in quei giorni e avrebbe dovuto portare alla partecipazione italo-francese in alcuni giacimenti nel Sahara, alla costruzione di una raffineria italo-algerina e a una consistente fornitura di metano che avrebbe dovuto essere trasportata con un gasdotto via Gilbiterra, Spagna, Francia e Italia. Quando il Morane Saulnier cadde dal cielo di Bascapè, scrisse Italo Pietra, che aveva diretto “Il Giorno”, fondato da Mattei, mancavano otto giorni all’incontro di Algeri e pochi mesi alla visita di pacificazione negli Usa.

    Allora perché Mattei doveva morire? Anche dopo gli accordi con l’Egitto e l’Iran, con cui puntava a spezzare il cartello delle 7 sorelle, Mattei era rimasto un petroliere senza petrolio. Il contratto di approvvigionamento di greggio dall’Urss, economicamente vantaggioso per l'Italia, che aveva sottoscritto nel 1958 urtando gli interessi di Washington, aveva lo scopo di sopperire alla scarsa o nulla produzione di greggio nei Paesi in cui il gruppo era riuscito a strappare concessioni minerarie. La storia delle “sette sorelle” mandanti dell’omicidio regge, dunque, fino a un certo punto, anche se è vero che Cefis, dopo la morte di Mattei, lasciò cadere l’accordo con l’Algeria e firmò un’intesa con la Esso per una fornitura di gas dalla Libia tramite navi metaniere. Nel 1962 la fase dello scontro frontale con le major sembrava cessata. L’intervista del 1958 a Cyrus Sulzberger, direttore e editore del “New York Times”, in cui Mattei aveva detto di essere “antiamericano”, “contrario alla Nato”, “neutralista”, era acqua passata. L’incontro con Kennedy, anche in vista della costituzione del governo di centro-sinistra tra Dc e Psi, avrebbe messo tutto a posto. L’ex presidente della Esso Italiana, Giuseppe Cazzaniga, sostenne che nel 1962 tra le compagnie Usa e l’Eni “s’era cominciata a intravedere un’evoluzione positiva dei rapporti” e che Agip e Esso sarebbero potute entrare insieme “nelle raffinerie in Africa”.

    Il magistrato di Pavia cercò anche di mettere a fuoco la figura, assai controversa, di Eugenio Cefis. Come scrive in una nota agli atti dell’inchiesta il giornalista Pietro Zullino (che per “Epoca” indagò a fondo sulla scomparsa di De Mauro), Cefis aveva forti cointeressenze nelle raffinerie Sarom di Ravenna e Mediterranea di Gaeta che rifornivano il sistema Nato per l’Europa del Sud e la Sesta flotta e per questo contrastava il progetto di Mattei di trasformare l’Alleanza Atlantica in un cliente dell’Eni. De Mauro potrebbe averlo scoperto nel corso della sua inchiesta.

    Cefis, quando Mattei morì, era già fuori dell’Eni. Italo Mattei riferì che il fratello Enrico aveva scoperto il doppio gioco di Cefis con i servizi americani e lo avrebbe costretto, per questo e per via di certi altri affari, alle dimissioni dall’Eni. Cefis risultava legato ai servizi italiani e amico del generale Giovanni Allavena, il comandante del Sifar costretto a lasciare i servizi dopo la scoperta dei famosi fascicoli segreti . In un documento del Sismi redatto su notizie «…acquisite il 20 settembre 1983 da professionisti molto vicini ad elementi iscritti alla loggia P2» - documento anch’esso agli atti di Pavia - la loggia segreta Propaganda 2 risulterebbe «…fondata da Eugenio Cefis che l’ha gestita - vi si legge - fino a quando è rimasto presidente della Montedison. Da tale periodo ha abbandonato il timone, a cui è subentrato il duo Ortolani-Gelli, per paura. Sono di tale periodo gli attacchi violenti contro uomini legati ad Andreotti con il quale si giunse ad un armistizio per interessi comuni: lo scandalo dei petroli».

