Sono di sinistra e non schiodo. Voterò al referendum sulla legge 40 ma metterò lo stesso qualche No.
Potendo, abrogherei per intero, come chiedevano i radicali.
Non per i loro stessi motivi bensì perché sono sempre stata d’accordo con un intervento legislativo leggero, il minimo possibile. Avrei dunque cancellato tutta la legge 40 sperando, forse invano, in nuove norme non misurate sull’adesione o sulla sottrazione trasversale a una fede, quella cattolica o quella nella scienza.
Mi piacerebbe che a sinistra fosse autorevole e maggioritaria la cautela su tecnologie che hanno al centro il corpo delle donne e il potere di generare, che provassimo in molti un po’ di sana diffidenza verso scienziati che fanno business sul desiderio di maternità.
Diffido dell’ipotesi di trasformare l’accesso alla fecondazione artificiale in un diritto specifico, mentre penso che grande attenzione vada messa sulla sicurezza e sulla salute delle donne –questo sì un diritto – che non può essere centrata sulla produzione o meno di tre embrioni ma riguarda, piuttosto, l’insieme di cure e pratiche che precedono gli interventi di fecondazione, i trattamenti della sterilità: stiamo parlando, è bene ricordarlo, di tecniche che martoriano il corpo.
E un dibattito politico che enfatizza, anche senza volerlo, la maternità biologica come condizione fondante della femminilità offende non solo lo stesso principio di scelta della maternità (è legittimo pure scegliere di non essere madre), ma anche coloro che madri non potranno diventare.
Come si vede, sono piena di “riserve etiche” anche se non vado d’accordo con Camillo Ruini.
Se in questi referendum vincerà l’astensione, la legge diventerà intoccabile e a poco servirà dire che non c’è stato un esplicito consenso popolare: l’astensione potrà essere letta come la legittimazione del lavoro parlamentare.
Se vinceranno i Sì, le norme andranno riscritte per tenere conto di ciò che dice il paese.
In entrambi i casi servono cittadini e cittadine consapevoli, per davvero, sull’uso delle biotecnologie e dunque in grado di esprimere un giudizio fortemente informato.
Credo, infatti, che l’atteggiamento di chi compra, dunque finanzia il mercato delle biotecnologie, possa incidere più del proibizionismo sulle rotte della ricerca scientifica, quantomeno su alcune sue applicazioni.
Se si crede, e nulla fa pensare il contrario, che l’opinione pubblica possa avere idee chiare sull’uso della fecondazione artificiale, è necessario abbandonare slogan ed emotività.
Nel mio piccolo, penso che fermare la propaganda sia un dovere, ne siamo tutti contaminati.
Ieri, per esempio, ho cestinato un video contro la legge 40 che gira via e-mail, confezionato con cura da un o una appassionata ma estremamente increscioso per noi di sinistra.
Il filmato propone una sequela di bugie e mezze verità alternate a immagini di bimbi tra corolle di fiori o neonati cullati da un foulard. Alcune affermazioni contenute in questo video, tipo:
“In Italia c’è una nuova legge che impedisce ai bambini di venire al mondo e alle donne di diventare madri”, riecheggiano argomenti ideologici che il Movimento per la vita ha usato contro la legge 194 e che vanno rigettati, fosse solo per marcare la differenza di uno stile politico.
Sempre dal video:
“(…) ci sono bambini nati da spermatozoi e ovociti di donatori esterni alla coppia che non nasceranno. Ora gli uomini e le donne sterili in Italia non potranno più avere figli”.
Questo è un messaggio terrorizzante che definisce come vittima chi ha un problema di sterilità, il che non aiuta le vittime a risollevarsi né a combattere il presunto carnefice.
L’infelice foto che illustra questa infelice frase ritrae decine di bambole tutte uguali, vestite con una tuta rosa ma, a ben guardare, in mezzo c’è una creatura vera, assolutamente uguale alle bambole (o viceversa).
L’immagine evoca ovviamente il “supermarket dei bambini”, definizione che non amo perché riassume una possibile, reale deriva in un semplicistico slogan, più facile da rifiutare che da accogliere per una riflessione.
La foto, inoltre, allude – sempre senza volere, immagino – alla clonazione, su cui in Italia è stato messo un assoluto divieto bipartisan, ma che spintona ancora a forza nella ricerca scientifica seppur sotto la definizione di clonazione terapeutica, apparentemente più debole.
Il filmato mi è arrivato anonimo e credo non sia riconducibile al Comitato dei referendum per il Sì, ma è zeppo di luoghi comuni semplificatori.
Un dibattito pubblico informato e di buona qualità, invece, farebbe saltare gli schemi politici che consentono a entrambi gli schieramenti di fare propaganda. E potrebbe smarcare la questione della fecondazione artificiale e dell’uso delle biotecnologie dall’infelice contrasto cattolici/laici, creando un’inedita trasversalità di valori e di idee.
Il paradosso dei referendum, infatti, è che i quesiti sono puntuali, le risposte secche, tuttavia le scelte possono essere motivate da ragioni che non trovano rappresentanza e non coincidono con gli attuali schieramenti, oppure li attraversano in libertà, senza sentimento di appartenenza.
Così è almeno nella mia esperienza. Tre esempi.

