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Discussione: Mario Melis

  1. #1
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    Predefinito Mario Melis

    Da Sardinna: ANNU I – N° 1 – Ghennalzu-Aprile 2002



    Nel corso del primo cinquantennio del '900
    La Sardegna
    protagonista di lotta politica

    Ai primi posti nell'Italia e nel Mondo

    di MARIO MELIS


    Nel corso del primo cinquantennio del '900 la Sardegna è stata protagonista attiva di elaborazione e lotta politica che la mettono ai primi posti nell'Italia e nel Mondo.

    Una delle figure di spicco internazionale fu certamente Antonio Gramsci che nel '21 fu a Livorno fra i fondatori del Partito Comunista d'Italia.

    Nelle pagine dell'Unità di cui fu pure, oltre che fondatore, maggiore animatore ebbe modo di elevarsi, per livello culturale, originalità di dottrina politica e forza ideologica, a guida delle nuove idee rivoluzionarie dell'internazionale socialista.

    Fra i suoi estimatori, con motivazioni e valori diversi, oltre tanti altri, furono Lenin e Benedetto Croce; fra i suoi persecutori Stalin e Mussolini.

    Nello stesso periodo fioriva con tumultuosa partecipazione delle masse rurali e della parte più avvertita di quella culturale, il movimento sardista, trasformatosi nello stesso '21 in PSd'A.

    Inizialmente, furono i reduci della guerra '15-'18 a promuoverne le rivoluzionarie proposte di rifondazione dello Stato su base federalista.

    Cultura, sentimento ed alto senso delle istituzioni costituirono il possente lievito dell'empito innovatore che investiva uno scenario apparentemente venato di utopia.

    Con il regionalismo federalista i sardisti proponevano ai popoli del Continente che per quasi cinque anni si erano fronteggiati e scontrati in un'immane carneficina, una comune cittadinanza che li facesse tutti partecipi, in spirito di solidarietà, della Patria Europea.

    Per queste idee, dopo vari tentativi del potere di spegnerne i traguardi ideali fagocitandoli in seggi prestigiosi della nascente dittatura fascista, furono perseguitati, incarcerati e, in parte, costretti all'esilio.

    Nomi fulgidi che restano nella storia della democrazia sarda, italiana e mondiale quali quelli di Emilio Lussu, Camillo Bellieni, Luigi Battista Puggioni, Cesarino Pintus, Luigi Oggiano, Dino Giacobbe e, fra i giovani, G. Battista Melis ed Anselmo Contu; ciascuno di questi subì carcere o confino di polizia, esilio, o perdita del posto di lavoro, ma tutti restarono intrepidamente testimoni dell'impegno sardo volto alla riconquista della libertà e del difficile cammino verso una democrazia internazionalista, rispettosa delle molteplici diversità italiane ed europee, impegnata nella riconquistata pace e solidarietà per costruire un futuro capace di accomunare i popoli dai mari del Nord all'Egeo, dal Mediterraneo agli Urali.

    La politica degli Stati era però di segno opposto.

    In quegli anni l'Europa conobbe l'oscura oppressione delle dittature statuali, chiuse nelle rispettive frontiere in un equilibrio instabile di forze.

    Fascismo, nazismo, franchismo, salazarismo, ammiragli, colonnelli e piccoli re riprecipitarono i popoli in una nuova guerra mondiale che appena 20 anni dopo la precedente costò oltre 60 milioni di morti... oltre la devastazione di città, infrastrutture produttive e valori frutto di secoli di sacrifici e passione creativa.

    Oggi tutte le forze politiche in Italia ed in Europa, a distanza di 80 anni dall'intuizione sardista, parlano di federalismo ed europeismo.

    Sembrerebbe la vittoria profeticamente intuita dai giovani apostoli degli anni 20. Giovani di idee e di età. La maggior parte di loro nel '19 non poté essere candidata perché non aveva gli anni necessari per essere eletti alla Camera.

    In effetti, dopo la vampata iniziale compressa ed oppressa dal fascismo, la conquista di un moderno federalismo fu nell'immediato dopoguerra ostacolata dal violento contrapporsi ideologico sia in Italia che in Europa, tra filo americani e filo russi.

    La Chiesa con tutta la forza delle sue organizzazioni parrocchiali, diocesane, cardinalizie e vaticane scese in campo chiedendo a tutti il voto per un partito cattolico onde costituire quella che chiamarono la diga anticomunista.

