Dunque, ad un mese dal referendum francese, ancora un'elezione a "sorpresa".
Un'elezione che indispettisce oltremodo gli USA, che ridicolizza gli analisti occidentali in genere, che mostra quali controspinte abbia messo in moto il progetto imperiale di Washington.
Dovremo analizzare con calma il tutto.
Una cosa, però, va detta subito: si è trattato di un voto netto ed inequivocabile che il "politicamente corretto" occidentale, ubriacatosi delle sue categorie post-89, non riesce neppure più a comprendere.

Il fenomeno è interessante ed illuminante e riguarda l'analisi e il linguaggio.
Sconfitti fin dal primo turno i cosiddetti "riformisti", in realtà i settori filoccidentali ed ultracapitalisti (eccoci alla neolingua imperiale), i commentatori di casa nostra erano convinti della vittoria di Rafsanjani grazie alla confluenza dei loro amici di cui sopra con la rete di potere e corruttela di quest'ultimo.
In realtà, lo "Squalo" ha ottenuto soltanto il 35% dei voti in un ballottaggio al quale ha partecipato un notevole 60% (solo 3 punti meno del primo turno, a conferma che quella confluenza c'è veramente stata). Gli amici dell'occidente cioè non si sono affatto astenuti come vorrebbero far credere i soliti opinion maker americani ed europei.
Il fatto è che il loro peso si è rivelato del tutto inadeguato.
Il voto che ha decretato la vittoria di Ahmadinejad è stato certamente un voto popolare e di classe; un voto degli strati più poveri della popolazione.

Ci illuderemmo se pensassimo che questo dato ben poco opinabile trovasse qualche riscontro a sinistra.
Il "politicamente corretto", lo sappiamo, è potente e bipartisan e nei momenti decisivi non ammette smagliature.
Ecco perché possiamo parlare di linguaggio imperiale.
La lettura dei giornali di questa mattina ce ne offre un riscontro esemplare.
Di Ahmadinejad si possono dire molte cose, ma è certo che ha messo al centro la questione sociale (e per questo viene etichetatto, guarda un pò, come "assistenzialista"), ha posto il problema della lotta alla corruzione e di un uso sociale del profitto petrolifero (non avvertite qualche assonanza con Chavez?). Sono questi punti di un programma conservatore?
Per una volta tanto lasciamo parlare una autorevole voce americana, quella di Anthony Zinni, ex capo del Centcom (Comando USA in Medio Oriente e nel Golfo): "Non credevo che Rafsanjani, un leader relativamente moderato, perdesse. E' vero che Ahmadinejad ha vinto non grazie all'ideologia ma grazie alla promessa di redistribuire qualche ricchezza ai poveri. Ma propugna la dottrina della rivoluzione".

Ma come titolano i giornali di questa mattina?
Se per tutti hanno vinto i "Falchi" (Corriere della Sera), gli "Oltranzisti" (La Stampa), gli "Integralisti" (Il Giornale); più interessante è l'omogeneità l'inguistica di tutti i quotidiani del centrosinistra riassumibile nella parola "conservazione".
Inizia, e da la linea, la Repubblica con un: "Iran agli ultraconservatori, choc negli Usa".
Prosegue l'Unità che dopo il titolo "Voto in Iran, un pericoloso salto nel buio", sottotila: "Il paese è totalmente controllato dalle forze più conservatrici".
Sulla stessa linea il Manifesto che, dopo il gioco di parole "Persiane chiuse", sottotitola così: "Svolta in Iran. A sorpresa vince le elezioni presidenziali il conservatore Ahmadinejad".
Completamente allineata Liberazione, con questo l'occhiello: "Alle presidenziali vince l'ultraconservatore Ahmadinejad".

Insomma, è evidente che nei momenti decisivi il linguaggio imperiale unifica la sinistra.
Ma è proprio questa totale mancanza di autonomia dall'imperialismo Usa il carattere più profondo della sinistra dei giorni nostri, naturalmente insieme alla perdita di ogni capacità di analisi critica della realtà.
Ed anche questo, dalla Francia all'Iran, è sempre più evidente.

Antiamericanista