KOK KSOR, PICCOLO EROE VIETNAMITA, VIVE PER RICORDARE L’ORRORE ( "IL FOGLIO")
Articolo pubblicato in prima pagina su “Il Foglio” del 10 novembre 2002

KOK KSOR, PICCOLO EROE VIETNAMITA, VIVE PER RICORDARE L’ORRORE

di Francesca Mambro

“È necessario che qualcuno descriva l’orrore a chi non lo conosce. L’orrore, l’orrore…”.

In una delle scene finali di “Apocalipse now” Marlon Brando, stanco della guerra, lascia le consegne a chi è stato mandato per ucciderlo: “Vai, e racconta l’orrore, racconta il cuore di tenebra”. Il pluridecorato colonnello Kurtz deve morire perché non obbedisce più agli ordini dello stato maggiore americano: si è alleato a una tribù di indigeni e conduce una guerra personale contro i vietcong.

Dallo schermo di un computer portatile, kurtz- Brando sta parlando proprio a lui, al vietnamita che dal 1975 gira per il mondo a raccontare l’orrore di prima e quello di dopo. Aveva sentito parlare tante volte del film, ma per qualche suo motivo non aveva mai voluto vederlo. Poi, in una sera di pioggia (dicono sempre così gli scrittori con poca fantasia, ma la pioggia c’era davvero), l’ha visto, e ha pianto con lacrime quasi invisibili, come un vecchio soldato.

Cinquantotto anni, un po’ di artrite, capelli corti e baffi brizzolati, il corpo asciutto che si intuisce forte, le cicatrici sul volto e su una mano ormai levigate dal tempo. Kok Ksor ha lasciato il fucile e ha indossato un anonimo vestito con anonima cravatta. Sbarbato, il tipico orologio da polso americano senza pretese, da dieci anni gira le microscopiche sottocommissioni dell’ONU cercando di far conoscere la storia del suo popolo e dello sterminio in corso.

Lui è uno di quelli che facevano da guida agli americani. Li riconosci nei documentari e nelle foto perché non hanno mai l’elmetto, ma un berretto verde floscio, e sono più bassi degli yankee; e non camminano mai accanto a loro, ma un po’ discosti. La gente crede che fossero i vietnamiti del sud a combattere al fianco degli americani, e invece no, erano loro, i “montagnard”, il popolo degli altopiani del centro del Vietnam. Montagnard è il nome francese. Loro sarebbero i Degar. Lui appartiene alla tribù Jarai, al villaggio Bon Broai.

