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    UNA VOLTA PER TUTTE: SI BUTTI VIA LA CHIAVE!

    di Fabrizio Taranto

    Presidente Nazionale di Patria e Tradizione - Destra per l’Italia


    Chi uccide un bambino non merita di vivere!

    E’ un’affermazione forte, ma in linea con quella che una volta si sarebbe definita la "natura" delle cose. E "contro natura" sarebbe infatti non indignarsi, non pensare di reagire ferocemente ed altrettanto ferocemente proporsi di punire coloro dei quali persino i reclusi, dall’interno delle mura del carcere di Parma, hanno fatto sapere di non essere disposti a tollerare neppure l’esistenza.

    Potrà quindi sembrare strano che non ci si unisca al coro di quanti invocano in queste ore per gli assassini di Tommaso la pena di morte.

    Non ci sentiamo di farlo - pur essendo ben lontani dalla platea di quanti si scandalizzano al cospetto della pena capitale – in un momento in cui tutto sembra terreno di strumentalizzazione politica ed elettorale, al di là e al di fuori delle intime convinzioni morali, politiche e religiose di ciascuno.

    Non riteniamo giusto tentare di gabbare chicchessia, tanto più nell’ora del dolore e della rabbia più profondi. Perchè proporre la pena di morte, in questa Italia e nell’epoca in cui viviamo, vuole dire anche, al di là della facilità con cui tentare di cavalcare la sacrosanta indignazione della Nazione, saper spiegare e chiarire che tale scelta si coniuga ad una radicale riforma di leggi ordinarie e della Costituzione, ma soprattutto che porrebbe l’Italia al di fuori di convenzioni e trattati che non tollerano la presenza della massima pena negli ordinamenti giudiziari dei Paesi membri.

    Non si sta forse a gran voce chiedendo, ad esempio, alla stessa Turchia di rinunciare alla permanenza della pena di morte all’interno della propria legislazione, quale condizione per l’entrata della stessa nella Comunità Europea?

    Sono disposti gli odierni sostenitori della pena capitale a spiegare all’Italia tutto questo? E siamo convinti che i nostri connazionali auspichino davvero ciò che queste scelte rappresentano?

    La peggiore delle speculazioni sarebbe infatti indulgere oggi in affermazioni "ad effetto", idonee a raccogliere – e a sfruttare - la giusta rabbia popolare, ma inapplicabili almeno nell’immediato.

    E’ piuttosto giunto il momento di dare risposte ferme ed inesorabili alla sete di giustizia di una Nazione troppo spesso abituata ad assistere alle forme di delinquenza più disparate e puntualmente impunite o quasi: un Paese veramente stanco di una legislazione infarcita di "sconti di pena" e "di buone condotte", di "premi" e di "permessi" che riportano troppo spesso "in circolazione" finti redenti e pericolosi delinquenti tutt’altro che reinseriti nelle regole di una civile convivenza.

    Prima di parlare di nuove "pene di morte", assicuriamo piuttosto la certezza della pena che già c’è, irrobustiamone la capacità afflittiva – e con essa inevitabilmente quella di prevenzione e dissuasione -, trasformiamo la permanenza carceraria di chi si è reso protagonista di efferati delitti da un soggiorno a spese dello Stato in un continuo e reale risarcimento della Comunità attraverso un lavoro coatto, duro, quotidiano, che abbia per durata lo spazio di tutta la vita residua.

    Si tragga da questa tragica esperienza la forza per fare proposte serie nelle quali la gente possa credere: si chiuda, una volta per tutte, l’epoca delle leggi che vanno contro la certezza della pena in nome di un buonismo contro natura e di una mollezza che nulla ha a che vedere con la Giustizia.

    Si potrà allora dare finalmente adeguate e improcrastinabili risposte al timore di una società sempre più esposta alla protervia di chi può ben sperare nell’impunità del proprio delinquere, all’avvilimento di quanti rischiano quotidianamente la vita nella difesa dell’ordine per trovarsi a incrociare di lì a poco in libertà le medesime facce di quanti hanno arrestato il giorno prima, alla rabbia della gente onesta che, se non la morte, pretende almeno che di certe celle si butti, e per sempre, via la chiave!

