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  1. #1
    Fra Savonarola
    Ospite

    Predefinito 24 febbraio (14 maggio) - S. Mattia, Apostolo







    San Mattia, Apostolo

    14 maggio - Festa

    sec. I

    Di Mattia si parla nel primo capitolo degli Atti degli apostoli, quando viene chiamato a ricomporre il numero di dodici, sostituendo Giuda Iscariota. Viene scelto con un sorteggio, attraverso il quale la preferenze divina cade su di lui e non sull'altro candidato - tra quelli che erano stati discepoli di Cristo sin dal Battesimo sul Giordano -, Giuseppe, detto Barsabba. Dopo Pentecoste, Mattia inizia a predicare, ma non si hanno più notizie su di lui. La tradizione ha tramandato l'immagine di un uomo anziano con in mano un'alabarda, simbolo del suo martirio. Ma non c'è evidenza storica di morte violenta. Così come non è certo che sia morto a Gerusalemme e che le reliquie siano state poi portate da sant'Elena, madre dell'imperatore Costantino, a Treviri, dove sono venerate. (Avvenire)

    Etimologia: Mattia = uomo di Dio, dall'ebraico

    Martirologio Romano: Festa di san Mattia, apostolo, che seguì il Signore Gesù dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui Cristo fu assunto in cielo; per questo, dopo l’Ascensione del Signore, fu chiamato dagli Apostoli al posto di Giuda il traditore, perché, associato fra i Dodici, divenisse anche lui testimone della resurrezione.

    Martirologio tradizionale (24 febbraio): In Giudea il natale di san Mattia Apostolo, il quale, dopo l'Ascensione del Signore, eletto a sorte dagli Apostoli in luogo di Giuda il traditore, fu martirizzato per la predicazione del Vangelo.

    È stato l’apostolo Pietro a fare in un certo senso il suo ritratto, senza rendersene conto. Dopo l’Ascensione di Gesù, infatti, egli dice alla piccola comunità cristiana in Gerusalemme che bisogna dare un sostituto al traditore Giuda Iscariota, riportando a dodici il numero degli apostoli. E lascia la scelta ai fratelli di fede.
    Si fa un’elezione, allora, con il criterio indicato da Pietro: bisogna scegliere il nuovo apostolo "tra coloro che ci furono compagni per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, incominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di tra noi assunto in cielo". Così si legge nel primo capitolo degli Atti degli Apostoli (1,15-25). I fedeli ne individuano due con queste caratteristiche. Uno è Mattia e l’altro è Giuseppe detto Barsabba.
    A questo punto si fa il sorteggio, dopo aver invocato così il Signore: "Tu che conosci il cuore di tutti, mostraci quale di questi due hai designato a prendere il posto in questo ministero e apostolato che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto da lui scelto". Il sorteggio designa Mattia, "che fu associato agli undici apostoli".
    Egli è dunque l’unico dei Dodici che non ha ricevuto direttamente la chiamata da Gesù. Ma che è stato tuttavia con lui dall’inizio alla fine della sua vita pubblica, diventando poi testimone della sua morte e risurrezione. Il nome di Mattia compare soltanto questa volta nel Nuovo Testamento. Poi, non sappiamo più nulla di certo: abbiamo solo racconti tradizionali, privi di qualsiasi supporto storico, che parlano della sua predicazione e della sua morte per la fede in Gesù Cristo, ma con totale discordanza sui luoghi: chi dice in Giudea, chi invece in Etiopia.
    Lo storico della Chiesa, Eusebio di Cesarea (ca. 265 - ca. 340), nella sua Storia ecclesiastica, rileva che non esiste alcun elenco dei settanta discepoli di Gesù (distinti dagli apostoli) e aggiunge: "Si racconta anche che Mattia, che fu aggregato al gruppo degli apostoli al posto di Giuda, ed anche il suo compagno che ebbe l’onore di simile candidatura, furono giudicati degni della stessa scelta tra i settanta" (1,12). Dunque Mattia dovrebbe aver fatto parte di quella spedizione di 72 discepoli che Gesù mandò a due a due davanti a sé per predicare in ogni città e luogo dove stava per recarsi, e che tornarono entusiasti dicendo: "Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome" (Luca 10,17).
    Sebbene le tradizioni parlino di Mattia evangelizzatore in Medio Oriente e in Africa, il suo nome ha raggiunto già nei primissimi secoli cristiani l’Europa settentrionale e la città tedesca di Treviri lo venera come patrono.

    Autore: Domenico Agasso

    Fonte: SANTI E BEATI

  2. #2
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    Aug.

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    Predefinito Dalla «Omelie sugli Atti degli Apostoli» di san Giovanni Crisostomo, vescovo

    (Om. 3, 1. 2. 3, in PG 60, 33-36, 38)

    «In quei giorni, Pietro si alzò in mezzo ai fratelli e disse...» (At 1, 15). Dato che era il più zelante e gli era stato affidato da Cristo il gregge, e dato che era il primo nell'assemblea, per primo prende la parola: Fratelli, occorre scegliere uno tra noi (cfr. At 1, 21-22). Lascia ai presenti il giudizio, stimando degni d'ogni fiducia coloro che sarebbero stati scelti e infine garantendosi contro ogni odiosità che poteva sorgere. Infatti decisioni così importanti sono spesso origine di numerosi contrasti. E non poteva essere lo stesso Pietro a scegliere?
    Certo che poteva, ma se ne astiene per non sembrare di fare parzialità. D'altra parte non aveva ancora ricevuto lo Spirito Santo. «Ne furono proposti due, Giuseppe, detto Barsabba che era soprannominato Giusto, e Mattia» (At 1, 23). Non li presentò lui, ma tutti. Lui motivò la scelta, dimostrando che non era sua, ma già contemplata dalla profezia. Così egli fu solo l'interprete, non uno che impone il proprio giudizio.
    Continua: Bisogna, dunque, che tra questi uomini che sono radunati con noi... (cfr. At 1, 21). Osserva quanta oculatezza richieda già nei testimoni, anche se doveva ancora venire lo Spirito. Egli comunque tratta con grande diligenza questa scelta.
    Tra questi uomini, prosegue, che sono stati con noi tutto il tempo che visse tra noi il Signore Gesù. Parla di coloro che erano vissuti con Gesù, non quindi semplici discepoli. All'inizio molti lo seguivano: ecco perché afferma: Era uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e avevano seguito Gesù.
    «Per tutto il tempo in cui il Signore Gesù ha vissuto in mezzo a noi, incominciando dal battesimo di Giovanni» (At 1, 21). E sì, perché gli avvenimenti accaduti prima, nessuno li ricordava con esattezza, ma li appresero dallo Spirito. «Fino al giorno in cui (Gesù) è stato di tra noi assunto in cielo, uno divenga insieme a noi testimone della sua risurrezione» (At 1, 22). Non dice: testimone di ogni cosa, ma «testimone della sua risurrezione», semplicemente.
    Infatti era più credibile uno che affermasse: Colui che mangiava, beveva e fu crocifisso, è proprio lo stesso che è risuscitato. Perciò non era necessario che fosse testimone del passato né del tempo successivo e neppure dei miracoli, ma solo della risurrezione. Gli altri avvenimenti erano noti ed evidenti; la risurrezione invece era avvenuta di nascosto ed era nota solo a quei pochi.
    E pregavano insieme dicendo: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra...» (At 1, 24). Tu, non noi. Molto giustamente lo invocano come colui che conosce i cuori: da lui, infatti, dev'essere fatta l'elezione, non da altri. Pregavano con tanta confidenza, perché era proprio necessario che uno fosse eletto. Non chiesero: Scegli, ma: mostra l'eletto, «colui che hai eletto», ben sapendo che tutto è già stabilito da Dio. «E li tirano a sorte». Non si ritenevano degni di fare essi stessi l'elezione, per questo desiderarono essere guidati da un segno.