E’ stato uno dei luoghi dove, inevitabilmente, con precisione geometrica, si sono svolte quasi tutte le battaglie della seconda guerra d’Indocina, quella che noi chiamiamo guerra del Vietnam, quella che gli americani hanno perso nel 1975. Loro stavano in mezzo e hanno visto tutto, e hanno subito l’orrore fino in fondo. “Sì, ho visto anch’io, come dice il colonnello Kurtz, mucchi di piccole braccia di bambini tagliate a colpi di machete per terrorizzare la mia gente, per convincerla a non accettare l’aiuto degli americani, nemmeno sotto forma di vaccino antipolio. Ma ho visto anche le crocifissioni, gente legata a due pali a “x”, e il fuoco acceso sotto, un fuoco piccolo, che uccidesse lentamente. Ho visto donne e bambini mandati avanti per sminare i campi, o per fare da scudo umano ai vietcong che attaccavano le postazioni americane presi tra due fuochi. A battaglia conclusa, quando con gli elicotteri avevamo finito di inseguire i viet, tornavo indietro e c’erano pochi soldati morti sia da una parte che dall’altra, ma c’erano decine e decine di donne col canestro della spesa, e bambini con i piccoli cappelli di paglia. Bambini, donne, vecchi, a centinaia, sventrati, massacrati inutilmente, perché il fronte si spostava di pochi metri alla volta. La gente crede che la guerra sia stata del sud contro il nord, ma in realtà il sud aveva pochissimi soldati, e gli americani si sono rivolti a noi, che all’inizio non avremmo voluto schierarci con nessuno. Gli americani prima ci hanno usato: lasciavano che i vietcong attaccassero i nostri villaggi, e per noi era quasi impossibile difenderci. Poi hanno promesso che a guerra finita ci avrebbero aiutato a recuperare la nostra indipendenza. Allora noi ci siamo schierati e siamo stati i più fedeli alleati degli americani, ma non dei generali o dei politici: siamo stati amici dei soldati semplici, degli ufficiali di basso grado. Per noi era gente che veniva ad aiutarci, che veniva a morire per una patria che non era la loro. Sì, la fedeltà della tribù che nel film circonda il colonnello Kurtz è vera, noi siamo un popolo fedele”.
Kor Ksor quasi non esiste. Non parla mai di sé, ma solo del suo popolo. È il suo destino. I saggi della tribù avevano scelto l’adolescente che aveva imparato l’inglese a scuola perché tenesse i contatti con gli americani, e soprattutto con i capi tribù costretti alla clandestinità, e nascosti in Cambogia. Avanti e indietro cento volte attraverso le frontiere. Se uno non conoscesse l’incredibile storia militare di quest’uomo lo potrebbe trovare noioso come un testimone di Geova. E in effetti, come con i testimoni di Geova non c’è nemmeno speranza di farlo ubriacare per avere qualche confidenza: “Non bevo mai. Una volta da ragazzino i miei offrirono una festa a tutto il villaggio per l’inaugurazione della nostra nuova casa, che i vicini ci avevano aiutato a costruire. Insieme agli altri bambini ci ubriacammo di nascosto, e io quasi morivo. Non ho mai più bevuto. Nemmeno fumo, più o meno per lo stesso motivo: da piccoli ci siamo fatti dei sigari arrotolando delle foglie di tabacco fresco, e abbiamo vomitato per una settimana . Mi piacciono le bistecche, ma non le patate fritte che gli americani mettono dappertutto”. Adorerebbe soprattutto una specie di patata, la hbei blang, e un tipo di insalata particolare, ma riesce a procurarsele di rado ora che vive in America.

“Un nostro grande amico è stato John Wayne, che era venuto da noi, a Pleiku, dove era di stanza la 4th Infantry Division, per girare “Berretti verdi”, che è proprio la storia di come per anni la strategia americana sia stata solo quella di fortificare i nostri villaggi. Avevo 17 anni. In quei mesi ha vissuto con noi, nelle pause di lavorazione voleva che noi ragazzi lo accompagnassimo nella jungla per “capire”. Con lui si era creato un legame speciale. Gli abbiamo regalato il nostro braccialetto sacro, una striscia di ottone tagliata a forma di freccia, con incisi i simboli degli animali che avevamo sacrificato per lui. Ha portato quel braccialetto fino all’ultimo giorno della sua vita. Ora so che nostro amico è stato anche Francis Ford Coppola: il suo film è quasi perfetto anche nei dettagli quando parla di noi”.

“Ha cominciato a lavorare per gli americani a 16 anni, durante le vacanze di scuola. Nel 1964 i montagnard creano il Fulro (Fronte unito di liberazione delle razze oppresse). Il direttivo si nasconde in Cambogia. Ksor aveva vent’anni, diventò uno dei principali ufficiali di collegamento.

“Quasi subito mi raggiunse, fuggendo da casa e viaggiando a dorso del suo elefante, H’Li. Ancora non ho capito bene come abbia fatto a trovarmi nel bel mezzo della giungla cambogiana, ma in qualche modo è arrivata. Aveva 17 anni, e ci siamo sposati subito, lì”.

Ha fatto parte della Quarta Divisione, e poi della 5° Brigata delle Special Forces. Viene mandato tre volte a fare corsi di specializzazione a Okinawa e in Virginia, a Fort Eustis. Ufficiale di intelligence e “transportation”, impara come muovere uomini e materiali nella “no man’s land”. Ma adesso è lui a insegnare. Si concede qualche settimana di “convalescenza” solo quando una raffica di kalashnikov lo colpisce di striscio al volto e gli attraversa un braccio.