    Nello stesso tempo, appunta Zullino, De Mauro potrebbe avere scoperto un'altra storia su Guarrasi, che era consulente dell’Eni e di cui Mattei s’era servito per sostenere nel 1958 il milazzismo, il governo regionale siciliano guidato da Silvio Milazzo e sostenuto da Msi, Pci e Unione Siciliana Cristiano Sociale, il partito nato da una scissione della Dc nell’Isola. L’avvocato Guarrasi, secondo Zullino, aveva fornito alla mafia i piani di costruzione dell’impianto petrolchimico dell’Anic di Gela e la mappa dei terreni su cui avrebbe dovuto essere edificato lo stabilimento, consentendo a Cosa Nostra di acquistare le aree a poco prezzo per rivenderle all’Eni con un guadagno consistente.

    Il caso De Mauro scottava se è vero che il giornalista aveva scoperto qualcosa di molto eclatante collegato alla morte di Mattei. Nel novembre 1970, in una riunione tra i vertici dei servizi segreti e i responsabili della polizia giudiziaria, che si svolse a Palermo, fu così deciso l’”annacquamento” delle indagini. Alla riunione era presente il generale Vito Miceli, succeduto il 18 ottobre all’ammiraglio Eugenio Henke al vertice dei servizi. Usò proprio il termine “annacquamento” il commissario di polizia Boris Giuliano nel riferire la circostanza. Giuliano indagava sul caso De Mauro insieme a Bruno Contrada, poi divenuto numero tre del Sisde, ma fu ucciso dalla mafia il 21 luglio 1979. L’anno dopo la scomparsa di De Mauro, nel maggio 1971, era stato invece ammazzato il procuratore capo di Palermo, Pietro Scaglione, che aveva indagato su vari delitti di Cosa Nostra, tra cui il rapimento De Mauro. Le Brigate Rosse (eterodirette dall'estero, ma plasmate nello Stivale) provvederanno a eliminare il Procuratore generale di Genova Francesco Coco, che aveva indagato a sua volta su De Mauro e Scaglione. E anche il boss Di Cristina viene tolto di mezzo dai corleonesi nel 1978, pochi giorni dopo l’assassinio di Aldo Moro, dopo che aveva deciso di collaborare con le autorità di Polizia. Contrada invece ha scontato una condanna definitiva a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

    Va inoltre registrata la presenza di una pedina di Gladio - Giulio Paver - tra le guardie del corpo di Mattei nel periodo 1960-62. Coincidenza: una delle tre persone che a Fontanarossa s’avvicinarono all’aereo della Snam, mentre Bertuzzi si recava al bar per rispondere al telefono, si qualificò come capitano Grillo. E - se è vero quanto scrive Nico Perrone nel suo “Obiettivo Mattei” - “preziosi elementi informativi” sul presidente dell’Eni venivano trasferiti alla Cia dal colonnello del Sifar Renzo Rocca, reclutatore per i gruppi “Stay Behind” e “coordinatore di finanziamenti industriali americani e italiani per combattere il comunismo”. Rocca, morto in circostanze misteriose, teneva i rapporti con il capo della stazione Cia di Roma Thomas Karamessines, che dopo la fine di Mattei - scrive Perrone - fu richiamato negli Usa per partecipare all’operazione coperta che portò all’individuazione e all’uccisione in Bolivia di Ernesto Che Guevara.

    «Chissà, forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei più di vent’anni fa è stato il primo gesto terroristico nel nostro Paese, il primo atto della piaga che ci perseguita». Cosa volle dire Amintore Fanfani con questa dichiarazione nell’ottobre 1986 al congresso dei partigiani cattolici? Difficile credere che gli fosse scappata di bocca. Ma quando il pubblico ministero Calìa gli chiede cosa avesse inteso dire aveva già perso la memoria. Fanfani doveva sapere molte cose sulla fine di Mattei. Il 28 ottobre, il giorno dopo la sciagura, l’allora ministro dell’interno Paolo Emilio Taviani chiama il presidente del Consiglio per informarlo che sta facendosi strada l’ipotesi dell’incidente. E’ Taviani a riferirlo al magistrato. Dopo di che è Fanfani a telefonare a Taviani. Il ministro sta per riferirgli altri particolari sulla caduta dell’aereo, ma Fanfani lo interrompe bruscamente preoccupato della gravità della crisi di Cuba.