  4. #4
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    Predefinito Udienza generale di papa Paolo VI, il 17 novembre 1971

    Insegnamenti di Paolo VI, Tipografia poliglotta vaticana, 1972, t. IX, 982‑986

    La nostra attenzione è rivolta all'inesauribile tema, la Chiesa. Chiesa, che cosa significa? La domanda fa ora risalire la sua curiosità al significato etimologico della parola. Chiesa, nel linguaggio biblico, significa un'assemblea convocata di carattere religioso. Cosi fin dall'Antico Testamento, Cristo fece proprio questo vocabolo e vi attribuì un senso suo proprio: La mia Chiesa (Mt 16, 18).
    Il nucleo etimologico centrale del termine "Chiesa che è quello di convocazione, di chiamata, ci aiuta a comprendere il suo valore espressivo, che manifesta un'intenzione ne, un pensiero, indicativo d'un fatto, qualificativo d'una realtà. La Chiesa è una convocazione. Questo senso intimo e originario del nome e dell'essere della Chiesa dice molte cose, istruttive non solo per un'esatta teologia della Chiesa, ma altresì per una sua feconda e corretta comprensione spirituale.

    La Chiesa suppone una chiamata; facciamo attenzione: una chiamata divina. Questa osservazione offre subito un canone di ortodossia, che non dovremo mai dimenticare: la voce che convoca l'assemblea, insignita del nome di Chiesa, non è voce umana, se non per via di mistero trasmittente, è voce trascendente, voce che viene dalle profondità divine, e che subito ci dirà che la Chiesa è un mistero; un mistero nel duplice significato della parola, la quale vuoi dire verità nascosta, e vuoi dire realtà soprannaturale; ci porta cosi in una sfera, che solo la rivelazione rende accessibile (Col 2, 2).
    È il mistero del disegno divino relativo al nuovo rapporto che Dio si degna offrire all'umanità, nell'ambito di Cristo mediatore, in ordine alla salvezza dell'umanità.
    La vita e la storia della Chiesa sono vincolate a questa prima interpretazione dei suo nome, cioè della sua origine e della sua realtà; ella non è fondazione umana; ella nasce da un'iniziativa divina.

    Qui subito profittiamo di questa fondamentale dottrina per cogliere da essa una prima ed esuberante consolazione: l'ortodossia circa la Chiesa, cioè la fedeltà alla chiamata di cui è ministra, alla sua verità, è al tempo stesso esigente, perché non ammette arbitri, equivoci, surrogati, incertezze; ed è beatificante, perché apre la porta all'immenso regno di Dio, alla scoperta della verità e dell'amore, alla conversazione con Dio, alla fortuna della vera vita.
    Ma l'attenzione ora si concentra sul fatto che la Chiesa nasce da una vocazione. Dicevamo, una vocazione divina. La Parola di Dio che è a noi rivolta. Il Verbo di Dio, ch'è venuto a parlarci; il che importa da parte nostra un ascolto.
    La prima generazione cristiana, quella registrata nel Nuovo Testamento, ha vivissima coscienza di essere stata chiamata. A cominciare dagli apostoli, il loro gruppo risulta dalla chiamata che a ciascuno di loro rivolse Gesù: Vieni e seguimi (Mt 4, 19‑22.9, 9; Gv 21, 19). Ma non si sono messi insieme da se gli apostoli; sono stati scelti da Cristo stesso, che loro dirà: Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi (Gv 15, 16).
    E san Paolo userà senza fine questo concetto di vocazione come costitutivo della Chiesa primitiva (Rm 8, 30; Gal 1, 6); e san e Pietro farà ugualmente (1 Pt 1, 15.2, 9.5, 10; 2 Pt 1, 3).

    La vocazione segna la traiettoria della parola invitante di Dio, la quale si libra sul mondo e ferisce le singole coscienze: quelle che la ricevono sono convocate con le altre, egualmente fedeli, e formano subito comunità, la Chiesa, la società dei chiamati da Gesù Cristo (Rm 1, 6).
    Colui che è chiamato non rimane solo, a se, autonomo, ma è immediatamente inserito come membro di un corpo, il Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa (Col 2, 19.3, 15; Ef 4, 16).
    Questo aspetto della Chiesa, come assemblea, divinamente pensata e voluta, di esseri umani, chiamati a comporla in ordine a un disegno organico e soprannaturale, ci fa scoprire che nella Chiesa gli uomini, i quali hanno la fortuna di appartenervi, trovano in essa il proprio destino; trovano la loro ragion d'essere, trovano un invito che li valorizza ad una missione, li impegna alla coscienza di un dovere e di una speranza, che sovente manca all'uomo rimasto senza la chiamata misteriosa.

    L'uomo. da sé, non ha una chiara e sicura consapevolezza della propria ragione di vivere; avviene cosi che quanto più egli si fa riflessivo tanto più si sente invaso da un dubbio sul perché della propria esistenza, e diviene facilmente vittima dell'aristocratica tentazione dello scetticismo (a che serve vivere?), o di quella empirica del pragmatismo (fare per fare, ma perché?), o di quella, peggiore, dell'edonismo (godere la vita, ecco tutto); è questo un tormento che cresce col crescere della cultura e del possesso temporale della civiltà: il senso del non‑senso, dell'inutilità della vita.
    Ecco che la letteratura ha assai spesso uno sbocco pessimista; ecco perché la disperazione sembra il traguardo obbligato dell'uomo: Nessuno ci ha chiamati? (Col 2, 19.3, 15; Ef 4, 16).
    Ricordate la parabola evangelica dei disoccupati, che sono poi reclutati a lavorare nella vigna del padre di famiglia? (Col 2, 19.3, 15; Ef 4, 16).

