Da Il Manifesto, 18 ottobre 2005
Chavez a Roma, come Bolivar
Domenica notte a Montesacro: «Cristo il primo antimperialista»
GERALDINA COLOTTI
ROMA
Non ci sarà la conferenza stampa del presidente venezuelano Hugo Chávez Frías, prevista per oggi alle 14, a causa del moltiplicarsi degli impegni «politici e imprenditoriali», dicono all'ambasciata. Mantenuti, invece, gli incontri «per rafforzare i legami commerciali e industriali»: quello di domattina con il sottosegretario Giuseppe Galati (ore 10, Hotel Parco dei Principi) a cui saranno presenti anche i rappresentanti di aziende italiane e delle cooperative, e la visita a Ciampi. Ai venezuelani e ai romani accorsi numerosi, resterà l'incontro avvenuto domenica sulle colline di Montesacro. Un incontro poco formale, a dispetto dei controlli e del previsto protocollo. Ai piedi del monumento a Simon Bolivar, inaugurato il 15 agosto scorso in memoria del giuramento che il libertador proferì duecento anni fa proprio a Montesacro, c'erano alti gradi dell'esercito, ambasciatori e un cardinale (per l'Italia, solo il presidente del municipio, Benvenuto Salducco). Ma, forse per via dell'atmosfera da cinema all'aperto e delle ore d'attesa sotto i raggi di una luna magnifica, i militari bolivariani cedevano volentieri le poche sedie disponibili alle signore del pubblico, i dirigenti cubani chiacchieravano con i numerosi giovani presenti, e il ministro Cirilo Salazar, dell'ambasciata, scherzava al microfono per ingannare la lunga attesa.
Attesa che non è andata delusa, però, dal discorso di un Chávez capace di spendersi senza riserve, e di interloquire col pubblico prodigo di slogan internazionalisti. Hugo Chávez ha parlato del presente partendo dalla storia: quella del libertador e del suo sogno di un Latinoamerica indipendente e unito, già allora contrastato con mille imbrogli dalla tracotanza di un «imperialismo che ha impedito ogni tentativo di governo progressista nella regione». Cultura, pace, ecologia, hanno costituito il perno del suo discorso: «Il modello capitalista che possiede il mondo - ha detto il presidente - sta minacciando l'ecosistema e il futuro dei nostri figli». Gli uragani che hanno colpito anche le zone povere degli Stati uniti «ne sono un rumoroso presagio». L'alternativa? E' fra «socialismo e barbarie». Ma quale socialismo? Quello di Marx e Rosa Luxemburg che richiama il messaggio del «Cristo originario», primo «martire antimperialista». Al Cristo che dice: «non si viene alla luce quando si nasce, ma quando quella luce la si diffonde agli altri», a questo «cristianesimo sociale» - ha assicurato Hugo Chávez - «crede anche Fidel».
E infine, l'annuncio: per suggellare la collaborazione con l'Italia e con il quartiere di Montesacro, dove Bolivar si è trasformato «da libertino a libertador», sulla collina sorgerà un «luogo di lavoro e di studio comune ai due paesi», e lì risiederà anche l'ambasciatore. Un luogo che dia spazio alle forze interessate alla «necessaria trasformazione del nuovo secolo».
Ma, prima che il presidente venga accompagnato alla macchina dal coro di: «Chávez, amigo, l'Italia está contigo», c'è ancora spazio per rispondere ai ragazzi che premono per dare al «comandante» un volantino, una rivista, o per proporre un progetto «importante». Anche un piccoletto si fa spazio tra i marcantoni del servizio d'ordine e si avvicina al presidente: «El pescador!», sorride l'ambasciatore Rodrigo Chaves. E l'uomo, Francesco Maria Primerano, fondatore di una cooperativa di pescatori e pescivendoli, Maremar per..., tira fuori il passamontagna arcobaleno dei disobbedienti e se lo infila. «Cos'è?», chiede Chávez. «Il simbolo dei senza-volto, presidente, il simbolo di tutti noi», risponde el pescador. «Allora proviamolo», dice Chávez, e fa per indossarlo.
