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Risultati da 1 a 8 di 8

Discussione: americani, inglesi,

  1. #1
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    Predefinito americani, inglesi,

    Secondo l'associazione tra le vittime anche una bimba di otto anni. "L'esercito non ha nemmeno aperto un'inchiesta"
    Amnesty: "I soldati britannici
    hanno ucciso civili inoffensivi"


    Soldati inglesi a guardia di un impianto petrolifero vicino a Bassora

    LONDRA - Nuova tegola per Tony Blair. Dopo le scuse per le torture in Iraq Amnesty International lancia nuove accuse sul governo di sua maestà e sull'esercito britannico: i soldati di stanza nel sud dell'Iraq, dice l'associazione internazionale, in alcune occasioni hanno ucciso civili inoffensivi fra cui una bambina di otto anni. E in alcuni di questi casi le forze armate britanniche non si sono prese neppure la briga di avviare un'inchiesta.

    Lo afferma Amnesty International in un rapporto che verrà diffuso domani a Londra. "I soldati britannici hanno aperto il fuoco e ucciso dei civili nel sud dell'Iraq, in circostanze in cui non sembra che essi costituissero alcuna minaccia immediata", afferma l'organizzazione di difesa dei diritti dell'uomo la cui sede centrale si trova a Londra.

    "In numerosi casi le forze armate non hanno neppure aperto un'inchiesta", accusa Ai. "Nei casi in cui l'inchiesta è stata aperta, la polizia militare britannica ha operato nella più grande segretezza, fornendo pochissime o nessuna informazione alle famiglie delle vittime sull'andamento e le conclusioni delle investigazioni".

    Sono 37 i civili iracheni, nella cui uccisione sono implicati militari britannici: si tratta di uccisioni avvenute tutte dopo la dichiarazione ufficiale della fine delle operazioni belliche, il primo maggio 2003.

    Il documento cita l'esempio di Hanan Saleh Matroiud, una bambina di otto anni di età, uccisa con una pallottola all'addome il 21 agosto scorso a Karmat Alì: la città era perlustrata da pattuglile della Compagnia B del 1mo battaglione del Reggimento della Regina. "Hanan - si legge nella testimonianza di un astante, ripreso nel rapporto di Amnesty International - stava in piedi in un viale, a 60-70 metri da un mezzo corazzato. Improvvisamente un soldato ha puntato l'arma ed ha sparato un colpo, che ha centrato Hanan all'addome".



    Due mesi dopo la famiglia della bambina ricevette una lettera dall'esercito britannico. Vi si affermava, come si legge nel documento, che "un soldato preoccupato per la propria incolumità e per quella della sua pattuglia aveva sparato in aria un colpo di avvertimento, nel tentativo di disperdere una moltitudine che lanciava sassi.

    La famiglia di Hanan aveva sempre negato che quel giorno fosse in corso una sassaiola contro i militari britannici.

    Il rapporto di Amnesty mette nuova carne al fuoco delle polemiche che travolgono il premier britannico, attaccato anche dai conservatori ed ormai in caduta verticale nel gradimento dei sondaggi.


    (10 maggio 2004)

  2. #2
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    Predefinito

    a quando gli italiani? visto le belle compagnie che frequentiamo.

  3. #3
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    Predefinito sadismo

    Saleh, uno dei prigionieri di Abu Ghraib racconta le sevizie
    "Fra i soldati Usa e i medici iracheni solo una donna ebbe pietà"
    "Io, umiliato in quella foto
    costretto a confessare il falso"
    dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI


    Questa la foto nella quale Saleh Arrawy si è riconosciuto. E' il secondo partendo da destra

    BAGDAD - Si è rivisto nudo in prima pagina. Indifeso davanti ai suoi aguzzini, lui in fila con gli altri prigionieri deportati nelle segrete di Abu Ghraib. "Quello sono io, il secondo da destra. Sono io mentre una soldatessa americana mi torturava", racconta Saleh Saddam Arrawy, ragazzo di un villaggio intorno a Ramadi che si è riconosciuto sui giornali di Bagdad.

