日本の哲学者:西田幾多郎
Cos'è la "Scuola di Kyoto"
La scuola di Kyoto, così chiamata perché i suoi esponenti ebbero cattedre di Filosofia all'università di Kyoto, può considerarsi la prima presenza del Giappone nella filosofia mondiale.
Il primo pensatore originale giapponese è considerato Kitaro Nishida. Egli fu il primo esponente di questa scuola.
L'elemento catalizzatore che convinse Nishida a mettersi sul cammino di una propria filosofia, si sviluppò durante i suoi dieci anni di meditazione sotto la guida di un maestro Zen, che gli assegnò il koan mu, "nulla". Praticò in maniera assidua, ottenendo la certificazione di Kensho nel 1903.
Nishida considerò fondamentale la sua esperienza di pratica Zen per i successivi studi filosofici. Egli si rese conto che la filosofia non può essere frutto di un lavoro meramente speculativo, ma deve radicare in quella che lui chiama "esperienza pura", o immediata. Se da un lato le idee filosofiche occidentali devono trovare riscontro nell'esperienza vissuta della tradizione giapponese, dall'altro l'esperienza della meditazione Bhuddista deve maturare e esprimersi con gli strumenti rigorosi del pensiero filosofico.
Nishida non lasciò mai il Giappone, cosa che fecero altri esponenti della scuola, come Tanabe, il quale studiò in Germania con Husserl, Cohen e Natorp, o Nishitani.
Studente di Nishida e Tanabe, Kenji Nishitani è considerato un altro grande esponente della scuola di Kyoto. Egli studiò approfonditamente Nietzche, il Cristianesimo nonché il Buddhismo Zen Rinzai e Soto.
Nonostante l'influenza e il ruolo che la scuola ebbe ed ha tuttora nel foro mondiale della filosofia, questi pensatori non stabilirono mai un contatto diretto con i filosofi contemporanei. Ma proprio a causa del relativo isolamento dei filosofi della scuola di Kyoto e della mancanza di una critica diretta da parte dei loro contemporanei stranieri, il loro pensiero fu sufficientemente libero di prendere direzioni nuove. Inoltre, la profonda differenza della lingua giapponese dalle radici linguistiche greche e latine delle lingue europee imposero la rivisitazione della lingua e la costituzione di un vocabolario di base che permettesse di accogliere concetti completamente nuovi e sconosciuti.