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    Question Terrorismo onnipresente?

    Il mito del terrorismo onnipresente
    Maurizio Blondet
    28/09/2006
    Si è detto e ripetuto che il rapporto del National Intelligence Estimate è stato uno schiaffo a Bush.
    Parliamo del documento, «risultato del lavoro di 16 agenzie di intelligence», il quale asserisce che la guerra in Iraq «sta formando una nuova generazione di leader del terrorismo».
    «La lotta al terrorismo avviata dagli Stati Uniti ha danneggiato seriamente la leadership di Al Qaeda - dice il rapporto -Tuttavia, riteniamo che Al Qaeda continuerà a rappresentare la minaccia più grande per la nazione e per gli interessi americani all’estero, in quanto rete terroristica singola».
    Inoltre, secondo gli esperti di intelligence, se il movimento jihadista continuerà a crescere, «le minacce agli interessi americani nella nazione e all’estero diventeranno molteplici, provocando un aumento degli attacchi in tutto il mondo».
    Ciò è stato interpretato come una sonora condanna della «guerra globale al terrore» voluta dalla Casa Bianca.
    E si è scritto che Bush «è stato costretto» a de-secretare il rapporto, di cui erano state fatte circolare ad arte alcune indiscrezioni.
    Ebbene: è una menzogna, una delle tante.
    Il National Intelligence Estimate, lungi dall’essere un inciampo per l’amministrazione, ne conferma e ne giustifica le falsificazioni e i crimini.
    E’ un’altra arma nella «guerra di percezione» che gli USA hanno scatenato «contro» l’Occidente.
    Difatti, il celebrato rapporto «dei sedici servizi d’intelligence», a parte qualche considerazione non più originale di certe discussioni da caffè (1), conferma le leggende allarmistiche: «Al Qaeda resta la minaccia più grande», si prevede «un aumento degli attacchi terroristici in tutto il mondo».



    Ciò è l’esatto contrario della verità, anche se è ciò che la cosiddetta opinione pubblica crede - perché gli viene fatto credere, e perché lo vuol credere.
    A dirlo è Foreign Affairs, la più autorevole rivista americana, emanazione del più forte dei poteri forti globali, il Council on Foreign Relations. (2)
    «Esiste ancora una minaccia terroristica?», si chiede su Foreign Affairs il professor John Mueller, docente di scienze politiche alla Ohio State University.
    E procede a smantellare - con molta ironia - ciò che chiama «il mito del nemico onnipresente».
    Da cinque anni ormai, esordisce Mueller, gli americani sono bombardati da predizioni su un imminente attacco terroristico «peggiore dell’11 settembre».
    Nel 2002, «valutazioni d’intelligence», rumorosamente pubblicate, valutavano in 5 mila i «terroristi di Al Qaeda e loro sostenitori presenti in USA».
    Il capo dell’FBI, Robert Mueller, espresse pubblicamente il suo timore di «cellule dormienti di Al Qaeda» pronte a colpire.
    Nel 2005, non essendo stata scoperta alcuna «cellula dormiente», Mueller disse: «Mi preoccupo appunto di ciò che non vediamo».
    Eppure, non si deve credere che l’FBI sia rimasto con le mani in mano.
    Ottantamila arabi e musulmani residenti in USA sono stati schedati e obbligati a lasciare le impronte digitali; di questi, 8 mila sono stati «intervistati» (diciamo così) dai federali; e 5 mila sono stati messi in galera come misura preventiva anti-terrorismo, in quanto sospetti.
    Ebbene: non uno di questi poveracci - portati davanti ai giudici - è mai stato condannato per intenti terroristici, anche se molti lo sono stati (con gran clamore mediatico) per altri reati, tipicamente immigrazione clandestina, falsificazione di documenti, piccolo spaccio.
    Nel 2003, ben 200 esperti di terrorismo si proclamarono certi, certissimi, che un attacco «con il probabile uso di armi di distruzione di massa» avrebbe colpito l’America prima della fine del 2004.



