La fonte è l'Espresso.Benchè di parte, alcune cose scritte nell'articolo sono incontestabili.A quanto pare non bisogna scomodare sempre gli ebrei x tirare in ballo la massoneria, basta guardarsi un po' di più in casa..
Francesco Bonazzi per l’Espresso
La notte di martedì 17 agosto, il governo non si è fatto sorprendere. Quando nel carcere di Regina Coeli è andata in scena la rivolta dei detenuti, ai posti di combattimento non c’erano solo il responsabile del penitenziario trasteverino e il capo delle guardie. Ma addirittura i pezzi grossi del ministero di Giustizia. A cominciare dal ministro Roberto Castelli, dal provveditore regionale alle carceri Ettore Ziccone, e dal generale Enrico Ragosa, ex temutissimo capo delle squadre speciali della polizia penitenziaria, oggi capo dell’ufficio Beni e Servizi di via Arenula.
Danni alle cose a parte, nessuno s’è fatto male e la situazione è stata brillantemente risolta in poche ore, almeno dal punta di vista mediatico. Certo, a Regina Coeli restano 400 detenuti di troppo su mille. Ma a ben vedere, può tornare utile anche il riaccendersi delle polemiche sulla fatiscenza e sul sovraffollamento delle carceri, dove sono rinchiuse 56 mila persone (15 mila in più della capienza “legale”). Specie se si tratta di vendere le strutture che si trovano in zone di pregio e di costruirne di nuove in periferia, il tutto con l’aiuto dei privati.
Un business, quello del mattone con le sbarre, che nei prossimi due anni potrebbe valere quasi un miliardo di euro. E per il quale, proprio come in occasione della rivolta del 17 agosto, al ministero di via Arenula hanno già i motori accesi. Non a caso l’attrezzo societario per dividere la super-torta è pronto da mesi e ha anche un nobile nome: Dike Aedifica Spa.
I soldi, innanzitutto, sono davvero tanti. Le risorse per la costruzione di nuove carceri ammontano a 329 milioni di euro. Si tratta in gran parte di fondi avanzati dagli anni passati e, in base ai piani del ministero per il biennio in corso, serviranno per nuovi penitenziari da costruire a Rieti, Marsala, Savona, Rovigo, Sassari, Cagliari, Tempio Pausania, Oristano e Forlì. A questi, si devono aggiungere i circa 93 milioni dell’ultimo piano straordinario di edilizia penitenziaria (nuove strutture a Varese e Pordenone).
Soprattutto vanno sommati i 461 milioni di euro del piano-carceri affidati il 16 giugno, con apposita convenzione ministeriale, alla Dike. Vanno create altre 11 strutture, da Pinerolo a Catania, senza gravare sulle casse statali. Come? Vendendo ai privati un’ottantina di vecchie carceri che possono attirare l’interesse dei grandi costruttori, visto che si trovano tutte in pieno centro. Nella prima lista ci sono piccoli penitenziari, ma in una seconda fase dovrebbe toccare a complessi di enorme valore come Regina Coeli e San Vittore.
La regia di tutto sarà affidata a Dike, che ufficialmente è posseduta interamente da Patrimonio Spa, la società del Tesoro creata per valorizzare il patrimonio immobiliare dello Stato. Ma basta fare una banale visura camerale per scoprire che Dike, iscritta al registro delle Imprese dal 18 luglio 2003, ha anche un socio privato che detiene il 5 per cento del capitale. Il suo nome è Renzo Musumeci Greco, erede di una grande famiglia di spadaccini.
Il cinquantaduenne Renzo è titolare di una palestra dove, a due passi dal Pantheon, hanno imparato a incrociare le lame D’Annunzio, Mussolini, Gina Lollobrigida, Charlton Heston e, più recentemente, Monica Bellucci. Che ci faccia un grande spadaccino in una società come la Dike non lo si capisce neanche dalle altre attività di Musumeci Greco, che pure ama diversificare. Il “maestro” ha interessi anche nella Parioli Travel Service ed è amministratore unico di due srl, la MG Datasystem e la Semark, che si occupano di elaborazione dati. Mentre nel novembre 2003 ha ceduto il 100 per cento di una società di costruzioni, la Grandi Stazioni Ingegneria, sempre di Roma.
