Posto questo articolo del Prof. Armando Rigobello su questo forum anche se non condivido tutta l'impalcatura tradizionale .
Lo posto per offrire un esempio classico della maniera molto in uso oggi di affrontare il problema sul tema dell' europa cristiana .
Qui maca la concezione teologica paolina dell'uomo , della legge e del peccato per cui egli si sofferma solo sulle possibili influenze culturali del cristianesmo in europa attraveso i secoli e nel mondo riducedo il cristianesimo a questo .
Interessante l'analisi che fa dell'islam :" L'Islam, più che dar vita a sottili interpretazioni teologiche, ha creato scuole giuridiche per l'interpretazione delle prescrizioni coraniche."
Infatti l'islam non è altro che un commento alla legge mosaica .
Ho conosciuto questo professore .


L'Europa o è cristiana o non è Europa
di Armando Rigobello
L'Osservatore Romano - 21 settembre 2003


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Il "Corriere della Sera" del 9 settembre scorso ha dedicato, nella pagina "Cultura", una particolare attenzione al dibattito sulle "radici cristiane dell'Europa". Vi compare uno stralcio della voce Aldilà del Dizionario dell'Occidente medievale, il cui primo volume uscirà tra breve in edizione italiana presso Einaudi. La voce è di uno dei maggiori storici medievali, Jacques Le Goff. A dire il vero, lo stralcio, che descrive elementi ricorrenti nelle rappresentazioni medievali del Giudizio universale, del Paradiso e dell'Inferno, non ha molta connessione con la disputa in corso. Può solo mettere in luce l'immaginario collettivo dei secoli medievali. L'articolo che entra direttamente nel tema è di Giuseppe Galasso, il titolo richiama quello di un noto saggio di Benedetto Croce, che risale al 1945, Perché non possiamo non dirci cristiani (Discorsi di filosofia, Bari 1945-1959, vol. 1, pp. 11-23). L'articolo di Galasso ha per titolo: Non possiamo non dirci protestanti, islamici ed ebrei.
La tesi dell'articolo è che le radici cristiane dell'Europa medievale, specie quella del periodo romano-barbarico, e poi carolingio sono innegabili, per quanto vada tenuto conto dell'apporto degli Arabi, "almeno fino al secolo XIV" e di quello ebraico, connesso al Cristianesimo stesso. L'Europa moderna, dopo l'ampio movimento di secolarizzazione che dalla Riforma all'Illuminismo giunge fino a noi, propone valori autonomi in una distinzione di campo tra valori civili e valori religiosi. Questa distinzione ha informato di sé gli ultimi secoli della storia europea ed è presente anche in ampia parte della cultura e della classe politica di ispirazione cristiana. Riconoscimento quindi di radici storiche cristiane, ma non loro esclusività. La questione è più complessa e quindi è più opportuno parlare di pluralismo di radici. Di lì il titolo dell'articolo. Il discorso di Galasso è equilibrato e sereno, vorremmo tuttavia proporre alcune considerazioni. La prima riguarda l'apporto dell'Islam, lo stesso Galasso ne riconosce il limite temporale al Trecento. La cultura araba è stata creativa nella fase d'espansione mediterranea e nel confronto con il mondo ellenistico e latino. In realtà la cultura araba si arresta con l'emarginazione e la morte di Averroè. L'Islam, più che dar vita a sottili interpretazioni teologiche, ha creato scuole giuridiche per l'interpretazione delle prescrizioni coraniche. Il pensiero islamico si sposta ad Oriente, in Persia, dando vita ad una grande fioritura mistica: alla ragione autonoma succede la ragione estatica. L'Europa è ormai lontana. Il Cristianesimo invece è stato l'ininterrotto tessuto connettivo della civiltà europea dalla sua formazione al contesto speculativo e pratico entro cui si sono andate formando, anche polemicamente, le varie famiglie spirituali e le scuole di pensiero dell'Europa. L'Occidente romano-germanico, l'Oriente bizantino e successivamente slavo, la Riforma protestante e la Controriforma cattolica, l'Illuminismo e la secolarizzazione, la laicità e l'interiorizzazione dell'esperienza religiosa, lo stesso rapporto problematico tra fede religiosa e azione politica sono atteggiamenti di pensiero e di costume, espressione di un serrato confronto con il messaggio cristiano, sue interpretazioni spesso unilaterali ma riconducibili ad una comune radice. Il marxismo stesso ha potuto essere considerato come "una eresia cristiana". Le stesse identità nazionali spesso si costituiscono, in Europa, nel rapporto che si viene a stabilire tra loro e il Cristianesimo come visione del mondo e come istituzione ecclesiale. La nozione di "radici cristiane", quindi, sembra non doversi intendere limitatamente al periodo tardo-antico e medievale. Non si tratta di fondarsi su un'ortodossia, su una conformità disciplinare (per verificare le quali vi sono criteri del tutto estranei alle enunciazioni di una costituzione politica), ma di un riconoscimento che non ha alcuna immediata rilevanza giuridica, ma che riafferma una continuità storica, un radicamento, sia pure problematico e talvolta polemico, in una dimensione storica senza del quale le enunciazioni solenni rischiano di divenire perorazioni prevalentemente formali. La memoria storica è invece uno dei contributi all'interpretazione delle enunciazioni, non unico ma necessario o, per lo meno, molto opportuno.
