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  1. #1
    DaBak
    Ospite

    Predefinito Khomeini - Ahmadi-Nejad

    Ayatullah Khomeyni
    di Pietrangelo Buttafuoco
    giornalista


    Il passato è ancora tutto da venire. Che Allâh affretti la manifestazione del Mahdî atteso,ovvero Muhammad al-Mahdî, che è l’Imâm Occulto e Vivente celato ai sensi ma presente al cuore. “Spiegate al popolo che le autorità tradizionali non si accontentano di rimanere in un angolo a Qôm o a Najaf a studiare, astenendosi dalla politica!”. Il giovane capitano della Repubblica islamica dell’Iran stacca il moschettone che assicura l’idrante all’autobotte e, sopra un indistinto oceano di turbanti, barbe e chador getta l’acqua che non riesce a spegnere l’incendio di dolore. Con il capitano, altri ufficiali e altri militari s’improvvisano giardinieri dispensatori di frescura in quella rovente giornata del 6 giugno 1989. Ci sono svenimenti e ci sono morti. Le telecamere indugiano sulle donne che piangono senza darsi tregua, i reporter e gli inviati d’Occidente calcolano dentro la spianata di Teherân, oltre nove milioni di anime disperate di fronte all’ineluttabile. Succede che, avvolto nelle lenzuola della pietà, se ne va via il corpo mortale di Rûhollâh al Mussavy Al Khomeynî, il fondatore del governo islamico, il primo dai tempi del Profeta Muhammad. <o></o>
    La cassa mortuaria viene letteralmente rubata dalla folla. Salta con velocità impressionante da un punto all’altro, restando intatta. Solo quando un elicottero dell’aviazione potrà raccoglierla in stiva, la cassa potrà arrivare alla sepoltura restituendo il corpo alla nuda terra, nel santuario che ancora oggi è meta di silenziosi pellegrinaggi. E’ il wâli di Persia Khomeynî, il santo, chiude la sua esistenza all’età di ottantanove anni dopo aver portato il suo popolo al compimento di un destino guerriero. Le sue palpebre, ormai chiuse, raccolgono un’eredità millenaria che gli occhi dell’Occidente hanno voluto travisare quali tenebre del Medioevo. La sua più grande opera però, la Rivoluzione che si compie l’11 febbraio 1979 cancellando il regno dello Scià che aveva fatto dell’Iran un territorio senza sovranità propria, in realtà è solo un dettaglio nella fatica metafisica di questo vegliardo che è stato innanzitutto un potente filosofo, un vertiginoso teologo, un poeta degno della grande letteratura persiana, un uomo della Tradizione che, in virtù del suo carisma, appartiene certamente alla “storia sacra eterna”. Aveva passato gli ultimi giorni nel giaciglio dei malati, accudito da una donna, la nuora, che lo cibava portandogli il cucchiaio alle labbra. L’uomo che ha smentito tutte le regole della dialettica sociale borghese, il vecchio vestito di nero con le soffici scarpucce dai ricami infinitesimali, aveva abituato il suo popolo – ma ancora di più, aveva abituato i suoi nemici – alla sorprendente rapsodia delle sue occhiate. Quando nel novembre del 1979 arrivava a Parigi, dopo aver abbandonato il suo primo esilio in Iraq – abitò per dodici anni nella città santa di An Najaf – Rûollâh Khomeynî prende alloggio a Nauphle-le Château, nella periferia della capitale francese. Jas Gawronski, che quasi lo pedina intercettandolo in un volo dell’Air France, fu tra i primi a intervistarlo e lo descrive cercandone le vampate: “Parlava sempre con la testa chinata in basso e la barba arruffata che si strofinava sul petto, nascondendo gli occhi infossati, ed erano brevi i momenti in cui si poteva cogliere il suo sguardo affilato”. Rûhollâh Mussavy Khomeynî, figlio di Seyyed Mostafâ al Mussavî, nipote di Seyyed Ahmed, era il più giovane di sei figli. Gli venne ucciso il padre quando era ancora bambino, venne assassinato in una controversia con un prepotente e ricco possidente, ma la madre di Rûollàh, Hajar Saqafî, portò in tribunale l’uccisore del marito e questa scelta di coraggio, la sfida di una donna indifesa, accompagnò l’adolescenza del futuro Imàm forgiandolo in sempre più alte prove. Adulto, sposò Kadigia ed ebbe tre figlie e due figli. Uno di questi, Mostafâ, gli verrà ucciso in circostanze misteriose. Verrà fatto oggetto di persecuzione quando le sue lezioni a Qôm e le sue prediche chiameranno l’innumerevole massa di popolo che riconoscerà nel suo libro “Kâshf-Ol-Assraar”, Rivelazione dei misteri, un manifesto politico contro Reza Khan, l’imperatore padre del deposto Scià, criticato per il suo modernismo e la sottomissione alle potenze straniere. Rûhollâh Mussavy Khomeynî aveva gli occhi col colore dell’onice, godeva di lineamenti possenti, restituiva al suolo il profilo di un’ombra, la sua ombra, fatta di soli brividi. Rivelava sangue indo-persiano, con un soprannome guadagnato in gioventù veniva, infatti, chiamato “l’indiano”. Era appunto chiamato al-Hindi ed era anche lo pseudonimo su cui esercitava l’ermeneutica dei classici greci, i Mashshâ’ ûn, cioè le pagine aristoteliche e i Ishrâqîyûn che erano i suoi preferiti, e cioè i testi platonici della politica intesa come scienza spirituale. Anche il taçawwuf, e cioè il sufismo, lo avvicina a Sayyidnâ Iflitûn, nostro signore Platone, il profeta mandato da Allâh ai greci. Studierà Immanuel Kant e l’idealismo. Negli anni parigini riceverà nella sua