1) - come indende cambiare il paese, curarne i conti e nel contampo risollevarlo dalla crisi economica.
La crisi economica non si risolve certamente con piccole misure di basso cabotaggio, bisogna cambiare tutta la politica economica del paese, che da troppo tempo va avanti a forza di aumenti di spesa improduttiva e tasse per coprirli, accumulando debito su debito. Ma prima o poi i nodi vengono al pettine. Per pagare e ridurre il debito, che è il vero cappio al collo dei nostri conti pubblici, bisogna crescere. E per crescere c'è bisogno di una serie di misure shock per l'economia, che facciano ripartire i consumi e che facciano di conseguenza tornare le imprese a produrre. Bisogna tagliare l'Irap, ingiustissima tassa sulle attività produttive, così come non tassare la prima casa, in nessun modo, perchè è la base su cui ogni famiglia costruisce la solidità del proprio futuro. Bisogna tagliare le spese, a partire dalle autonomie locali: troppe volte un federalismo senza responsabilità ha avuto la conseguenza di una politica di spesa facile: applicare subito i costi standard, e commissariare le regioni e i comuni che li sforino. Tornare ad incoraggiare i consumi abolendo ogni limite all'uso del contante, senza che lo stato spione debba controllare come i cittadini legittimamente usano i propri soldi. Eliminare tutte le consulenze, ricalcolare con il sistema contributivo le pensioni eccedenti i 4000 euro ottenute con il retributivo, e così via. Serve, per fare questo, un grande consenso e una grande forza di volontà, fregandosene delle opposizioni di sparute minoranze di assistiti e sacche di privilegi.
2) - che politica intende seguire nei confronti dell' Europa.
Lo dico in modo rozzo ma chiaro: a noi questa Europa fa schifo. E' un'Europa di burocrati, funzionari, senza alcuna legittimità, su cui gli italiani non si sono mai pronunciati, su cui non vi è trasparenza e controllo. L'idea della supremazia del diritto dell'UE sul diritto interno, senza che la perdita di sovranità sia stata consapevolmente ed esplicitamente ratificata dal voto dei cittadini, è inaccettabile e - insieme alla perdita della sovranità monetaria - manda in soffitta secoli di elaborazione sull'idea di sovranità statale. Per questo noi siamo radicalmente a favore dell'eliminazione dell'attuale UE con una Confederazione di Stati Europei, che si limiti a precisi compiti di difesa e sicurezza comune.
3) - L' Italia negli ultimi anni ha perso decine di punti percentuali di competività rispetto a quasi tutte le altre nazioni straniere, anche da quelle che non fanno parte delle nazioni cosidette "emergenti".. su che leve intende agire per riguadagnare posizioni ?
Certo è che - come si diceva alla prima domanda - buona parte della crisi è addebitabile alle carenze strutturali di cui l'Italia soffre da tempo. Il crollo di competitività e produttività è una delle principali. Un freno allo sviluppo del paese sono dei sindacati, legati a doppio filo con una visione del mondo superata, che hanno perso la loro ragione di essere. Il sindacato nasce per promuovere e tutelare i lavoratori, è a favore del lavoro, del fatto che ce ne sia di più e per più persone. Oggi il sindacato rappresenta una minoranza delle persone che hanno capacità di lavorare, e rappresenta quella minoranza di lavoratori già ipertutelati, inamovibili, privilegiati, che sono al proprio posto non per merito, ma per anzianità o raccomandazioni, e che - al minimo sentore di una modifica di qualche loro privilegio - protestano e scioperano (qualcuno ha notato lo sciopero del 31 ottobre dei bancari, casualmente collegato alla festa di venerdì 1?). Il sindacato, si diceva, rappresenta lavoratori ipertutelati e pensionati, non rappresenta chi un lavoro lo sta cercando, nè chi ce l'ha precario; il sindacato non si batte a favore di più posti di lavoro, ma difende i posti di lavoro esistenti al momento, anche se ormai senza speranza, che vanno avanti solo grazie a sussidi statali. Per questo ha tradito i fini della sua nascita. Una cosa concreta da fare sarebbe l'abolizione dei contratti collettivi nazionali, lasciando che impresa e lavoratori contrattino a livello aziendale, perchè lì davvero si comprende che imprenditore e lavoratori hanno in comune l'interesse che l'azienda sia produttiva, vada bene e possa fare utile per poter andare avanti, cosa che giova agli uni e all'altro.
4) Che cosa vuol dire per lei la parola "politica industriale" ?
Anche per collegarmi alla domanda precedente, da completare, è bene qui affermare che per me politica industriale non vuole dire nulla. L'industria è qualcosa che spetta ai privati e alla loro libera iniziativa. Lo stato deve solo intervenire per creare le condizioni giuste affinchè in Italia sia conveniente fare impresa e creare ricchezza. Ed è triste da dire, ma oggi non ci sono. Con una pressione fiscale sull'impresa al 68%, una burocrazia lenta, corrotta, assassina, delle infrastrutture insufficienti, una giustizia civile da terzo mondo, dei costi per l'energia esorbitanti, con questi e molti altri elementi, oggi in Italia il vero eroe è l'imprenditore, che rischia e si mette in gioco in prima persona.
Le altre domani