    Con quelle foto sbattute in faccia al mondo ha rivissuto un incubo lungo quasi cinque mesi, ha pianto disperato, ha maledetto gli uomini e le donne che l'hanno seviziato. Oggi gli sono rimaste lacrime solo per la vergogna, per il turbamento della sua intimità violata. Dopo i fili elettrici e i tubi di gomma, dopo le minacce di violenza sessuale e la carne di maiale che gli offrivano come pasto, quelle immagini hanno riportato Saleh un'altra volta ad Abu Ghraib.

    La sua storia l'ha ricostruita in una memoria di 8 pagine, consegnata ieri mattina alla Corte di giustizia irachena e agli avvocati delle associazioni di diritti umani. E agli otto fogli ha attaccato tutte le foto che lo ritraevano nudo in una cella della prigione. Ha fatto i nomi delle soldatesse che l'hanno tormentato ogni notte - Lise, Myriam, Sarah - e quello di Grace, "l'unica che ha avuto pietà di me quando svenivo e cadevo a terra come un sasso".

    Ha riconosciuto in quelle foto pubblicate due sergenti torturatori. Ha citato un certo Carlos, "un sottufficiale sadico". Ha ricordato il suo calvario dall'inizio alla fine, da quando il 23 novembre dell'anno scorso entrò in un commissariato di polizia per segnalare un'autobomba ("Ero arrivato a Bagdad da Rowa, il mio villaggio, per comprare mobili per la mia nuova casa") e si ritrovò ad Abu Ghraib con un cappuccio in testa e un'accusa di attività terroristica.
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    Un paio di giorni di interrogatori nel commissariato, e poi vennero gli americani a prenderselo. Scrive nel suo dossier: "Mi hanno bendato gli occhi e per 72 ore mi hanno interrogato senza sosta. Sempre le stesse domande: dove hai fatto il servizio militare, di quale organizzazione politica fai parte, conosci qualcuno della resistenza, sei mai entrato in contatto con quelli di Ansar al Islam?".

    Lui ripeteva sempre che aveva 29 anni, che era di Rawa, che faceva il muratore, che fino ad allora aveva avuto una vita tranquilla. Dopo quei quattro giorni lo caricarono su un camion e lo portarono ad Abu Ghraib. Pagina 2 della sua denuncia: "Stavo solo in una cella di due metri per due, ogni notte mi svegliavano e mi portavano nella stanza che si vede nella foto. Lì, ci facevano spogliare nudi e poi ci facevano stare in piedi su scatole di latta per un'ora o due. All'alba ci riportavano in cella".

    Così per settimane e settimane. Con altri interrogatori. Ne ricorda uno in particolare Saleh, gli americani dicevano che era "la tortura dello scorpione": "Mi legavano la gamba destra al braccio sinistro e quella sinistra al braccio destro. Mi costringeva a stare così per ore. Un supplizio... poi una notte mi hanno spaccato la faccia, mi sono caduti i denti, tutti ridevano. Solo Grace, una soldatessa, si è messa a piangere e mi ha passato un panno bagnato sulle ferite".

    Pagina 3: "Mi misero in un'altra cella, la numero 42 del settore 1 A, cominciarono a portarmi sempre più presto in quella stanza, verso le dieci di sera. E mi bastonavano. Chiedevo: "Perché lo fate?". Rispondevano: "Abbiamo questi ordini". Mi hanno urinato addosso, mi hanno schiacciato la testa, mi hanno umiliato in tutti i modi. E mettevano la musica ad altissimo volume: stavo impazzendo".

    Torna alla foto dove si è riconosciuto: "Spesso avevamo un cappuccio sul capo ma ogni tanto ce lo toglievano. Tra quegli uomini della foto dove ci sono io, ce n'è uno che si chiama Famer el Sawi, è di Falluja. Gli ho parlato qualche volta mentre ci portavano dalle nostre celle alla stanza". Le violenze diventavano giorno dopo giorno più terribili. Pagina 5 della memoria di Saleh: "Mi cominciarono a dire: "Se non parli, ti violentiamo".