cameretta alcuni adepti di derivazione germanica che si eserciteranno su Mollâ Sadrâ Shîrâzi e “I quattro viaggi dello spirito”. E’ con questi tedeschi che Khomeynî affronta lo studio di Martin Heidegger. Farà suo il procedimento ontologico, applica l’analitica “agli statuti della molteplicità”, ma a dispetto di certi suoi incauti ammiratori reclutati nella boeheme della sinistra internazionale, smonta l’esistenzialismo umanista perché per lui – forgiato nell’imamologia sciita, filosofia profetica di cavalleria spirituale – “un’interiorità priva di riscontro esteriore si riduce a vano intimismo incapacitante, a dispetto di tutte le pretese di superiorità e distacco e pretendono di fatto di negare a Dio stesso la sua Signoria sulle cose di questo mondo”. Khomeynî accoglie l’idea dell’accadere e ne scrive nel suo saggio “La fiaccola che guida verso la luogotenenza e la Walâyat”. Accoglie l’idea dell’eterno avvenire, avvenimento eternamente nuovo nel mondo che comincia a essere nel tempo anche se il tempo non esiste ancora”. Studioso che ha fatto propria “l’immaginazione attiva”, Khomeynî non elude le potenzialità divinatorie della lingua araba, del persiano, del greco antico, del latino cui contempla la definizione di “intellectus sanctus”, studia il Vangelo di Giovanni, l’apostolo caro alla Tradizione iniziatica e dall’aramaico estrae il flatus “dello spirito che soffia raramente e dove vuole”. La gente comune sapeva di essere intimamente mussulmana e non altro, un persiano di alta dottrina come Khomeynî, invece, aveva consapevolezza di un’eredità assai ricca, quella della stirpe iranica che aveva integrato nel proprio bagaglio spirituale quindici secoli di memoria. A differenza del semplice che può accontentarsi di una letterale devozione all’Islâm, Khomeynî si confronta con tutti i ceppi indoeuropei riferiti anche all’antica fede zoroastriana ed è la lingua di Goethe infine, che gli consente di soffermarsi sulla decifrazione di un’iscrizione: “Wer hat dem Kreuze Rosen zugsellt?”. Chi ha associato le rose alla Croce? E’ la favola dell’uomo “di quando fu un umano”, è un enigma recuperato da Die Geheimnisse, il segretissimo poema dell’autore di Faust dove c’è la Guida della Confraternita non lascia traccia di sé, sparisce, come nella disposizione ultima del pensiero profetico dell’Islâm: il Pleroma dei Dodici. Goethe l’illuminato, iniziato ai misteri, nel suo West-Östlicher Divan aveva già prefigurato il futuro in una generale conversione e riunione di tutti gli Orienti e tutti gli Occidenti nell’Islâm temperato. Khomeynî che rilegge Goethe – il capo sciita avrà in gran considerazione l’opera di ricerca spirituale che s’irradia dalla Germania attraverso il gruppo Antaios, la rivista cui fanno riferimento, tra gli altri, Ernst Jünger, Mircea Eliade e Eugene Ionesco – riprende l’enunciato di Jâ’ Far al-Sâdiq, il Sesto imâm. Rileggerlo, questo diamante, è una vertigine sublime: “La nostra causa è un segreto dentro un segreto, il segreto di qualcosa che rimane velato, un segreto che solo un altro segreto può spiegare; è un segreto su di un segreto che si appaga di un segreto”. Con Farabi e Avicenna, Mollâ Sadrâ Shîrâzi è comunque, il riferimento scolastico della formazione di Khomeynî. E’ lo stesso autore della grande tradizione filosofica islamica che anni dopo, il 1 gennaio del 1989, prima di morire, Khomeynî si preoccuperà in una lettera di far leggere all’ultimo capo dell’Unione Sovietica. Ne raccomanda lo studio al “Signor Gorbaciov” affinché appaia chiaro che “ogni pensiero è immateriale e non sottoposto alle leggi della materia”. Era tutto chiaro: “Non La voglio stancare ulteriormente e non Le citerò le opere degli gnostici, quali, soprattutto, Arabî. Se vorrà conoscere le argomentazioni di questo Grande, mandi a Qôm alcuni dei Suoi brillanti esperti, ben ferrati in questo genere di problemi, cosicché, dopo alcuni anni, con l’aiuto di Dio, potranno comprendere quella profondità che è più sottile di un capello, che è costituita dai successivi stati della vera conoscenza”. Khomeynî era alto, era sereno, non scivolava mai nell’ira. Il sito internet a lui dedicato lo racconta nell’home page attraverso la trascrizione di una sua memoria: “Io sono stato catturato dall’arco della Tua freccia, in ogni via e bazar io sono diventato la diceria della città. Se mi conduci dalla porta io vengo dall’altra, e mi hai condotto fuori di casa io sono venuto dal muro. L’ebbrezza per il viso e l’opera Tua mi accompagni, affinché per il calice pieno – raso Tuo, io divenga saggio. Qualcuno che più di me abbia il piacere della malattia non c’è, perché io sono divenuto malato per la malattia degli occhi Tuoi. Non ho trovato una via per accedere al Tuo reame, in questo cammino; grazie all’esistenza dell’anziano io sono divenuto un uomo valido. Raccolsi la veste fra quelle ammucchiate, così che, colpito dalla timidezza, io venni a servizio degli effetti dello sguardo tuo”. Era alto, era sereno, veleggiava in ragione del suo essere luogotenente di una verità di popolo. Gli era sufficiente muovere un dito per abbattere la tirannia e travolgere la Savak, la spietata polizia politica, ma attende i segni della Provvidenza. Così proclama a Qôm nel 1963, nel finire