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E a Milano, petrolio e movimenti
Chavez ospite di Moratti, vede Berlusconi, poi bagno di folla noglobal
MANUELA CARTOSIO
MILANO
La mezza giornata milanese di Hugo Chavez è cominciata allo stadio San Siro deserto ed è finita alla Camera del lavoro dove in migliaia sono accorsi a dare il benvenuto al leader della «revolucion bonita». Assemblea all'aperto, organizzata dai «movimenti» altermondialisti: Chavez in cima allo scalone, la gente assiepata fin sulla strada, bandiere giallo-rosso-blu, la comunità venezuelana-meneghina al gran completo. Tra i tanti venuti a rendere omaggio a Hugo c'era anche Dario Fo. Accolto al canto di «Bella ciao», il presidente aveva il fazzoletto rosso, «da manifestazione». Ha parlato in spagnolo, senza traduzione. «Dobbiamo salvare il mondo...». «Come l'iguana che appena cade si mette a correre», il presidente della repubblica bolivariana ha attraversato di gran carriera la Milano sociale e, soprattutto, degli affari.
Al Meazza, a porte chiuse, ha dato il calcio d'avvio all'amichevole Inter-Venezuela (0-1, gol di Maldonando per la nazionale vinotinto). «L'Inter è una squadra con una forte tradizione sociale, da sempre in sintonia con i popoli alla ricerca di un mondo migliore. Per questo sono qui», ha detto Chavez. «In tribuna non abbiamo parlato di petrolio, la partita ha solo un valore sociale. Siamo onorati dell'amicizia del presidente Chavez, un uomo che ha grande sensibilità nei confronti dei paesi poveri e questo ci rende amici», ha tenuto a precisare Massimo Moratti, presidente dei nerazzurri e della Saras, la società petrolifera di famiglia. E crediamogli.
Di petrolio si è sicuramente parlato più tardi alla Camera di commercio, nell'incontro - pure questo a porte chiuse - tra Chavez e Berlusconi. La presenza dell'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni, e di quello dell'Enel, Fulvio Conti, confermano qual è la potente molla che ha spinto il cavaliere a incontrare uno dei nemici del suo amico Bush (un altro petroliere, per inciso).
Prima d'incontrare Berlusconi, il presidente del Venezuela era intervenuto alla seconda conferenza nazionale sull'America latina. Scenario palazzo Mezzanotte, sede della Borsa, pubblico misto dalle ong alla business community. Scattato all'unisono in un forte applauso quando l'estroverso rivoluzionario populista-bolivariano è arrivato al dunque, cioé al petrolio. Chavez, doppiopetto blu e cravatta aragosta, prima ha quantificato le ricchezze energetiche del Venezuela: 350 miliardi di barili di greggio, la più grande riserva mondiale, contro i miseri 20 miliardi di barili della riserva Usa; 130 trilioni di metri cubi di gas che danno al Venezuela le ottave riserve mondiali. Poi ha assicurato che tutto questo ben di dio il Venezuela intende «condividerlo». Con i paesi del Mercosur, innanzi tutto. Ma c'è posto anche per Cina, India e per l'Europa (e qui è partito l'applauso). Non per gli Stati uniti: «il Venezuela non è più una colonia petrolifera di Washington», non intende più «regalare il suo petrolio a «un impero più forte di quello romano», che «minaccia» il mondo intero e con cui «non c'è possibilità di discutere».
Dall'impero a stelle e strisce, sostiene Chavez, i paesi dell'America latina si sono emancipati conquistando «l'indipendenza politica». Resta da conquistare «l'indipendenza economica». Se ci riusciranno, il ventunesimo secolo sarà «il secolo dell'America latina». Chavez ha rivendicato a se stesso il merito di aver stoppato l'Alca, l'Accordo di libero scambio made in Usa «un accordo che avrebbe danneggiato anche l'Europa».