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Discussione: Hugo Pratt

  1. #11
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    Caro Orazio:
    Picasso ha detto di sé il peggio del peggio. Sarei un ipocrita se non dicessi che lui e Joyce sono stati tra i primi personaggi massmediali del '900 (pensiamo alla promozione di Ulisse tramite Valery Larbaud).
    Detto questo, Picasso fu tutt'altro che un "imbrattatele". Da giovane era capace di una maniacalità che sfiorava l'iperrealismo. Ci tornò anche dopo, verso la metà della sua fase produttiva. Tecnicamente non conosco altri pittori che siano stati capaci di confrontarsi con ogni stile stravolgendolo attraverso se stessi e una fisicità dirompente. In Picasso c'è tutta la pittura possibile, tutta l'arte possibile completamente reinterpretata. Lo stesso dicasi per Joyce, naturalmente, figura letteraria che ha eguagliato il pittore in quanto a "totalità".
    Picasso ha fatto politica, è vero. Era iscritto al Partito Comunista, ha realizzato Guernica per denunciare il primo bombardamento sui civili. Ma è poca cosa rispetto a quello che è stato quel periodo artisticamente: più che occuparsi di politica, pittori come lui s'interrogavano su come portare i colori e le forme a conseguenze estreme. Lo stesso vale per i letterati: Joyce portò lo stile al plurisignificato, la Woolf annullò il tempo e lo spazio, nonché i sessi (pensiamo a Orlando).
    La politica è secondaria. Di loro, tra cent'anni si discuterà ancora sull'importanza delle loro opere, non certo sulle scelte politiche. Lo stesso vale per Céline: apprezzeremo ancora la sua prosa distorta e inimitabile, mentre c'importerà poco del suo collaborazionismo.

    Originally posted by Orazio Coclite

    Picasso?!?! Scusami Ughetto ma quello oltre ad essere stato un bieco imbrattatele (e per sua stessa ammissione), ha fatto le sue fortune proprio sulla veicolazione di un messaggio politico ben definito. Avrei altri appunti anche su altre delle cose da te scritte, ma su Picasso ho un'opinione molto negativa.

    Oggi non riesco, ma nei prossimi giorni ti riporto alcune considerazioni al riguardo.

    Ave.

  2. #12
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    A mio avviso è molto grave dire che l'arte deve essere indipendente e staccata dagli altri domini della vita, e pure che essa non deve "indottrinare" (che c'è di male nella dottrina?). L'arte è espressione di una civiltà, in tutti i casi; se poi in un certo periodo vige il principio che essa deve essere separata, poniamo, dalla politica o dalla religione, vuol dire che siamo di fronte a una civiltà decadente, regressiva e scissa, dove l'uomo è incapace di sentire una certa unità nell'esistenza.


    In buona fede, qualcuno potrebbe ritenere che liberare le forme artistiche da qualsiasi condizionamento sia una buona soluzione contro l'uso che certe forze politiche hanno fatto della cultura, attraverso la figura dell'intellettuale organico e via dicendo.
    Ma si tratta di una cosa che è impossibile da realizzare e che se fosse possibile sarebbe deteriore. E' naturale che una teoria sociale e politica innovativa o rivoluzionaria si serva di determinate concezioni estetiche nonchè dei singoli artisti come di propri strumenti: anche la solenne affermazione dell'indipendenza dell'arte può essere mezzo a questo fine.
    Per esempio perchè così facendo si toglie un appiglio ai ceti meno colti che nelle opere d'arte hanno tradizionalmente trovato un adattamento comprensibile di verità superiori. Può essere che la massoneria fosse interessata a questo messaggio, come lo era alla proclamazione della libertà di pensiero e di espressione. Il punto è che una vera libertà di pensiero presuppone un uomo libero di pensare, cioè in primo luogo capace di comprendere e di farsi una idea sulle cose. Questi sono beni preziosi che non si trovano con facilità e vanno conquistati con duri sforzi; non basta una solenne asserzione a renderli disponibili. Viceversa un'arte "interessata", che abbia come riferimento immancabile una verità e voglia costituirsi come ponte tra l'uomo e detta verità, servirà a creare strumenti per la comprensione e quindi formerà uomini capaci -liberi- di pensare.
    Dall'altro lato bisogna guardarsi dall'arte che diffonde contenuti falsi, oppure, come è assai più probabile, che è strumento di propagazione del nulla e del caos (pure se lo si chiama complessità dell'uomo).
    Queste sono semplici osservazioni pedagogiche che un politicante non può ignorare.
    Continuare a concepire l'artista come il genio solitario che crea dal nulla a suo arbitrio vuol dire cadere in un grave equivoco e anche precludersi la possibilità di capire come di fatto i cambiamenti nelle concezioni estetiche determinino e siano determinati dalle trasformazioni sociali.