dello stesso anno in cui dovrà muoversi verso la prima tappa del suo esilio, in Turchia. Quando un ministro di Rezâ Shâh, il capo del governo Hasan Mansûr, si recò personalmente da lui per convincerlo ad accettare le decisioni del parlamento di concedere ai soldati dell’esercito statunitense di stanza in Iran di essere giudicati solo dalle leggi Usa e solo da appositi tribunali militari, avendone un deciso rifiuto non trova altro sfogo alla sua rabbia che di schiaffeggiare Khomeynî. L’Imâm non reagì, fu impassibile come un patriarca molestato dalle mosche. Quindici giorni dopo il ministro veniva ucciso per strada. Rûhollâh Khomeynî è l’âyatollâh, l’âyatollâh è il“segno di Allâh”, e il popolo persiano prepara intorno alla sua persona i segni di un’attesa restaurazione. “Acclamandolo come il ‘nuovo Abramo’ – così scrive Claudio Mutti nell’edizione italiana delle “Citazioni” di Khomeynî – quindi equiparandolo al profeta di Ur, che affrontò e sconfisse il desposta Nimrod, i musulmani dell’Iran ne hanno fatto il simbolo vivente di un nuovo inizio, di un ripristino tradizionale”. Ma la politica è un dettaglio nella vita di questa Guida, egli era infatti un uomo di dottrina, depositario di un’eredità che poteva dare solo a chi era in grado di riceverla. Custode del Libro, Qayyum al Qor’ ân, Khomeynî è “colui che esplicita e trasmette ai suoi discepoli il senso delle rivelazioni”. Così secondo la definizione della massima autorità scientifica d’Occidente, Henry Corbin, autore tra i più rigorosi libri di storia della filosofia islamica e questa definizione ben si adatta all’allievo di ‘Abd el Karîm Haeri, il fondatore della celebrata madrasa dove Rûhollâh ebbe i primi rudimenti per apprendere il senso di Tempo, Evento e Immaginale. Era un formidabile schermitore in tema di logos Khomeynî, era egli stesso “la diceria”, praticava la fede dei padri fondata sulla doppia “dimensione del logos muhammadico” come messa in opera di “un concetto intrasustanziale che rende conto delle metafore e delle palingenesi”. Consapevole che pur nella sua infinita dissomiglianza il mondo altro non è che effusione della Gloria di Dio, avendo eletto come sua patria d’elezione la Rivelazione, Khomeynî – nato il 17 maggio 1900 in un villaggio a Sud di Teherân – non manca di studiare la cibernetica, la traiettoria dei cosmonauti, la meccanica applicata alle più ardite sperimentazioni e però nutre un profondo disprezzo verso la medicina occidentale avendo verificato come certi rimedi nei bazar siano più efficaci, risolutivi, “tradizionali” infine. L’individuo pensa di potersi arrogare il privilegio di essere una potenza assoluta nel mondo, Khomeynî crede innanzitutto che il compito più difficile sia quello di convertire un animale qual è l’uomo in un essere umano, ritiene che questa opera sia praticamente impossibile con una bestia immonda come Saddam Hussein, “E’ impossibile trasformare in un essere umano quella bestia” dice, e dice comunque che le radici di una morale corrotta possono venire rimosse senza difficoltà nella giovinezza, dice che se vi è giustificazione per gli ignoranti non ce ne sarà alcuna per i sapienti ma dice che Salman Rushdie, autore de “I versetti satanici”, merita di morire e, condannandolo, quale bestemmiatore, rassicura l’Occidente dicendo che “i vostri scrupoli umanitari sono più infantili che ragionevoli”. Dice infine che “la democrazia è l’Occidente, e noi non ne vogliamo sapere”. Nessuno in Persia vuole saperne dell’Occidente e della sua anarchia. Sono i giovanissimi che seguono l’âyatollâh attraverso le musicassette clandestine che arrivano in Iran. Vi sono registrati i proclami, i commenti e i discorsi di Khomeynî e sono questi stessi giovanissimi che versano per terra un’infinità di bottiglie di liquori, vino e cognac. Sono questi stessi giovanissimi, sotto lo sguardo contrariato dei loro genitori, che recuperano le tradizioni e l’Islâm. Le ragazze si rimpossessano del chador che lo Scià e Farah Diba avevano abrogato quale retaggio di un buio fuori da ogni moda. Il rito politico della preghiera del venerdì accende di vittoria in vittoria gli sciiti duodecimani. Il culmine è nel giorno di Ashura, la ricorrenza del del 10 ottobre 680 d.C. quando, secondo la dottrina sciita, a Karbala fu martirizzato al-Husâyn ibn Alì, terzo Imam dei Musulmani, il Più Eccellente dei Martiri, ucciso dal tiranno ummayade Yazid ibn Mu Awiyah. La Persia intera si riconosce nel solco del martirio. La Fede dei credenti squarcia la regola della civilizzazione borghese. Khomeynî raccontava di un ufficiale inglese che, all’epoca della prima occupazione dell’Iraq, s’informava se nella chiamata del muezzin dall’alto del minareto ci fosse qualche pericolo per la politica britannica. Ebbe in risposta un no e l’ufficiale rassicurò i suoi: “Lasciate che gridi quello che gli pare”. Adesso è quella stessa chiamata dal minareto che diffonde il pericolo in Occidente. L’incredibile Rivoluzione persiana travolge ogni possibile ipotesi e interpretazione: “In un’epoca in cui le tenebre predominavano sui paesi dell’Occidente – così scriveva Khomeynî nella prefazione al suo “Il governo islamico” – Dio fece delle leggi che rivelò al Profeta più grande, Muhâmmad, che Dio lo benedica e lo