    Mi sentii perduto, mi misi a piangere come un bambino, ricordo che quella volta c'erano due cani che abbaiavano, io non vedevo nulla: avevo il solito cappuccio in testa". Pur di non subire più il martirio di Abu Ghraib, il ragazzo di Rawa ha confessato ciò che non aveva mai fatto. Pagina 6 del dossier: "Ho detto che Osama Bin Laden era il nostro eroe, che io ero l'autista di fiducia di un capo della guerriglia, che facevo parte della resistenza".

    Nella sua ricostruzione il prigioniero non risparmia accuse nemmeno agli arabi che "collaborano" con gli americani: "C'era un interprete egiziano che faceva finta di niente mentre mi seviziavano. E c'era un medico iracheno che mi ha dato alcune medicine perché una delle ferite alla faccia si era infettata. Ma quel medico non mi ha chiesto mai perché ero in quelle condizioni".

    Il 4 aprile Saleh è stato liberato. È tornato a casa sua. Sabato 8 maggio ha preso in mano una copia dell'El Etagh el Akher, quattro fogli a colori con tutte le foto dei torturati. C'era anche lui.


    (11 maggio 2004)

  4. #4
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    Predefinito anche gli israeliani partecipano alla festa...

    The Israeli Torture Template. Rape, Feces and Urine-Dipped Cloth Sacks
    WAYNE MADSEN, CounterPunch



    May 10, 2004 - With mounting evidence that a shadowy group of former Israeli Defense Force and General Security Service (Shin Bet) Arabic-speaking interrogators were hired by the Pentagon under a classified "carve out" sub-contract to brutally interrogate Iraqi prisoners at Baghdad's Abu Ghraib prison, one only needs to examine the record of abuse of Palestinian and Lebanese prisoners in Israel to understand what Secretary of Defense Donald Rumsfeld meant, when referring to new, yet to be released photos and videos, he said, "if these images are released to the public, obviously its going to make matters worse."

    According to a political appointee within the Bush administration and U.S. intelligence sources, the interrogators at Abu Ghraib included a number of Arabic-speaking Israelis who also helped U.S. interrogators develop the "R2I" (Resistance to Interrogation) techniques. Many of the torture methods were developed by the Israelis over many years of interrogating Arab prisoners on the occupied West Bank and in Israel itself.

    Clues about worse photos and videos of abuse may be found in Israeli files about similar abuse of Palestinian and other Arab prisoners. In March 2000, a lawyer for a Lebanese prisoner kidnapped in 1994 by the Israelis in Lebanon claimed that his client had been subjected to torture, including rape. The type of compensation offered by Rumsfeld in his testimony has its roots in cases of Israeli torture of Arabs. In the case of the Lebanese man, said to have been raped by his Israeli captors, his lawyer demanded compensation of $1.47 million. The Public Committee Against Torture in Israel documented the types of torture meted out on Arab prisoners. Many of the tactics coincide with those contained in the Taguba report: beatings and prolonged periods handcuffed to furniture. In an article in the December 1998 issue of The Progressive, Rabbi Lynn Gottlieb reported on the treatment given to a 23-year old Palestinian held on "administrative detention." The prisoner was "cuffed behind a chair 17 hours a day for 120 days . . . [he] had his head covered with a sack, which was often dipped in urine or feces. Guards played loud music right next to his ears and frequently taunted him with threats of physical and sexual violence." If additional photos and videos document such practices, the Bush administration and the American people have, indeed, "seen nothing yet."

    Although it is still largely undocumented if any of the contractor named in the report of General Antonio Taguba were associated with the Israeli military or intelligence services, it is noteworthy that one, John Israel, who was identified in the report as being employed by both CACI International of Arlington, Virginia, and Titan, Inc., of San Diego, may not have even been a U.S. citizen. The Taguba report states that Israel did not have a security clearance, a requirement for employment as an interrogator for CACI. According to CACI's web site, "a Top Secret Clearance (TS) that is current and US citizenship" are required for CACI interrogators working in Iraq. In addition, CACI requires that its interrogators "have at least two years experience as a military policeman or similar type of law enforcement/intelligence agency whereby the individual utilized interviewing techniques."