    Il 16 ottobre 1962 Kennedy aveva ricevuto le riprese fotografiche di aerei spia americani che provavano la presenza di basi missilistiche sovietiche a Cuba. La strategia dell’Urss era di usare le basi cubane come merce di scambio per ottenere la rimozione dei missili nucleari Jupiter che gli Usa avevano installato in Turchia ed Italia (in Puglia a Poggiorsini sulla Murgia). La tensione tra le due superpotenze nucleari arrivò al punto che Kennedy aveva dato disposizioni per preparare l’invasione di Cuba. Il segretario di Stato, Dean Rusk, ammise che in quei giorni si fronteggiò la crisi più pericolosa mai vista tra Usa e Urss. Dichiarò Taviani: «La mattina del 28 ottobre 1962 siamo stati a due ore dalla guerra». In quel frangente era essenziale conoscere la posizione dell’Italia nel quadro dell’Alleanza Atlantica. E le idee neutraliste di Mattei, data l’influenza che egli esercitava sulla politica estera e sul Governo, rappresentavano un rischio.

    Chi era Mattei? Un grande uomo che aveva a cuore il suo Paese ma anche il “Terzo mondo”. Nato il 29 aprile 1906 ad Acqualagna nelle Marche da una famiglia non agiata, Mattei fu certamente una persona straordinaria, dalla vita breve e intensa. Un gigante politico ucciso 51 anni fa che stava realizzando il bene comune per l’Italia. Un temerario che richiama la figura di Aldo Moro, al quale lo lega il filo di una morte violenta e tragica, e quell’orgoglio personale e nazionale che voleva fare dell’Italia un Paese autenticamente sovrano. Voleva riscattare il nostro Paese dalla mediocrità (allora come oggi imperante) e dall’emarginazione nello scenario mondiale.



    Mattei aveva un sogno tutto italiano. Diceva che “l’Italia aveva bisogno di lavorare, ma non di andare all’estero solo come dei poveri migranti con la sola forza delle proprie braccia, bensì come degli imprenditori con l’esperienza tecnica”, degna di un Paese all’avanguardia. Amava l’Italia prima del Capitale, infatti, operava solo per l’interesse nazionale, senza rendere conto ai vertici politici nazionali, che invece operavano a favore del proprio tornaconto e per soggetti terzi.

    L’Italia sarebbe stata un Paese diverso se questo leader avesse sviluppato per intero il suo potenziale ideale e operativo. Per dare al nostro Paese autonomia in campo energetico, presupposto fondamentale della sovranità di ogni Stato che si rispetti. Al contrario l’Italia è stata, dopo la sua morte, un Paese sempre più al rimorchio da altre realtà nazionali dal punto di vista degli approvvigionamenti energetici, ma purtroppo, non solo.


    Post scriptum

    Non è possibile che su una questione che ha predeterminato simili, anche solo eventuali e mai cercati/chiariti sviluppi si sia ancora nella semplice ipotesi di mistero quando l'accertamento di simili fatti darebbe immediatamente la spiegazione delle situazioni che solo in questo Stato sono 'incomprensibili. Viceversa, con queste spiegazioni non vi è soltanto un filo, ma un solido cordone che evidenzia il perché di tante cose che con questa logica perversa sono state fatte o non fatte e/o perchè fatte in un certo modo 'inspiegabile'. Se qualcuno finanziasse un’accurata indagine giornalistica sarei disposto a individuare i veri responsabili dell’attentato a Mattei! Ancora oggi mandanti ed esecutori materiali restano impuniti. Quei criminali si annidano in quella zona oscura dello Stato, tuttora oggetto d'indagine da parte della magistratura, dove mafia, uomini delle istituzioni ed esponenti della politica hanno sempre patteggiato, fino ai giorni nostri.