salvi, di modo che l’uomo potesse nascere nel loro ambito. Ogni cosa ha la sua morale e le sue leggi. Prima della nascita dell’uomo e fino al momento in cui egli viene calato nella tomba, sono state redatte delle leggi per guidarlo”. Che Allâh dunque affretti la manifestazione del Mahdî atteso,ovvero Muhammad al-Mahdî, che è l’Imâm Occulto e Vivente celato ai sensi ma presente al cuore. E’ il dodicesimo Imâm che Ibn Abî Jomhûr identificò nel Paracleto annunciato nel Vangelo di Giovanni e di cui i credenti attendono la Parusia. Ibn ‘Arabî fece di Gesù figlio di Maria il sigillo della Walâyat universale, questa è la direzione iniziatica che conclude l’escatologia della Rivelazione. La walâyat, l’imamato, l’elite dell’umanità, è la prosecuzione ciclica degli Imâm che succede al Profeta Muhammad. Sono dodici e dodici sono stati i seguaci e gli apostoli di ogni profeta. Dodici sono i segni zodiacali, ma quattordici sono i perfetti purissimi e cioè lo stesso Profeta, la figlia Fatima e i restanti Imâm della profezia. Questa dottrina di storiosofia conclude in sé conoscenza, amore e salvezza. E’ l’essenza dello Sciismo duodecimano dell’Islâm. Significa che da una mandorla non se ne può prendere solo la scorza, il nocciolo o il frutto stesso, ma il succo, l’olio che se ne ricava attraverso il superamento di un grezzo letteralismo, quello stesso che vanifica lo sforzo di interiorizzazione proprio degli Awliyâ Allâh, gli “amici di Dio”, “gli uomini di Dio”. Rûhollâh al Mussavy Al Khomeynî venne chiamato al mondo per assolvere al dovere del “ricostruttore”. Quando i suoi studenti prenderanno l’ambasciata americana trattenendo in ostaggio i diplomatici – liberando però le donne e le persone di colore in rispetto alla loro condizione di “oppressi” – sarà Giovanni Paolo II a rivolgere un appello per la loro liberazione e per una definitiva soluzione della crisi internazionale. E’ monsignor Annibale Bugnini che si reca a Qôm per trasmettere all’Imâm la richiesta del Santo Padre e Khomeynî prontamente risponde rassicurando il Papa sulle condizione degli ostaggi, affidati alle regole dell’Islâm e perciò rispettati, affidando comunque al prelato una lunga lettera “al popolo di Cristo”, una richiesta di solidarietà dettata dalla convinzione che “il Sacro Corano ha difeso Cristo e la Vergine Maria, smentendo tutte le calunnie che sono state lanciate contro di Lei”. Convinto anche, Khomeynî, che “se Cristo vivesse, oggi ci salverebbe dagli artigli del nemico dell’uomo”. Convinto, infine, di corrispondere al magistero del Pontefice di Roma sull’esplicito invito del Corano di “non prendere alcun padrone all’infuori di Dio” e perciò respingere la politica di egemonia del capitalismo occidentale ai danni “dei popoli diseredati della terra, musulmani, cristiani o altro”. Khomeynî, in questa lettera disponibile in italiano presso le edizioni “all’insegna del Veltro”, offre a Giovanni Paolo II il succo e l’olio di quella mandorla che è il recondito significato dello Sciismo duodecimano. Vi si racconta di ‘Alï Naqî, il decimo Imâm che prese come sposa per il figlio Hasan ‘Askarî, una principessa di Bisanzio discendente di Sham ‘ûn, ossia Pietro, l’erede di Gesù. E’ il dodicesimo Imâm occulto che raccoglie la duplice eredità spirituale di Gesù e Muhâmmad. Ibn ‘Arabî fece di Gesù il sigillo della walâyat universale, Khomeynî sottolinea ben più di uno spunto dottrinario nella sua lunga e politica lettera a Roma, rammemora tutti i passaggi del trascendente e degli eventi sacri, avvia l’epistola con l’invocazione d’uso – “Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso” – la conclude con l’esortazione al Jhiad: “Siamo dei combattenti e, se pure non abbiamo armi ed equipaggiamenti militari, abbiamo i nostri corpi. Per quanto riguarda il blocco economico, siamo una nazione abituata alla fame. Noi mangiamo carne un giorno alla settimana. Mangiare carne non è nemmeno un’abitudine tanto buona. Noi possiamo mangiare una sola volta al giorno. Se dovessimo scegliere tra difendere il nostro onore e riempire lo stomaco,preferiremmo la salvaguardia dell’onore alla soddisfazione dell’appetito. Vorrei inviare i miei saluti al Papa e dirgli, in base a quel che vi è tra noi di comune, che siamo tutti monoteisti e credenti in Dio. Lo invitiamo ad aiutare questo popolo diseredato, lo invitiamo a riservare i suoi consigli paterni alle superpotenze, chiedendo loro le ragioni delle loro iniquità”. Agnelli senza macchia a te di fronte, lupi voraci dietro le tue spalle. Che Allâh affretti la manifestazione del Mahdî atteso,ovvero Muhammad al-Mahdî, che è l’Imâm Occulto e Vivente celato ai sensi ma presente al cuore. Il passato è la diceria della Città, il passato è ancora tutto da venire.<o></o>

  2. #2
    DaBak
    Ospite

    Predefinito

    Il figlio del fabbro
    Dando uno schiaffo sonoro e in pieno volto a quanti volevano un Iran dimesso e oramai lontano dai principî ispiratori della Rivoluzione Khomeynista, il Popolo iraniano [questo sì un Popolo che merita la “P” maiuscola...], attraverso una legittima competizione elettorale, ha mostrato di essere saldamente radicato nei canoni del Puro Islâm e nella trincea ideale e combattentistica del Fronte Unitario Antimondialista.