    Speculation that "John Israel" may be an intelligence cover name has fueled speculation whether this individual could have been one of a number of Israeli interrogators hired under a classified contract. Because U.S. citizenship and documentation thereof are requirements for a U.S. security clearance, Israeli citizens would not be permitted to hold a Top Secret clearance. However, dual U.S.-Israeli citizens could have satisfied Pentagon requirements that interrogators hold U.S. citizenship and a Top Secret clearance. Although the Taguba report refers twice to Israel as an employee of Titan, the company claims he is one of their sub-contractors. CACI stated that one of the men listed in the report "is not and never has been a CACI employee" without providing more detail. A U.S. intelligence source revealed that in the world of intelligence "carve out" subcontracts such confusion is often the case with "plausible deniability" being a foremost concern.

    In fact, the Taguba report does reference the presence of non-U.S. and non-Iraqi interrogators at Abu Ghraib. The report states, "In general, US civilian contract personnel (Titan Corporation, CACI, etc), third country nationals, and local contractors do not appear to be properly supervised within the detention facility at Abu Ghraib."

    The Pentagon is clearly concerned about the outing of the Taguba report and its references to CACI, Titan, and third country nationals, which could permanently damage U.S. relations with Arab and Islamic nations. The Pentagon's angst may explain why the Taguba report is classified Secret No Foreign Dissemination.

    The leak of the Taguba report was so radioactive, Daniel R. Dunn, the Information Assurance Officer for Douglas Feith's Office of the Under Secretary of Defense, Policy (Policy Automation Services Security Team), sent a May 6, 2004, For Official Use Only Urgent E-mail to Pentagon staffers stating, "THE INFORMATION CONTAINED IN THIS REPORT IS CLASSIFIED; DO NOT GO TO FOX NEWS TO READ OR OBTAIN A COPY." Considering Feith's close ties to the Israelis, such a reaction by his top computer security officer, a Certified Information System Security Professional (CISSP), is understandable, although considering the fact that CISSPs are to act on behalf of the public good, it is also regrettable..

    The reference to "third country nationals" in a report that restricts its dissemination to U.S. coalition partners (Great Britain, Poland, Italy, etc.) is another indication of the possible involvement of Israelis in the interrogation of Iraqi prisoners. Knowledge that the U.S. may have been using Israeli interrogators could have severely fractured the Bush administration's tenuous "coalition of the willing' in Iraq. General Taguba's findings were transmitted to the Coalition Forces Land Component Command on March 9, 2004, just six days before the Spanish general election, one that the opposition anti-Iraq war Socialists won. The Spanish ultimately withdrew their forces from Iraq.

    During his testimony before the Senate Armed Service Committee, Rumsfeld was pressed upon by Senator John McCain about the role of the private contractors in the interrogations and abuse. McCain asked Rumsfeld four pertinent questions, ". . . who was in charge? What agency or private contractor was in charge of the interrogations? Did they have authority over the guards? And what were the instructions that they gave to the guards?"

    When Rumsfeld had problems answering McCain's question, Lt. Gen. Lance Smith, the Deputy Commander of the U.S. Central Command, said there were 37 contract interrogators used in Abu Ghraib. The two named contractors, CACI and Titan, have close ties to the Israeli military and technology communities. Last January 14, after Provost Marshal General of the Army, Major General Donald Ryder, had already uncovered abuse at Abu Ghraib, CACI's President and CEO, Dr. J.P. (Jack) London was receiving the Jerusalem Fund of Aish HaTorah's Albert Einstein Technology award at the Jerusalem City Hall, with right-wing Likud politician Israeli Defense Minister Shaul Mofaz and ultra-Orthodox United Torah Judaism party Jerusalem Mayor Uri Lupolianski in attendance. Oddly, CACI waited until February 2 to publicly announce the award in a press release. CACI has also received grants from U.S.-Israeli bi-national foundations.

