Da “La Stampa “ dell’ 8 marzo 2007
Cuffaro vuole fare l’americano.
Nello spot di una Tv privata, una battuta del presidente siciliano rievoca antichi scenari cari agli indipendentisti di stampo mafioso. E ora ritornati di gran moda.
Alfio Caruso
Con la coppola in testa e il bicchiere di vino in mano, Totò Cuffaro offre una meschina caricatura di se stesso. Recita da consumato protagonista nello sopt di una trasmissione televisiva.
Si presta ovviamente, a titolo amichevole, è il classico favore reso al proprietario di una emittente privata di Agrigento, il suo bacino elettorale, certo di un ritorno in tempo di votazioni. Una prassi consolidata per il re siciliano del consenso, capace in questi ultimi anni di raccogliere una messe di suffragi a dispetto degli scarsi risultati da governatore e di un processo per favoreggiamento della mafia, in cui le accuse e le prove sono cresciute con il trascorrere delle udienze.
Nella calcolata esibizione qualcosa, però, sfugge di senno e di bocca. Cuffaro elenca gli immancabili soprusi perpetuati da Roma (c’impedisce di fare il ponte, i rigassificatori, gl’inceneritori e ci mette anche le tasse sulla sanità), ha il tono e l’espressione di chi deve scusarsi con i propri clienti e sostenitori per qualche promessa fin qui non mantenuta.
Poi tira fuori dalla coppola l’idea per avere tutto e subito: dichiarare guerra agli Stati Uniti, naturalmente perderla ed essere occupati dal nemico, il quale regalerebbe alla Sicilia ciò che l’Italia le nega.
Almeno per questa vota la fantasia non è andata al potere. Cuffario ha, infatti riproposto lo scenario di quanto accadde nel ’43 con lo sbarco alleato: secondo le intese sotterranee doveva provocare, e provocò, la caduta del fascismo. Saltò per il mutato parere degli Usa, soltanto l’ultima parte del piano: la trasformazione della Sicilia nella quarantanovesima stella della bandiera a stelle e striscie. Era il progetto del movimento indipendentista guidato dai feudatari affiliati alla massoneria e in gran parte alla mafia: li ripagarono con una autonomia perfino eccesiva.
Malgrado le amplissime concessioni dello statuto speciale, -mai Bossi ha pensato di ottenere altrettanto per la sua mitologica Padania- l’approdo americano costituisce da sessant’anni la speranza segreta di tanti, indifferenti a ritrovarsi Cosa Nostra quale compagna di strada. Un collaboratore di giustizia, Vincenzo Sinacori, ha raccontato che Bagarella nel ’93 inviò Messina Denaro da un potente boss americano, Saro Noemi, nato nel quartiere palermitano di San Lorenzo: intendeva sapere se gli Stati Uniti fossero interessati ad avere la Sicilia quale cinquantunesimo stato federale. Ma questo sogno di governare l’isola per conto di una capitale, Washington, che sarebbe molto più lontana di tutte le altre capitali (Dalla Roma antica a quella moderna, da Bagdad a Parigi, da Madrid a Napoli), piace a molti, oltre alle cosche. La battuta di Cuffaro cade, infatti, a poche settimane dall’intitolazione di due strade di Catania ad Antonio Canepa e Concetto Gallo, i capi militari del folcloristico esercito arruolato dagli indipendentisti.