    Lo scontro fra le due ideologie attenuò in larga misura, anche in Sardegna, il dibattito sulla riforma regionale-federalista per cui il nostro statuto di Autonomia conquistato in sede Costituente, si è rivelato bel lontano dall'iniziale progetto sardista.

    Lussu addirittura parlò di un modesto gatto rispetto alla forza di un leone.

    Nondimeno oggi i sardi hanno un loro governo legittimato da un democratico parlamento istituzionalmente definito Consiglio Regionale.

    Il partitismo continentale con i suoi imponenti finanziamenti, corruzioni e clientelismo ha artificiosamente ridotto il consenso attorno al Partito Sardo.

    Debbo però dire che nel corso del mezzo secolo di Autonomia fra il '949 e gli anni 2000 la Sardegna ha vissuto momenti alti di dignità e valore politico in difesa del nostro popolo e più in generale della democrazia.




    Lo stesso Partito Sardo ha visto crescere i propri consensi tanto da essere legittimato dal voto popolare alla guida della Giunta di Governo.

    Non è certo questa la sede per giudicare quanto di positivo o meno si è realizzato nel corso dei cinque anni della legislatura a guida sardista, anche perché fui io a presiederla, ma debbo purtroppo riconoscere che proprio in quegli anni nel Partito Sardo si scatenarono appetiti, ambizioni e contrasti che ne determinarono nel breve volgere di pochi anni una precipitosa decadenza.

    Il Partito fu paralizzato da contrasti interni nei quali è vano cercare ragioni di confronto dialettico su temi politici riguardanti l'agricoltura o la nascente industrializzazione, le compatibilità ambientali con il tumultuoso sviluppo turistico, le travagliate esperienze autonomistiche e le possibili diverse proposte istituzionali.

    I contrasti erano esclusivamente personali; basti pensare che nel giro di pochi anni si sono susseguiti nel Partito ben sette segretari nazionali di cui tre ci hanno abbandonato militando alcuni in formazioni politiche antitetiche al Sardismo.

    Fu la vertigine del potere a sconvolgere la dirigenza sardista, tanto che anche nella presente legislatura su tre eletti uno, votando contro il proprio Partito e la Giunta che contava fra i suoi componenti un sardista, ha consentito alla minoranza di diventare maggioranza ed a lui Presidente del Consiglio.

    Salvo la dignità e la coerenza dei due consiglieri rimasti a rappresentare il Partito Sardo, questo ha perso gran parte del suo peso politico e della fiducia dei cittadini.

    Per la verità la crisi che ha investito noi era già in atto ben più sconvolgente fra le altre forze politiche in Sardegna e in Italia.

    Crisi epocale che ha costretto i maggiori partiti di governo ed opposizione a cambiare non solo nome ma obbiettivi politici disgregandosi in misura diversa in formazioni nuove scarsamente credibili.

    Crisi che ha un amaro riscontro nell'opinione pubblica che diserta in misura crescente i confronti elettorali dimostrando disaffezione e sfiducia nella politica e nei suoi rappresentanti.

    Ciò non vuol dire che nel sentimento dei Sardi si sia attenuato il bisogno di Sardismo.

    Sono personalmente testimone di un diffuso fervore ed orgoglio di sardità che, ne sono certo, non tarderà ad esplodere in forme forse nuove e diverse dal passato ma fedeli al primigenio insegnamento che i Padri fondatori hanno posto a base di una moderna democrazia libertaria forte del contributo delle diversità che con i loro valori specifici e peculiari, ma non antitetici, sono in grado di attivare collaborazioni e integrazioni non imposte, ma spontaneamente creative di una nuova civiltà capace di esaltare la forza dell'unità.

    Non a caso in Sardegna tutti i partiti parlano, anche se con disinvolta superficialità ed approssimazione, di federalismo ed europeismo.

    Hanno capito che il Sardismo aveva ragione e si impossessano più del linguaggio che dei suoi valori. Ma tant'è.

    L’inganno dura il tempo delle verifiche che la storia pone inesorabilmente nella vita dei popoli.

    Credo fermamente nei giovani, nell'irresistibile bisogno di riconquistare nella pienezza delle sue energie potenziali un'identità sarda che è unica e irripetibile nel contesto umano.

    Nei tempi della globalizzazione il bisogno di identità dei piccoli popoli è sempre più diffuso ed energicamente affermato e difeso.

