"Il vuoto. Roberta Tatafiore lascia un vuoto, ed ora viene il momento, per noi che restiamo, di sentirci in colpa. Si arriva alla conta delle telefonate non fatte, dei pensieri non condivisi, degli auguri e dei saluti persi.
Non credo avrebbe voluto questo. La libertà per Roberta era un istinto. Sapeva che la vita è fatta di strade che s'intrecciano e ogni tanto si separano. Era una donna di un'affettività profonda, sincera, fatta di grandi slanci, grandi abbracci, grandi litigi. Era una scrittrice appassionata, una ricercatrice serie, un'amica di quelle che non bastano mai. È indimenticabile da tanti punti di vista ma anzitutto per due cose: la bontà disarmante, e il suo humor strepitoso.
Roberta amava i gatti. Vilfredo Pareto diceva che i gatti sono molto meglio degli uomini. Il gatto è un animale individualista. Non è vero che non sappia che c'è il tempo dell'amicizia, o del sentimento. Sa solo che non è lì, che si esaurisce la vita.
Roberta era attrezzata alla solitudine. Una solitudine, in prima battuta, intellettuale. Aveva pagato, nelle relazioni e nelle amicizie, il suo distacco da quello che era arrivata a definire "femminismo collettivista". In un Paese dove cambiare idea non costa nulla, era una delle poche persone ad avere scandagliato in profondità le ragioni del suo mutamento di prospettiva. Non rinnegava niente, ed era il suo bello. Parlare con lei era come discutere con un pezzo della storia delle idee. Era stata al Manifesto, era stata radicale, aveva passato la vita a spezzare ipocrisie fino ad approcciare il tema della prostituzione in un'ottica di rivalutazione dei rapporti volontari fra persone, anche se regolati dal denaro ("atti capitalistici fra adulti consenzienti"). Di tutte le sue esperienze d'intellettuale e di militante politica, il tratto unificante era la vocazione libertaria, mai complice e sempre dissacrante nei confronti del potere.
Non ce ne sono di persone assieme così curiose, e così rispettose del privato. La curiosità di Roberta l'aveva resa una delle voci più interessanti, quando si trattava di scrivere del divertente e stralunato mondo dell'industria del sesso. Non giudicava mai, e credo capisse sempre, con profondità rara, le ragioni delle preferenze e dei comportamenti, dei cosiddetti vizi, delle cosiddette virtù. O forse più semplicemente sapeva che non c'è bisogno di ragioni, che ognuno è quel che è e basta e avanza.
Non giudicava i trasgressivi, e non giudicava neanche i bacchettoni. Il suo rispetto avvolgeva tutto il vasto spettro delle convinzioni diverse dalle sue. L'amore per la libertà, sua, era rispetto totale del privato altrui.
Non credo di aver mai conosciuto nessuno che nel comportamento, prima ancora che nelle parole, considerasse tanto intoccabile la libertà degli altri.
Roberta guardava con simpatia questo Istituto, e con complicità intellettuale. Hanno scritto che ha meditato anche la sua ultima, come una scelta radicale di libertà.
Preferirei non fossi stata tanto libera, amica mia".
aLBERTO MINGARDI
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