    Alcuni documenti del Foreign Office su Enrico Mattei sono stati trovati dal ricercatore Mario J. Cereghino negli Archivi nazionali britannici di Kew Gardens, a Londra, e sono consultabili presso l'Archivio Casarrubea di Partinico (Palermo).

    Link Su La Testa!: ONORE A ENRICO MATTEI: VITTIMA DI UN ATTENTATO IMPUNITO
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

  7. #7
    Ghibellino
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    Predefinito Re: 27 Ottobre 1962 - Enrico Mattei

    Per completare l'opera il governo dello Zerbino Letta sta pensando di svendere anche l'ENI. La longa manus degli assassini di Mattei continua ad agire.
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  8. #8
    Ghibellino
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    Predefinito Re: 27 Ottobre 1962 - Enrico Mattei

    di Fulvio Lo Cicero

    La tragica morte dello scrittore legata a filo doppio a quella del fondatore dell’Eni Enrico Mattei. Un’inchiesta giudiziaria finita nell’archivio di Pavia e la probabile riapertura delle indagini a Roma. Un filo rosso che lega la “storia criminale” della nostra Repubblica e che ripercorriamo nei suoi aspetti più incredibili
    In un’ideale classifica dei misteri italiani più enigmatici e nebbiosi della nostra storia recente, quello che vede protagonisti uno dei più grandi scrittori italiani, Pier Paolo Pasolini e il fondatore dell’Eni Enrico Mattei è, forse, il più impenetrabile e nondimeno uno dei più clamorosi. A dispetto di numerosi articoli di giornale pubblicati negli ultimi anni, si tratta di un caso così incredibile che si stenta a credere che non susciti un interesse maggiore e che non se ne parli se non, in fondo, fra limitati cenacoli di intellettuali e di giornalisti a caccia di scoop. Per questo motivo, è interessante ripercorrerne le tappe e cercare di capire di cosa veramente si tratti.
    Il romanzo incompiuto: “Petrolio”
    Tutto parte da un’opera incompiuta di Pasolini, il romanzo che lo scrittore friulano stava scrivendo quando fu ucciso, la notte del 2 novembre 1975, in una zona degradata
    Il cadavere di Pasolini così come venne ritrovato
    vicino a Roma, l’Idroscalo di Fiumicino. Il romanzo si intitola “Petrolio” e il “locus” da cui dobbiamo partire è una pagina dell’edizione einaudiana del 1992, curata da Maria Careri, Graziella Chiarcossi (cugina del poeta) e da Aurelio Roncaglia: 93, una pagina bianca e un titolo. “Lampi sull’Eni”. “Petrolio” è un’opera mancata e del tutto informe, magmatica. Pasolini vedeva in questo romanzo, la sua apodissi politica, il racconto definitivo del potere infinito di un ceto dirigente criminale – quello democristiano, già da lui deprecato nel famoso j’accuse della scomparsa delle lucciole. E il protagonista di questa somma degenerazione, per il grande scrittore, era un personaggio assai noto alle cronache di quei tempi, Eugenio Cefis, grand commis dell’Eni, assurto alla massima carica dopo la misteriosa morte di Enrico Mattei, avvenuta a Bascapè, il 27 ottobre 1962, con l’incidente aereo che costò la vita anche al pilota e al giornalista che lo accompagnava. L’ipotesi sconvolgente fatta propria da Pasolini, era che, dietro l’attentato all’aereo di Mattei si celasse proprio Cefis, desideroso di prendere il suo posto al vertice dell’Eni, cosa che effettivamente avvenne subito dopo. Ma con l’affresco contenuto in “Petrolio”, più in generale, lo scrittore friulano sembra volgere la sua attenzione a ciò che considera, oramai da qualche anno, il cancro della società civile italiana: il potere democristiano. Il 14 novembre 1974, a poco meno di un anno dalla sua tragica morte, scrive sul “Corriere della sera”: «Io so. Io so i nomi dei responsabili». Una frase misteriosa, che viene generalmente interpretata, con il suo ambiguo avallo, come un’intuizione del poeta, non come il possesso di prove o di indizi su determinati fatti. Il lavoro di ricerca e documentazione