    La Chiesa invece è il risultato del reclutamento a un lavoro adeguato ed entusiasmante, che dà scopo e merito alla vita: il regno dei cieli. E la Chiesa è perciò stesso la matrice delle vocazioni, l'ufficio di reclutamento, potremmo dire, per gli uomini in cerca d'uno scopo per cui valga la pena di vivere, di cercare, di amare, di operare, di soffrire, di morire.
    Nessuno nella Chiesa è ozioso, nessuno è inutile, nessuno è disoccupato, nessuno senza la sua vocazione; nessuno ha davanti a sé un vuoto di ideali, una vanità di fatica; nessuno è sperduto, nessuno è disperato.
    E avviene che spesso le esistenze più misere diventano mediante la vocazione cristiana le più degne e le più preziose: i piccoli, i poveri, i sofferenti. La Chiesa offre a ciascuno un "qualcosa da fare che conferisce senso, valore, dignità, speranza all'umana esistenza.
    Ciascuno è chiamato, ciascuno è valorizzato anche per la vita presente, se questa lo è per quella futura. Quale ricchezza di ideali e di energie è cosi profusa nel mondo!
    Noi che cerchiamo di vedere l'aspetto positivo della Chiesa, quel suo volto illuminato dal sole divino, dobbiamo dare grande importanza al fatto ch'ella rappresenta per noi la grande chiamata, l'invito autentico al regno di Dio; è lei, la Chiesa, che trasmette a noi la parola di Dio, ella la custodisce, la insegna, la interpreta, sempre con gelosa obiettività; è lei che stimola ad ascoltare e approfondire la parola di Dio, che per tutti deve sonare vocazione alla sequela di Cristo, e che per alcuni diventa carisma, cioè quel dono dello Spirito che reclama in risposta il dono dell'uditore stesso; ed è lei che decide di questa vocazione intima e psicologica, se possa trarne un ministero o un'oblazione per la propria edificazione comunitaria.
    Se ne parla assai oggi; e si nota che le vocazioni, sia quelle comuni a una semplice integrità cosciente e operante di vita cristiana, sia quelle speciali al sacerdozio e allo stato religioso, sono in diminuzione.

    L'orecchio dell'uomo moderno, assordato dal fragore del progresso esteriore o incantato dalla magia della nostra loquace cultura, non sente, non ascolta la voce arcana di Cristo.
    E se qualche cosa questo orecchio profano percepisce dell'eco evangelica, spesso da se la vuole interpretare; cioè più vi ascolta se stesso, che non l'autentico richiamo dello Spirito. Cosi, quante ricchezze sciupate, quanti destini umani, anche nell'ambito del fatto religioso, non giungono a maturazione!
    Fra i più gravi avvenimenti della storia rimane doloroso e tremendo quello presagito da Cristo in lacrime, sotto le mura di Gerusalemme, rimasta sorda alla sua chiamata profetica e cieca davanti alla sua venuta messianica: Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace! Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi (Lc 19, 42).
    Ma la Chiesa, l'umanità chiamata da Cristo, è ancora qui e continua la sua missione; e a sua volta, nel nome di Cristo, chiama con lo stesso dolce e fatidico invito: Vieni! Cosi possiamo noi intenderlo e capire dove esso conduce.

  5. #5
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    Predefinito Dalle Omelie di san Carlo Borromeo

    Homilia VII, Mediolani, 1747, t. 1, 57‑60*

    Siamo tenuti ad amare i buoni, perché sono le membra vive del medesimo Corpo mistico; ma ciò non significa che dobbiamo disprezzare i malvagi o disinteressarci della loro salvezza, perché sono anch'essi creature di Dio.
    Non bisognerà tuttavia aver compassione di un uomo al punto da non correggerne i vizi. In lui ameremo il bene compiuto e daremo la caccia al male, per non correre il rischio che, perdonando alla leggera le sue colpe. invece di essere caritatevoli, lo uccidiamo per negligenza.
    D'altra parte, non dobbiamo escludere nessuno dalla nostra carità cristiana, e cercheremo di offrire aiuto a ogni fratello, servendolo in tutto quanto ha bisogno per la salvezza dell'anima e del corpo.
    Nostro Signore ce l'ha insegnato con la parola e con l'esempio. Ci ammonì infatti: Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori (Mt 5, 44), Lui che fa splendere il sole e cadere la pioggia sui buoni e sui malvagi, volle soffrire per noi quando gli eravamo nemici, e ci accoglie come figli ed eredi, a condizione che ripercorriamo la sua medesima traiettoria d'amore.

    Tanti motivi ci spingono ad amare gli uomini: siamo tutti fratelli, usciti da un medesimo Padre; insieme siamo stati creati e poi redenti e adottati come figli dall'unico e medesimo Iddio.
    In ognuno di noi è impressa l'immagine e la somiglianza divina; perciò il disprezzo verso un fratello denota quanto scarsamente amiamo il Creatore di cui nostro fratello è l'immagine.
    Per di più, siamo stati destinati alla medesima beatitudine, pur di obbedire al precetto dell'amore. Non è dunque possibile che siamo separati quaggiù quando saremo uniti nella patria dell'alto.
    Fratelli carissimi, amiamo ciascuno secondo quello che è: amiamo i buoni a motivo della loro virtù, perché fanno parte. del medesimo corpo e sono figli del medesimo Padre. Amiamo i malvagi, perché ci sono fratelli per creazione, e impegniamoci ad attirarli verso la virtù, perché diventino nostri fratelli d'adozione.
    Nella carità che abbiamo verso il prossimo è racchiuso l'amore che portiamo a Dio. Non, è forse vero che dobbiamo amare il prossimo a causa di Dio?
    Per Paolo era lampante questa superiorità dell'amore di Dio. Dopo aver enumerato quasi tutti i carismi che Dio concede agli uomini, egli continua: Vi mostrerò una via migliore di tutte. Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna (1 Cor 12, 31‑13, 1).
    Il cembalo non suona per il proprio godimento, ma per quello degli altri; analogamente, i doni di profezia, di scienza, la conoscenza dei misteri, le elemosine e tanti altri atti, buoni in sé stessi, non servono per ottenere la vita eterna se vi manca la carità.
    L'amore è quell'unico comandamento che condisce e rende accetta a Dio tutta la nostra osservanza.
    Come il fogliame lussureggiante di un albero proviene dall'unica radice, cosi le fronde di tutte le virtù non verdeggiano se non nascono dalla radice della carità.
    Se consideriamo questa radice, diremo che esiste un unico precetto di Dio: quello della carità.
    Se invece consideriamo le foglie e i frutti che coprono l'albero, allora diremo che i comandamenti. di Dio sono numerosi quanto il fogliame.

    La carità infiammò Abramo ed egli pregò con insistenza Dio perché risparmiasse i cittadini di Sodoma.
    La carità avvampò in Mosè al punto da fargli dire a Dio: Se tu perdonassi il loro peccato.
    E se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto! (Es 32, 32).
    La carità fece piangere Davide, quando il suo nemico, Saulo, mori.
    Questa medesima carità arse in cuore a Paolo fino a fargli desiderare di essere maledetto e separato da Cristo per la salvezza dei fratelli. Per quale motivo, infatti, egli accettò di subire tante fatiche, di affrontare tanti pericoli, di per percorrere tanti paesi per condurre tutti alla fede e alla salvezza, se non perché un amore straordinario per gli uomini gli urgeva dentro?
    Per mietere in cielo, seminiamo in terra mediante la carità. Essa è la veste nuziale senza di cui nessuno può entrare lassù; è il vincolo della pace, lo sfacelo dei vizi e l'armatura dei forti.
    Ma il banco di prova della carità sono le opere concrete. Voi siete miei amici. se farete ciò che io vi comando (Gv 15, 14), ci ha garantito Gesù, quasi a dire: "Se ambite il massimo onore, non tiratevi indietro di fronte ai sudori della fatica".