    Sono certo che i Sardi di domani non guarderanno con ostilità quanti da fuor potranno venire in Sardegna per lavorare con noi.

    Siamo cittadini del mondo e col mondo vogliamo dialogare e collaborare.

    Ciò che rifiutiamo e combatteremo con tutte le energie di cui siamo capaci sono i vecchi e nuovi padroni.

    In casa nostra vogliamo essere liberi e collaborare ricevendo e dando i nostro contributo al crescere civile dell'umanità; ciò faremo da sardi, da sardi, da sardi, europei, mediterranei, universali e, quindi, universali (ma sempre a modo nostro).




    Tortolì (NU), 10 giugno 1921 – Nuoro, 1 novembre 2003

  2. #2
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    Predefinito Da Sassari Sera anno 45 - n°1/2 gennaio/febbraio 2005

    AD UN ANNO DALLA MORTE DI MARI0 MELIS, GRANDE LEADER DEI 4 MORI

    GRANDEZZE E MALINCONIE DEL SARDISMO GOVERNANTE

    di GIACOMO SANNA

    Non si potrebbe parlare di Mario Melis senza parlare del partito sardo d’azione e non si potrebbe parlare del partito sardo d’azione senza parlare di Mario Melis. Sono due storie che s’intrecciano: quella di un uomo, di una famiglia, la famiglia Melis, appunto, e quella di un partito che da questa famiglia ha attinto una classe dirigente che ne ha segnato e caratterizzato la sua storia a partire dal secondo dopoguerra fino ai giorni nostri.
    Mario è il fratello minore di Giovanni Battista e Pietro Melis, dirigenti di primo piano del partito, consiglieri regionali fino agli anni sessanta, due cavalli di razza della politica sarda agli albori dell’autonomia regionale e due figure di rilievo nello scenario politico regionale, nel bene e nel male, fino alla prima metà degli anni sessanta.
    Il giovane Mario si forma culturalmente nel Liceo Asproni di Nuoro supportato dagli ideali familiari del sardismo e di una Sardegna sovrana, che certamente in quegli anni, sono gli anni del fascismo, possono essere vissuti nella clandestinità e nel privato delle pareti domestiche.
    Dopo la laurea in giurisprudenza, la professione forense presso l’avviato studio dei fratelli e gli esordi nella vita politica come sindaco di Oliena.

    Nuoro è ancora un paesone e il territorio circostante è costituito fondamentalmente da un’economia agropastorale arretrata, segnata dai solchi storici di un malessere sociale e da una cultura di devianza ormai codificata nelle storia del banditismo e nelle gesta dei suoi eroi. La professione dell’avvocatura è quella che più naturalmente mette in contatto gli intellettuali nuoresi con la società e con il territorio.
    La storia di Mario Melis come avvocato e come politico s’inserisce nell’alveo di questa tradizione che nel partito sardo aveva visto personaggi di primo piano come Mastino, Oggiano, Gonario Pinna. Il cosiddetto “Sardismo” degli avvocati nuoresi aveva seguito questi percorsi. Percorso che Mario ha interpretato con passione e con intelligenza profondendo il suo impegno come amministratore del piccolo centro barbaricino. Patria dei Puligheddu e dei Catte, artefici, poi, della scissione repubblicana degli anni Sessanta. Da sindaco sardista di Oliena Mario Melis realizza in quel centro diverse opere che lo indirizzano verso lo sviluppo di una vocazione turistica inedita, per quegli anni pionieristica, creando le condizioni infrastrutturali per la nascita di quel complesso, oggi meta di turismo internazionale, che è “su Cologone”.

