Cè: soltanto un anno fa i Paesi
dell’Est risultavano non in regola, oggi invece...
di Gianluca Savoini

«Le nostre perplessità sull’allargamento ad est dell’Unione europea sono basate su domande concrete e motivate. Per questo motivo solleveremo il problema al governo, in vista del vertice europeo di Copenaghen, fissato il prossimo dicembre».
Alessandro Cè, capogruppo dei deputati della Lega Nord, replica in questo modo ai sostenitori ad oltranza dell’allargamento dell’Ue a dieci nuovi paesi dell’Europa orientale. E i dubbi sollevati da Cè dovrebbero essere presi in considerazione da tutti gli altri componenti della maggioranza.
«A parte la questione dei fondi sociali, che oggi sono indirizzati sull’asse nord - sud e che verranno in futuro basati sull’asse ovest - est, emergono altri problemi di cui bisogna tenere responsabilmente conto - spiega Cè -. Alcune analisi risultano peraltro nefaste, e su altre questioni non è stata data alcuna risposta».
A che cosa si riferisce?
«Pensiamo alla questione della concorrenza, ad esempio. In alcuni casi il mercato del lavoro dovrà essere uniformato secondo alcune regole dell’Ue attuale. Si pensi all’orario di lavoro che dovrebbe rientrare negli standard di sicurezza, che però di fatto tali non sono. Peraltro non esiste alcuna regola per quanto riguarda il livello salariale, l’assistenza sociale al lavoratore, i contributi, gli aspetti fiscali. Inoltre, come sarà il diritto di stabilimento?».
Cioè?
«In nessun documento si accenna qual è il diritto per i cittadini europei di trasferirsi in altre nazioni. Il rischio è quello che ci potrà essere la possibilità di trasferirsi e stabilirsi al di fuori del proprio paese senza alcun controllo. E dal punto di vista dell’immigrazione, oltre che sul versante economico, si tratta di un rischio temibile».
Come mai ci sono ancora tutti questi dubbi? Non è da ieri che si parla di allargamento dell’Ue.
«Sono quasi dieci anni, in verità. Eppure simili domande restano ancora oggi senza risposta. E non sono domande da poco. Anche sul controllo alle frontiere non si capisce bene. Che fine farà Schengen? Ce lo spieghino bene. Quei nuovi paesi non riescono a garantire un controllo delle loro frontiere, quindi gli extracomunitari che riescono ad entrare in quel paesi poi non avranno grandi problemi a spostarsi in tutta l’Unione».
Esistono però dei parametri fissati dall’Ue per farne parte. I paesi dell’est riusciranno a rispettarli?
«Il rapporto stilato il 13 settembre 2001 evidenziava che molti di quei paesi non avevano le carte in regola per entrare nell’Ue. Non avevano rafforzato l’apparato giudiziario, c’era moltissima corruzione, si parlava persino di tratta di donne e bambini. A distanza di un anno è forse cambiato tutto? Il rapporto europeo dell’8 ottobre scorso non ripete più quelle accuse. Come mai? Non sentite puzza di bruciato?».
A quanto pare lo sente soprattutto la Lega.
«No, lo sentono anche tutte le persone di buon senso. Come tutte le persone di buon senso si chiederanno se è pensabile che i diritti sociali di tutta l’Ue verranno uniformati da subito. Con quali compatibilità economiche?».
Cosa fare allora per cercare risposte concrete a queste domande, onorevole Cè?
«Prima fissiamo le tappe storiche principali di questa vicenda. Fu nel consiglio europeo di Copenaghen del 1993 che si cominciò a parlare di allargamento. Nel luglio del 1997 un documento della commissione Ue analizzava tali prospettive. E arriviamo al 30 marzo 1998, la vera pietra miliare per la proposta di allargamento europeo. In quell’occasione, in Lussemburgo, si fissa un trattato di parternariato».
Cosa diceva quel trattato?
«Fissava delle regole ben precise per quei paesi che volessero entrare a far parte dell’Unione. Si trattava di un impegno preciso da parte dell’Ue. La decisione del consiglio del Lussemburgo venne poi confermato nel corso dei tutti vertici successivi, compreso quello di Nizza del 2000».
E adesso la commissione ha dato un parere positivo su dieci candidati. Quindi?
«La decisione finale spetta ai capi di stato che si riuniranno a Copenaghen a metà dicembre. Noi solleveremo quindi il problema politico, cercando di ottenere risultati concreti. In ogni caso poi sarà il parlamento a dover discutere sui trattati internazionali. Noi vogliamo che sia il popolo a decidere su questioni di importanza capitale per l’avvenire del nostro continente».