  3. #13
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    Rispetto all'argomento del thread siamo usciti, e di parecchio. Tuttavia il dibattito e le questioni mi sembrano interessanti da una parte e dall'altra, quindi penso sia giusto continuare.
    Rispetto alle tue obiezioni, Senatore, rispondo che:

    esiste un bel libro di Edgard Wind, "Arte e anarchia" (Adelphi), che si pone delle domande simili alle nostre e arriva a conclusioni interessanti. E' indubbio che l'arte sia espressione di una civiltà, ma, riflette l'autore, l'artista ha sempre un rapporto ambiguo con la civiltà. Non a caso Platone diffidava dell'arte: se già il mondo in cui viviamo è una proiezione dell'originale, figuriamoci cosa si può pensare di coloro che ne rappresentano ulteriormente l'imperfezione attraverso l'arte!
    Di certo nel medioevo l'arte aveva uno scopo di coesione che adesso manca. Le grandi cattedrali gotiche erano creazioni collettive, nelle quali ognuno metteva la sua parte per un fine trascendente, sebbene le competenze si differenziassero.
    Poi è arrivato il rinascimento e le cose sono cambiate: si è esasperato il conflitto, spesso profiquo, tra l'artista e il mecenate, talvolta geniale quanto lo stipendiato. C'erano papi sensibili all'arte, altri meno, ma c'erano soprattutto principi che capivano cos'è il bello e lo promuovevano al di sopra d'ogni moralismo. I principi tedeschi che difesero Rabelais dagli inquisitori non sapevano nulla di diritti umani, erano probabilmente dei criminali, ma amavano l'arte, l'umorismo intrinseco del romanzo e quindi ritenevano che quel medico bestemmiatore dovesse stare nei loro castelli. Nella nostra epoca decadente, s'è dovuto ricorrerre ai diritti umani, tralasciando il valore di un romanzo come "The satanic verses", per ifendere Salman Rusdhie.
    Tornando a noi, anche Wind chiede sia recuperato il rapporto tra artista e committente, perché altrimenti si scade nel solipsismo e l'arte diventa la porcheria attuale. Ma il mecenate dev'essere una persona "illuminata", sensibile al bello, decisa a migliorare i suoi simili.

    Dissento invece sull'arte come strumento di verità. Platone sarebbe d'accordo con me. L'arte è bellezza, la verità non si stabilsce a priori ed è antropologicamente impossibile stabilirla. Indottrinare è pericoloso, perché toglie all'arte quel fattore di squilibrio che è la sua forza. Vorrei anche precisare che, scientificamente, la complessità sta "ai margini tra l'ordine e il caos, quindi racchiude il molteplice. Chi, come l'artista, s'interroga sull'uomo deve tenerne conto.
    Un'arte utilizzata per rappresentare un tipo di uomo rischia di essere totalitaria, quindi inutile e narcisistica. L'unica verità a cui ci possiamo avvicinare è quella dell'uomo in sé. Van Gogh è verità, mentre l'arte come espressione di un governo o di un sistema è falsa e narcisistica, proietta il come vorremmo essere, non il come siamo. Questo vale per il "realismo socialista", statico e monotematico nel suo falso realismo, e anche (non me ne voglia Tomàs) per l'arte nazionalsocialista, sicuramente altrettanto accademica ma altrettanto narcisistica e statica.
    Ciao.



    Originally posted by Senatore
    A mio avviso è molto grave dire che l'arte deve essere indipendente e staccata dagli altri domini della vita, e pure che essa non deve "indottrinare" (che c'è di male nella dottrina?). L'arte è espressione di una civiltà, in tutti i casi; se poi in un certo periodo vige il principio che essa deve essere separata, poniamo, dalla politica o dalla religione, vuol dire che siamo di fronte a una civiltà decadente, regressiva e scissa, dove l'uomo è incapace di sentire una certa unità nell'esistenza.


    In buona fede, qualcuno potrebbe ritenere che liberare le forme artistiche da qualsiasi condizionamento sia una buona soluzione contro l'uso che certe forze politiche hanno fatto della cultura, attraverso la figura dell'intellettuale organico e via dicendo.
    Ma si tratta di una cosa che è impossibile da realizzare e che se fosse possibile sarebbe deteriore. E' naturale che una teoria sociale e politica innovativa o rivoluzionaria si serva di determinate concezioni estetiche nonchè dei singoli artisti come di propri strumenti: anche la solenne affermazione dell'indipendenza dell'arte può essere mezzo a questo fine.
    Per esempio perchè così facendo si toglie un appiglio ai ceti meno colti che nelle opere d'arte hanno tradizionalmente trovato un adattamento comprensibile di verità superiori. Può essere che la massoneria fosse interessata a questo messaggio, come lo era alla proclamazione della libertà di pensiero e di espressione. Il punto è che una vera libertà di pensiero presuppone un uomo libero di pensare, cioè in primo luogo capace di comprendere e di farsi una idea sulle cose. Questi sono beni preziosi che non si trovano con facilità e vanno conquistati con duri sforzi; non basta una solenne asserzione a renderli disponibili. Viceversa un'arte "interessata", che abbia come riferimento immancabile una verità e voglia costituirsi come ponte tra l'uomo e detta verità, servirà a creare strumenti per la comprensione e quindi formerà uomini capaci -liberi- di pensare.
    Dall'altro lato bisogna guardarsi dall'arte che diffonde contenuti falsi, oppure, come è assai più probabile, che è strumento di propagazione del nulla e del caos (pure se lo si chiama complessità dell'uomo).
    Queste sono semplici osservazioni pedagogiche che un politicante non può ignorare.
    Continuare a concepire l'artista come il genio solitario che crea dal nulla a suo arbitrio vuol dire cadere in un grave equivoco e anche precludersi la possibilità di capire come di fatto i cambiamenti nelle concezioni estetiche determinino e siano determinati dalle trasformazioni sociali.

 

 
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