    Nel partito Mario non esercita un ruolo di primo piano, cosi, come, in fin dei conti, non lo eserciterà mai in termini diretti. O almeno nel senso dell’essere dirigente.
    Mario Melis non è mai Stato, infatti, né segretario né presidente del partito. Del consiglio nazionale ne ha fatto parte come membro di diritto dopo che venne eletto consigliere regionale e parlamentare, e poi, con una delibera del XXVIII congresso che lo accoglieva nel suo seno come membro di diritto. Il partito sardo d’azione ha avuto in Mario Melis più che un dirigente,- o come si sarebbe detto, un uomo d’apparato, - un uomo di governo, un uomo di rappresentanza istituzionale, o, come piaceva dire a lui, uno statista. Ma dai ruoli istituzionali che lui ha ricoperto, come consigliere regionale, come assessore all’ambiente nella Giunta Rais, come presidente della Giunta, come deputato nel parlamento italiano e in quello europeo, il partito ha sempre riscosso prestigio ed immagine. Lui a volte si lamentava che la classe dirigente del partito non era all’altezza, specie quando era presidente della Giunta, dall’Ottantaquattro all’Ottantanove, del ruolo che il partito esercitava nel consiglio regionale e nella vita politica grazie all’inaspettato successo e all’inaspettato consenso avuto dal nostro partito nelle elezioni della primavera dell’ottantaquattro. E per certi aspetti aveva ragione.
    La classe dirigente di quegli anni aveva dovuto fare i conti con un consenso repentino, e con le nuove aspettative di una società che nel frattempo si era trasformata. Una società non più, o non soltanto di contadini e di pastori, una società di “clientes” degli avvocati o di affezionati di alcuni personaggi, e neanche una società di reduci con una forte carica ideale legata ai valori della patria e della nazione, ma una società di bisogni materiali concreti. Una società che poneva alla politica nuove domande, che chiedeva al sardismo ma alla classe politica sarda in generale, uno sguardo nuovo e una intelligenza nuova. La giunta Melis deve fare i conti con una Sardegna che ha vent’anni circa d’industrializzazione alle spalle.

    Un’industrializzazione che ormai manifesta il suo fallimento e la sua crisi. Una società che presenta il conto di nuove collocazioni nel mondo del lavoro per i giovani che nel frattempo sono usciti dalla scuola e dall’Università di massa. Una società e un ceto imprenditoriale che stanno vivendo l’euforia dello Stato assistenziale, che nell’Isola
    si manifesta con la cultura del subappalto e della spartizione dei rimasugli che avanzano dalle grandi lottizzazioni della politica governativa italiana.
    In questa crescita tumultuosa e inaspettata, manca alla vecchia classe dirigente sardista se non la capacità di comprendere, la puntualità nell’affrontare i nodi storici della “questione sarda” che si manifestano sotto nuove forme e nuove vesti. Il partito non riesce ad immunizzarsi dalle contaminazioni provenienti dalle pecche delle classi dirigenti degli altri partiti, che più a lungo e più diffusamente avevano avuto esperienze di governo e di potere.
    Spesso all’interno del partito mancano i filtri necessari e le direttive certe per la selezione della classe dirigente, che s’incunea nel vecchio tronco sardista a seguito della crescita elettorale.
    Il partito, in certi momenti sembrava essere travolto e assorbito dalle preoccupazioni più che del governo, da quelle del potere e della congiuntura politica, rinunciando al ruolo storico, di guida e di punto di riferimento forte di un percorso che l’assunzione della giunta regionale metteva a dura prova.

    Mario spesso lamentava “la solitudine” in cui si trovava nel dover fare delle scelte e nel dovere assumere decisioni importanti dinanzi ad un partito, talvolta, più interessato ai problemi della gestione che a quelli della elaborazione e della direzione politica. Mancava da parte del partito la spinta propulsiva, l’intelligenza trasformatrice delle idee in progetti e programmi temporalmente scanditi, la capacità di stare tra la gente.
    Cosa, invece, necessaria e utile per coagulare intorno al governo regionale a guida sardista non solo la conferma del consenso, ma l’assunzione di fiducia nei confronti del programma sardista, che spesso trovava difficoltà di ricezione tra gli stessi alleati.

    I famosi 13 punti di Carbonia che avevano costituito il cavallo di Battaglia del partito sardo d’azione si risolsero in slogan vuoti, privi di ancoraggio tra le masse, privi delle dovute mediazioni che ne consentissero la trasformazione in azioni di governo.
    Alle grandi parole d’ordine, all’enfasi del sardismo, non facevano riscontro azioni concrete di Governo.
    Di questa situazione la base sardista ne sentiva la frustrazione e il disagio. Anche Mario Melis percepiva tutto questo. Cercava di sopperirvi con la sua personalità forte, che dentro il partito diventava spesso rimprovero severo, rimbrotto nei confronti dell’inadeguatezza della sua classe dirigente. All’esterno la sua voce risuonava attraverso le sue prese di posizione nei confronti del Governo centrale, rispetto all’invadenza delle basi militari in Sardegna, rispetto alle finanziarie di corto respiro che penalizzavano pesantemente l’isola. Chi non ricorda il richiamo accorato di Mario Melis ai parlamentari sardi affinchè dentro i loro partiti che avevano mente e gambe a Roma si facessero portatori delle istanze del popolo sardo.