    L’Islâm Tradizionale e Rivoluzionario esemplarmente incarnato dalla Repubblica Islamica antistatunitense e antisionista ha rimandato battuti tutti quanti volevano - e la lista sarebbe lunga -, sciacallamente e voracemente, impossessarsi di un’area geostrategicamente di primo piano, per soddisfare i propri interessi multinazionali ed abbattere quello che è il referente unico geopolitico e spirituale nella battaglia antimondialista, di tutti gli antimondialisti. Una repubblica che ha sconfitto i corrotti ed i nemici del popolo con l’appoggio dei poveri e dei pii, una repubblica che guarda con orgoglio e tenacia alla integrità ed alla propria sovranità nazionale, respingendo con fermezza ogni attacco esterno ed ogni provocazione portata consapevolmente avanti da parte della oligarchia giudaico-statunitense, grazie alla lealtà ed alla saldezza spirituale e comportamentale delle sue milizie rivoluzionarie.
    Con la elezione a presidente della Repubblica Islamica di Mahmud Ahmedinejad il grande satana giudaico-statunitense è stato ancora una volta sonoramente sconfitto.
    Ritorna così, dopo circa un trentennio, la grande epopea della cacciata dall’Iran dell’oppressore nord-americano e del suo vassallo, ritorna l’epopea dell’azione rivoluzionaria giovanile e studentesca la quale, con l’occupazione dell’ambasciata statunitense, mostrò di non avere alcun timore dell’oppressore mondiale superarmato ed ipertecnologicizzato, catturando in quei locali una moltitudine di spie al servizio dell’Occidente giudaico-mondialista.
    La volontà divina per l’ennesima volta ha lasciato il segno per affermare che il mondo non può essere tutto soggiogato dalla volontà luciferina di quanti spezzano, in nome del più esasperato economicismo, ogni armonia ed equilibrio, ogni peculiarità del creato, così come quando in pieno deserto venne sbaragliata e distrutta un’azione dei marines americani diretta alla liberazione dei prigionieri all’interno dei locali dell’ambasciata.Lo ha fatto attraverso il voto popolare a sostegno di Ahmadinejad ed ha scolpito indelebilmente a grandi lettere negli annali storiografici che ancor oggi l’Iran rimane il caposaldo e l’unico referente mondiale per quanti vogliono combattere i despoti del regime mondialista, i corrotti, che celandosi dietro il paravento della democrazia liberalcapitalistica vogliono assemblare e ridurre il pianeta Terra e tutti i suoi popoli a un’unica poltiglia omogeneizzata e utile alla logica modernista e consumista del compra-consuma-crepa. Ciò avviene attraverso l’ausilio delle strutture di sfruttamento sinergiche alla globalizzazione, dall’alta finanza usurocratica alle banche, dalle multinazionali distruttrici e profittatrici d’ogni equilibrio uomo-natura agli eserciti mercenari, che all’unisono concorrono all’opera disgregatrice verso l’Iran, ricalcando uniformemente il piano di egemonia mondiale tracciato dall’oligarchia messianico-mercantile dell’asse Washington-Tel Aviv.
    Infatti, oltre al piano degli interessi geoeconomici e di egemonia statunitensi, anche l’internazionale ebraica, attraverso la propria essenza complottistica e di dominio del grande israele in Medio Oriente, dovrà fare i conti con l’espressione popolare della Repubblica Islamica dell’Iran, così come anche la partita per Gerusalemme-Al Quds non è chiusa. Lo stesso avverrà per l’Asia Centrale, l’area caspica, il Nord Africa, che non potranno essere solo riserve energetiche e di ‘caccia’ utili alla quotidianeità consumistica americana e dell’intero Occidente ed agli interessi destabilizzatrici dell’alleanza Israele-Stati Uniti.
    In politica serve chiarezza.
    Il neopresidente iraniano lo è stato.
    La Repubblica Islamica dell’Iran non ha bisogno dei regolamenti antipopolari ed antinazionali, che divergono dai principî dell’Islam, utili al profitto multinazionali e degli USA, dell’Organizzazione mondiale del Commercio [Wto]; la Repubblica Islamica dell’Iran non ha bisogno alcuno di rapporti di qualsiasi genere con gli Stati Uniti d’America, nè accetta alcuna ingerenza negli affari interni dello Stato. La Repubblica Islamica dell’Iran non è intenzionata per nessun motivo a subìre i dettami mondialisti. I centri dell’usurocrazia finanziaria hanno reagito male ed hanno mal digerito la vittoria delle forze nazionali ed anticapitalistiche rappresentate da Ahmedinejad. Lo stesso neopresidente ha espressamente dichiarato in un comizio che avrebbe chiuso la Borsa di Teheran, perchè non gli era chiaro se la ‘Borsa’ - centro di autentica oppressione antipopolare - fosse o no qualcosa di corretto dal punto di vista islamico, affermando: “Giocare in borsa è praticamente un gioco d’azzardo, e perciò dev’essere abolito”.
