Una delle perdite più importanti della civiltà attuale è il senso di appartenenza, quello dell'identità. O, meglio ancora, la sua corruzione, il suo dirottamento verso obiettivi del tutto futili a scapito delle fratellanze reali e costruttive.
Il senso di appartenenza a qualunque identità davvero importante che potrebbe essere fonte di forza morale nella creazione di qualcosa e nel mantenimento di una civiltà, infatti, viene continuamente mortificato nella cultura attuale, una cultura globalizzante e che tende all'appiattimento.
Già nel post dedicato al ruolo ridicolizzante che la Lega Nord gioca in Italia contro l'etno-identitarismo si era accennato a qualcosa del genere, a come una cosa così importante, un ideale che dovrebbe essere servito seriamente, viene invece ridotto a un grottesco folklorismo utile solo a chi vuole meglio controllare la popolazione con messaggi devianti.
Di contro ogni sentimento ti appartenenza reale, ciò che ognuno di noi dovrebbe naturalmente sviluppare e coltivare sin da piccoli, viene messo al bando, ridicolizzato, apostrofato nel modo peggiore.
Oggi è un peccato sentirsi italiani, francesi, tedeschi, russi o maldiviani. L'appartenenza nazionale è un sentimento che viene continuamente bandito a livello politico perché esso sostiene una dimensione comunitaria della vita umana in netto contrasto con il sistema globalizzante che vuole unire ciò che la la storia e i caratteri umani hanno diviso, un sistema che vuole annichilire differenze e frontiere per controllare persone e denari. Per questo la rivendicazione nazionale viene infangata con uno dei sentimenti più odiosi e malvagi che l'uomo possa provare: il razzismo. La sottolineatura delle differenze tra un popolo e l'altro, tra una cultura e l'altra, la distinzione, è cosa buona che mira alla conservazione della ricchezza culturale del mondo. Di per sé essa non presuppone affatto un concetto gerarchico tra nazioni, ne tanto meno tra razze biologiche della cui esistenza dubito fortemente. Senza contare che proprio chi crede fermamente nella propria identità e ne esige il rispetto, in virtù di questa sua convinzione sarà propenso non alla distruzione, bensì alla conservazione e difesa di ogni altra identità perché esse sono importanti quanto al propria.
E invece la cultura massificante vuole convincerci che chi crede nell'italianità di una cosa, o nella sua germanità e così via, sia necessariamente “cattivo” e convinto di un'aprioristica superiorità di quell'oggetto nei confronti del resto del mondo.
Il genuino senso di appartenenza, il comunitarismo, il patriottismo, sono mascherati con il razzismo. L'aura negativa con la quale questi sentimenti sono avvolti genera quindi inevitabilmente il rifiuto delle persone.
Analogamente viene mortificato il senso di appartenenza sessuale o di gender come si dice nel linguaggio “figo”. Il concetto di uguaglianza dei sessi nel campo dei diritti ha infatti esondato in quello identitario fino a formulare la pretesa che uomo e donna siano uguali in senso assoluto, che essi non abbiano una specifica identità morale, e che la loro natura fisica sia un'espressione assolutamente accidentale cui non corrisponda anche una natura spirituale.
E anche in questo caso la rivendicazione, sia da parte del maschio che della femmina, di identità specifiche e tradizionali, viene additata al pubblico disprezzo con le accuse di bigottismo e reazionarismo. L'uomo e la donna moderni, paradossalmente, finiscono per avere la semplice opportunità di godere di pari diritti, propensioni, possibilità. Essi sono costretti ad accettare questa uguaglianza forzata dal luogo comune e chi non lo fa viene visto come un retrogrado che vuole imprigionare i sessi in un'oscura dimensione medievale.
Stessa cosa infine per le identità religiose. L'appartenenza rigida a un culto e l'orgoglio della sua pratica sono a loro volta motivo di disprezzo per una cultura generale che mira anche in questo caso a unire ciò che è naturalmente diviso. La generica diffusione di una mentalità per cui in fondo i riti specifici non sono importanti poiché dietro a tutti c'è lo stesso Dio e che ogni credenza porta comunque alla salvezza (per chi, ovviamente, ci crede) contribuisce ad assottigliare i confini tra i vari culti. Lungi dallo spegnere i conflitti, questa globalizzazione religiosa forzata non fa che esasperare gli animi dei più conservatori che, presi d'assedio, giocano a questo punto la carta del confronto violento con le altre fedi.