    Furono in pochi ad avere, comunque, il rispetto degli avversari come lo ebbe lui e pochi ad avere tra le popolazioni sarde l’accoglienza del capo carismatico, dell’uomo al di sopra delle parti, pur essendo lui- senza remore e senza infingimento alcuno, in tal senso, neanche da presidente della giunta regionale,- uomo di parte. Dal suo carisma e dalla sua personalità Mario Melis trae l’energia e la forza per teorizzare l’idea del “sadismo diffuso”. Un’idea certo di grande valenza intellettuale di cui il partito sardo d’azione non ha potuto trarre, per ragioni diverse, tutti i frutti. Cosi come il partito sardo d’azione non ha potuto trarre i frutti della sua azione di Governo. Alla fine del suo governo il partito ha una flessione di tre punti in percentuale e perde due consiglieri regionali. Una perdita fisiologica si disse, in quegli anni. Ma non fu così. Dopo un successo elettorale clamoroso iniziò un progressivo declino del partito.

    Unitamente alle responsabilità della classe dirigente del partito di quegli anni, non possono essere sottaciute, però, le responsabilità di quella coalizione che Mario Melis guidò con passione e prestigio. Dal punto di vista del Partito sardo d’azione, sia nella coscienza che il partito seppe maturare in quegli anni, sia in quella degli anni successivi, mancò a quella giunta una caratterizzazione sardista nell’attuazione dei suoi programmi.
    Mancò una determinatezza forte nell’attuazione di quei punti che in tal senso avrebbero potuto costituire la svolta, nella storia delle giunte autonomistiche, di cui il Partito sardo d’azione si era fatto portavoce. Erano punti che intaccavano, nella filosofia politica di quegli anni, il concetto di autonomia cosi come veniva inteso comunemente, e spostavano l’asse del progetto politico dalle enunciazioni generiche di un regionalismo, talvolta di maniera, verso i più avanzati obiettivi di un indipendentismo sovranitario.
    Un’indipendentismo che era stato lanciato al congresso di Porto Torres nel 1981 e ribadito al Congresso di Carbonia nell’1984.

    Era un indipendentismo che arricchiva la tradizione sardista della battaglia per il bilinguismo, e poneva i termini della “questione sarda” su nuove basi culturali superando il vecchio rivendicazionismo economicista che aveva supportato la filosofia dei piani di rinascita. Falliti proprio perché disancorati da una prospettiva culturale che ponesse come perno del tessuto antropologico e civile dell’isola la questione della lingua, unico retaggio di una Sardegna speciale, storicamente vinta, ma non convinta di quello che la storia le aveva fatto subire. Ed era un indipendentismo che poneva alla base del nuovo sviluppo economico dell’isola l’esigenza forte della revisione dello strumento statutario, rivelatosi inadeguato a supportare in termini istituzionali un progetto di sviluppo economico che non fosse l’appendice terminale di un’economia che aveva il suo centro politico a Roma e che si fondava su elargizioni assistenziali in base al peso che la classe politica sarda esercitava nelle correnti della Democrazia Cristiana.

    Era un progetto ambizioso che non si tradusse però in azione di Governo. Forse anche a Mario, nonostante la sua generosità e il prestigio, mancò la determinatezza, in quegli anni, per spingere il piede sull’acceleratore del progetto indipendentista. Forse non intese fino in fondo il significato di quel consenso elettorale. O non lo intese in tutta la spinta conflittuale e in tutta la portata innovativa che esso poneva. Il voto dato al partito sardo d’azione nell’ottanta quattro non era solo un voto in nome del buon governo, o in nome della questione morale, anche se Mario Melis non fu carente in questa direzione, ma fu un voto di svolta e di rottura con la vecchia tradizione autonomistica. Una svolta che Mario non riuscì ad imprimere a quella giunta fortemente ipotecata da una classe dirigente, vincolata ad una filosofia politica e ad una consuetudine amministrativa dipendente dalle strategie dei vertici romani. Leggendo i giornali di quegli anni e facendo ritorno con la memoria al dibattito interno nel partito di quegli anni, non sarebbe difficile cogliere il disagio di un partito sottodimensionato sotto il profilo organizzativo e sotto il profilo della elaborazione politica rispetto al gravoso impegno di una giunta regionale a guida sardista, con alleati anch’essi di scarsa cultura governativa come il P.C.I. e fortemente restii a recepire le proposte politiche del neosardismo. Eppure la giunta Melis riuscì, nonostante quattro crisi e quattro rimpasti, a portare a termine il suo mandato.