  3. #3
    l'ultimo immortale
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    di Fabrizio Taranto

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    Chi uccide un bambino non merita di vivere!

    E’ un’affermazione forte, ma in linea con quella che una volta si sarebbe definita la "natura" delle cose. E "contro natura" sarebbe infatti non indignarsi, non pensare di reagire ferocemente ed altrettanto ferocemente proporsi di punire coloro dei quali persino i reclusi, dall’interno delle mura del carcere di Parma, hanno fatto sapere di non essere disposti a tollerare neppure l’esistenza.

    Potrà quindi sembrare strano che non ci si unisca al coro di quanti invocano in queste ore per gli assassini di Tommaso la pena di morte.

    Non ci sentiamo di farlo - pur essendo ben lontani dalla platea di quanti si scandalizzano al cospetto della pena capitale – in un momento in cui tutto sembra terreno di strumentalizzazione politica ed elettorale, al di là e al di fuori delle intime convinzioni morali, politiche e religiose di ciascuno.

    Non riteniamo giusto tentare di gabbare chicchessia, tanto più nell’ora del dolore e della rabbia più profondi. Perchè proporre la pena di morte, in questa Italia e nell’epoca in cui viviamo, vuole dire anche, al di là della facilità con cui tentare di cavalcare la sacrosanta indignazione della Nazione, saper spiegare e chiarire che tale scelta si coniuga ad una radicale riforma di leggi ordinarie e della Costituzione, ma soprattutto che porrebbe l’Italia al di fuori di convenzioni e trattati che non tollerano la presenza della massima pena negli ordinamenti giudiziari dei Paesi membri.

    Non si sta forse a gran voce chiedendo, ad esempio, alla stessa Turchia di rinunciare alla permanenza della pena di morte all’interno della propria legislazione, quale condizione per l’entrata della stessa nella Comunità Europea?

    Sono disposti gli odierni sostenitori della pena capitale a spiegare all’Italia tutto questo? E siamo convinti che i nostri connazionali auspichino davvero ciò che queste scelte rappresentano?

    La peggiore delle speculazioni sarebbe infatti indulgere oggi in affermazioni "ad effetto", idonee a raccogliere – e a sfruttare - la giusta rabbia popolare, ma inapplicabili almeno nell’immediato.

    E’ piuttosto giunto il momento di dare risposte ferme ed inesorabili alla sete di giustizia di una Nazione troppo spesso abituata ad assistere alle forme di delinquenza più disparate e puntualmente impunite o quasi: un Paese veramente stanco di una legislazione infarcita di "sconti di pena" e "di buone condotte", di "premi" e di "permessi" che riportano troppo spesso "in circolazione" finti redenti e pericolosi delinquenti tutt’altro che reinseriti nelle regole di una civile convivenza.

    Prima di parlare di nuove "pene di morte", assicuriamo piuttosto la certezza della pena che già c’è, irrobustiamone la capacità afflittiva – e con essa inevitabilmente quella di prevenzione e dissuasione -, trasformiamo la permanenza carceraria di chi si è reso protagonista di efferati delitti da un soggiorno a spese dello Stato in un continuo e reale risarcimento della Comunità attraverso un lavoro coatto, duro, quotidiano, che abbia per durata lo spazio di tutta la vita residua.

    Si tragga da questa tragica esperienza la forza per fare proposte serie nelle quali la gente possa credere: si chiuda, una volta per tutte, l’epoca delle leggi che vanno contro la certezza della pena in nome di un buonismo contro natura e di una mollezza che nulla ha a che vedere con la Giustizia.

    Si potrà allora dare finalmente adeguate e improcrastinabili risposte al timore di una società sempre più esposta alla protervia di chi può ben sperare nell’impunità del proprio delinquere, all’avvilimento di quanti rischiano quotidianamente la vita nella difesa dell’ordine per trovarsi a incrociare di lì a poco in libertà le medesime facce di quanti hanno arrestato il giorno prima, alla rabbia della gente onesta che, se non la morte, pretende almeno che di certe celle si butti, e per sempre, via la chiave!