  6. #6
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    Predefinito Dalle Omelie di san Giovanni Crisostomo sul vangelo di Matteo

    In Mt. hom. 46, 2-4, in PG 58, 478-482.

    Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti (Mt 13, 33).
    È Cristo che ha dato al lievito la forza. Egli ha mescolato alla moltitudine umana quelli che credono in lui, in modo da comunicare agli altri la nostra sapienza evangelica.
    Nessuno dunque si lamenti per il piccolo numero dei suoi seguaci: grande è la potenza dell’annunzio evangelico, per cui ciò che una volta è stato lievitato, diventa a suo turno lievito per il resto.
    Se una scintilla cade sulla legna, fa divampare il fuoco; poi l’incendio si propaga, appiccandosi man mano agli altri ceppi: così è della predicazione del vangelo. Tuttavia Gesù non parla di fuoco, ma di lievito. Come mai? Perché nel caso del fuoco, tutto non dipende soltanto dalla fiamma, ma anche dalla legna che s’incendia; invece, nella pasta il lievito da solo compie tutta la trasformazione.

    Se dodici uomini hanno fermentato tutto il mondo, pensate quale deve essere la cattiveria di noi cristiani, oggi; sebbene tanto numerosi, non siamo capaci di convertire il resto dell’umanità, mentre dovremmo bastare a divenire lievito per mille mondi.
    Ma quei dodici - voi obietterete - erano gli Apostoli.
    E con ciò? Non erano uomini come noi? Non vivevano anche loro nelle città? Non avevano ricevuto in sorte le medesime grazie? Non esercitavano anche loro un mestiere? Erano forse angeli scesi dal cielo?
    Voi mi dite che loro compivano miracoli. E io vi rispondo che non furono i miracoli a renderli degni di ammirazione.
    Fino a quando cercheremo nelle azioni prodigiose un pretesto alla nostra pigrizia? Osservate quanti santi non brillarono mai per aver operato prodigi. E molti di quelli che scacciarono i demoni soccombettero al peccato, per cui non meritarono stima ma castigo.
    E allora - mi domanderete - che cosa ha reso grandi gli Apostoli? Il disprezzo delle ricchezze, la noncuranza per la gloria, la rinuncia a tutte le realizzazioni mondane.

    Se gli Apostoli non avessero avuto quelle disposizioni d’animo e come noi avessero ceduto alle passioni, quand’anche avessero risuscitato mille morti, non ne avrebbero ricavato nessun vantaggio in ordine alla salvezza. Per l’opinione pubblica sarebbero stati vili seduttori.
    Uno riesce a risplendere sempre e davvero grazie alla qualità della sua vita; questo attira su di lui la grazia dello Spirito Santo.
    Che miracolo aveva operato Giovanni Battista per attrarre a sé città intere? Ascoltiamo il vangelo che dice: Giovanni non ha fatto nessun segno. Gv 10,41. Consideriamo Elia: il suo grande prestigio non gli venne forse da quella sua franchezza verso il re, dallo zelo per Dio, dalla sua austerità, - pelli di pecora per coprirsi, spelonche dei monti come abitazione -? Tutti i suoi miracoli giunsero dopo, come conseguenza di una tale vita.
    Che miracolo compì Giobbe perché il diavolo dovesse rimanerne così colpito? Nessuno, ma sorprendeva la testimonianza di una vita luminosissima e di una pazienza più resistente del diamante.
    Non sapete che i miracoli ci possono nuocere, se non vegliamo su di noi? Che cosa produsse divisione e inimicizie fra i Corinzi se non i miracoli? Per la medesima causa molti romani montarono in superbia. E un analogo motivo rovinò Simon Mago. Quel tale che desiderava seguire Cristo si allontanò dopo aver udito da Gesù che le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi (cf Mt 8, 20; Lc 9, 58). Entrambi questi personaggi si ripromettevano dai miracoli l’uno la ricchezza, l’altro la gloria; e così caddero nel peccato che li perdette. Al contrario, la santità della vita e l’amore della virtù non solo non generano simili desideri, ma li distruggono qualora emergano.
    Quando Gesù istruiva i discepoli, diceva forse: “Fate miracoli perché gli uomini li vedano?”. Niente affatto. Ma che diceva? Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli (Mt 5,16).

    Vedete dunque che sempre si richiede la testimonianza della vita e delle opere. Dai loro frutti li riconoscerete (Mt 7,16), dice Gesù.
    Cosa dà valore alla nostra esistenza? Fare miracoli oppure comportarsi secondo virtù? La risposta è ovvia, perché i miracoli sono la conseguenza di una condotta perfetta e al tempo stesso tendono a manifestarla. La santità della vita attira il dono di fare prodigi, ma questo dono si riceve soltanto per l’edificazione altrui.
    Anche Cristo compì miracoli, ma a qual fine? Per rendere credibile il suo messaggio, per attirare così gli uomini alla fede e convertirli a una vita più pura. Questo scopo si proponeva Gesù. Tuttavia non gli bastavano i miracoli; tant’è che li accompagnò con le minacce del fuoco eterno e la promessa del Regno; egli diede leggi nuove, di una perfezione che il mondo ignora.
    Tutto quello che Cristo fece in terra ebbe questo scopo: rendere gli uomini santi al pari degli angeli.

    Se uno vi desse il potere di risuscitare i morti nel nome di Gesù oppure di morire per lui, che cosa scegliereste? Senz’altro, la seconda possibilità. La prima è miracolo, azione esterna; la seconda è opera di vita.
    Se, del pari, vi si offrisse la facoltà di cambiare in oro tutta l’erba di questo mondo, oppure la grazia di sprezzare tutto l’oro del mondo come erba, non preferireste forse quest’ultima possibilità? E la scelta sarebbe senz’altro giusta, poiché nulla come il voltare le spalle al possesso e all’accumulo ha il potere di far presa sul cuore umano.
    Vedere l’erba tramutata in oro non produrrebbe automaticamente la voglia di poter fare altrettanto, come accadde a Simon Mago? Così la brama delle ricchezze non farebbe che aumentare nella società.
    Se invece si vedesse che tutti calpestano e spregiano il denaro come erba secca, già da tempo gli uomini sarebbero guariti da questa cupidigia che è vera malattia. Vedete dunque che niente è più proficuo di una vita santamente vissuta.

