Il sogno di una grande sinistra democratica
di Giovanni Spadolini - (“Cultura e politica nel Novecento italiano”, Le Monnier, Firenze 1994)
Occorrerà la nascita del Partito d’azione, agli albori del secondo Risorgimento, per vedere apparire nello lotta politica italiana un partito che si professerà insieme rosselliano e gobettiano.
Sarà il momento in cui la tesi crociana della inconciliabilità fra liberalismo e socialismo tramonterà proprio in quel mondo culturale che si era formato in una originaria fedeltà all’insegnamento del filosofo abruzzese. Sarà il momento in cui grandi studiosi di formazione crociana, voglio ricordare solo Omodeo e De Ruggiero, aderiranno alla nuova formazione politica volta a raccogliere l’eredità di Giustizia e Libertà.
Ricordo una tavola rotonda del 26 marzo 1981 a Roma, in memoria di Ugo La Malfa, due anni dopo la morte: cioè del leader politico che, alla testa di una forza di minoranza, più si era battuto, nel corso di oltre un trentennio, per “disideologizzare” la sinistra italiana, per affrancarla dai complessi atavici e ancestrali dei pregiudizialismi millenaristici o delle soluzioni messianiche e palingenetiche. Non a caso quel dibattito era dedicato al tema: “La crisi delle ideologie e la sinistra italiana”.
L’analisi risalì al primissimo dopoguerra, alle speranze e ai fantasmi della liberazione. E fu soprattutto l’amico Giuliano Amato ad insistere sull’occasione perduta di una grande forza laica e socialista, alternativa sia all’incipiente egemonia democristiana sia alla prevedibile chiusura comunista, quale La Malfa aveva proposto a Nenni alla fine del 1944, senza riuscire a superare una certa tentazione isolazionista del Partito socialista in quegli anni.
“C’è una contiguità, quella fra socialisti e repubblicani – disse allora Amato – che è sempre decisiva, nel bene e nel male, nella storia italiana”.
Ecco: Carlo e Nello Rosselli avevano consumato il proprio comune martirio a Bagnoles de l’Orne, dopo essere giunti alla conclusione che mazzinianesimo e socialismo dovessero incontrarsi. Per aprire la via a quella “nuova Italia” che i due fratelli non riuscirono a vedere realizzata; un’Italia profondamente rinnovata, che potesse favorire la costituente europea di ascendenze risorgimentali e mazziniane.
Ed è su questo punto dell’Europa, che voglio concludere per ricordare che nella resistenza antifascista, l’europeismo è essenzialmente “giellino” (Giustizia e Libertà) e repubblicano. Il manifesto di Ventotene si muove nel quadro di esperienze azioniste ai confini del socialismo. La battaglia per l’integrazione europea è fatta propria, in forme dichiarate e non diplomatiche, solo dal Partito d’azione, nei programmi che nascono fra il ’42 e il ’43.
La “Giovine Europa” di Mazzini rimane sempre sullo sfondo della cospirazione repubblicana anche quando essa si sviluppa al di fuori dei comitati di liberazione, in quella disdegnosa solitudine che rifiutava ogni mano tesa verso la monarchia.
Europa. Europa dei popoli contrapposta ai governi. Europa come soluzione unica ai problemi dei nazionalismi e dei razzismi selvaggi.
Ecco i motivi della cultura democratico-repubblicana che caratterizzano fortemente le esperienze del movimento antifascista e investono in pieno il fronte socialista. Trovando singolari echi di consenso in quel mondo cattolico antifascista in cui l’ideale europeo resisteva con l’immagine della “Res publica christiana”, quasi come vocazione alla supernazionalità magari appoggiata sull’universalismo papale.
Quello che è avvenuto negli ultimi mesi ed anni nell’Europa orientale porta tutti i caratteri – abbiamo il coraggio di dirlo – dell’europeismo di Giustizia e Libertà. Che ne fa rivivere le speranze, i motivi, le tensioni, le vibrazioni.
Di recente Aldo Rosselli mi dava notizia che esiste in Unione Sovietica un’edizione di Socialismo liberale.
L’identità fra Europa e libertà è ormai comune a tutte le esperienze, anche a quelle di “Solidarnosc” che nascono dal profondo della coscienza e della tradizione cattolica.
Quando il Partito comunista ungherese abbandona il vecchio nome e sceglie quello di “socialista”, il socialismo cui guarda è più quello rosselliano che quello marxista.
La stessa disputa sulla parola “comunismo” ci riporta alle polemiche aspre e memorabili fra Giustizia e Libertà e il PCI negli anni dell’esilio e particolarmente nel ’32.
Difficile prevedere quale sarà il loro sbocco; ma un punto è certo: il ruolo di una sinistra democratica in Italia non può non essere un ruolo europeo, di avanguardia europea.
E quel ruolo europeo ha due punti di partenza, due componenti storiche che hanno pesato in modo decisivo nel loro vario atteggiarsi, nel loro incontrarsi, nel loro scontrarsi, nella loro perpetua dialettica, la componente repubblicana e la componente socialista.
Non c’è avvenire per l’Italia che non sia un avvenire europeo: quella patria più grande, legata all’idea di Giustizia e Libertà, che brillò nell’insegnamento dell’ultimo Mazzini e alimentò il trapasso dal mazzinianesimo al socialismo, sorreggendo le nobili fedi della lotta per l’emancipazione operaia in tutte le sue forme.
Proprio quei principi raccolti nelle Rime carducciane che tanto commossero Carlo Rosselli:
Solo nel mondo regnino
giustizia e libertade.
Giovanni Spadolini