    Mario Melis, però, entra, col passare degli anni, nel mito. Gli aneddoti sul suo carattere, la determinatezza del suo carattere, la maestosità del suo gesto e il fascino della sua parola, unitamente alla sua dirittura morale e all’abilità del timoniere ne hanno fatto, nella memoria dei sardi, un personaggio straordinario.Finito il suo mandato alla regione, e conclusi gli anni di Bruxelles Mario Melis, dove esercitò il mandato di parlamentare europeo, non smise di frequentare il partito e di partecipare attivamente al suo dibattito interno. Con la passione di sempre, sempre in prima fila, mai pago di ciò che aveva dato al partito e alla Sardegna. Restano memorabili i suoi comizi nelle piazze, nei piccoli centri del nuorese, del campidano, della provincia di Sassari. Non c’è paese della Sardegna che Mario Melis non abbia visitato. Come uomo di partito o come uomo delle istituzioni.

    La sua parola era sempre precisa, incisiva, il suo disegno sempre chiaro, talvolta non condivisibile, ma la sua condotta fu e resta esemplare. Mario era un combattente, amava vincere, ma sapeva anche perdere. Non lo scoraggiava essere messo in minoranza in consiglio nazionale.
    Ciò costituiva per lui il carburante per andare avanti e difendere le sue posizioni.
    Le ragioni del sardismo e della Sardegna sovrana, hanno costituito la ragione fondamentale della sua vita e della sua esistenza, donata fino alla fine, con la generosità che gli era propria, per il suo popolo, per il suo partito.

    Forse i tempi non sono ancora maturi per intendere fino in fondo la profondità del messaggio di Mario Melis e il significato politico della sua azione.
    Un’azione sempre limpida, trasparente, illuminata dalla luce di un sogno e dall’orizzonte di un lungo cammino, che ancora la classe dirigente sarda deve percorrere per intero. Il sogno di una Sardegna indipendente nell’orizzonte della sovranità di un popolo che si confronta con gli altri consapevole della propria dignità.
    La statura di Mario Melis è quella di uno statista che conosce i limiti istituzionali che nella storia dell’autonomia hanno contrastato questo cammino. E Mario Melis ben sapeva che la politica, le alleanze con le altre forze politiche che pure si dichiaravano autonomiste, non sarebbero state sufficienti ad esprimere fino in fondo il progetto storico, il sogno del sardismo che il partito di Bellieni aveva interpretato nella storia politica isolana fin dalla sua nascita. Ma dentro la politica e dentro il sistema politico bisognava restare. Lavorando, lottando per cambiarlo e per esercitare un ruolo guida e una forte carica di convincimento, rispetto alle classi dirigenti isolane, affinché si sardizassero sempre di più e sempre di più rivendicassero la loro autonomia dalle centrali politiche della penisola, per densità abitativa e per bacino elettorale, naturalmente più forti.
    Mario Melis era un estimatore di Bellieni, più di quanto non lo fosse di Lussu. In Bellini individuava il maestro, il grande stratega, il teorico del progetto sardista. Di Bellieni Melis ne coglieva la laicità, le profonde radici liberali, la fondatezza storica e sociale del suo pensiero. Lo spessore del filosofo e la finezza dello scrittore di cose storiche e
    di cose letterarie. Ne coglieva il fondamento del suo pensiero riformista animato dai principi illuministici della libertà e della felicità degli uomini che l’azione politica con i suoi metodi democratici deve perseguire. Da Bellieni Mario sembrava aver ereditato, anche, la carica di sogno e di utopia che traspariva nella sua parola, nel suo sguardo, nel suo scrivere, ma anche la pragmaticità dell’azione e la chiarezza degli obiettivi da perseguire.