    Titan also has had close connections to Israeli interests. After his stint as CIA Director, James Woolsey served as a Titan director. Woolsey is an architect of America's Iraq policy and the chief proponent of and lobbyist for Ahmad Chalabi of the Iraqi National Congress. An adviser to the neo-conservative Foundation for the Defense of Democracies, Jewish Institute of National Security Affairs, Project for the New American Century, Center for Security Policy, Freedom House, and Committee for the Liberation of Iraq, Woolsey is close to Stephen Cambone, the Undersecretary of Defense for Intelligence, a key person in the chain of command who would have not only known about the torture tactics used by U.S. and Israeli interrogators in Iraq but who would have also approved them. Cambone was associated with the Project for the New American Century and is viewed as a member of Rumsfeld's neo-conservative "cabal" within the Pentagon.

    Another person considered by Pentagon insiders to have been knowledgeable about the treatment of Iraqi prisoners is U.S. Army Col. Steven Bucci, a Green Beret and Rumsfeld's military assistant and chief traffic cop for the information flow to the Defense Secretary. According to Pentagon insiders, Bucci was involved in the direction of a special covert operations unit composed of former U.S. special operations personnel who answered to the Pentagon rather than the CIA's Special Activities Division, the agency's own paramilitary group. The Pentagon group included Arabic linguists and former members of the Green Berets and Delta Force who operated covertly in Iraq, Afghanistan, Iran, Pakistan, and Uzbekistan. Titan also uses linguists trained in the languages (Arabic, Dari, Farsi, Pashto, Urdu, and Tajik) of those same countries. It is not known if a link exists between Rumsfeld's covert operations unit and Titan's covert operations linguists.

    Another Titan employee named in the Taguba report is Adel L. Nakhla. Nakhla is a name common among Egypt's Coptic Christian community, however, it is not known if Adel Nakhla is either an Egyptian-American or a national of Egypt. A CACI employee identified in the report, Steven Stephanowicz, is referred to as "Stefanowicz" in a number of articles on the prison abuse. Stefanowicz is the spelling used by Joe Ryan, another CACI employee assigned with Stefanowicz to Abu Ghraib. Ryan is a radio personality on KSTP, a conservative radio station in Minneapolis, who maintained a daily log of his activities in Iraq on the radio's web site before it was taken down. Ryan indicated that Stefanowicz (or Stephanowicz) continued to hold his interrogation job in Iraq even though General Taguba recommended he lose his security clearance and be terminated for the abuses at Abu Ghraib.

    In an even more bizarre twist, the Philadelphia Daily News identified a former expatriate public relations specialist for the government of South Australia in Adelaide named Steve Stefanowicz as possibly being the same person identified in the Taguba report. In 2000, Stefanowicz, who grew up in the Philadelphia and Allentown areas, left for Australia. On September 16, 2001, he was quoted by the Sunday Mail of Adelaide on the 911 attacks. He said of the attacks, "It was one of the most incredible and most devastating things I have ever seen. I have been in constant contact with my family and friends in the US and the mood was very solemn and quiet. But this is progressing into anger." Stefanowicz returned to the United States and volunteered for the Navy in a reserve status. His mother told the Allentown Morning Call in April 2002 that Stefanowicz was stationed somewhere in the Middle East but did not know where because of what Stefanowicz said was "security concerns." His mother told the Philadelphia Daily News that her son was in Iraq but she knew nothing about his current status.







    Wayne Madsen is a Washington, DC-based investigative journalist and columnist. He served in the National Security Agency (NSA) during the Reagan administration and wrote the introduction to Forbidden Truth. He is the co-author, with John Stanton, of "America's Nightmare: The Presidency of George Bush II." His forthcoming book is titled: "Jaded Tasks: Big Oil, Black Ops, and Brass Plates."