    Mentre rivolto all’entità sionista Ahmedinejad ha affermato che un paese, così come fa Israele, che occupa territori altrui e butta giù le case di famiglie già di per sè alle prese con una esistenza radicata nella sofferenza e nella povertà non ha diritto di dare giudizi sulle altre nazioni. L’entità sionista denominata israele rimane, quindi, il nemico autentico dell’Islam e direttamente della Repubblica Islamica.
    L’Occidente capitalista è rimasto di stucco a causa della elevata partecipazione popolare al voto e dello slancio col quale Mahmud Ahmedinejad ha vinto le elezioni. Gli oppressi dalla tirannia e dal male della corruzione hanno trovato nei canoni dottrinari e spirituali dell’Islam e della Rivoluzione khomeynista il più concreto e saldo riferimento. Ciò è avvenuto malgrado le continue falsità e le forzate notizie sulla presunta divaricazione degli strati popolari sparse dalla stampa e dalla televisione asservite ed al servizio del regime giudeo-plutocratico.
    Anche taluni commentatori del tubo catodico italiota dovrebbero vergognarsi nell’affermare una latitanza degli iraniani al voto. Se ciò fosse vero che dovremmo allora dire delle elezioni che si tengono nelle democrazie occidentali, specie quelle che si servono del sistema maggioritario di stampo anglosassone? Le istituzioni politiche statunitensi, quindi l’amministrazione Bush, quelle britanniche, così come quelle italiane non avrebbero fondamento alcuno.
    Ad esempio, nelle elezioni suppletive per la camera dei deputati dello scorso 26 giugno a Roma ed in Calabria ha votato rispettivamente il 16,4 ed il 21% degli aventi diritto! Molto basse rimangono anche le percentuali dei votanti nei ballottaggi per le elezioni di sindaci e presidenti di provincie ... una democrazia senza mandato: è l’Occidente giudeo-plutocratico, servo degli interessi antinazionali ed antipopolari dettati dai centri di potere oligarchici, gli stessi che vorrebbero mettere mano negli affari, nelle ricchezze e negli interessi della Repubblica Islamica dell’Iran!
    Le organizzazioni rivoluzionarie iraniane, dalle donne alla gioventù, dai Pasdaran alle milizie volontarie dei Basji – i ‘senza scarpe’, gli eroi che più hanno sublimato la rivoluzione, immolandosi senza tentennamento nelle trincee nei duri anni della Guerra Imposta - hanno dimostrato ancora una volta che l’Iran è uno ed uno soltanto, indefessamente ed algidamente proiettato contro il maleficio mondiale rappresentato dalla sovversione mondialista omologatrice d’ogni realtà esistente nell’universo.
    Persino la stampa liberalprogressista ha dovuto ammettere la chiara vittoria ottenuta dai principî teologici della ’Velayat al faqih’ – il Consiglio degli esperti o del ‘Giurisperito’, la ‘summa teologica’ d’impronta platonica che riemerge per l’ennesima volta... -, sanciti dall’Imâm Khomeyni. “Una vittoria che fa emergere il volto dell’altro Iran, quello che in questi anni l’Occidente non ha saputo o voluto vedere ...”.Così commentava “la Repubblica” del 26 giugno 2005, per poi così continuare: “ ...i contadini delle campagne, gli operai sottopagati delle grandi città, le migliaia di disoccupati.La parte più povera del paese, quella che due giorni fa è accorsa in massa a votare Ahmedinejad ... il paladino dei poveri”.
    Una serie di leggi - affermò l’Ayatollâh Khomeyni – non è sufficiente a riformare una società. Affinchè una legge sia un elemento di riforma e di felicità per il popolo, è necessaria un’autorità esecutiva. Questa è la ragione per cui Dio, sia lode a Lui, creò sulla terra, in aggiunta alle leggi, un governo ed un’organizzazione amministrativa ed esecutiva.Il grande Profeta, che Dio lo benedica e lo salvi, era a capo di tutte le organizzazioni esecutive che gestivano la società musulmana.Oltre al compito di rendere note, spiegare ed esporre minuziosamente le leggi e le regole, egli ebbe cura di renderle effettive fino a che non diede vita allo Stato islamico [...] ... In verità, le leggi ed i regolamenti sociali hanno bisogno di un esecutore.In tutti i paesi del mondo, la sola legislazione non è sufficiente e non può garantire la felicità del popolo.L’autorità legislativa deve essere accompagnata da un’autorità esecutiva, la quale è la sola che possa distribuire al popolo i frutti di una legislazione giusta.Per questo l’Islam decise di istituire un’autorità esecutiva a fianco di quella legislativa e nominò una persona con l’incarico di rendere effettive le leggi, oltre a insegnarle, diffonderle e spiegarle”.
    La Repubblica Islamica dell’Iran, attraverso la figura rivoluzionaria e spirituale dell’Ayatollah Khomeyni, incarnava così la volontà divina nel mondo degli uomini, col compito di traghettarli verso il bene e la giustizia, nel sovrumano, oltre la mera esperienza terrena. “Se un esperto della Legge intelligente e giusto si assume il compito di formare un governo - prosegue l’Imâm Khomeyni -, amministrerà allora gli affari sociali che il Profeta era solito amministrare e sarà compito del popolo ascoltarlo ed obbedirgli.
