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Risultati da 1 a 3 di 3

Discussione: Sulla....

  1. #1
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    Predefinito Sulla....

    ....massoneria

    Non ricordo dove qualcuno nega l'influenza religiosa e in particolare cristiana nella massoneria.

    Alcune notizie sulla massoneria.
    La cosiddetta massoneria moderna appare nell seconda metà del XVII secolo in Gran Bretagna tra corporazioni di muratori e tagliapietre. Si riunirono per la prima volta il 24 giugno 1717, giorno di S. Giovanni, loro patrono, prendendo il nome di Grande Loggia di Londra. (notare il legame con il cristianesimo popolare). L’evoluzione più marcata avvenne sotto la direzione dei due fra i più celebri dei fratelli, Theophile Desaguliers (figlio di in pastore che si ispirava alla dottrina di un deismo newtoniano e James Anderson che redasse le costituzioni.
    Con le Costituzioni di Anderson la massoneria ebbe un codice che prescriveva la fede in Dio (“un libero muratore non sarà mai un ateo stupido né un libertino senza religione”) e la pratica della sottomissione al potere civile.
    Mi pare, dunque, evidente l’ispirazione religiosa alla base della nascita dei fra massoni.
    L’influenza religiosa e i particolare la cristiana ebbe forti alti e bassi nella lunga storia della Società massonica.

    Da una breve e superficiale ricerca

    saluti

  2. #2
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    Predefinito

    Secondo certo becero antisemitismo "moderno" la massoneria, come del resto il bolscevismo, sarebbe invece prodotto.......del giudaismo.

    Shalom!!!

  3. #3
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    Predefinito Persino nella "medioevale" Turchia...

    ....si son sentiti battere i martelli dei muratori

    Le bombe umane di al Qaida a Istanbul non colpiscono soltanto la comunità ebraica e i luoghi dell’Occidente al di là della Sublime Porta. Di mezzo ci va anche chi nello Stato laico di Turchia guarda piuttosto agli stati molteplici dell’Essere supremo.
    Come le confraternite sûfi (turuq), che nella terra di Bisanzio da almeno 800 anni accarezzano la santità del profeta Muhammad senza velleità teocratiche e non a caso costituiscono, oggi più che mai, la bestemmia del panarabismo armato.

    Sûfi è parola che rinvia alla lana (sûf) indossata dai viandanti lungo la strada che conduce alla purezza dello spirito (safâ). Dunque a quell’Islam che è scienza del divino coltivata nell’involucro terrestre, perché nella legge religiosa individua una “scorza” (al-qishr) che protegge l’essenziale, il “nocciolo” (al-lubb) rappresentato dal cammino interiore verso il trono di Allah. Un percorso iniziatico (tarîq) che alle piccole guerre di conquista preferisce la “grande guerra santa” (al-jihad al-akbar) ingaggiata contro l’attrito della materia. “Colui che non possiede nulla e da nulla e posseduto è sûfi” – diceva il maestro Abû l-Husayn al-Nûri (840-907) – glorifica il Profeta assomigliandogli nella preghiera e nell’invocazione celeste (Dhikr), oppure danza attorno ad Allah, come fanno i dervisci rotanti e biancovestiti per significare l’evoluzione degli astri intorno al sole.
    Da secoli la Turchia politica ospita le numerose confraternite degli asceti, la più importante delle quali, tarîqa Naqshbandiyya, è sorta nel XIV secolo ai piedi del saggio Bahâ an-Dîn Naqshband di Buchara (“colui che ricama su stoffa”) ma vanta la propria discendenza direttamente da Abû Bakr as-Siddîq, il primo dei quattro califfi “rettamente guidati” dal Profeta.
    Da secoli la Turchia riceve dal sufismo nutrimento di sapienza e stabilità civile innervati alla base della comunità musulmana.
    Così fu da quando Costantinopoli divenne Istanbul e cioè la capitale dell’impero Ottomano di Mehmet II (1453).
    Così è o dovrebbe essere oggi, lì dove le divise dell’esercito kemalista hanno imparato a convivere con l’Islam di governo, risorgente ma incravattato da Recep Tayyp Erdogan, in una luna di miele resa possibile anche dal ruolo di moderazione tra Stato e società civile svolto dalle confraternite.
    C’è da chiedersi se non siano proprio le confraternite quel contrafforte metafisico e sociale su cui poggia uno Stato che si vuole laico nelle istituzioni ma è maomettano nel profondo, sebbene d’indole temperata e aperto a suggestioni straniere.
    E se non sia, il sufismo turco, un argine impolitico contro la “via algerina” presa dall’Islam in armi che non sa distinguere tra Stato e Chiesa.
    Un antidoto alle seduzioni totalitarie del monoteismo.