    In realtà, oggi si sa che, per scrivere il suo romanzo-fiume, Pasolini aveva svolto un rilevante lavoro di ricerca e di documentazione, scoprendo qualcosa che non doveva scoprire. La sua verità confluì in quel famoso capitolo, “Lampi sull’Eni”, una pagina bianca dell’edizione einaudiana, che in realtà sarebbe stato rubato nell’abitazione dello scrittore subito dopo la sua morte (ma su quest’ultimo evento, parenti ed amici dello scrittore non sono d’accordo).
    Secondo Gianni D’Elia, uno di coloro che hanno indagato su questi fatti (“L’eresia di Pasolini”, Effigie, 2005), la fonte principale dello scrittore fu un libro, di un autore che si firma con lo pseudonimo, Giorgio Steimetz (dietro cui si celava il proprietario dell'agenzia, Corrado Ragozzino) e dal titolo quanto mai significativo. “Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente”, pubblicato nel 1972 da un oscuro editore, “Agenzia Milano informazioni”. D’altronde, le fotocopie del libro di Steimetz sono conservate,
    insieme ad altro materiale su Cefis, nell’archivio pasoliniano del Gabinetto Vieusseux e furono inviate allo scrittore friulano dallo psicanalista suo amico Elvio Facchinelli. L’opera ebbe un curioso quanto misterioso destino: sparì subito da qualsiasi libreria o banchetto di libri usati, tanto che tuttora è introvabile anche nelle biblioteche pubbliche. Quei pochi che ne sanno qualcosa, spiegano il perché. L’autore racconta la vera vita di Eugenio Cefis, dalla sua esperienza partigiana con Enrico Mattei, fino alla scalata al potere economico. Pare oramai sicuro che Pasolini, nello scrivere il capitolo scomparso, attinse a piene mani da quelle informazioni. Un’affermazione di Steimetz, riferita a Cefis, colpisce: «Ridurre al silenzio, e con argomenti persuasivi, è uno dei tratti di ingegno più rimarchevoli del presidente dell’Eni».
    Dietro la misteriosa casa editrice che pubblicò la sua opera, vi era Graziano Verzotto, ras democristiano in Sicilia (corrente di Rumor), capo delle pubbliche relazioni dell’Eni e grande amico dello stesso Mattei. Al giudice Vincenzo Calia che indagava sull’incidente di Bascapè, Verzotto dichiarò che esso non doveva essere attribuito né ai servizi francesi o algerini, né alle “Sette sorelle” (ipotesi fra le più accreditate per lungo tempo) ma che la responsabilità potesse individuarsi rispondendo alla domanda: “A chi è giovato?”.

    La verità di Pasolini Quest’ultima è la convinzione cui arriva Pasolini e lo scrive in un appunto presente nelle carte di “Petrolio”. Cefis assume, nella “finzione” letteraria, il nome di Troya e Mattei si chiama Bonocore. Nell’appunto, lo scrittore fa riferimento ad un preciso momento in cui «Troya (!) sta per essere fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore». Questa sua verità sarebbe anche riuscito a scriverla nel famoso capitolo, sparito forse proprio per questo motivo. Il curatore dell’edizione già citata, Aurelio Roncaglia, ha precisato che Pasolini, all’inizio del 1975, asseriva che la stesura del romanzo era oramai arrivata a circa 600 pagine (lui ne prevedeva, in realtà, addirittura 2000). Ma ne sono giunte fino a noi soltanto 400; quindi, a scomparire non sarebbero state solamente quelle di “Lampi sull’Eni” ma molte altre, nelle quali forse si faceva riferimento alle responsabilità di Cefis nella morte di Mattei (I-continua).