    Questo governante avrà tanta autorità sulla gestione dell’amministrazione, del bene comune e della politica popolare quanta ne ebbero il Profeta e l’emiro dei credenti, malgrado le particolari virtù di questi ultimi ed i caratteri che li distinguevano.Le loro virtù non concedevano loro il diritto di contraddire gli insegnamenti della Sharî’a o di dominare il popolo ignorando gli ordini divini”.
    Ancor oggi la Repubblica Islamica dell’Iran assolve a tale compito, nell’osservanza dei principî del mondo della Tradizione, nella sua componente e nella sua forma islamica e sciita.
    Semplici, chiare e determinare, sono state le parole e le affermazioni di Ahmedinejad durante la campagna elettorale e l’indomani della vittoria. D’altro canto il neopresidente non avrebbe avuto molto altro da aggiungere dato che il cammino politico-spirituale e socio-economico dell’Iran è stato impresso dalle stimmate rivoluzionarie degli anni Ottanta dello scorso secolo.
    Noi siamo aperti ai rapporti internazionali. Con l’Africa, con l’Europa, con tutti i continenti.Ma non abdichiamo alla difesa dei diritti del popolo iraniano [...] La libertà era fin dall’inizio alla base della rivoluzione islamica. Ma per noi la libertà è un concetto più ampio che per voi.Voi dite che la libertà deve essere a 360 gradi e poi ne prendete in considerazione solo un paio. Vivere liberamente significa vivere nel quadro della legge, che è il confine della libertà altrui”.Questo il stralcio di un’intervista rilasciata a un quotidiano italiano, ove Mahmud Ahmedinejad ha affrontato anche altre argomentazioni, quali il progetto nucleare ed i rapporti con gli USA. Chiare e senza fronzoli sono state le dichiarazioni della Guida Suprema della Rivoluzione, l’Ayatollah Alì Khamenei, il quale ha tenuto a ribadire che “La grande affluenza alle urne segna la sconfitta dei complotti del nemico, il criminale di Abu Ghraib e di Guantanamo”4. Con la saggia partecipazione al voto il popolo iraniano ha dimostrato la ferma volontà di difendere l’integrità dei valori islamici, il ‘benessere’ nei valori dell’Islam, la peculiarità della rivoluzione iraniana, oltre a combattere il grande cancro della corruzione suffragata dalle strutture occidentaliste e filostatunitensi. Tale volontà non può non essere presa in considerazione, soprattutto da quanti dirigono i destini dei popoli. Il popolo iraniano, soprattutto l’elettorato più povero “ ...ha bocciato il capitalista, per difendere piccoli benefici o magari in odio a quella nomenklatura furba che già si preparava al business [...] È entrato nella campagna elettorale, contro Rafsanjani, per ribadire in ogni modo che gli Stati Uniti sono il nemico eterno”5.
    Infliggeremo all’America una sconfitta severa”: in questa maniera è stato vergato con l’inchiostro il muro dell’ex ambasciata USA di Teheran! Ed attraverso questo slogan, inequivocabile, è passata ancora per una volta la vittoria dei duri e dei puri nel cuore, nell’animo e nello spirito; virtù proprie d’un popolo e d’una schiera di rivoluzionari.
    E sono stati proprio gli Stati Uniti, il rapace Bush, i profittatori del petrolio, i ricchi capitalisti, gli interessi delle multinazionali dell’energia ad essere stati profondamenti sconfitti.Non sono serviti i milioni di dollari spesi attraverso televisioni e giornali con una campagna mediatica più che diffamatoria, attraverso l’uso e il finanziamento di gruppi terroristici ed azioni di guerriglia ai confini dell’Iran, condotti di prima mano dai servizi USA, oltre all’accerchiamento geostrategico dell’area perimetrale centrasiatica a far abbassare la guardia all’Iran ed al suo popolo. Ancora una volta il figlio d’un fabbro ha condotto il popolo alla rivoluzione; è accaduto a Predappio, oggi a Teheran: identici i tricolori, identici i richiami alla identità, all’unità ed all’orgoglio, al retaggio atemporale, arazionale e sovrarazionale, metastorico e mitico d’un Popolo.
    La Comunità Politica di Avanguardia, d’altro lato, ribadisce che la Repubblica Islamica dell’Iran rappresenta il massimo ‘polo’ di attrazione per l’Islâm tradizionale e rivoluzionario. Geopoliticamente assolve la sua funzione per le nazioni della “Terra di Mezzo”, Pakistan ed Afghanistan, per Stati e movimenti popolari africani e mediorientali e per le repubbliche islamiche dell’ex Unione sovietica. Lo è anche per le autentiche avanguardie nazionalrivoluzionarie presenti all’interno dell’appendice occidentale dell’Eurasia, consapevolmente predisposte alla battaglia contro il Sistema mondialista. L’Iran, quindi, per la militia antimondialista rappresenta il primario referente spirituale, politico, strategico e militare dello spazio imperiale euroasiatico delle genti Indoeuropee.La Repubblica Islamica dell’Iran è l’identità politica, mentre l’Eurasia è lo spazio geografico. Tertium non datur!

    Leonardo Fonte

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    Khomeini, i sovietici e gli Stati Uniti
    Perché l'Ayatollah teme l'America

    di Daniel Pipes

    27 maggio 1980


    Pezzo in lingua originale inglese: Khomeini, the Soviets and U.S.
    CHICAGO – L'Iran sembra scivolare nell'orbita sovietica. Se l'ayatollah Ruhollah Khomeini ha spesso inveito con veemenza contro il grande Satana americano, ha invece condannato di rado l'invasione sovietica in Afghanistan. L'appoggio da lui dato al prolungamento della detenzione dei 53 ostaggi americani ha indotto i Paesi occidentali a tagliare i rapporti economici con l'Iran, costringendo quel Paese a dipendere maggiormente a livello commerciale dall'Unione Sovietica.