    Le virtù fondamentali sono la carità, l’umiltà, la misericordia: esse eccellono persino sulla verginità.
    Se volete uguagliare gli Apostoli, nulla ve lo impedisce. Basta soltanto praticare queste virtù con un impegno che non sia minimamente inferiore al loro. Nessuno indugi, accampando il pretesto che attende di vedere i miracoli. Il demonio si rattrista quando viene cacciato via da un corpo, ciò che appunto fecero gli Apostoli.
    Però il maligno sì affligge ancora di più vedendo un’anima libera dalla colpa. Infatti, la sua grande forza sta appunto nel peccato. Per distruggerlo Cristo è morto. Il peccato ha portato la morte provocando caos e corruzione generale. Se dunque voi eliminerete il peccato nel vostro cuore, al tempo stesso spezzerete i lacci del demonio, gli schiaccerete la testa, distruggerete tutta la sua forza, metterete in fuga le sue legioni infernali. Allora, sì, avrete compiuto il più grande di tutti i miracoli.

    Questa parola non è mia, ma di san Paolo. Dopo aver detto ai Corinzi: Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte (1 Cor 12,31), egli non allude ai miracoli, ma parla della carità, radice di ogni bene.
    Se, dunque, noi abbracceremo la carità con tutto il corteo che ne consegue, non avremo affatto bisogno di miracoli. Se, al contrario, trascureremo la carità, tutti i miracoli non ci serviranno a nulla. Meditiamo su questa verità e aspiriamo anche noi a quello che rese gli Apostoli tanto illustri. Volete sapere che cosa procurò loro una simile fama? Ascoltate Pietro che dice: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo? E adesso udite Cristo che risponde loro: Sederete su dodici troni. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o padre, o madre, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna (Mt 19,27-29).
    Rinunziamo, fratelli, a tutto il bagaglio che appartiene a questo mondo, consacriamo noi stessi a Cristo: diventeremo - come egli ha detto - uguali agli Apostoli e otterremo la vita eterna. Io la auguro a tutti noi per la grazia e l’amore di nostro Signore Gesù Cristo. A lui la gloria e la potenza nei secoli. Amen.

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    Predefinito Dal Libro della Perfezione di Martirio Sahdona

    Livre de la Perfection, p.II, cap.4, §37-42, in Œuvres, t. II, CSCO, 215, Louvain, 1961, 44-46.

    Colui che ha visto Dio riconosce in sé la sua immagine. Il vederlo, infatti, stabilisce l’amore nel cuore, l’amore una volta stabilitosi incide la sua immagine nella persona, la quale desidera imitare tutti i suoi comportamenti, come un uomo imita colui che ama. Chi è simile a Dio è in pace con gli uomini. Ama come se stesso il suo prossimo secondo la carne. Questo è il secondo comandamento che è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso (Mt 22,39). Dio ha legato l’amore per lui all’amore per gli altri e glielo ha posto accanto. E con grande sollecitudine dobbiamo ricercarlo, se davvero noi amiamo Dio e a lui vogliamo essere simili, come veri amanti. È necessario dunque che ci amiamo gli uni gli altri come amiamo noi stessi; anzi, in verità, più di noi stessi come anche lui ha fatto nei nostri confronti, dando la sua vita per noi.

    In questo gli Apostoli sono stati simili a Cristo: per la nostra salvezza hanno dato la loro vita. Ma cosa dico: “La loro vita”? Uno di essi per la sovrabbondanza del suo amore per gli altri, cercava di separare da Cristo anche se stesso perché essi si avvicinassero. Vorrei essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne (Rm 9,3), cioè i figli di Israele. O amore incommensurabile! Colui che né altezza, né profondità né le due creazioni sono state capaci di separare dall’amore di Cristo, ora, per i nemici della croce di Cristo e per i persecutori suoi e dei suoi compagni, è disposto a separarsi da esso, se con ciò fosse possibile avvicinare i nemici a Cristo. Mentre per noi è difficile amare i nostri fratelli che amano Cristo e a noi fanno del bene. Non solo non amiamo il nostro prossimo come noi stessi secondo il comandamento antico, ma neanche a misura del nostro patrimonio superfluo. Ci preoccupiamo, infatti, di dar prova di sollecitudine per i nostri beni, più che per i nostri fratelli.

    Diamo prova di maggior sollecitudine nel preoccuparci dell’erba che marcisce e dei vestiti che si consumano che non delle anime e dei corpi degli uomini plasmati a immagine di Dio, come noi. E preferiamo lasciar perire i nostri beni piuttosto di offrirli amorevolmente, a nostro profitto e a loro salvezza. Se la nostra verdura marcisce e il nostro vestito si lacera, ci rattristiamo; ma per l’anima e il corpo dei nostri simili che muoiono nell’indigenza, non ci preoccupiamo di dare del superfluo così da salvare loro la vita.
    Noi diciamo d’essere gli amici di Cristo e i discepoli che lo imitano; ma mentre lui ama l’uomo noi odiamo gli uomini, siamo loro assassini. Non sarebbe forse un assassino colui che lascia il fratello gemere tribolato, quando potrebbe soccorrerlo?

    La mancanza di carità ci rende conformi a satana, omicida fin dal principio. Si, proprio a satana assomiglia colui che invece di traboccare d’affetto per il fratello, sprizza odio contro di lui, perché chiunque odia il proprio fratello è omicida (1 Gv 3,15), dice la Scrittura, e ha per padre il diavolo. Guardiamoci bene dal copiare satana; impegniamoci invece a fondo per assomigliare a Dio, come figli diletti. Amiamoci scambievolmente nella sincerità di un cuore puro, non soltanto come noi stessi, secondo il precetto antico, ma seguendo le orme di Cristo, cioè secondo il comandamento nuovo che gli è proprio. Vi do un comandamento nuovo (Gv 13,34), egli dice. Qual è, Signore, il tuo comandamento? Che vi amiate gli uni gli altri. Ma quale caratteristica colora di novità questo precetto? Amatevi gIi uni gli altri come io vi ho amato. Signore, insegnaci ancora in che modo arriva a pienezza questa grande carità che non ha eguali, nel dare la vita per i propri amici.

  8. #8
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    BENEDETTO XVI

    UDIENZA GENERALE


    Piazza San Pietro
    Mercoledì, 18 ottobre 2006

    Giuda Iscariota e Mattia

    Cari fratelli e sorelle,
    terminando oggi di percorrere la galleria dei ritratti degli Apostoli chiamati direttamente da Gesù durante la sua vita terrena, non possiamo omettere di menzionare colui che è sempre nominato per ultimo nelle liste dei Dodici: Giuda Iscariota. A lui vogliamo qui associare la persona che venne poi eletta in sua sostituzione, cioè Mattia.