    Nel maggio 2004, il ministro della Giustizia John Ashcroft rese noto che Al Qaeda - testuale - aveva «completato al 90 % i preparativi per un attentato sul suolo statunitense».
    In autunno, Newsweek scrisse che «tra i funzionari dell’antiterrorismo vige la certezza» che Al Qaeda avrebbe commesso un colossale attentato prima delle elezioni di novembre 2004.
    Passato novembre, si è continuato a parlare di attacchi certi «nei prossimi mesi».
    La carta di fondazione del dipartimento dell’Homeland Security, il ministero di Sicurezza Interna appositamente creato per sventare la minaccia terroristica (e che intanto spia e limita le libertà dei cittadini USA) comincia con queste rassicuranti parole: «Il terrorismo odierno può colpire dovunque, in ogni momento, e praticamente con qualsiasi arma».

    Tutti ci credono, ovviamente.
    Al punto da chiudere gli occhi di fronte alla semplice realtà: dopo l’11 settembre, in USA non è avvenuto più alcun atto di terrorismo.
    Merito delle misure protettive messe in atto dal Comandante Supremo?
    No, risponde Mueller: nel 2002, due individui (americani) con un paio di carabine di precisione sono riusciti a seminare morte e panico a Washington e dintorni, sparando a gente che usciva dai supermercati o stava facendo benzina, senza che i «protettori» riuscissero a fermarli.
    Forse, le misure draconiane messe in vigore per filtrare gli stranieri che entrano in USA negli aeroporti e alle frontiere hanno scoraggiato i terroristi islamici?
    O hanno reso più difficile penetrare nel territorio americano?
    Nemmeno.
    Nonostante le misure ossessive e provocatorie, 300 milioni di visitatori legali continuano ad entrare in USA ogni anno.
    Per non parlare degli immigrati clandestini, che entrano illegalmente al ritmo di 4 mila al giorno dalla frontiera col Messico, nonostante tutti i controlli e i reticolati: fra cui sono stati scoperti centinaia di illegali nati in Paesi islamici - da cui si deduce che altre centinaia sono riusciti a passare.



    Ma, evidentemente, senza l’intenzione di fare stragi, bensì di trovare lavoro in nero.
    Niente: nessun attentato dal 2001.
    La ragione, ama ripetere Bush, è che i «nostri soldati», combattendo in Iraq e in Afghanistan, «tengono occupati» i potenziali terroristi.
    «Li combattiamo là perché non vengano qua».
    Il ragionamento, ammesso si possa chiamare così, non spiega perché in questi anni ci siano stati attentati jihadisti in Egitto, Giordania, Marocco, Arabia Saudita e Turchia, senza contare quelli (probabilmente false flag) di Londra e di Madrid: evidentemente, non tutti i terroristi islamici sono impegnati in Iraq.



    La conclusione, dopo cinque anni, è inevitabile, anche se «raramente viene proposta»: «Non esistono terroristi islamici negli Stati Uniti», scrive Mueller; «all’estero, ne esistono pochi, e quei pochi non hanno i mezzi, la capacità o l’intenzione di colpire» in America.
    Attacchi terroristici islamici sono in diminuzione dovunque, anche in Europa, persino nei Paesi islamici - con notevoli eccezioni, come la Turchia, travagliata dalla guerriglia curda, il Pakistan per ragioni tutte interne, o l’Iraq e l’Afghanistan, «liberati» e sotto occupazione americana.
    «L’ubiquità di Al Qaeda e la sua capacità di nuocere è stata alquanto esagerata».
    La sobria, nuda e cruda realtà, dice Mueller, è che anche tenendo nel conto i tremila americani uccisi l’11 settembre, la quantità di americani morti per mano di sanguinari musulmani negli ultimi cinque anni è più o meno uguale al numero di americani morti scivolando nella vasca da bagno (300-400 l’anno).
    Se si escludono i morti della strage dell’11 settembre, si vede che gli americani devono temere assai più le vasche da bagno: quello è l’allarme sociale che dovrebbe essere agitato dai media.
    La probabilità che un americano venga ucciso dal terrorismo internazionale, in patria o mentre viaggia all’estero, è 1 su 80 mila: all’incirca la stessa che ha di essere fulminato da un meteorite.