    Madsen can be reached at: WMadsen777@aol.com

    http://www.counterpunch.org/madsen05102004.html

  5. #5
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    Predefinito Re: americani, inglesi,

    In Origine Postato da alfonso
    Secondo l'associazione tra le vittime anche una bimba di otto anni. "L'esercito non ha nemmeno aperto un'inchiesta"
    Amnesty: "I soldati britannici
    hanno ucciso civili inoffensivi"


    Soldati inglesi a guardia di un impianto petrolifero vicino a Bassora

    LONDRA - Nuova tegola per Tony Blair. Dopo le scuse per le torture in Iraq Amnesty International lancia nuove accuse sul governo di sua maestà e sull'esercito britannico: i soldati di stanza nel sud dell'Iraq, dice l'associazione internazionale, in alcune occasioni hanno ucciso civili inoffensivi fra cui una bambina di otto anni. E in alcuni di questi casi le forze armate britanniche non si sono prese neppure la briga di avviare un'inchiesta.

    Lo afferma Amnesty International in un rapporto che verrà diffuso domani a Londra. "I soldati britannici hanno aperto il fuoco e ucciso dei civili nel sud dell'Iraq, in circostanze in cui non sembra che essi costituissero alcuna minaccia immediata", afferma l'organizzazione di difesa dei diritti dell'uomo la cui sede centrale si trova a Londra.

    "In numerosi casi le forze armate non hanno neppure aperto un'inchiesta", accusa Ai. "Nei casi in cui l'inchiesta è stata aperta, la polizia militare britannica ha operato nella più grande segretezza, fornendo pochissime o nessuna informazione alle famiglie delle vittime sull'andamento e le conclusioni delle investigazioni".

    Sono 37 i civili iracheni, nella cui uccisione sono implicati militari britannici: si tratta di uccisioni avvenute tutte dopo la dichiarazione ufficiale della fine delle operazioni belliche, il primo maggio 2003.

    Il documento cita l'esempio di Hanan Saleh Matroiud, una bambina di otto anni di età, uccisa con una pallottola all'addome il 21 agosto scorso a Karmat Alì: la città era perlustrata da pattuglile della Compagnia B del 1mo battaglione del Reggimento della Regina. "Hanan - si legge nella testimonianza di un astante, ripreso nel rapporto di Amnesty International - stava in piedi in un viale, a 60-70 metri da un mezzo corazzato. Improvvisamente un soldato ha puntato l'arma ed ha sparato un colpo, che ha centrato Hanan all'addome".



    Due mesi dopo la famiglia della bambina ricevette una lettera dall'esercito britannico. Vi si affermava, come si legge nel documento, che "un soldato preoccupato per la propria incolumità e per quella della sua pattuglia aveva sparato in aria un colpo di avvertimento, nel tentativo di disperdere una moltitudine che lanciava sassi.

    La famiglia di Hanan aveva sempre negato che quel giorno fosse in corso una sassaiola contro i militari britannici.

    Il rapporto di Amnesty mette nuova carne al fuoco delle polemiche che travolgono il premier britannico, attaccato anche dai conservatori ed ormai in caduta verticale nel gradimento dei sondaggi.


    (10 maggio 2004)
    attendo con ansia il prossimo rapporto di amnesty su cuba o sul vietnam per vedere cosa ne penseranno questi amnistiani dell'ultima ora.

  6. #6
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    C'è una differenza.Almeno quei regimi non vanno in giro per il mondo a bombardare ed a torturare i popoli in nome della "democrazia e della liberta'"...

  7. #7
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    Predefinito Re: Re: americani, inglesi,

    In Origine Postato da benfy
    attendo con ansia il prossimo rapporto di amnesty su cuba o sul vietnam per vedere cosa ne penseranno questi amnistiani dell'ultima ora.
    Lo attenda pure, a me bastano e avanzano questi.
    RAUS GLI USA-UK DALLA COMUNITA' INTERNAZIONALE.