    Già il semplice nome di Giuda suscita tra i cristiani un’istintiva reazione di riprovazione e di condanna. Il significato dell’appellativo “Iscariota” è controverso: la spiegazione più seguita lo intende come “uomo di Keriot” con riferimento al suo villaggio di origine, situato nei pressi di Hebron e menzionato due volte nella Sacra Scrittura (cfr Gs 15,25; Am 2,2). Altri lo interpretano come variazione del termine “sicario”, come se alludesse ad un guerrigliero armato di pugnale detto in latino sica. Vi è, infine, chi vede nel soprannome la semplice trascrizione di una radice ebraico-aramaica significante: “colui che stava per consegnarlo”. Questa designazione si trova due volte nel IV Vangelo, cioè dopo una confessione di fede di Pietro (cfr Gv 6,71) e poi nel corso dell’unzione di Betania (cfr Gv 12,4). Altri passi mostrano che il tradimento era in corso, dicendo: “colui che lo tradiva”; così durante l’Ultima Cena, dopo l’annuncio del tradimento (cfr Mt 26,25) e poi al momento dell’arresto di Gesù (cfr Mt 26,46.48; Gv 18,2.5). Invece le liste dei Dodici ricordano il fatto del tradimento come ormai attuato: “Giuda Iscariota, colui che lo tradì”, così dice Marco (3,19); Matteo (10,4) e Luca (6,16) hanno formule equivalenti. Il tradimento in quanto tale è avvenuto in due momenti: innanzitutto nella progettazione, quando Giuda s’accorda con i nemici di Gesù per trenta monete d'argento (cfr Mt 26,14-16), e poi nell’esecuzione con il bacio dato al Maestro nel Getsemani (cfr Mt 26,46-50). In ogni caso, gli evangelisti insistono sulla qualità di apostolo, che a Giuda competeva a tutti gli effetti: egli è ripetutamente detto “uno dei Dodici” (Mt 26,14.47; Mc 14,10.20; Gv 6,71) o “del numero dei Dodici” (Lc 22,3). Anzi, per due volte Gesù, rivolgendosi agli Apostoli e parlando proprio di lui, lo indica come “uno di voi” (Mt 26,21; Mc 14,18; Gv 6,70; 13,21). E Pietro dirà di Giuda che “era del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero” (At 1,17).

    Si tratta dunque di una figura appartenente al gruppo di coloro che Gesù si era scelti come stretti compagni e collaboratori. Ciò suscita due domande nel tentativo di dare una spiegazione ai fatti accaduti. La prima consiste nel chiederci come mai Gesù abbia scelto quest’uomo e gli abbia dato fiducia. Oltre tutto, infatti, benché Giuda fosse di fatto l’economo del gruppo (cfr Gv 12,6b; 13,29a), in realtà è qualificato anche come “ladro” (Gv 12,6a). Il mistero della scelta rimane, tanto più che Gesù pronuncia un giudizio molto severo su di lui: “Guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito!” (Mt 26,24). Ancora di più si infittisce il mistero circa la sua sorte eterna, sapendo che Giuda “si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente»” (Mt 27,3-4). Benché egli si sia poi allontanato per andare a impiccarsi (cfr Mt 27,5), non spetta a noi misurare il suo gesto, sostituendoci a Dio infinitamente misericordioso e giusto.

    Una seconda domanda riguarda il motivo del comportamento di Giuda: perché egli tradì Gesù? La questione è oggetto di varie ipotesi. Alcuni ricorrono al fattore della sua cupidigia di danaro; altri sostengono una spiegazione di ordine messianico: Giuda sarebbe stato deluso nel vedere che Gesù non inseriva nel suo programma la liberazione politico-militare del proprio Paese. In realtà, i testi evangelici insistono su un altro aspetto: Giovanni dice espressamente che “il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo” (Gv 13,2); analogamente scrive Luca: “Allora satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era nel numero dei Dodici” (Lc 22,3). In questo modo, si va oltre le motivazioni storiche e si spiega la vicenda in base alla responsabilità personale di Giuda, il quale cedette miseramente ad una tentazione del Maligno. Il tradimento di Giuda rimane, in ogni caso, un mistero. Gesù lo ha trattato da amico (cfr Mt 26,50), però, nei suoi inviti a seguirlo sulla via delle beatitudini, non forzava le volontà né le premuniva dalle tentazioni di Satana, rispettando la libertà umana.

    In effetti, le possibilità di perversione del cuore umano sono davvero molte. L'unico modo di ovviare ad esse consiste nel non coltivare una visione delle cose soltanto individualistica, autonoma, ma al contrario nel mettersi sempre di nuovo dalla parte di Gesù, assumendo il suo punto di vista. Dobbiamo cercare, giorno per giorno, di fare piena comunione con Lui. Ricordiamoci che anche Pietro voleva opporsi a lui e a ciò che lo aspettava a Gerusalemme, ma ne ricevette un rimprovero fortissimo: “Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,32-33)! Pietro, dopo la sua caduta, si è pentito ed ha trovato perdono e grazia. Anche Giuda si è pentito, ma il suo pentimento è degenerato in disperazione e così è divenuto autodistruzione. E’ per noi un invito a tener sempre presente quanto dice san Benedetto alla fine del fondamentale capitolo V della sua “Regola”: “Non disperare mai della misericordia divina”. In realtà Dio “è più grande del nostro cuore”, come dice san Giovanni (1 Gv 3,20). Teniamo quindi presenti due cose. La prima: Gesù rispetta la nostra libertà. La seconda: Gesù aspetta la nostra disponibilità al pentimento ed alla conversione; è ricco di misericordia e di perdono. Del resto, quando, pensiamo al ruolo negativo svolto da Giuda dobbiamo inserirlo nella superiore conduzione degli eventi da parte di Dio. Il suo tradimento ha condotto alla morte di Gesù, il quale trasformò questo tremendo supplizio in spazio di amore salvifico e in consegna di sé al Padre (cfr Gal 2,20; Ef 5,2.25). Il Verbo “tradire” è la versione di una parola greca che significa “consegnare”. Talvolta il suo soggetto è addirittura Dio in persona: è stato lui che per amore “consegnò” Gesù per tutti noi (cfr Rm 8,32). Nel suo misterioso progetto salvifico, Dio assume il gesto inescusabile di Giuda come occasione del dono totale del Figlio per la redenzione del mondo.

    A conclusione, vogliamo anche ricordare colui che dopo la Pasqua venne eletto al posto del traditore. Nella Chiesa di Gerusalemme furono due ad essere proposti dalla comunità e poi tirati a sorte: “Giuseppe detto Barsabba, soprannominato Giusto, e Mattia” (At l,23). Proprio quest’ultimo fu il prescelto, così che “fu associato agli undici Apostoli” (At 1,26). Di lui non sappiamo altro, se non che anch’egli era stato testimone di tutta la vicenda terrena di Gesù (cfr At 1,21-22), rimanendo a Lui fedele fino in fondo. Alla grandezza di questa sua fedeltà si aggiunse poi la chiamata divina a prendere il posto di Giuda, quasi compensando il suo tradimento. Ricaviamo da qui un’ultima lezione: anche se nella Chiesa non mancano cristiani indegni e traditori, spetta a ciascuno di noi controbilanciare il male da essi compiuto con la nostra limpida testimonianza a Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore.

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    St. Matthias

    Apostle.