    Oggi certamente Mario ci manca, ci manca il confronto con la su proposta, ma non ci manca la traccia del suo
    insegnamento e il suo monito a non cedere, a non abbandonare.
    Ma riteniamo che Mario manchi al dibattito politico isolano, manchi alla Sardegna e ai sardi che hanno avuto la fortuna di conoscerlo.
    A coloro che non l’hanno conosciuto, ai più giovani, questo nome, questo esempio, questo modello di uomo che ha speso la propria vita per una causa giusta, sarà nostro compito farlo conoscere non solo con celebrazioni doverose come queste, ma con la nostra azione e con la nostra testimonianza, perché questo Mario ci ha trasmesso, questa è l’eredità che ci sentiamo di difendere e di propagare, per il Partito sardo d’azione, per la Sardegna di oggi e di domani.

  3. #3
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    Per chi volesse conoscere o ricordare alcuni dei “discorsi” di Mario Melis in un arco di 15 anni circa, ecco una pubblicazione curata da Paolo Pillonca, di cui riporto l’introduzione e l’indice, risalente al maggio del 1989.
    Chi fosse interessato a leggerne qualcuno, può chiederlo.


    copertina di Nanni Pes

  4. #4
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    Predefinito Presentazione (di Paolo Pillonca)

    Le piccole patrie


    «Un universo di piccole patrie sta progressivamente modificando la geografia politica del nostro tempo», dall'Europa alle Americhe e perfino al Grande Impero dell'Unione Sovietica. E’ questo, sostanzialmente, un rifiuto «del conformismo che appiattisce e cancella tutta la ricchezza delle diversità e serve solo ai poteri che dall'alto calano imperiosi».
    Chi nutre la sua mente di pensieri vivi troverà in questa antologia di discorsi di Mario Melis notevoli spunti di riflessione critica sui grandi temi dell'autonomia, della libertà dei popoli, dei loro diritto a costruirsi l'avvenire nella coscienza del passato in un confronto inesausto e fecondo con le altre «patrie» del pianeta.
    Questo libro documenta almeno in parte l'impegno di Mario Melis in Parlamento, in Consiglio regionale, in convegni su temi molto importanti per il futuro della Sardegna ed abbraccia un arco di tempo di oltre dieci anni.
    Il lettore potrà scoprire agevolmente che cosa significhi, dall'interno, e in che cosa si sostanzi «la richiesta di una nuova Regione, interprete dei bisogni di tutti i Sardi, e soprattutto dei lavoratori, dei deboli, delle persone oggi in difficoltà come i giovani che non trovano occupazione»: una necessità ed un impegno sofferto da sempre ma in particolare negli ultimi cinque anni, la lunga stagione che ha visto Mario Melis presidente di una Regione Sardegna sempre più rivolta all'Europa.
    «Il potere non deve essere lontano e indifferente, disattento quando non ostile»: occorre perciò «coinvolgere le comunità nel processo formativo delle scelte». Su questa ardua strada - per riconoscimento unanime - si è svolta l'azione complessiva del presidente della Giunta in questi difficili anni della nostra storia.
    Alle soglie del Terzo Millennio i Sardi, «più che di avere, chiedono di poter dare, non queruli postulanti di sussidi, ma artefici vitali e determinanti di progresso».
    Gran parte dei discorsi che proponiamo non partono da un testo prestabilito: hanno dunque la dimensione dell'oralità, che è creazione continua e si affida alla vena del momento per la sua veste esterna, e non può essere ovviamente assimilata alla dimensione della scrittura.
    Abbiamo preferito conservare integralmente gli interventi così come sono stati pronunciati anche se ci rendiamo conto che il testo scritto non può restituire se non in minima parte il sapore complessivo di un discorso fatto anche di gestualità, di mutamenti di tono e di ritmo di voce, di coinvolgimento del pubblico che ascolta e di cento altri piccoli ornamenti che vivificano e corroborano la parola affidata a se stessa in un continuo ricrearsi fatto di intuizioni improvvise, di immagini e metafore che nascono in un attimo e fatalmente si affidano al vento.
    Mario Melis conosce nel profondo l'arte della parola, è quel che si sarebbe detto una volta un vir bonus dicendi peritus. Imprigionare l'acqua corrente è un'operazione, i . n qualche modo, innaturale. Ma è anche l'unica maniera per conservare un documento che altrimenti andrebbe perduto.

