Iraq, gli Usa si prendono l'immunità per le proprie truppe
NEW YORK. Con una singolare decisione, destinata a suscitare aspre polemiche, l’amministrazione Bush intende concedere a tutto il personale civile e militare di stanza in Iraq l’immunità dalle locali corti di giustizia. Questo significa che alla scadenza del 30 di giugno, quando gli Stati Uniti non saranno più potenza occupante e – almeno formalmente – non detteranno più legge, il loro esercito di soldati, agenti segreti, tecnici, consulenti e faccendieri continuerà a muoversi al di sopra della legge. E l’immunità riguarda crimini mica da poco: dall’uccisione di cittadini iracheni alla distruzione di proprietà privata. In ogni caso i tribunali iracheni avranno le mani legate.
La notizia giunge proprio dopo la rinuncia della Casa Bianca a chiedere il rinnovo dell’immunità dal Tribunale internazionale per i crimini di guerra per il personale americano impegnato nelle missioni di pace delle Nazioni Unite. Una scelta suggerita dalla dura opposizione che tale richiesta avrebbe incontrato all’interno del Consiglio di Sicurezza, ma che comunque negli ambienti diplomatici era stata letta come un gesto di buona volontà, un passo verso il rispetto delle leggi internazionali dopo lo scandalo dei prigionieri torturati e uccisi. Al passo in avanti ne è seguito uno all’indietro.
Per godere dell’immunità in Iraq gli americani non hanno bisogno di nessuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Sarà il governatore Paul Bremer, proconsole di Bush a Baghdad, a firmare il provvedimento immediatamente prima della conclusione del suo mandato. La faccenda non è per questo meno spinosa e all’interno dell’amministrazione ci sono profonde divisioni su come formulare il provvedimento. Il segretario di Stato, Colin Powell, preme perché siano chiaramente indicate una serie di limitazioni, onde evitare che l’immunità si traduca in una sfacciata impunità. Il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, e il consigliere per la Sicurezza nazionale, Condoleezza Rice, insistono per uno scudo totale, che metta il personale americano al riparo dalla giustizia irachena esattamente come è stato durante il periodo dell’occupazione.
La Casa Bianca è consapevole che facendo imporre a Bremer l’immunità per decreto dà un buon argomento a chi sostiene che la sovranità nazionale irachena è una farsa, visto che Washington non solo s’è scelta un governo di fiducia, ma gli passa le consegne con una pesante ipoteca in uno dei poteri fondamentali, quello giudiziario. L’altra ipotesi avanzata dai consiglieri del presidente era quella di farsi garantire il provvedimento d’immunità dal governo appena insediato. Il problema però è che il governo transitorio – ai sensi della risoluzione approvata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite - non ha il potere di stipulare trattati internazionali. Questa facoltà spetterà solo al governo formato in seguito a libere elezioni che -se tutto andrà bene, si svolgeranno solo il prossimo anno. L’amministrazione Bush ha fatto un colpo di mano per proteggere i propri interessi, ma gioca con il fuoco: negli anni ’60 fu proprio l’immunità concessa alle truppe americane in Iran a segnare le fortune dei fondamentalisti islamici, culminate con il regime dell’Ayatollah Khomeini.