    The Greek Matthias (or, in some manuscripts, Maththias), is a name derived from Mattathias, Hebrew Mattithiah, signifying "gift of Yahweh." Matthias was one of the seventy disciples of Jesus, and had been with Him from His baptism by John to the Ascension (Acts 1:21-22). It is related (Acts 1:15-26) that in the days following the Ascension, Peter proposed to the assembled brethren, who numbered one hundred and twenty, that they choose one to fill the place of the traitor Judas in the Apostolate. Two disciples, Joseph, called Barsabas, and Matthias were selected, and lots were drawn, with the result in favour of Matthias, who thus became associated with the eleven Apostles. Zeller has declared this narrative unhistoric, on the plea that the Apostles were in Galilee after the death of Jesus. As a matter of fact they did return to Galilee, but the Acts of the Apostles clearly state that about the feast of Pentecost they went back to Jerusalem.

    All further information concerning the life and death of Matthias is vague and contradictory. According to Nicephorus (Hist. eccl., 2, 40), he first preached the Gospel in Judea, then in Ethiopia (that is to say, Colchis) and was crucified. The Synopsis of Dorotheus contains this tradition: Matthias in interiore Æthiopia, ubi Hyssus maris portus et Phasis fluvius est, hominibus barbaris et carnivoris praedicavit Evangelium. Mortuus est autem in Sebastopoli, ibique prope templum Solis sepultus (Matthias preached the Gospel to barbarians and cannibals in the interior of Ethiopia, at the harbour of the sea of Hyssus, at the mouth of the river Phasis. He died at Sebastopolis, and was buried there, near the Temple of the Sun). Still another tradition maintains that Matthias was stoned at Jerusalem by the Jews, and then beheaded (cf. Tillemont, "Mémoires pour servir à l'histoire eccl. des six premiers siècles", I, 406-7). It is said that St. Helena brought the relics of St. Matthias to Rome, and that a portion of them was at Trier. Bollandus (Acta SS., May, III) doubts if the relics that are in Rome are not rather those of the St. Matthias who was Bishop of Jerusalem about the year 120, and whose history would seem to have been confounded with that of the Apostle. The Latin Church celebrates the feast of St. Matthias on 24 February and the Greek Church on 9 August [Note: After this article was written, the Latin Church moved the feast of St. Matthias to 14 May].

    Clement of Alexandria (Strom., III, 4) records a sentence that the Nicolaitans ascribe to Matthias: "we must combat our flesh, set no value upon it, and concede to it nothing that can flatter it, but rather increase the growth of our soul by faith and knowledge". This teaching was probably found in the Gospel of Matthias which was mentioned by Origen (Hom. i in Lucam); by Eusebius (Hist. eccl., III, 25), who attributes it to heretics; by St. Jerome (Praef. in Matth.), and in the Decree of Gelasius (VI, 8) which declares it apocryphal. It is at the end of the list of the Codex Barrocciamus (206). This Gospel is probably the document whence Clement of Alexandria quoted several passages, saying that they were borrowed from the traditions of Matthias, Paradoseis, the testimony of which he claimed to have been invoked by the heretics Valentinus, Marcion, and Basilides (Strom., VII, 17). According to the Philosophoumena, VII, 20, Basilides quoted apocryphal discourses, which he attributed to Matthias. These three writings: the gospel, the Traditions, and the Apocryphal Discourses were identified by Zahn (Gesch. des N. T. Kanon, II, 751), but Harnack (Chron. der altchrist. Litteratur, 597) denies this identification. Tischendorf ("Acta apostolorum apocrypha", Leipzig, 1851) published after Thilo, 1846, "Acta Andreae et Matthiae in urbe anthropophagarum", which, according to Lipsius, belonged to the middle of the second century. This apocrypha relates that Matthias went among the cannibals and, being cast into prison, was delivered by Andrew. Needless to say, the entire narrative is without historical value. Moreover, it should be remembered that, in the apocryphal writings, Matthew and Matthias have sometimes been confounded.

    Fonte: The Catholic Encyclopedia, vol. X, 1911, New York

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    Lightbulb Re: 24 febbraio (14 maggio) - S. Mattia, Apostolo

    24 febbraio 2017: VENERDÌ DI SESSAGESIMA, SAN MATTIA APOSTOLO…





    http://www.sodalitium.biz/san-mattia/
    “24 febbraio, San Mattia Apostolo.
    “In Giudea il natale di san Mattia Apostolo, il quale, dopo l’Ascen- sione del Signore, eletto a sorte dagli Apostoli in luogo di Giuda il traditore, fu martirizzato per la predicazione del Vangelo”.
    O Dio, che hai voluto aggregare san Mattia al collegio degli Apostoli,
    per sua intercessione concedi a noi, che abbiamo ricevuto in sorte la tua amicizia, di essere contati nel numero degli eletti.”









    Carlo Di Pietro - Sursum Corda
    Preghiera al Santo del giorno.
    In nómine Patris
    et Fílii
    et Spíritus Sancti.
    Eterno Padre, intendo onorare i moltissimi santi Martiri e Confessori e sante Vergini, e Vi rendo grazie per tutte le grazie che Voi avete loro elargito. Vi prego di accrescere la grazia nella mia anima per i meriti di questi santi Martiri, Confessori e Vergini, ed a loro affido la fine della mia vita tramite questa speciale preghiera, così che per virtù della Vostra bontà e promessa, i moltissimi santi Martiri e Confessori e sante Vergini possano essere miei avvocati e provvedere tutto ciò che è necessario in quell'ora. Così sia.
    #sdgcdpr













    Radio Spada

    "Radio Spada è un sito di controinformazione cattolico http://www.radiospada.org e una casa editrice http://www.edizioniradiospada.com"

    “24 FEBBRAIO 2017 SAN MATTIA, APOSTOLO.
    Un novello Apostolo.
    Un Apostolo di Gesù Cristo, San Mattia, viene con la sua presenza a completare il coro dei Beati che la Chiesa invita ad onorare in questa stagione liturgica.
    Mattia fu ben presto alla sequela di Gesù, divenne testimone di tutte le sue opere fino al giorno dell'Ascensione. Era del gruppo dei discepoli, non degli Apostoli; ma era destinato a tale gloria; di lui infatti parlava David, quando profetizzò che un altro avrebbe preso l'Episcopato lasciato vacante dalla prevaricazione di Giuda traditore (Sal 108). Nell'intervallo di tempo che passò fra l'Ascensione di Gesù e la discesa dello Spirito Santo, il Collegio Apostolico provvide alla sua elezione, affinché il numero dei dodici stabilito da Cristo fosse al completo il giorno in cui la Chiesa, ricevendo lo Spirito Santo, doveva presentarsi alla Sinagoga. Il novello Apostolo prese parte a tutte le tribolazioni dei fratelli in Gerusalemme; e quando giunse il momento della dispersione degl'inviati di Cristo, si diresse verso le province che gli erano state affidate da evangelizzare.
    L'insegnamento dell'Apostolo.
    Le gesta di san Mattia, i suoi travagli e le sue prove sono rimaste ignorate. Ci furono solo conservati alcuni punti della sua dottrina negli scritti di Clemente Alessandrino. Fra l'altro troviamo una sen­tenza, che ci faremo un dovere di citare qui, perché è in rapporto ai sentimenti che la Chiesa ci vuole ispirare in questo santo tempo.
    "È necessario, diceva san Mattia, combattere la carne, e non lusingarla con ree soddisfazioni; quanto all'anima, dobbiamo farla crescere mediante la fede e la conoscenza" (Stromata, l. 3, c. 4).
    Infatti, rotto nell'uomo l'equilibrio per il peccato, ed inclinando i suoi sensi al basso non abbiamo altra maniera di restaurare in noi l'immagine di Dio, che costringendo il corpo a subire violentemente il giogo dello spirito. Lo stesso nostro spirito ferito spiritualmente dalla colpa di origine, è trascinato su una china pericolosa verso le tenebre. Soltanto la fede lo può scampare, umiliandolo; e la ricompensa della fede è la conoscenza. È in sintesi, tutta la dottrina che la Chiesa si sforza in questi giorni di farci comprendere e praticare. Glorifichiamo colui che così ci rischiara e ci fortifica.
    La stessa tradizione che ci offre una tenue traccia della carriera apostolica di san Mattia, ci fa noto che le sue fatiche furono coronate dalla palma del martirio, senza però precisare se ciò avvenne in Etiopia o nella Giudea.
    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 826-827.”