    Che viviamo in un mondo più sicuro e non meno - o almeno così sarebbe, se non fosse per le guerre americano-israeliane - lo conferma anche l’Human Security Center, un’istituzione canadese. (3)
    Dalla caduta dell’impero sovietico, i conflitti armati nel mondo sono calati del 40% (eccetto Iraq, Afghanistan, Libano).
    Mentre per decenni morivano in tali conflitti circa 40 mila persone l’anno, nel 2002 il numero è calato a 600 persone: per poi risalire in Iraq, Afghanistan, Libano, Gaza.
    Nel 1963 avvennero 25 colpi di Stato; nel 2003, quarant’anni dopo, 10.
    E allora perché ci sentiamo così insicuri e minacciati?
    La risposta di Philip Stephens, editorialista del Financial Times, è che «è nella natura del terrorismo - anzi il suo scopo - instillare una paura sproporzionata al pericolo reale».
    E invita a «distinguere le minacce reali da quelle immaginarie».
    A modo suo, Stephens mette il dito sulla piaga: è in corso un’operazione sulla nostra immaginazione.
    Una psy-op, una «guerra di percezione».
    I maghi della percezione (o psy-op) giocano sul concetto, ben noto ai sociologhi e agli statistici, di «salienza»: noi giudichiamo «normale» e non allarmante che gli incidenti d’auto facciano 7 mila morti l’anno, mentre un soldato morto in Afghanistan - sciagura «saliente» - viene pianto dalla nazione e onorato con funerali di Stato.
    Se (o quando) i nostri soldati cominceranno a morire in Afghanistan a centinaia, ciò diverrà «normale» e non ci sarà più alcun funerale di Stato ripreso dal TG.
    I morti in battaglia non sono più «salienze».



    Per creare allarme sporporzionato, e paura folle e irrazionale, basta dunque creare una «salienza».

    I nostri media lo fanno spesso.
    «Smantellata una rete di Al Qaeda in Italia», «Espulso un capo terrorista», «Arrestati quattro islamici: preparavano bombe», strillano ogni tanto - spesso - i TG.
    Il ministro degli Interni appare in diretta, conferma, ma dice che «la situazione è sotto controllo».
    La gente odia i musulmani sempre di più.
    Le signore si scostano da un immigrato scuro di pelle che sale sul metrò con uno zaino.
    Magdi Allam scrive articoli di fuoco sugli italiani «molli» col terrorismo islamico.
    Su Libero, l’agente Betulla rievoca la Fallaci.
    Il Foglio intervista l’esperto del Mossad o dà spazio a paginoni di un neocon.
    Il mito della onnipresenza di Al Qaeda, dell’ubiquità jihadista, ne viene notevolmente rinforzato.
    Mesi dopo, la «rete di Al Qaeda» viene condannata dai giudici per reati come: piccolo spaccio, documenti d’immigrazione falsificati e simili.
    Molti dei «terroristi» vengono semplicemente assolti - anche se spesso, arbitrariamente, espulsi.
    Ma i giornali non ne parlano più: manca la salienza.



    In Italia, scopriamo ora - a margine dell’inchiesta su Telecom e le intercettazioni - la manina del SISMI nella creazione di «salienze».
    In gennaio Nicolò Pollari, il capo dei nostri egregi servizi, s’era presentato in Parlamento e al Viminale a proclamarsi certo di «imminenti attentati con valigie-bomba alla stazione di Milano».
    E ciò «entro metà marzo, per colpire il governo Berlusconi a ridosso delle elezioni».
    Più tardi, sempre Pollari: «Pronti tre kamikaze per le Olimpiaci di Torino».
    Pollari non si limita a indicazioni da caffè, come suole fare il SISMI.
    Indica un siriano immigrato, in contatto coi terroristi internazionali.
    La procura di Milano indaga.
    Il terrorista siriano - immigrato regolare, con regolare lavoro - viene pedinato e intercettato notte e giorno.
    Si scava nel passato del sospetto: nulla.
    Le indagini vengono interrotte dal fatto che il siriano viene espulso dal ministero degli Interni, su indicazione del SISMI.
    Ma nel frattempo i giudici, ascoltando bene le intercettazioni e rileggendo le trascrizioni fornite dal SISMI, scoprono un piccolo dettaglio: che è stato un informatore del SISMI ad avvicinare l’immigrato, e a parlargli di terrorismo, mentre lui ascolta allibito, prende le distanze, e lo tratta come un pazzo.
    L’informatore (o agente provocatore) è un «medio-orientale che vive in Italia da un anno» ma ha già capito come si gioca qui da noi: ci sono taglie e premi in palio per chi contribuisce a smantellare ciò che Magdi Allam, comunque, chiamerà «una cellula di Al Qaeda in Italia».
    Al SISMI, l’infiltrato porta una pagina strappata da «un manuale di Al Qaeda» (benedetti terroristi, non riescono a far niente se prima non consultano un manuale) che, assicura, gli è stato dato dal siriano; la «prova» che inchioda il terrorista.
    A questo punto, la polizia giudiziaria perquisisce la casa dell’informatore, e trova il manuale, con una pagina strappata: quella.
    L'ìnformatore del SISMI è ora denunciato per calunnia e peggio, avendo auto-prodotto prove false (4).
    Il siriano sospettato è assolto per assoluta mancanza di indizi.