Ma se da un lato tutto ciò che può opporre resistenza alla globalizzazione viene forzatamente unito e diluito, dall'altro si creano divisioni fittizie laddove dovrebbe esserci unità.
E così la società moderna, nel nome del materialismo e del nichilismo che ne è alla base, mette a disposizione una serie infinita di pretesti per i quali le persone possono mettersi le une contro le altre fino a odiarsi, magari all'interno di quelle stesse categorie identitarie di cui si è parlato sopra che dovrebbero invece essere caratterizzate da coesione e fratellanza.
Il motivo più idiota di contrapposizione è il tifo sportivo. Persone in tutto simili, che avrebbero tutto in comune, valori, ideali, e magari vengono pure dalla stessa città, addirittura potrebbero conoscersi personalmente, possono affrontarsi e venire alle mani solo perché sostengono due sponde sportive diverse. Il calcio europeo e sudamericano ci da tristissimi esempi in cui talvolta ci è pure scappato il morto. L'idiozia di queste divisioni sta nel fatto che innanzitutto riguardano questioni, come il tifo per una squadra sportiva e i suoi risultati, del tutto ininfluenti sulla vita di ciascuno di noi. In secondo luogo la frammentazione tipica del tifo è conseguenza di una scelta, non è una cosa naturale con la quale si nasce e si cresce e questo indica quanto questa cosa sia indotta artificialmente.
I giornalisti sportivi hanno un bel dire che gli scontri tra tifosi sono una vergogna che andrebbe superata. Ma essi non si renderanno mai conto che questi scontri, che queste divisioni non sono solo il mero prodotto dell'ignoranza, ma un meccanismo di controllo sociale volutamente creato a tavolino.
Anche la contrapposizione tra classi sociali rappresenta un motivo di divisione del tutto artificiale, qualcosa che non dovrebbe esistere. Da che mondo è mondo infatti le lotte tra ricchi e poveri, tra padroni e schiavi o lavoratori non sono un prodotto culturale, una realtà intrinseca della civiltà cui si appartiene. Esse sono solo il risultato dell'ingiustizia che in quella società viene perpetrata abbastanza a lungo da far sì che chi sta in basso nel possesso della ricchezza finisca infine per odiare – invero giustamente – chi sta in alto. Diversamente da quanto il marxismo vorrebbe farci credere questo tipo di frammentazione non lo si combatte cassando genericamente il concetto di classe e con un esproprio generalizzato delle proprietà a vantaggio di uno Stato Leviatano. Alla base della contrapposizione violenta tra le classi, abbiamo detto, sta l'ingiustizia. La lotta di classe, pertanto, la si combatte ripristinando la giustizia, cosa dalla quale anche oggi siamo molto lontani.
E infine, la contrapposizione più stupida e più artificialmente indotta: quella tra fazioni politiche di diverso colore. Ciascuno partito (dal latino partes, che indica appunto una parte non il tutto e quindi implica già di per sé un concetto di parzialità e particolarità ben lontano dal bene collettivo) si fonda su basi ideologiche del tutto arbitrarie e irrazionali, al punto che chi per caso avesse un'idea in comune con un certo partito deve per forza essere inquadrato in quella schiera politica senza avere la possibilità di farsi un pensiero in qualche modo trasversale alle fazioni riconosciute.
La politica mette quindi interi gruppi di persone gli uni contro gli altri su tematiche spesso insignificanti oppure su problemi che sono addirittura creati ad arte, nascondendo comodamente i più elementari sistemi di clientelismo, inciuci, subalternità ai poteri forti, tipici di ogni governo.
Conclusione, nel nome del divide et impera ogni identità sana, capace di fare quadrato per difendersi dalle ingiustizie è culturalmente minata e del tutto travisata, spesso col contributo di utili idioti del mondo dell'informazione e della cultura ufficiale che, magari in buona fede, mettono in cattiva luce ciò che è di per sé buono.
Di contro, una volta riunite le persone sotto bandiere che sono solo specchi per allodole, si torna a dividerle su basi assolutamente strumentali e funzionali al loro controllo.
Il grande Caio Giulio Cesare non avrebbe saputo fare di meglio.
Simone