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  1. #11
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    Questo e' verissimo. Ma il fatto che il governo ed i servizi si siano comportati egregiamente in questo frangente non li rende certo esenti da critiche in altri ambiti. E ricordo che la Sgrena non era in vacanza in Iraq (come vogliono i vari Feltri e Ferrara sempre comodamente seduti sulle loro poltrone), ma stava facendo giornalismo vero, docuemntato, rendendo cosi' un servizio, che la cosa possa piacere o meno.

  2. #12
    SENATORE di POL
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    In origine postato da UgoDePayens
    Io penso che Scolari non avesse la minima idea di quel che fosse successo se non che sua moglie era stata colpita di striscio, e un agente dei servizi era morto probabilmente coprendola.

    Ora io dico, se Scolari fosse una persona avveduta si sarebbe fatto mille domande PRIMA di darsi una risposta. Invece no. PRIMA ha deciso che era un attentato deliberato alla vita della Sgrena, e POI si è fatto le domande: "Perché volevano ucciderla? Ma naturale, perché sa cose scomode!".
    Tipico di chi guarda la realtà con le fette di salame marxista sugli occhi.

    Io sono ferocemente incaxxato con gli Statunitensi in questo momento. Mi fa incaxxare che non siano corsi prima loro a scusarsi che noi a chiedere spiegazioni, mi fa terribilmente incaxxare il fatto che poer un errore LORO paghiamo noi che perdiamo un uomo dalla statura non comune.
    E mi auguro proprio che in nome dell'amicizia che lega i nostri due Governi, la giustizia americana provveda quanto prima a trovare i responsabili di questo gravissimo atto, per provvedere a punirli severamente, anche se questo evidentemente non riporterà Calipari alla sua famiglia e ai suoi amici.

    Ma questo non mi impedisce di vedere le cose come stanno, e capire che se gli Americani avessero voluto morta la Sgrena (per quale ragione non capisco, visto che di reporter antiamericani è più zeppo l'Irak che non la Corea del Nord e Cuba messe assieme) potete giurarci che oggi non parlerebbe più.

    Sottoscrivo integralmente-

    Shalom

  3. #13
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    In origine postato da Ago
    Ls Sgrena e' andata in Iraq a documentarsi rischiando la vita. Per dire le stronzate non c'e' alcun bisogno di spostarsi da casa. Non per nulla Feltri e Ferrara sono rimasti seduti sulla loro comoda poltrona.
    ----------------------------------
    Ls Sgrena è andata in Iraq perchè pagata per farlo, come tutti o quasi tutti quelli che ci sono andati e poi ritornati, e pure quelli che queata fortuna non hanno avuto.
    Per dire stronzate " a gratis" puoi tranquillamente startene a casa.

  4. #14
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    Predefinito Spie e mercenari

    Roma. Anche per quelli del Manifesto, ma solo da pochi giorni, i Nicola Calipari sono uomini per bene e adesso che uno di loro è morto per salvare Giuliana Sgrena diventa pure un eroe della pace.
    Quelli del Manifesto hanno lasciato solo Luca Casarini a berciare che “il Sismi non è la comunità di Sant’Egidio” perché i nostri servizi in Iraq “sono lì per occupare un paese”.
    Solo e stupito, Casarini, convinto che l’eroismo sia una categoria estranea alla vicenda di Calipari.
    E che “Quattrocchi, Agliana, Stefio e Cupertino erano dei mercenari”.
    Mercenari di cui un popolo beato non ha bisogno, oppure “eroi di scorta” la cui morte – per denaro – suggerisce vignette con banconote a mezz’asta al posto del tricolore; oppure “poveri paramilitari” precipitati in una zona grigia dove alla guerra guerreggiata si sovrappone quella più torbida e silenziosa dei servizi segreti.
    Tutto questo è nel lessico famigliare apparso sul Manifesto quando il Sismi dei tanti Calipari, da aprile a giugno 2004, era impegnato in Iraq per salvare materia umana meno nobile di Giuliana Sgrena e soprattutto – dicevano al Manifesto – con metodi per lo meno sospetti, sicuramente funzionali ai bisogni del governo di Silvio Berlusconi più che alla restituzione degli ostaggi e della verità.
    E’ così che sul quotidiano comunista del 9 giugno, a poche ore dalla liberazione dei tre body guard sopravvissuti all’omicidio di Fabrizio Quattrocchi, a quattro giorni dalle elezioni europee, secondo l’editoriale di Valentino Parlato sulla vicenda grava un limaccioso “uso politico della liberazione nell’immediata vigilia delle elezioni”.
    Soldati statunitensi e truppe speciali dell’esercito polacco hanno appena tratto in salvo i prigionieri italiani, il Sismi ammette d’aver trasmesso ai militari americani informazioni utili per localizzarli.
    A pagina due del Manifesto se ne deduce che “gli 007 non lasciano trapelare molto di più, oggi la scena spetta tutta a Berlusconi e soci”.
    I quali, evidentemente d’accordo con i servizi, avrebbero stabilito a proprio beneficio elettorale la data del blitz.
    Un blitz messo in dubbio dal Manifesto – “Segreti e bugie” nell’apertura di prima pagina del 10 giugno, “In Iraq un blitz pieno di misteri” si scrive nell’articolo a pagina due – che come molti crede alla storia del riscatto da nove milioni di euro messa in giro da Gino Strada.