    Già: ma intanto è stato espulso, difficile riesca a tornare in Italia, e per mesi ha subito controlli che gli stessi giudici ammettono «asfissianti», con interrogatori e perquisizioni infinite.
    Una normale vittima della guerra di percezione in corso.
    Vittima della nostra paura idiota e immotivata, dell’odio cieco che è così facile instillare, con la paura, nelle masse.
    Dopotutto, è un arabo.
    E il suo caso viene citato dalla stampa solo grazie al fatto che Il Corriere, oggi, vuole colpire il SISMI, e allora tutto fa brodo: altrimenti, silenzio.
    La persecuzione del povero lavoratore arabo non è «saliente».
    E da domani, il mito di Al Qaeda pronta a colpire «dovunque, in ogni momento e con qualunque arma» (atomica, chimica, batteriologica) sarà più forte che mai, dominerà più che mai le nostre immaginazioni.
    E’ la superiore civiltà occidentale, ragazzi.
    Qui è il regno della razionalità, e del diritto.

    Maurizio Blondet




    --------------------------------------------------------------------------------
    Note
    1) Secondo il documento, i motori dei terroristi islamici sono la «rabbia, umiliazione e senso d’impotenza» che nasce dalla «dominazione dell’Occidente»; «la lentezza delle riforme di carattere economico e politico nei Paesi islamici» e «il sentimento antiamericano». Non c’è male come profondità di analisi, da parte di 16 servizi d’intelligence. Lo dicono anche al Bar Sport, e senza spese per i contribuenti.
    2) John Mueller, «Is there still a terrorist threats?», Foreign Affairs, settembre-ottobre 2006.
    3) Philips Stephens, «The paradox of being insecure in a far more peaceful world», Financial Times, 15 settembre 2006.
    4) Paolo Biondani, «Era falso l‘allarme-attentati a Milano», Il Corriere della Sera, 27 settembre.
    Ibrahim

  2. #2
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    Questo articolo di Blondet lo voglio dedicare a tutti quei poveri dementi che, invece che ragionare con la propria testa, ragionano con il... cervellino di bush.
    Ibrahim

  3. #3
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    mi piace questa tua dedizione verso una parte dei forumisti di POL

  4. #4
    Ashmael
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    E poi ci sono quelli che ragionano con il cervellino di Ahmadinejad,
    Io ragiono con la mia testa, grazie.

  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da Ashmael Visualizza Messaggio
    E poi ci sono quelli che ragionano con il cervellino di Ahmadinejad,
    Io ragiono con la mia testa, grazie.
    certamente...si vede chiaramente...
    Ibrahim

  6. #6
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    ragionamenti un pò poveri, lo ammetterai, Ashmael.

  7. #7
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    Un buon articolo, l'ho letto solo ora.

  8. #8
    Irina
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    Poche settimane fà è stato sventato un'attentato catastrofico sui voli tra Londra e New York.

  9. #9
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    Citazione Originariamente Scritto da IIrina Visualizza Messaggio
    Poche settimane fà è stato sventato un'attentato catastrofico sui voli tra Londra e New York.

    Noooooo...davvero?? Sarà stata la solita ramificatissima, abilissima e preparatissima rete terroristica di cellule musulmane vogliono conquistare il mondo...ohhhhhhh.....ahhhhhh....

    Ibrahim

  10. #10
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    Sarà stata la solita ramificatissima, abilissima e preparatissima rete terroristica di cellule musulmane vogliono conquistare il mondo...ohhhhhhh.....ahhhhhh....
    infatti le cellule terroristiche islamiche non esistono, scherzi.

 

 
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