  8. #8
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    di John Pilger
    Ora, le atrocità e le torture sono notizie, novità. Ma come sono novità? Un presentatore della BBC ha descritto le foto di torture come "semplici foto ricordo". Sì, naturalmente, esattamente come le parti di corpi umani tenute nelle bisacce in Vietnam. E in Iraq, nulla è cambiato. Quando, negli anni sessanta, seguii in veste di giornalista la guerra americana contro il Vietnam visitai gli uffici, a Saigon, dei più importanti giornali statunitensi, delle televisioni e delle agenzie di stampa internazionali. Rimasi colpito dalla somiglianza, ovunque andassi, di ciò che era affisso, con gli spilli, nei tabelloni interni. "E' dove appendiamo anche la nostra coscienza", mi disse il fotografo di un'agenzia.

    C'erano fotografie di corpi smembrati, di soldati che tenevano in mano orecchie mutilate e testicoli, di torture appena avvenute. C'erano uomini e donne picchiati sino alla morte, annegati, umiliati, da far rivoltare lo stomaco. Su una foto c'era un fumetto sulla testa del torturatore, c'era scritto: "Questo ti insegnerà a parlare con la stampa".
    Ogni volta che un ospite vedeva quelle foto, una domanda sorgeva spontanea: perché non erano state pubblicate? La risposta standard era che i giornali non le avrebbero pubblicate, perché i loro lettori non le avrebbero accettate. E pubblicarle, senza una più ampia spiegazione delle reali circostanze della guerra, sarebbe stato "sensazionalismo".

    Sulle prime accettai la logica apparente di tutto questo; le atrocità e le torture "fatte da noi" erano di certo opera dell'aberrazione di pochi, per definizione. Poi, rapidamente, presi cognizione; questa spiegazione non motivava il crescente numero di civili uccisi, mutilati, rimasti senza casa o fatti impazzire da mine antiuomo sparse nei villaggi, nelle scuole, negli ospedali.

    Non giustificava i tanti bambini arsi sino a essere ridotti in una polpa ribollente da una cosa denominata Napalm, o i contadini ai quali veniva data la caccia dagli elicotteri, nel cosiddetto "spara al tacchino", o un "sospetto" che era stato torturato e al quale era poi stata messa una corda intorno al collo ed era stato trascinato fino alla morte con una jeep, piena di soldati americani dai volti dipinti, che ridevano.

    Nè spiegava perché tanti soldati tenevano parti di corpi umani nelle loro bisacce e gli ufficiali delle forze speciali conservavano crani umani nelle loro tende. Su questi era inciso: "Uno fatto, un milione ancora da fare".

    Philip Jones Griffiths, il grande fotografo freelance con il quale lavoravo in Vietnam, cercò di bloccare un ufficiale americano dallo sparare su un folto gruppo di donne e bambini.

    "Sono civili!", urlò.

    "Ma quali civili?", fu la risposta.

    Jones Griffiths e altri provarono a sottoporre alle agenzie di stampa alcune foto che mostravano la verità sull'atrocità della guerra. La risposta fu molto spesso: "Che ci sarebbe di nuovo?"

    La differenza oggi è che la verità, sull'altrettanto atroce invasione anglo-americana dell'Iraq, è una "novità". Inoltre, i documenti del Pentagono chiariscono che la tortura è diffusa in tutto l'Iraq. Amnesty International l'ha dichiarata "sistematica".

    Ma ancora, abbiamo soltanto cominciato a identificare l'ininnominabile elemento che collega l'invasione del Vietnam all'invasione dell'Iraq. Questo elemento unisce la maggior parte delle occupazioni coloniali, e non importa dove o quando. E' l'essenza dell'imperialismo, ed è una parola che ora dovremmo ristabilire nei nostri dizionari. E' il razzismo.

    In Kenia, negli anni 50, i britannici massacrarono circa 10.000 kenioti e istituirono campi di concentramento nei quali le condizioni di vita erano così dure che 402 prigionieri morirono in un solo mese. Le torture, le bastonate e gli abusi sulle donne e i bambini erano all'ordine del giorno. "Le prigioni speciali", scrisse lo storico imperiale V.G. Kiernan, "erano probabilmente pessime quanto quelle naziste o giapponesi".

    Nessuna di queste cose all'epoca era una notizia. Il "terrore Mau Mau" venne riportato e percepito come: il "demoniaco", il nero contro il bianco. Il messaggio razzista era chiaro, ma il "nostro" razzismo non è mai stato menzionato.