    Evitare una figuraccia al governo
    Nelle analisi sul “buio fitto” in cui si esercita nel mese di giugno, il Manifesto ha poche certezze, una delle quali è che non esista soluzione di continuità fra i ruoli dei mercenari, dell’intelligence e della politica italiana.
    Prima una frase del segretario della Difesa americana Donald Rumsfeld, “i contractors privati sono responsabili verso l’intelligence che li assume”, autorizza il giornale a domandarsi un po’ retoricamente “da chi dipendessero i quattro mercenari, quali fossero i loro reali compiti in Iraq”.
    Poi, il 13 giugno a pagina sei, la rete delle complicità viene svelata:
    “La versione è nota. Agliana, Cupertino e Stefio sarebbero stati liberati la mattina dell’8 a sud di Baghdad da un provvidenziale blitz delle forze Usa, reso possibile dalle informazioni raccolte dal Sismi. Lo spot elettorale si è poi arricchito di un testo inverosimile diffuso da fonti investigative rimaste anonime (quasi certamente militari: carabinieri o Sismi), un testo che rivendicava l’esecuzione dei tre e quindi proverebbe che stavano per essere uccisi. Un comunicato chiaramente inattendibile, roba per la stampa”. Robaccia fatta circolare da malintenzionati?
    Piccolo depistaggio costruito da servizi non trasparenti per rendere più bella e urgente la liberazione di tre guerrafondai?
    E quando – a elezioni avvenute e non vinte dal centrodestra – spuntano le foto del blitz e le conferme dei sequestrati, secondo il Manifesto è soltanto una manovra per “evitare una figuraccia al governo”.
    E al suo Sismi, ente astratto e opaco, forse perché non ancora riscattato dal concretissimo sacrificio di Nicola Calipari per la salvezza di una giornalista pacifista.

    su il Foglio del 8 marzo

    saluti

  5. #15
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    Predefinito

    Milano. Grazie a fonti riservate, il Foglio tenta di ricostruire la tragedia che ha spezzato il momento di gioia per la liberazione in Iraq della giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena.
    L’accordo per il rilascio della giornalista è chiuso da Nicola Calipari, poi ucciso nella sparatoria, ad Abu Dhabi, con mediatori in contatto coi rapitori.
    Nonostante Calipari e il maggiore avessero affittato una macchina con targa irachena, per non dare nell’occhio, c’è chi fa notare che è molto improbabile, se non impossibile, che non avessero una squadra di copertura e almeno una guida o autista iracheno per districarsi fra le vie di una grande città come Baghdad.
    La copertura è composta almeno da quattro uomini, ma si parla di altri due mezzi che hanno seguito il rilascio. Sgrena era stata lasciata dai suoi rapitori sola in un’auto con occhiali e cotone sugli occhi.
    A Calipari avevano indicato il luogo ed è stato lui il primo a rincuorare la giornalista.
    Stava già scendendo il buio e Baghdad di notte è ben più pericolosa che di giorno.
    Calipari ha deciso di dirigersi subito verso l’aeroporto, dov’era un C130 J dell’aeronautica italiana. La squadra d’appoggio con tutta probabilità accompagna, o meglio precede, la macchina di Calipari
    che supera due posti di blocco. Lungo la strada per l’aeroporto ci sono almeno tre cerchi concentrici di difesa, il primo dei quali tenuto da guardie private. Calipari, però, si stava dirigendo verso Camp Victory, la base americana a fianco della zona militare dell’aeroporto.
    Nel tragitto il funzionario del Sismi fa almeno due telefonate: una a Nicolò Pollari, direttore del Sismi, e un’altra al capocentro dei servizi in ambasciata. Quest’ultimo deve informare il comando americano che sta arrivando la macchina italiana, per evitare tragici incidenti, di notte e con un tempaccio che diminuiva la visibilità per la pioggia.
    Il maggiore che è arrivato con Calipari chiama invece l’ufficiale di collegamento italiano che li attende all’aeroporto per avvisare dell’arrivo.
    Superata una curva a sinistra, la macchina che procede fra i 60 e i 70 chilometri l’ora, è illuminata da un faro. Si tratta di un posto di blocco improvvisato da una pattuglia della terza divisione inviata 90 minuti prima in quel punto per controllare la strada, quasi deserta con il buio e in una zona al centro di attentati. I soldati avrebbero sparato subito alcune raffiche di arma automatica.
    Un proiettile calibro 7,62 ha centrato alla nuca Calipari, che si è girato a sinistra coprendo col suo corpo quello di Sgrena, ferita alla spalla. Non erano 300 colpi e il blindato non ha sparato, altrimenti tutti gli occupanti sarebbero stati uccisi. Il maggiore è ferito al piede, ma riesce a lanciare l’allarme per telefono a Palazzo Chigi.
    La squadra di copertura deve aver lasciato Calipari e l’ostaggio liberato un po’ prima, considerando, forse, che si trovavano già in zona sicura.
    Lo stesso funzionario ucciso avrebbe acceso la luce dell’abitacolo, procedura usuale quando ci si avvicina a un posto di blocco “amico”.
    Le prime versioni, però, parlavano di due, tre macchine italiane e di due feriti, uno grave, colpito al polmone e un altro più lieve. Poi il ferito grave non è stato più menzionato e le macchine della scorta sono sparite nel nulla.
    Il Pentagono ha ammesso, ieri, che “il comando Usa sapeva che doveva passare un importante funzionario italiano” e ha ribadito la tesi dell’incidente.
    Gli esperti italiani della sicurezza sono convinti che ci sia stata
    “scarsa tempestività nelle comunicazioni”.
    La trasmissione della segnalazione dall’ambasciata al comando americano e la successiva diramazione degli ordini a tutte le unità sul terreno richiede un po’ di tempo.