    Per quale motivo Khomeini si aliena così gli Stati Uniti, il solo Paese in grado di proteggerlo dall'Unione Sovietica? Incapaci di rispondere a questa domanda, gli occidentali alzano le braccia in segno di disperazione e dichiarano che Khomeini si comporta in modo irrazionale. Ma questo gesto è loquace. Khomeini non è pazzo, egli incarna la tradizione islamica nella cultura iraniana e le sue azioni hanno un senso nell'ambito di quella tradizione.
    Dal punto di vista occidentale, gli Stati Uniti costituiscono per l'Iran una minaccia minore rispetto a quella rappresentata dall'Unione Sovietica, che si staglia al di là di una lunga frontiera comune e sposa una dottrina ateista incompatibile con l'Islam e con molte altre istituzioni della vita iraniana: come la proprietà privata e la famiglia, considerata come il nucleo sociale ideale.
    Ma per l'Ayatollah è l'America a rappresentare la minaccia più grave. Egli ritiene che dopo il 1953 il governo statunitense controllasse lo Scià, il suo regime e il popolo iraniano; e inoltre, egli crede che Washington stia cercando di rovesciarlo e di riconquistare il potere perduto. Il fallimento del tentativo di liberazione degli ostaggi ha confermato questo timore.
    È la cultura americana, e non quella sovietica, che si diffonde in Iran e fa raccapricciare l'ayatollah Khomeini, poiché agli occhi di quest'ultimo essa minaccia il modo di vita islamico a causa dei suoi costumi dissoluti (alcol, jeans, musica pop, locali notturni, film, discoteche, bagni misti e pornografia), del suo esibizionismo consumistico e delle sue ideologie straniere (come il nazionalismo e il liberalismo). L'Ayatollah e i suoi seguaci desiderano con fervore un Iran esente dalla dominazione straniera. Finché essi considereranno l'America come la peggiore minaccia che incombe sul loro Paese, nulla impedirà loro di appoggiarsi all'Unione Sovietica. Sebbene noi abbiamo in comune con gli iraniani il rispetto per la religione, la proprietà privata e per il nucleo familiare, il regime dell'Ayatollah ha invece molto da condividere con i marxisti a scapito dell'Occidente.
    Essi hanno in comune una notevole dose di antipatia nei confronti dell'Occidente. Il governo sovietico, al pari di Khomeini teme il fascino della cultura occidentale e prova con accanimento a mantenerla a distanza.
    Usando uno strano paragone, l'Islam vuole sostituirsi alla Cristianità come rivelazione finale da parte di Dio e il comunismo vuole subentrare al capitalismo come stadio finale dell'evoluzione economica. L'Occidente esaspera entrambi i pretendenti alla successione con il suo incessante benessere e potere. E quelli reagiscono opponendosi ad esso strenuamente. Proprio come all'inizio di questo secolo essi sferrarono un attacco contro l'imperialismo europeo, oggi l'Unione Sovietica e i membri musulmani dell'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) costituiscono la principale opposizione alla potenza politica ed economica dell'Occidente. Entrambi hanno dei temperamenti rivoluzionari; rivendicano il monopolio sulla verità, e allora perché dovrebbero tollerare un solo giorno di più l'esistenza di costumi biasimevoli e perversi? Ognuno di essi diffonde il suo messaggio con petulanza retorica, pratica l'indottrinamento, ricorre a dei tribunali arbitrari e a dei plotoni di esecuzione. Entrambi tendono a non tollerare nessuna dissidenza e guardano ai non-credenti con sospetto, evidenziando il profondo solco che separa loro stessi dai profani.
    L'Islam attivista e il Marxismo mettono in evidenza la solidarietà internazionale sul nazionalismo, i bisogni della comunità su quelli dell'individuo, l'egualitarismo sulla libertà.
    Entrambi manipolano le masse e questo è l'aspetto peculiare. Disprezzando gli obiettivi modesti e le aspettative realistiche del liberalismo, gli attivisti musulmani e i marxisti perseguono degli ideali che sembrano nobili ma che sono irraggiungibili. Ad esempio, l'Islam vieta la riscossione degli interessi sui prestiti finanziari e il comunismo denuncia il profitto, eppure le attività commerciali non potrebbero fare a meno di entrambi.
    Alla fine, poiché l'Islam attivista e il Marxismo trattano ogni aspetto della vita, i loro governi tendono al totalitarismo.
    Pur se Khomeini condivide degli elementi ideologici tanto con gli Stati Uniti quanto con l'Unione Sovietica, da devoto musulmano confida nella superiorità del suo credo ed esecra entrambe le alternative.
    E comunque, alla fine, le ideologie si neutralizzano e Khomeini indirizza i rapporti iraniani con l'estero in funzione delle sue speranze e dei suoi timori, senza tener conto delle affinità teoriche.
    Al momento, Khomeini teme molto più gli Stati Uniti che l'Unione Sovietica: i russi sono vicini, ma a suo dire l'America si trova già in seno all'Iran. A suo avviso, è la nostra cultura, e non quella russa, che negli ultimi decenni ha minato il modo di vita musulmano in Iran. Finché predomineranno simili timori bisognerà aspettarsi che l'Ayatollah e i suoi seguaci faranno mutare rotta all'Iran in direzione dell'Unione Sovietica, giacché l'ideologia di quest'ultima non sembra loro peggiore della nostra.

 

 

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