    Paolo Pillonca

  5. #5
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    INDICE


    Presentazione (di Paolo Pillonca)

    La solidarietà ai terremotati
    Senato della Repubblica, VII Legislatura, 7 ottobre 1976

    La scelta energetica del Partito Sardo d'Azione
    Senato della Repubblica, VII Legislatura, 18 gennaio 1977

    L'impegno del paese a favore del Friuli
    Senato della Repubblica, VII Legislatura, 21 luglio 1977

    Il decadere del senso morale
    Senato della Repubblica, VII Legislatura, 5 aprile 1978

    La frana non è l'unica causa del disastro
    Senato della Repubblica, VII Legislatura, 2 7 aprile 1978

    L'istituto dell'amnistia è superato e antistorico
    Senato della Repubblica, VII Legislatura, 2 agosto 1978

    Questa è una squallida vittoria di furbi
    Senato della Repubblica, VII Legislatura, 21 marzo 1979

    Il Partito Sardo è un partito europeo
    Camera dei Deputati, 14 febbraio 1984

    Riformiamo la spesa pubblica
    Camera dei Deputati, 7 aprile 1984

    Ecco il senso del nostro federalismo
    Camera dei Deputati, 7 aprile 1984

    La nostra voce contro il terrorismo
    Consiglio regionale, sul conflitto Libia- USA, 15 aprile 1984

    La nostra lotta insieme con il popolo sardo
    Consiglio regionale, dichiarazioni programmatiche, 21 settembre 1984

    I sardisti al governo della Sardegna
    XXII Congresso Nazionale, 28 febbraio, 1-2 marzo 1986

    I porti sardi non sono «rivali» tra loro
    Consiglio regionale, dibattito sulla zona franca, 12 giugno 1986

    Rifiutiamo la letteratura della «vocazione criminale»
    Consiglio Regionale della Sardegna, 15 gennaio 1987, dibattito sulla criminalità nelle zone interne

    Il governo dell'economia
    Consiglio regionale, 3 febbraio 1987

    Genesi storica del «Problerna Mezzogiorno»
    Cagliari, 4 marzo 1987, Conferenza meridionale della Cgil

    L'autonomia patrimonio irrinunciabile
    Consiglio regionale, 12 marzo 1987

    La Regione nello scenario internazionale
    Dichiarazioni programmatiche in Consiglio regionale, 30 luglio 1987

    La politica non è «neutrale»
    Malaga, Conferenza delle Regioni mediterranee, 17 settembre 1987

    Le Regioni e l'Atto Unico Europeo
    Bruxelles, 19 novembre 1987, Assise delle Regioni d'Europa

    Il potere è del popolo
    Cagliari, 5 dicembre 1987, Convegno su Tuveri

    Il veicolo della cultura
    Cagliari, 21 aprile 1988, Giornate irlandesi

    La Regione nel momento delle scelte
    Cagliari, 29 giugno 1988, convegno sulla riforma della Regione

    Guardiamo al domani
    Nuoro, 1 luglio 1988, assemblea degli industriali

    Ma quali sono le aree depresse?
    Porto Conte, 9 luglio 1988, convegno sui PIM

    L'autonomia è conquista dello spirito Bolotana, 16 luglio 1988, convegno sul barracellato

    La luce della cultura
    Dorgali, 30 luglio 1988, mostra su Salvatore Fancello

    Ma i trasporti non sono un fatto ideologico
    Porto Conte, 10 settembre 1988, convegno sui trasporti

    Il ruolo dei nostri porti
    Portotorres, convegno sui trasporti, 17 settembre 1988

    Siamo a cavallo
    Ozieri, Istituto di incremento ippico, 18 settembre 1988

    Il riscatto delle regioni
    Cagliari, 30 settembre 1988, convegno sulle autonomie

    Il mio mandato è nelle vostre mani
    Bauladu, 25 novembre 1988, consiglio nazionale PSd'Az

    Un regionalismo che va nel senso della storia
    Cagliari, inaugurazione della nuova sede del Consiglio regionale, 13 dicembre 1988

    Un momento unitario che renda forte la nostra gente
    Consiglio regionale, dibattito sulla siccità, 18 gennaio 1989

    La necessità dell'unione europea
    Bonn, 25 gennaio 1989, Conferenza delle Regioni

    Ecco come cambia il mondo dell'emigrazione
    Cagliari, il marzo 1989, convegno sull'emigrazione

    Finito di stampare nel mese di maggio 1989
    con i tipi della STEF S.p.A.
    Cagliari, viale Elmas, 154

 

 

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