    saluti

  6. #16
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    Predefinito Gianni Letta parla

    Di Gianni Letta è nota la ritrosia a parlare, ad esporsi.
    E nell’orazione funebre per Nicola Calipari, tenuta ieri nella Basilica di Santa Maria degli Angeli davanti a un paese commosso, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha per l’appunto lodato con parole precise e personali la riservatezza del funzionario del Sismi, la sua attitudine all’azione coperta, alla realizzazione degli scopi dello Stato fuori dalla ribalta chiacchierona che avvelena la politica italiana e la vita dei partiti.
    Il paradosso è che nel far questo Letta si è invece scoperto, si è esposto, e ha mostrato il meglio della sua idea delle istituzioni pubbliche e di una politica a vocazione non settaria, capace di discernere, almeno in occasioni così dolorose e solenni, tra la routine della faziosità e l’eccezionalità di certi momenti in cui si celebrano giustizia e umanità incarnate in uomini e funzioni.
    Era abbastanza straordinaria l’attenzione attirata dalle sue parole, commisurabile alla loro preziosa rarità. Che il campione della politica operativa, il principe della gestione di infiniti e delicati e divisivi dossier di Stato, potesse al momento giusto trovare le parole giuste, dunque semplici e belle, per definire un’emozione nazionale, ecco una sorpresa istituzionale, una curva inaspettata nel processo faticoso di formazione di nuove classi dirigenti nella litigiosa e sconnessa Repubblica in cui ci tocca da anni di vivere.
    Letta è a suo modo anche lui un extrapolitico della politica.
    Pur essendosi formato nel giornalismo di palazzo e nella sua variante e tradizione romana e democristiana, pur avendo servito con lealtà lungo tutto il suo arco dall’azienda alla politica il fenomeno Berlusconi, Letta ha ieri siglato con fredda e decente passione una commossa tregua nazionale, che è frutto anche della tenacia e competenza con la quale si è mosso nelle drammatiche circostanze dei sequestri iracheni, guadagnandosi una stima senza eccezioni.
    Letta non ha mai voluto diventare parlamentare, non è uomo di partito, evita il calore della polemica quotidiana pur agendo in posizione centrale in ogni aspetto della politica quotidiana.
    La sua fisionomia è ormai quella di un Grand Commis de l’Etat, un artista della composizione e della cucitura senza rivali nel paese.
    Sarebbe auspicabile che una parte della sua abilità e della sua esperienza e della sua cultura dello Stato penetrasse anche il linguaggio della rispettabile politica che si compromette, che si espone e che è chiamata a dividere, sì, ma per unire.
    Sarebbe un omaggio vero al paese la cui scena è calcata da tanti uomini-ombra, e giusti, come Nicola Calipari.

    Ferrara su il Foglio del 8 marzo

    saluti

 

 
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