    A guardare con attenzione l’ultimo secolo di storia turca si scopre non poco.
    Per esempio (Angelo Iacovella “Il triangolo e la mezzaluna”, Istituto italiano di cultura di Istanbul, 1997), che la nascita della Turchia non è solo affare di locali carbonerie militari riunite da Mustafa Kemal Atatürk negli anni Venti del ’900.
    Non è così se già nel maggio del 1909, a pochi giorni dalla caduta
    del sultano Abdulhamid II per opera dei Giovani Turchi (Jön Türkler), l’allora Gran maestro della massoneria italiana di Palazzo
    Giustiniani, Ettore Ferrari, scriveva sulla Rivista massonica che
    “finalmente” il popolo turco s’era “svegliato alla coscienza dei
    suoi diritti” e aveva “scosso il giogo secolare, rivendicandosi a libertà”.
    E ancora: “Quelle vicende noi abbiamo seguito con animo ansioso e ammirato, auspicando che il generoso sforzo fosse valso a vincere le tenaci resistenze di un passato di secoli, collocando la giovane nazione al posto che le compete nella storia della civiltà e del progresso”.
    Un’attenzione partecipata, quella dei massoni italici, già presenti oltre il Bosforo dal 1863 con la “Rispettabile Loggia Italiana all’Oriente di Costantinopoli” e attivi assieme a gruppi d’obbedienza straniera (il “Grand Orient de France” ottenne addirittura l’affiliazione del Sultano Murad V, predecessore di Abdhulamid) per promuovere ideali democratici, laici, repubblicani.
    La cosa riuscì perché non mancò il terreno fertile alla modernizzazione della Turchia, a cominciare dall’ostinata dittatura dei sultani che si succedettero fino a che, nel 1923, Atatürk spedì in Inghilterra Maometto VI e fu proclamato presidente della neonata Repubblica.
    Non si trattò solo d’un fenomeno di esportazione della democrazia attraverso squadra e compasso, ma della vittoria di un ideale simmetricamente universale rispetto al sultanato. Universale come può essere l’idea d’uno Stato di diritto liberale germogliata in Occidente.
    In quegli anni, dai Venti in poi, l’Islam cessò di essere religione ufficiale, subì l’abolizione della poligamia e dell’insegnamento dell’arabo, si vide togliere il fez dalla testa e si fece governare da coalizioni nazionaliste alternate a pronunciamenti militari (l’ultimo è del 1980).

    In tutto ciò le confraternite sûfi hanno ragionato per tempi ciclici e con pazienza.
    Hanno atteso e, senza l’ausilio del tritolo del Jihad leninista, riconquistato terreno dal basso.
    Fino a rivedere la Mezzaluna al governo, magari convinte che la salvezza è nell’equilibrio degli universali: Islam e democrazia. Allora ha forse ragione Iacovella: “Le bombe di Istanbul segnano una rottura interna, ma è probabile che vengano da fuori”.

    Alessandro Giuli
    dove se non su il Foglio

    saluti

 

 

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