OMNIA SUNT COMMUNIA

Storie di Prima Linea

"Mucchio selvaggio", il nuovo discusso libro di Giuliano Boraso

di Emiliano Sbaraglia, Aprile on Line, n. 171 del 27 maggio 2006

Risorta come un’araba fenice, dopo mille difficoltà, dalle sue ceneri editoriali,
Castelvecchi ha ripreso con pieno vigore la peculiare attività di divulgatore di idee
contestate e contestabili, ma comunque necessarie per continuare a interrogarsi su
ciò che è stato e ciò che sarà della politica sociale e culturale di vecchi e nuovi
secoli. Rientra in questo nucleo di proposte anche Mucchio Selvaggio, Ascesa
apoteosi caduta dell’organizzazione Prima Linea (pp.277, 18), un libro che
ricostruisce la storia di Prima Linea, gruppo armato composto di giovani e
giovanissimi italiani, che a partire dal 1976 decidono di costituire la propria lotta
sulla base di un conflitto sociale teso a innalzare quello che all’epoca veniva
indicato come “il livello dello scontro”, nei confronti di un potere istituzionale in
quegli anni politicamente caratterizzato da confini temporali rappresentabili con le
elezioni del 20 giugno del 1976 (che certificano il proseguo della linea del
“compromesso storico” e la sconfitta della sigla extraparlamentare di “Democrazia
Proletaria”), e attraverso i famosi 55 giorni intercorsi tra il sequestro e l’omicidio
del leader democristiano Aldo Moro.
L’autore di questo volume, Giuliano Boraso, si impegna a seguire il percorso di una
formazione oscillante pericolosamente tra l’organizzazione combattente e la banda
armata, cercando di descriverne i motivi pubblici e privati che portano i militanti di
PL a una scelta così radicale. Militanti che ruotano in particolare intorno alla
periferia, che traggono linfa dall’hinterland milanese e dalla provincia torinese, e
che si estendono in breve tempo anche in altre città (Bologna e Roma su tutte);
ragazzi e ragazze protagonisti dell’irripetibile (per molteplici cause) Movimento del
’77, che dal ’77 in poi perdono anche le ultime speranze di riconciliazione con la
struttura di una società a loro imposta e passivamente subìta, in luogo di una
rivoluzione tutta prassi e azione istantanea e quasi totalmente istintiva, senza più
concedere spazio e scampo alla discussione teorica, sia essa ideologica o idealista.
Il libro si avvale di numerose testimonianze e documentazioni (a loro volta
supportate da importanti rimandi in nota e bibliografici), che ricostruiscono con
pazienza e meticolosità quella torbida stagione, senza l’intenzione di celebrazioni o
assoluzioni. Ed è questo il merito maggiore di Boraso, uno studioso poco più che
trentenne, che forse proprio per questioni anagrafiche sembra soprattutto cercare di
capire insieme al lettore le contraddizioni e le sofferenze di una fase segnata
dall’imbarazzante fenomeno di una “guerra civile strisciante”.
Così devono interpretarsi le analisi compiute per descrivere affinità e differenze tra
’68 e ’77, le cause che portano quella generazione a condannare e accusare di
tradimento la nomenclatura del Pci, e la distanza da subito sottolineata dai piellini
nei confronti dei “cugini” delle Br, concentrati nella guerra “al cuore dello Stato”,
laddove lo Stato era intento soltanto a reprimere o a strizzare l’occhio a chi
ostentava l’esigenza collettiva di “austerità” e “sacrifici”.
Per chi in quegli anni non c’era, diviene preoccupante registrare come alcune delle
attuali emergenze sociali e politiche, dal precariato al problema della prima casa,

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