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    E’ un’affermazione forte, ma in linea con quella che una volta si sarebbe definita la "natura" delle cose. E "contro natura" sarebbe infatti non indignarsi, non pensare di reagire ferocemente ed altrettanto ferocemente proporsi di punire coloro dei quali persino i reclusi, dall’interno delle mura del carcere di Parma, hanno fatto sapere di non essere disposti a tollerare neppure l’esistenza.

    Potrà quindi sembrare strano che non ci si unisca al coro di quanti invocano in queste ore per gli assassini di Tommaso la pena di morte.

    Non ci sentiamo di farlo - pur essendo ben lontani dalla platea di quanti si scandalizzano al cospetto della pena capitale – in un momento in cui tutto sembra terreno di strumentalizzazione politica ed elettorale, al di là e al di fuori delle intime convinzioni morali, politiche e religiose di ciascuno.

    Non riteniamo giusto tentare di gabbare chicchessia, tanto più nell’ora del dolore e della rabbia più profondi. Perchè proporre la pena di morte, in questa Italia e nell’epoca in cui viviamo, vuole dire anche, al di là della facilità con cui tentare di cavalcare la sacrosanta indignazione della Nazione, saper spiegare e chiarire che tale scelta si coniuga ad una radicale riforma di leggi ordinarie e della Costituzione, ma soprattutto che porrebbe l’Italia al di fuori di convenzioni e trattati che non tollerano la presenza della massima pena negli ordinamenti giudiziari dei Paesi membri.

    Non si sta forse a gran voce chiedendo, ad esempio, alla stessa Turchia di rinunciare alla permanenza della pena di morte all’interno della propria legislazione, quale condizione per l’entrata della stessa nella Comunità Europea?

    Sono disposti gli odierni sostenitori della pena capitale a spiegare all’Italia tutto questo? E siamo convinti che i nostri connazionali auspichino davvero ciò che queste scelte rappresentano?

    La peggiore delle speculazioni sarebbe infatti indulgere oggi in affermazioni "ad effetto", idonee a raccogliere – e a sfruttare - la giusta rabbia popolare, ma inapplicabili almeno nell’immediato.

    E’ piuttosto giunto il momento di dare risposte ferme ed inesorabili alla sete di giustizia di una Nazione troppo spesso abituata ad assistere alle forme di delinquenza più disparate e puntualmente impunite o quasi: un Paese veramente stanco di una legislazione infarcita di "sconti di pena" e "di buone condotte", di "premi" e di "permessi" che riportano troppo spesso "in circolazione" finti redenti e pericolosi delinquenti tutt’altro che reinseriti nelle regole di una civile convivenza.

    Prima di parlare di nuove "pene di morte", assicuriamo piuttosto la certezza della pena che già c’è, irrobustiamone la capacità afflittiva – e con essa inevitabilmente quella di prevenzione e dissuasione -, trasformiamo la permanenza carceraria di chi si è reso protagonista di efferati delitti da un soggiorno a spese dello Stato in un continuo e reale risarcimento della Comunità attraverso un lavoro coatto, duro, quotidiano, che abbia per durata lo spazio di tutta la vita residua.

    Si tragga da questa tragica esperienza la forza per fare proposte serie nelle quali la gente possa credere: si chiuda, una volta per tutte, l’epoca delle leggi che vanno contro la certezza della pena in nome di un buonismo contro natura e di una mollezza che nulla ha a che vedere con la Giustizia.

    Si potrà allora dare finalmente adeguate e improcrastinabili risposte al timore di una società sempre più esposta alla protervia di chi può ben sperare nell’impunità del proprio delinquere, all’avvilimento di quanti rischiano quotidianamente la vita nella difesa dell’ordine per trovarsi a incrociare di lì a poco in libertà le medesime facce di quanti hanno arrestato il giorno prima, alla rabbia della gente onesta che, se non la morte, pretende almeno che di certe celle si butti, e per sempre, via la chiave!

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