    “24 FEBBRAIO 2017: VENERDÌ DI SESSAGESIMA.

    L' Arca della salvezza.
    Dopo aver castigato la terra col diluvio, il Signore volle mantenere fedelmente le sue promesse. Aveva proclamata la disfatta del serpente; ma per il genere umano non era ancora giunta l'ora: Dio lo conserverà in vita fino a quando non s'adempirà la sua promessa. L'Arca accolse il giusto Noè e la sua famiglia, e se le acque vendicatrici si innalzavano sulle più alte montagne, la leggera ma sicura dimora alla quale erano affidati, navigava tranquillamente senza mai naufragare. Poi, quando a Dio piacque, i suoi abitanti discesero sulla terra purificata e di nuovo udirono dalla bocca del Signore le parole rivolte ai progenitori: "Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra!".
    La Chiesa.
    Il genere umano è debitore all'Arca di Noè, come alla nave della sua salvezza e della sua conservazione: in essa Dio salvò tutti noi. Che sia benedetta! Il Signore stesso ne aveva spiegato il disegno e ordinata la costruzione, e per quanto fossero rabbiose le piogge della collera divina che si rovesciarono contro di essa, mai vi poterono penetrare. Ma se dobbiamo tanto rispetto a questo misero legno (Sap 10,4), quale non dovrà essere il nostro amore per la novella Arca, la Chiesa, di cui la prima fu la figura? È da diciannove secoli ch'essa ci salva e ci guida a Dio. Fuori di essa non c'è salvezza, e in essa troviamo la verità (Gv 8,32), la grazia e il nutrimento delle anime.
    Arca santa, siete abitata non da una sola famiglia, ma da cittadini di ogni nazione che sta sotto il ciclo; ondeggiate fra le tempeste dal giorno che il Signore vi lanciò nel mare di questo mondo, senza naufragare giammai. Sappiamo che approderete all'eternità, senza che nessuna burrasca sorprenda la previdenza del divino Nocchiero. Fondata per gli eletti, per mezzo vostro si ripopola la terra di viventi; per riguardo a voi "quando Dio è sdegnato contro gli uomini, si ricorda della sua misericordia" (Ab 3,2) e per mezzo vostro ha fatto alleanza con noi.
    O sicurissimo asilo, custoditeci sani e salvi nell'imperversare del diluvio. Il giorno che un Impero terreno, ebbro del sangue dei Martiri (Ap 17,6), scompariva nel vortice delle invasioni barbariche, il popolo cristiano marciava sicuro ai vostri fianchi materni. Lentamente quel torrente di lava cessò, e la generazione a voi affidata, vinta secondo la carne, divenne poi vittoriosa nello spirito. S'umiliò il barbaro, e altri popoli avendo come prima loro legge il Vangelo, iniziarono, sulle rovine del corrotto impero pagano, una nuova splendidissima era.
    Venne in seguito l'inondazione dei Saraceni a sommergere l'Oriente, e ne fu minacciata anche l'Europa, che sarebbe stata invasa se i figli da voi salvati non avessero col loro valore ricacciate indietro le orde di quei barbari. Nel vostro seno, o vera Arca tutelare, si rifugiarono i cristiani superstiti. Fra gli scandali e l'abbrutimento, nel cui vortice scismi ed eresie inghiottirono moltissimi loro fratelli, essi custodirono fedelmente il sacro fuoco. Sotto il riparo che offriste loro, formarono la catena non interrotta dei testimoni della verità. Finalmente l'ora della misericordia farà sorgere tempi più sereni, e nuovi Sem si moltiplicheranno ancora sulla terra, un tempo così feconda di gloriosi frutti di santità.
    E noi, o Chiesa, come ci sentiamo fortunati e sicuri, portati da voi, contro i flutti dell'oceano dell'anarchia spirituale, scatenata dai peccati del mondo! Perciò supplichiamo il Signore che dica al mare furibondo: "Verrai fin qui e non oltre, e frangerai gli orgogliosi tuoi flutti" (Gb 38,11). Che se la divina giustizia tollera per qualche tempo il suo prevalere, noi siamo ugualmente sicuri di scampare al flagello. In voi, o Chiesa, troviamo i veri beni, quelli spirituali "che i ladri non possono rubare" (Mt 6,20); la sola vera vita è quella che voi date; in voi è l'unica vera nostra patria. Deh! custoditeci, Arca di Cristo: noi saremo sempre con voi, insieme a tutti quelli che amiamo, "finché non siano passate le acque dell'iniquità"! (Sal 56,2).
    Quando la terra riceverà di nuovo il seme della divina Parola, coloro che non avranno ancora approdato alle rive eterne, ne discenderanno per tramandare ad ogni creatura umana le sante massime dell'autorità e della legge, della famiglia e dell'intera società. Spetta a voi custodirli ed istruirli fino alla fine dei secoli.
    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 448-449.”








    "24 febbraio 1208: dopo aver ascolato il Vangelo di Matteo, Francesco d'Assisi sente la vocazione ed inizia la sua predicazione. [809 anni fa]"












    “24 FEBBRAIO: SAN MATTIA APOSTOLO.”
    Guéranger, L'anno liturgico - 24 febbraio. San Mattia, Apostolo
    http://www.unavoce-ve.it/pg-24feb.htm

    http://www.unavoce-ve.it/pg-sess-ven.htm
    "VENERDÌ DI SESSAGESIMA"







    Ligue Saint Amédée
    "Intransigeants sur la doctrine ; charitables dans l'évangélisation [Non Una Cum]."
    www.SaintAmedee.ch/
    “24 Février : Saint Mathias, Apôtre.”










    Luca,
    Sursum Corda!


    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

    SURSUM CORDA - HABEMUS AD DOMINUM!!! A.M.D.G.!!!

 

 
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