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Merita, a mio avviso...
La disumana fatica di essere super partes
di Bruno Miserendino
Domanda numero uno: si può essere «terzisti», ossia commentatori equidistanti, oggi? Domanda numero due: si riesce davvero, nell’informazione, ad esserlo? Va bene, sono interrogativi imbarazzanti, soprattutto ad agosto. Ma qualunque sia la risposta, una cosa sola è certa: oggigiorno, con tutto quel che succede e con questo caldo torrido che stressa anche i cervelli più ossigenati, fare il commentatore equidistante, è una faticaccia. In un paese dove la maggioranza vuole indagare sui giudici e dove il presidente del consiglio è proprietario di mezza informazione e l’altra mezza la controlla, l’esercizio della terzietà è a volte più di una missione: è uno sport estremo. Il super partes per scelta e per autodefinizione, l’opinionista «terzista» e senza legami, il teorico della neutralità, capace di attaccare in un editoriale solo il premier e un po’ l’opposizione, Previti e i giudici, è un atleta che rischia molto: le rocce del buon senso sono sempre in agguato. Basta un niente e ci sei addosso.
La polemica contro i terzisti, intesi «come coloro che nella loro attività di pubblicisti politici cercano di ritagliarsi un ruolo di equidistanza, una sorta di magistero superpartes», è stata riattizzata da Eugenio Scalfari domenica scorsa su Repubblica. Bersaglio, un commento sulle motivazione della sentenza Imi-Sir scritto da Sergio Romano, ex ambasciatore e autorevole editorialista del Corriere. Il succo è questo: di fronte alle centinaia di pagine scritte dai giudici - dice Scalfari - ci si aspetterebbe che un commentatore dica se le prove della colpevolezza ci sono o no. Invece Romano, scrive Scalfari, si attarda «in un esame stilistico della sentenza per dimostrare la faziosità del Tribunale», senza neppure esaminare l’interrogativo centrale. Appunto, se le prove della colpevolezza di Previti sono convincenti o meno. In effetti, bisogna ammetterlo, fare l’analisi linguistica di una sentenza così importante, senza dire se le condanne sembrano motivate bene, è come dire che il problema della legge Cirami è la punteggiatura. Ragazzi, sulla legge non mi sbilancio, però è scritta malissimo.
Sergio Romano, che è un capofila del terzismo (anche se il vero padre dei terzisti è Paolo Mieli), ha in realtà seguito uno schema classico dell’equidistante nostrano. Che consiste in questo, qualunque sia l’argomento del contendere: dare una impercettibile botta al premier, del tipo «ha ragione ma esagera», e dare un colpo all’opposizione o ai giudici: «sbaglia, così non diventerà mai maggioranza», oppure «sbagliano, i magistrati, a difendere il loro operato, perchè così sono in conflitto d’interessi, come Berlusconi». La variante tutta italica di questo terzismo è che in genere, comunque la metti, qualunque sia il tema, hai sempre l’impressione che i terzisti ce l’hanno con l’opposizione. Tanto che nell’opposizione medesima ci si chiede se anche il concetto di equidistanza sia già stato riformato.
Prendete il caso di Ostellino, editorialista del Corriere la cui missione non è fare la bucce al potere ma sempre e comunque alla sinistra. L’altro giorno ha scritto una interessante rubrica sulla vicenda Cirio, (il caso conferma l’imbarazzante legge che vuole i consumatori sempre fregati) e con chi se la prende Ostellino? Con i girotondi. Proprio così: «Scandalo Cirio, nessun girotondo?» A parte che se si seguisse l’invito di Ostellino, agitarsi solo quando sono minacciati i propri interessi economici, ci sarebbero tutti i giorni girotondi sotto le finestre dell’Istat, ma il problema è un altro. Anche questo esempio è l’applicazione dello schema classico del terzista made in Italy.
Colpo all’opposizione, anche se francamente non c’entra nulla, un colpo a Berlusconi, incredibile ma vero, Ostellino afferma che c’è il conflitto d’interessi, nuovo colpo all’opposizione: che errore per la sinistra, trasformare il caso Berlusconi nell’ombelico del mondo, ce ne sono tanti altri molto più gravi e di cui vi rendereste conto se non foste «moralisti a senso unico e provinciali».
Questo terzismo tutto italiano ha altri illustri adepti, naturalmente. Merlo del Corriere e Battista della Stampa, nel loro genere, sia detto con ammirazione, sono insuperabili. Prendete il caso delle celebrazioni della strage di Bologna. Uno, Battista, ha scritto prima del due agosto augurandosi che la manifestazione non diventasse «occasione per l’ennesima rissa storico-politica, teatro di strepiti di piazza», Merlo ha chiosato a manifestazione avvenuta: «quelli di Bologna sono fischi vuoti, automatici e preconfezionati...spiace dirlo ma il 2 agosto che era un giorno di lutto, è diventato un giorno di festa politica, come i raduni dell’Unità, come le kermesse di Dario Fo...una scampagnata politica per un panettone politico, propaganda e spot per il furbo di turno...». Il dato comune è questo: non piace l’idea che si possa fischiare un ministro. Non importa che quei fischi siano venuti da una parte della piazza che avrebbe fischiato chiunque, non importa che la sinistra abbia preso le distanze, non importa nemmeno che Pisanu abbia detto cose di buon senso apprezzate anche a sinistra, la colpa è della sinistra. Detto in modo equidistante, naturalmente. Chi è infatti «il furbo che strumentalizza il fischio e un po’ sciacallescamente si nutre della putrefazione della politica?» (non inganni il tono un po’ macabro, la terzietà non guarda in faccia a nessuno). Non ci crederete, è Cofferati, casualmente uno dell’opposizione, che peraltro non risulta aver fischiato. Che sia, come dicono i maligni, finto terzismo?
Va bene, sono cattiverie estive, aggravate dall’afa. Il terzismo è sinonimo di libertà e nei paesi civili serve come il pane. E se uno vuole esserlo, equidistante, per prima cosa deve convincersi che lo è. Ma non è un obbligo di legge: si può raccontare la verità, anche senza essere terzisti."