Una ulteriore considerazione sul titolo dell'articolo. Il non poter non dirci cristiani di Croce discende dalla convinzione che la propria visione filosofica sia l'erede delle grandi verità cristiane, sia la loro trascrizione su di un piano di rigoroso immanentismo storicistico. Ciò non può essere certamente detto dell'ebraismo e ancor meno dell'Islam. Galasso riconosce il valore storico-filosofico del pensiero di Croce ma nota che, in questo caso, esso è superato dalla "più matura consapevolezza autobiografica dell'Europa", ossia dal riconoscimento della trasformazione multietnica e multiculturale. L'osservazione, aggiungiamo noi, va però limitata agli immigrati musulmani ed a quelli delle nazioni asiatiche. L'emigrazione dall'Europa dell'Est avviene nell'area di secolare tradizione cristiana. In ogni modo non è su questo piano che vorremmo proporre una ulteriore osservazione sulla questione delle radici cristiane dell'Europa, a partire dalla prospettiva delineata da Croce.
Anche ai nostri giorni, osserva Croce, "come i primi cristiani ci travagliamo pur sempre nel comporre i sempre rinascenti ed aspri e feroci contrasti tra immanenza e trascendenza, tra la morale della coscienza e quella del comando e delle leggi, tra l'eticità e l'utilità, tra la libertà e l'autorità, tra il celeste e il terrestre che sono nell'uomo" (p. 23). Il substrato cristiano della nostra civiltà europea (europea perché nata in Europa e dall'Europa diffusasi nel mondo) non è infatti misurabile con l'appartenenza confessionale ad una o più Chiese, ma informa di sé quei valori di libertà di coscienza, di eguaglianza, di trascendenza della persona sullo Stato che sono alla base di una concezione umanistica e democratica, nell'esercizio di una razionalità critica ed insieme radicata nella concretezza del vissuto singolo e collettivo. La stessa vicenda degli ultimi secoli, la rivoluzione liberale e quella marxista hanno tentato di realizzare i valori del messaggio cristiano, l'una la libertà, l'altra la giustizia. Separatamente hanno prodotto anche tragiche unilateralità, ma l'eredità cristiana ha in sé il criterio per superare entrambe in una fraternità, ideale regolativo mai adeguatamente compiuto. La fraternità non ha dato luogo finora ad una rivoluzione politica, forse va proposta come continuo fermento interiore. Le conquiste di libertà, di democrazia, di solidarietà che sostanziano di sé l'ethos dell'Europa moderna, sono maturate nella tensione dialettica tra l'equilibrio umanistico e il radicalismo illuministico. Ideali di libertà ed utopie socialiste hanno la loro ampia matrice nel messaggio cristiano che non si esprime soltanto nella vita e nella cultura dell'età medievale, ma percorre dialetticamente la nostra storia fino ad oggi. I singoli valori, isolati nella loro astratta formulazione, possono esaurirsi in enunciazioni retoriche. Se invece inscritti nel loro processo di formazione, anche dialettica, dalle origini alla contemporaneità, possono animare strategie di azione e tradursi in finalità operative.
Un riferimento esplicito alle radici cristiane dell'Europa, in quell'ampia accezione che abbiamo cercato di delineare, non turberebbe la laicità della comunità politica, non verrebbe a creare privilegi per istituzioni ecclesiastiche, ma conferirebbe ampio respiro ideale alla Comunità Europea. Tutto ciò contribuirebbe a limitare l'astrattezza delle enunciazioni formali. I valori sono europei perché formulati in Europa, ma sono valori senza frontiere, come lo sono d'altra parte i valori cristiani. Anche i valori cristiani hanno un'origine ed una storia, sono radicati nel territorio, ma non hanno patria. Nella prospettiva di un'azione universalista della nuova Europa, azione internazionale ben diversa anzi opposta al passato colonialismo, anche l'accenno all'universalità cristiana potrebbe offrire qualche opportunità.
Il riferimento al Cristianesimo, allargato al suo significato storico e senza preoccupazioni di diretto rapporto con le confessioni religiose, potrebbe anche suggerire una paradossale considerazione: gli europei, in quanto tali, pur nell'età del pluralismo, "non possono non dirsi cristiani". Si tratta di un paradosso e va inteso con tutte le prudenti distinzioni.

Armando Rigobello


[L'Osservatore Romano - 21 settembre 2003]

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