Recensioni


Salvatore Giuseppe Verde, "Scritti di estrema Destra", a cura di Giovanni Damiano, Ar, Padova 2004


Il titolo è volutamente provocatorio perché, com’è noto, l’estrema destra non si è mai considerata tale. Quanto all’autore, per diversi anni funzionario presso le istituzioni comunitarie di Bruxelles, è uno dei pochi economisti dell’area; e nei primi anni novanta aveva animato, per le Edizioni Ar, una rivista uscita per pochi numeri, "L’Antibancor", unico periodico di estrema destra specificamente dedicato a questioni di economia. La raccolta di scritti si estende lungo più di un trentennio, dal 1965 agli anni recenti, toccando diversi argomenti, da quelli economici all’immigrazione, per finire agli immancabili articoli su Evola. Nella prefazione il curatore sostiene che Verde è stato tra i primi, a destra, a ricorrere al noto concetto di "mondialismo", divenuto poi, nell’ultimo ventennio, la pietra angolare dell’estrema destra. Non ci si deve peraltro stupire se tutta la vicenda del radicalismo di destra del Novecento si è fondata anche su questo concetto. Degli scritti antologizzati paiono interessanti, sotto l’aspetto storiografico, soprattutto i primi tre (due dei quali inediti), elaborati durante il periodo della militanza ordinovista dell’autore (1965-67). Sono interessanti perché, considerata la scarsa documentazione di e su questo movimento, permettono di intuire il clima intellettuale e gli argomenti di discussione in quel milieu dove "l’Onore si chiama fedeltà". La chiusa di un "Manifesto agli italiani" del 1965, ad esempio, annuncia che la crisi morale in cui è sprofondata l’Europa impone il ritorno sulla scena di rinnovati "Ordini Cavallereschi".

Francesco Germinario (L’Indice, aprile 2005)


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Friedrich Nietzsche, "L’anticristiano", a cura di Franco Freda e Anna K. Valerio, Ar, Padova, 2004


Caso eccezionale in tedesco: il nome del fondatore della dottrina e del suo cultore, del modello e del suo seguace, coincidono. "Der Christ" è tanto il Cristo quanto il cristiano, tanto l’uomo quanto il Figlio dell’uomo. Il Figlio di Dio generato e fatto uomo, il Verbo divenuto carne diviene – anche e appunto sul piano verbale, per mezzo di un battesimo che assegna una miracolosa identità nominale – sinonimo dell’uomo tout court. È dunque, se non dogmaticamente trino, almeno lessicalmente doppio il bersaglio del Friedrich Nietzsche che, mirando al Crocefisso, punta contro il Cristo e insieme contro il cristianesimo. Per trafiggere il costato dell’uno e il cuore (cioè il nucleo metafisico) dell’altro con gli strali di una "imprecazione". In nulla è smussata la violenza dell’attacco assestato alla radice religiosa e morale della modernità dall’Antichrist se si sceglie di trasporre il diabolico personaggio dell’Anticristo nella parte ugualmente dissacrante di un "Anticristiano". La trasposizione si compie per via di una traduzione, che sposta la figura ben nota – nota nella sua veste italiana dalla presentazione di Ferruccio Masini, di cui Adelphi nel 1970 comprese la versione nell’eccelsa edizione critica Colli-Montinari dell’opera nietzscheana – quel tanto che basta per metterne in luce un profilo adombrato dalla maschera del profeta della morte di Dio. Contro Dio e al tempo stesso contro il suo fedele, predica Nietzsche-Dioniso-Zarathustra. Contro l’idolo auscultato al suo crepuscolo e abbattuto con scontro frontale poco prima di precipitare nel buio della follia. Agli occhi del suo antagonista era un nemico "ambiguo", "ambivalente" e "cruciale", non solo per un gioco di parole: "Cristianesimo – come già notava Giorgio Colli trent’anni fa, nella nota introduttiva alla propria edizione del testo – viene a implicare morale, metafisica, giustizia, uguaglianza degli uomini, democrazia. In breve assomma in sé i valori della modernità". E la croce, strumento di supplizio e oggetto di venerazione del Christ, è l’emblema più densamente simbolico di tutte le caratteristiche di quel mondo moderno che ne è il portato: affetto dalla malattia della verità, afflitto nel vigore affermativo della volontà, negatore della vita in nome di un aldilà. Infiacchito, indebolito, esaurito, declinante sulla china della bimillenaria décadence che inclina a svalutare i valori di bellezza felicità e stile. La loro trasvalutazione si compie "attraverso una distruzione del cristianesimo" e anche – in grande stile – attraverso il rinnovamento di una traduzione. Operazione squisitamente nietzscheana, degna del Nietzsche filologo, "amico delle parole".

Alessandra Iadicicco

(Il Foglio, 12 marzo 2005)