Voterò Sì all’abrogazione del primo articolo. Ritengo che per proteggere l’inizio della vita non sia necessario considerare il concepito un soggetto (coinvolto). Per mia personale convinzione, supporre che l’embrione debba essere difeso anche contro la madre (chi dovrebbe esercitare questa difesa poi? I giudici? Ancora i giudici?), intacca uno dei principi fondanti di questo mondo, la relazione tra chi genera e chi è generato, inscindibile legame e grande tesoro.
Le donne si sono sempre prese scrupolosamente cura della vita dall’inizio dei tempi e questa è una delle ragioni per cui siamo ancora qui a parlarne. Sulla procreazione godono di una autorità che ha radici nei fatti e nella storia. E’ molto triste e pericoloso che non si facciano largo in questo dibattito voci femminili capaci di riconoscere e tradurre questa verità di cui ogni donna è consapevole, e che a sinistra per difendere l’autodeterminazione si faccia appello alla scienza e non alla riflessione e alla elaborazione della parte migliore del femminismo. Non tenere saldo questo timone fa perdere l’orientamento alle donne, sia a quelle che parlano sia a quelle che ascoltano. Né la posizione di chi si china sugli embrioni come su una culla, né quella di chi non se ne preoccupa affatto ha il sapore della consapevolezza femminile. Soffocata dalle grida di una parte e dell’altra, la verità delle donne, della loro esperienza, del loro equilibrio, del loro essere più sapienti della scienza non dà frutto.

In coerenza con queste mie idee, ho molti dubbi anche sulla fecondazione eterologa. Sono una fan di tutte le possibili combinazioni familiari, omosessuali comprese, ma temo fortemente, per esempio, le conseguenze dell’anonimato (la retromarcia della liberale Inghilterra insegna) e il mercato degli ovuli a danno delle più povere (se ne è preoccupata pure la Commissione europea).

Terzo esempio, il quesito sull’uso degli embrioni sovrannumerari.
Mi pare significativo che la comunità scientifica si divida sulle prospettive della ricerca sulle cellule staminali embrionali e che in molti oggi non lo ritengano il migliore binario per trovare soluzioni a malattie incurabili. Dunque, nel dubbio e per cautela, dico No.
Sì, ne sono sicura, i miei pensieri e le mie domande sono di sinistra, ma ogni tanto mi sento isolata.
Per fortuna altri dubitano. Il deputato verde Paolo Cento, intervistato da “Avvenire”, ha ricordato che le biotecnologie sono anche un business, che la diffidenza verso la manipolazione genetica è un patrimonio della cultura ecologista, che c’è uno spazio da occupare tra il proibizionismo e l’affidamento acritico alla scienza, che votare Sì, No o astenersi sono tutte posizioni legittime.
Le proposte di approfondimento di Paolo Cento, che non ama la legge 40 e lo ha sempre dichiarato, sono state liquidate in modo sbrigativo e in qualche caso ai limiti della volgarità.
So che è un colpo basso metterla così, ma vorrei chiedere: come mai tutta quella gente di sinistra che è contraria alla manipolazione genetica della verdura non batte ciglio davanti alla manipolazione genetica degli esseri umani?

Alessandra Di Pietro

su il Foglio del 12 aprile

saluti