Nel 1968, durante l’offensiva del Tet, viene catturato in abiti civili mentre tiene i contatti tra le tribù. Sotto tortura continua a far finta di essere un contadino, e non cambia linea nemmeno davanti al plotone d’esecuzione.

“Sono salvo per un miracolo. Forse ho cominciato a credere in Dio quel giorno. All’ultimo momento hanno deciso che fucilarci davanti alla nostra gente sarebbe stato impopolare, visto che cercavano di accreditarsi come i buoni della situazione. Così ci indicarono un sentiero, e ci dissero che al villaggio successivo avremmo trovato i lasciapassare per tornare dalle nostre mogli. Sapevo che era successo altre volte, e che ovviamente nessuno era mai arrivato vivo a destinazione. Così dopo poche centinaia di metri abbiamo cominciato a correre nella giungla a perdifiato, e se ci siamo salvati è solo perché eravamo disarmati, e quindi “leggeri”. Ci hanno inseguito per cinque giorni. I miei documenti erano rimasti in mano loro. Da quel giorno sono sulla loro lista di ricercati, e dopo 34 anni non mi hanno cancellato”.
Nel 1975 il Vietnam e la Cambogia cadono in mano comunista. Il capo di Ksor, il generale Enuol, viene passato per le armi dai Khmer rossi con tutto il resto della dirigenza del Fulro. Ksor aveva lasciato la zona su un C130 il 29 aprile 1975, il giorno prima della caduta di Saigon. Il generale Enuol aveva appena fatto in tempo a nominarlo rappresentante del Fronte presso le Nazioni Unite e il governo degli Stati Uniti, e a inviarlo in missione. I montagnard hanno lasciato sul terreno 250.000 uomini. Ksor ora può appoggiarsi solo alla rete dei missionari protestanti. “Più volte ci era capitato di difendere i loro “compound” dagli attacchi dei vietcong. Finita la guerra ci hanno aiutato molto. Sono loro che hanno caricato mia moglie e i miei 3 figli su un aereo che aveva appena scaricato medicinali per le missioni. Mia moglie era incinta di tre mesi. Il bambino che è nato porta il nome del pilota che li ha salvati dalla furia dei khmer.

Vivono a Spartanburg nel South Carolina. Non hanno fatto altri figli in America. H’Li ha integrato il bilancio familiare facendo ricami su commissione. Lui ha lavorato per anni come meccanico. Nell’esercito era specializzato anche nella manutenzione di puntatori laser, ma nella vita civile ha dovuto convertirsi ai cuscinetti a sfera. Lavora assieme a due dei figli per una ditta tedesca di manutenzioni industriali. Gli altri due figli sono medici pediatri. “No, a loro non ho raccontato tutto. Nel 1975 i montagnard erano 3 milioni. Oggi le stime ONU dicono che siamo rimasti in seicentomila. Quando nell’aprile di quest’anno gli italiani del Partito Radicale mi hanno ceduto il loro “diritto di tribuna” per prendere la parola, per la prima volta, davanti alla Commissione Diritti Umani dell’ONU, il Vietnam ha chiesto la mia espulsione dall’aula in quanto “noto terrorista addestrato dalla CIA”. La richiesta è stata appoggiata da Cuba, ma respinta dal presidente della Commissione, un polacco”. “Sai perché mi ha commosso il film? Perché Kurtz vuole che Willard vada da suo figlio a spiegargli la verità, non le menzogne che di solito circolano sulla guerra e soprattutto su chi la combatte. E perché Kurtz dice che la nostra missione è raccontare l’orrore. È una missione terribile. Io eseguo quest’ordine, ma cerco di tener lontani i miei figli. Anche se poi non credo sia un caso, che i due più piccoli hanno scelto di curare i bambini”.


Per la nota biografica: Kor Ksor è nato il 26 febbraio del 1944.

Wolare
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