Meno bizzarra, ma forse più illuminante, la composizione del cda Dike. Presidente è Adriano De Maio, oggi rettore della Luiss e in passato collega di Castelli al Politecnico di Milano. Tra i tanti consigli dove siede (dal Sole 24 Ore a Telecom Italia Media), De Maio vanta anche un posto in Impregilo, colosso delle costruzioni che solo recentemente ha un poco trascurato il settore delle carceri. Amministratore delegato è un altro grande amico (e compaesano) di Castelli come il costruttore lecchese Vico Valassi, ex presidente dell’Ance.
Altro consigliere di spicco è il sociologo del diritto Lorenzo Morris Ghezzi, già inserito dal guardasigilli padano nelle commissioni di riforma dei codici, presidente del tribunale massonico del Grande Oriente d’Italia ed ex socio di Luigi Crespi nella fallimentare avventura di Hdc-Datamedia. Attualmente, Morris Ghezzi figura nei cda di varie società, tra cui un paio di cooperative edilizie milanesi (Giardino Nuovo e L’edera).
Il cda della Dike è completato da Enrico Leopardi, dirigente delle Ferrovie e grande amico di Castelli, da Cesare Righi, rappresentante di Patrimonio, e da Leo Di Virgilio. Chiude la pattuglia dei beati costruttori di carceri il capo della segreteria personale di Pietro Lunardi, ovvero Giovanni Paolo Gaspari. Nipote del mitico “Zio Remo”, ras democristiano degli Abruzzi, Giovanni Paolo fece parlare di sé quando Lunardi lo nominò consigliere personale per la Tav, della quale era anche direttore finanziario (in pratica, si riuniva con se stesso).
Se questi sono i protagonisti (e i potenziali conflitti d’interesse) delle carceri prossime venture, non meno interessanti sono i poteri affidati a Dike: progettazione, rilevazione delle esigenze e delle priorità di edilizia carceraria, individuazione delle aree, rapporti con gli enti locali, dismissioni, interventi di manutenzione. Come ha osservato “Il Sole 24 Ore” del 28 giugno scorso, «il modello è quello anni Ottanta delle concessioni di committenza come quelle affidate a Italposte e Italsanità». Un modello poi spazzato via da Tangentopoli e dalle direttive europee sugli appalti. Ma Dike ha poteri ancora maggiori, visto che in teoria può anche progettare e costruire direttamente le nuove carceri.
Nel suo primo anno di vita, Dike ha fatturato zero euro e ne ha persi 202 mila. Ma ha davanti a sé un futuro radioso. Lo Stato le sta trasferendo la proprietà delle carceri da vendere e presto avrà beni per almeno 500 milioni di euro. In attesa che la macchina parta, i veri dominus delle carceri sono due personaggi che per ora non figurano in Dike: Giuseppe Magni e il generale Ragosa. Magni è il sindaco leghista di Calco, Brianza lecchese. In passato ha fatto il grossista di pesce e di materiali ferrosi e almeno lui non è un esperto di edilizia, ma di voti.
Magni è infatti il regista della macchina elettorale di Castelli, che quando è diventato ministro lo ha prontamente nominato consigliere personale per l’edilizia carceraria. E il sindaco di Calco gira tutte le case di pena d’Italia, studiando progetti e budget. Suo compagno di ventura è il genovese Ragosa, che negli anni Novanta ha diretto gli Scop (i progenitori dei Gom, il reparto speciale delle guardie carcerarie). Nel ’97 è passato al Sisde e due anni dopo è stato chiamato in via Arenula dal ministro Oliviero Diliberto per costituire i discussi Ugap, sorta di intelligence all’interno delle carceri che Franco Frattini, all’epoca presidente del Comitato di controllo sui servizi, accusava di «manovrare i pentiti». Ragosa è stato abile a convincere il leghista Castelli che, senza di lui, nei penitenziari potrebbe succedere di tutto. Così, anche quando Dike lavorerà a pieni giri, in via Arenula giurano che saranno ancora Magni e Ragosa a dare le carte.