    Pasolini e la morte di Enrico Mattei. Il mistero ?scandaloso? della storia italiana (I parte)
    Ultima modifica di Gianky; 29-10-13 alle 18:18
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    Predefinito Re: 27 Ottobre 1962 - Enrico Mattei

    di Fulvio Lo Cicero

    La tragica morte dello scrittore legata a filo doppio a quella del fondatore dell’Eni Enrico Mattei. Un’inchiesta giudiziaria finita nell’archivio di Pavia e la probabile riapertura delle indagini a Roma. Un filo rosso che lega la “storia criminale” della nostra Repubblica e che ripercorriamo nei suoi aspetti più incredibili
    L’indagine del magistrato Calia e la morte di Mauro De Mauro
    Vincenzo Calia, magistrato della Procura di Pavia, sembra uscito dalle pagine di un romanzo di Carofiglio. Nel 2001 decise di riaprire il “caso Pasolini”, che poi fu archiviato per l’impossibilità di farlo arrivare ad un processo. Nonostante ciò, Calia ha maturato una convinzione precisa sulla morte di Mattei e su quella dello scrittore friulano. L’ha riassunta il maresciallo Enrico Guastini, responsabile della parte investigativa, secondo il quale Pasolini era arrivato alle medesime conclusioni del giornalista palermitano Mauro De Mauro, scomparso il 16 settembre 1970 (in realtà ucciso da esponenti mafiosi con il metodo della lupara bianca). Com’è noto, De Mauro era stato assoldato dal regista Francesco Rosi per fare un’indagine sulla morte di Mattei, che poi sarebbe stata utilizzata per il film che Rosi avrebbe diretto con Gian Maria Volontè. Lui stesso aveva confidato agli intimi di aver scoperto una “verità sconvolgente” sulla morte di Mattei, orgoglioso del più importante scoop della sua carriera di cronista investigativo.
    Secondo il maresciallo Guastini, furono parecchi quelli che, avendo incrociato la tragica sorte di Mattei, ci lasciarono le penne e precisa: «L’ipotesi che l’ambiente politico-economico avesse tutto l’interesse ad eliminare Pasolini merita un serio approfondimento, specialmente dopo che Pelosi ha fatto le sue ammissioni. Diciamo che è una possibilità logica». Pelosi, infatti, dopo trent’anni di silenzio ha ammesso che, la famosa sera del 2 novembre 1975, non era solo con Pasolini. L’ex assessore alla cultura del Comune di Roma Gianni Borgna che, su ispirazione di Walter Veltroni, ha promosso la costituzione di parte civile del Comune in un’eventuale nuovo processo, ha affermato: «Noi abbiamo sempre pensato che non si tratta di un omicidio sessuale ma politico. Nel caso Pasolini si voleva eliminare una voce scomoda, facendo passare tutto per un delitto sessuale. Il caso Mattei è una possibile chiave». Borgna precisa anche che «in quei mesi le sue accuse (di Pasolini, ndr) erano diventate sempre più dure e circostanziate, cominciava a fare dei nomi. Bisognerebbe collegare il suo omicidio con “Petrolio” e con il fatto che proprio in quel periodo Pasolini maneggiava materiale incendiario».
    Un omicidio necessario
    Chi non nutre alcun dubbio sulla morte di Pasolini sono due bravissimi giornalisti dell’Ansa di Palermo, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza che, nel febbraio 2009, danno alle stampe “Profondo nero”, la più completa inchiesta sulla morte di Pasolini in collegamento con la vicenda Mattei-Cefis. Partendo dalla inchiesta del pubblico ministero Scalia, gli autori illustrano e commentano, con un abbondante materiale indiziario, le conclusioni cui essa giunge, che sono così riassumibili: «Il cuore di “Petrolio” è tutto qui. Nella denuncia della ramificazione criminale del potere economico in Italia. Nella scoperta delle origini della strategia della tensione, orchestrata e finanziata dai potentati economici, con un gioco perverso tollerato dai più alti rappresentanti delle istituzioni. Nella consapevolezza della totale manipolazione degli organi di informazione in un Paese che non ha mai conosciuto e forse non conoscerà mai, una vera libertà di stampa. Nella individuazione di un progetto eversivo, che corre parallelo alla storia repubblicana degli anni Settanta, e che funziona come perenne arma di ricatto, di corruzione, di potere».