    In Kenia, così come nel fallito tentativo americano di colonizzare il Vietnam, come ora in Iraq, il razzismo è stato il propulsore degli attacchi indiscriminati contro i civili e delle torture. Quando arrivarono in Vietnam, gli americani guardavano i vietnamiti come pidocchi umani. Li chiamavano "gooks", "dinks" e "slopes" (reietti, fessure e altri termini dispregiativi) e li massacravano in numeri industriali, esattamente come avevano macellato i nativi americani. In effetti il Vietnam era conosciuto come "un paese indiano".

    In Iraq, nulla è cambiato.

    Nel vantarsi apertamente di uccidere i "ratti nel loro stesso nido", i cecchini statunitensi, che a Falluja hanno sparato alle donne, ai bambini, agli anziani, così come i cecchini tedeschi sparavano agli ebrei nel ghetto di Varsavia, stanno solo riflettendo il razzismo dei loro leader.

    Paul Wolfowitz, il Vice Segretario della Difesa, che si dice abbia progettato l'invasione dell'Iraq, ha parlato di "serpenti" e di "svuotare la fogna" delle "zone incivilizzate del mondo".

    La maggioranza del moderno razzismo imperiale è stato inventato in Gran Bretagna. Ascoltate le sottili espressioni, come i portavoce britannici trovano parole subdole per non riconoscere il numero di iracheni uccisi o mutilati dalle loro bombe a grappolo, i cui effetti non sono diversi da quelli causati dai kamikaze: sono armi terroristiche. Ascoltate Adam Ingram, il Ministro delle forze armate, il suo modo di ronzare in parlamento, rifiutando di dire quante persone innocenti sono vittime del suo Governo.

    Il Vietnam la fucilazione delle donne e dei loro bambini, nel villaggio di My Lai, fu definita una "Tragedia Americana" dal giornale Newsweek. Stiamo dunque pronti ad altre "nostre tragedie", dicitura che invita a simpatizzare per gli invasori.

    Gli americani hanno lasciato in Vietnam tre milioni di morti e una terra, in passato fertile, devastata e avvelentata dalle armi chimiche da loro utilizzate. Mentre i politici americani e Hollywood hanno fatto loro e romanzato la storia dei soldati persi in battaglia, a chi è importato un accidente dei vietnamiti?

    In Iraq, nulla è cambiato.

    Dalle stime più prudenti, gli americani e gli inglesi hanno ammazzato 11.000 civili. Includendo i militari di leva iracheni, il numero quadruplica.

    "Contiamo ogni cacciavite, ma non contiamo gli iracheni uccisi" ha detto un ufficiale americano durante il massacro del 1991. Adam Ingram può non essere molto colto, ma l'infamia per una vita umana è la stessa.

    Sì, le atrocità e le torture sono notizie, novità, ora. Ma come sono novità? Chiede lo scrittore Ahdaf Soueif. Un presentatore della BBC ha descritto le foto di torture come "semplici foto ricordo". Sì, naturalmente, esattamente come le parti di corpi umani tenute nelle bisacce in Vietnam.

    I commentatori della BBC - sempre il migliore specchio dell'establishment britannico e del suo modo di pensarsi sui piedi - ci ricordano che il torturare e l'umiliare dei soldati "non è paragonabile alle torture e alle esecuzioni sistematiche di Saddam Hussein". Saddam, ha notato Ahdaf Soueit, "è ora la bussola morale dell'Occidente".

    Non possiamo restituire le vite irachene annientate o rovinate da costoro, che agiscono in nostro nome. Per lo meno, dobbiamo chiedere che i responsabili di questo crimine epico ora se ne vadano dall'Iraq, di avere un'opportunità di perseguirli e giudicarli e fare ammenda al popolo iracheno. Qualunque cosa sia meno di questo squalifica anche "noi" dal dirci civilizzati.

    John Pilger
    Tradotto da Nuovi Mondi Media
    Fonte: http://pilger.carlton.com/print/133244

 

 

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