bresciaoggi:
Alla Brèsa Fest della sezione cittadina in scena nuovi progetti e delusione per il referendum
Il popolo leghista: devolution addio Adesso va forte il modello catalano
All’ingresso c’è un manifesto con la scritta «Nessun indulto, nessuna amnistia: i delinquenti devono stare in galera». È la festa della sezione cittadina della Lega Nord, in corso al centro sportivo «Chico Nova» del Villaggio Sereno, articolata in due fine settimana lunghi: il primo che si è concluso domenica, il secondo a partire da giovedì. All’interno dell’area c’è lo stand dello zucchero filato, lo spazio per i bambini, il gazebo per la pesca di beneficenza. Qualche passo e si arriva al tendone pieno di tavoli e panche e, poco distante, ai «casottini» dove si preparano cibo e bevande. Una festa discreta, decisamente poco rumorosa, partecipata per lo più da militanti e simpatizzanti del movimento leghista. Domenica sera erano poco meno di 300 persone. Soprattutto è la prima festa «post voto», la doppia sconfitta che nel giro di un paio di mesi ha visto la Lega perdere le elezioni politiche e il referendum sulla devolution.
Inevitabile che tra militanti e simpatizzanti leghisti si parli di questo e del «che fare». I malumori si percepiscono anche all’interno del partito e urge la necessità di ripensare la strategia affinchè il «sogno federalista» non resti tale. Anche il Nord ha voltato le spalle sul referendum, almeno in parte, e l’area del consenso si restringe intorno al «Lombardo-Veneto», dove a maggioranza hanno detto sì alla devolution.
Gianfranco Cicu ha 64 anni, ex agente di commercio ora in pensione, ha votato Lega fin dalle origini e da un paio d’anni è militante a tutti gli effetti, «perché ha più tempo»: «La Lega è in evoluzione - spiega -: speriamo che porti a casa qualcosa. Gli italiani il referendum non l’hanno capito e ora bisognerà trovare altre strategie». Secondo Gianfranco Cicu il motivo di tale incomprensione è semplice: «Il Meridione aveva paura di smettere di mangiare e bere, la Sinistra è la solita “congrega” e non è che i nostri alleati si siano impegnati più di tanto». Leggermente diversa la lettura che viene data dal suo amico, Gianluigi Savoldi, agricoltore di 68 anni ora in pensione: «Secondo me il Polo c’era - afferma -, la stessa Alleanza nazionale ha capito che un po’ di federalismo ci vuole. Fino a qualche anno fa eravamo derisi, ora di federalismo ne parlano tutti». Ma ora che si fa? «Basta che ci diano l’autonomia - interviene Gianfranco Cicu - poi non importa chi, anche se non credo proprio che la Sinistra farà qualcosa: quelli sono interessati solo a portare qua il maggior numero di immigrati». Più giovani sono Silvia Raineri, 26enne che oltre a lavorare come impiegata frequenta la facoltà di Giurisprudenza, e Matteo Micheli, un anno in più di lei e impiegato nel settore commerciale di un’azienda che produce ottoni: «Non mi ero mai interessato di politica, poi nel ’96 ho visto Bossi in televisione, mi sembrava che dicesse cose nuove e ho partecipato alla manifestazione sul Po a Mantova: è stato un momento toccante».
La politica è fatta di passioni, di istinto e ragione: «Siamo un movimento identitario - spiega Matteo -. Ultimamente ci siamo dovuti alleare anche con il peggior nemico per provare a ottenere qualcosa. Dopo le elezioni pensavo che si saremmo sfilati dall’alleanza, lo ritenevo una cosa naturale. Ma se siamo ancora lì un motivo ci sarà». Matteo si dice secessionista col cuore e federalista con la testa. Silvia annuisce e conferma: «Nella Lega ci sono tante anime, quelle moderate e quelle più vicine al secessionismo. Adesso però si lavora per il federalismo».
Anche loro ritengono che gli alleati del Polo abbiano fatto poco per vincere il referendum, ma ora bisogna guardare avanti: «Per me è vergognoso che per decidere se la Lombardia vuole avere maggiore autonomia si voti in tutta Italia - spiega Matteo -. Qui si gioca sulle materie concorrenti, intanto in Catalogna hanno portato a casa l’autonomia». Ecco: la Catalogna, il modello spagnolo. Alla festa della Lega si guarda con un pizzico di invidia a quanto è accaduto in Spagna. D’altronde è lì che proprio una settimana prima del «nostro» referendum sulla devolution i catalani hanno approvato a larga maggioranza uno statuto d’autonomia che consente tra le altre cose un maggior controllo sulla riscossione delle tasse e sulle questioni giudiziarie. Certo la storia dei due Paesi è diversa e paragonare la Catalogna alla Lombardia non è proprio la stessa cosa, ma i leghisti qui alla festa vivono come un’ingiustizia che in Italia, sull’autonomia della Lombardia, abbiano deciso tutti gli italiani.
Luciano Verzelletti ha 58 anni, artigiano e tanti altri lavori alle spalle, militante nel movimento di Bossi da 10: «C’erano buone probabilità che il referendum finisse in questo modo: il periodo sbagliato, gli alleati non entusiasti. Ora bisognerà individuare nuove strategie». Quali? «Vedremo. In autunno ci saranno i congressi e si vedrà. L’obiettivo è sempre il federalismo, ma magari si dovrà aggiustare il tiro». Verzelletti ama i «toni alti», si dice secessionista nel cuore, gli piace Bossi quando minaccia la ribellione fiscale e «spara sui mezzi non democratici». Ma questo è il cuore e la passione. Poi ragiona di strategie e di percorsi diversi. E forse anche il percorso indicato proprio nei giorni scorsi dal presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni («Un’autonomia senza strappi») sente che potrebbe funzionare. Forse. Una conferma in tal senso arriva anche da Paolo Formentini, 26enne coordinatore dei giovani padani a Desenzano: «Sono indipendentista a livello culturale, non sul piano politico. La nuova battaglia è per l’autonomia sul modello catalano». Inutile dire che a nessuno degli interpellati l’idea del partito unico del Polo piace: troppo diversi. «Va bene l’alleanza politica - chiude il discorso Paolo Formentini -, ma la Lega è altro». Ma il leit motiv non è questo, sulla bocca di tutti c’è soprattutto il federalismo. E, in mezzi a paroloni come «devolution» e «secessione», par di capire che forse ci si accontenterebbe anche di qualcosa meno.
Sulle pagine culturali del Corriere della sera, da settimane prosegue un lungo dibattito tra storici e intellettuali sul «Lombardo-Veneto» e sulla presunta peculiarità di queste due Regioni dimostrata anche dall’esito referendario. Fra gli altri è intervenuto anche Claudio Magris, intellettuale di lunga data e persona sensibile quasi per nascita, è triestino, alle differenze culturali e agli incroci. Ebbene, Magris nel dibattito sul Corriere ha parlato di «via di mezzo», esprimendo una preferenza per gli aggiustamenti misurati piuttosto che per i tagli netti. Ma senza scomodare gli intellettuali si può restare al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il quale, all’indomani del referendum sulla devolution, affermò che «l’ancoraggio ai lineamenti essenziali della Costituzione non si identifica con un chiuso e insostenibile conservatorismo». E se la «via di mezzo» non fosse solo un tema estivo ma un’anticipazione del dibattito autunnale?Thomas Bendinelli