    Un unico filo – rosso di sangue – legherebbe, dunque, numerosissimi misteri italiani, che avrebbero una data di inizio proprio a Bascapè nel 1962, tanto che Amintore Fanfani ebbe a dichiarare: «Forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei è stato il primo gesto terroristico nel nostro Paese». Basti a tal fine considerare quanto si riferiva in una nota riservata del Sismi (il servizio segreto civile), allegata alle carte dell’inchiesta del giudice Calia: «La Loggia P2 è stata fondata da Eugenio Cefis che l’ha gestita fino a quando è rimasto presidente della Montedison». Ancora una volta, spunta fuori la Loggia massonica apparentemente capeggiata da un oscuro mercante di materassi, Licio Gelli, al crocevia di infiniti misteri, tutti irrisolti ma che molto probabilmente era soltanto un prestanome di personaggi più autorevoli e potenti.
    L’ultimo tassello: Marcello Dell’Utri
    Ad ingarbugliare ancora di più i nodi di una matassa che forse non sarà mai districata ci si è messo anche il senatore Marcello Dell’Utri. Il 2 marzo scorso, durante una conferenza stampa, il senatore berlusconiano ha annunciato con grande clamore di essere entrato in possesso del famoso capitolo pasoliniano, “Lampi sull’Eni” e che lo stesso sarebbe stato esposto alla Mostra del Libro Antico a Milano il 12 marzo. Ma poi, si scopre che si tratta di un bluff. Dell’Utri successivamente ha affermato che quelle carte, in realtà, le ha potute soltanto visionare ma il reale possessore, spaventato dal clamore della vicenda, si è rifiutato di concederle. Incredibile affermazione,


    smentita soltanto a distanza di pochi giorni. Tanto che il sostituto procuratore di Roma Francesco Minisci ha chiesto l’audizione del parlamentare per chiarire la reale portata di quanto dichiarato. Lo stesso magistrato cui, nel 2009, è stata indirizzata una richiesta di riapertura delle indagini da parte dell’avvocato Stefano Maccione. Proprio nei giorni scorsi, lo stesso legale ha annunciato l’esistenza di un testimone, finora sconosciuto, il quale avrebbe confermato la presenza di almeno un’altra persona la notte dell’omicidio all’Idroscalo di Ostia, una persona mai comparsa nelle indagini, della quale avrebbe fornito nome e cognome.
    Come scrive acutamente Carla Benedetti, critico letterario de “L’Espresso” e stimata filologa, «Finché l’assassino siede sul trono di Danimarca, il fantasma del re ucciso non trova pace. E nemmeno il figlio. Non ci sarà pace finché il mondo resterà così fuori dai cardini, con i colpevoli impuniti e le storie letterarie che raccontano di Pasolini ucciso mentre tentava di violentare un ragazzo». Una violenza che, invece, fu interamente rivolta contro Pier Paolo Pasolini. Ed il movente potrebbero essere quelle sue parole: "Io so".

    Pasolini e la morte di Enrico Mattei. Il mistero ?scandaloso? della storia italiana (II parte)
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  10. #10
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    Predefinito Re: 27 Ottobre 1962 - Enrico Mattei

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    Ultima modifica di Gianky; 14-11-13 alle 11:57
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