Roma. Più che di America latina sarebbe meglio parlare di America levantina, con il presidente brasiliano, Luiz Inácio da Silva Lula, portabandiera.
Con il collega statunitense George W. Bush ha firmato a San Paolo un accordo per la produzione dell’etanolo per ridurre la dipendenza petrolifera dal Venezuela.
Lo stesso giorno il ministro delle Finanze di Brasilia, Guido Mantega, era a Buenos Aires. Lì si è accordato per “sdollarizzare” il commercio con l’Argentina e annunciare l’adesione del Brasile al Banco del Sur.
Il progetto, voluto da Chávez e subito appoggiato da Kirchner, vorrebbe creare un’istituzione finanziaria in grado di ridurre l’influenza di Fondo monetario internazionale, Banca mondiale e finanza nordamericana in genere.
“E’ nell’interesse del Brasile”, ha spiegato Lula a San Paolo. “E’ nell’interesse del Brasile”, ha ripetuto Mantega a Buenos Aires.
A questa situazione si è giunti proprio grazie alle iniziative prese da Washington e Caracas, ancor prima dei loro tour sudamericani. Quello di Bush in Brasile, Uruguay, Colombia, Guatemala e Messico; quello dell’avversario Chávez in Argentina, Bolivia, Nicaragua, Giamaica e Haiti. Il caudillo, in una delle sue colite espressioni, si è vantato di aver inferto un k.o., confermato anche dal giornalista della Cnn Andrés Oppenheimer, che ha dovuto ammettere che il capo della Casa Bianca “era sceso in campo con un handicap”. Lo svantaggio era un rapporto sui diritti umani pubblicato qualche giorno prima della trasferta latina e in cui i paesi visitati erano piuttosto maltrattati.
La cosa, ovviamente, è sembrata una provocazione nel clima già caldo su Guantánamo e Abu Ghraib.
Il risultato di questo affannarsi? Deludente sia per gli Stati Uniti sia per il Venezuela. Un recente sondaggio regionale ha dimostrato che Bush ha la terzultima “immagine favorevole” tra i capi di stato dell’Emisfero, Chávez la penultima, Castro l’ultima. Il più simpatico è proprio il levantino Lula, seguito dalla cilena Michelle Bachelet e dal colombiano Álvaro Uribe Vélez.
Insomma, il proverbio “tenere il piede in due staffe” è quantomai azzeccato.
Ma Lula, che riceveva Bush mentre il suo partito gli manifestava contro, non è il solo. Daniel Ortega ha fatto entrare il Nicaragua nella zona di integrazione Alba assieme a Cuba, Venezuela e Bolivia, ma è rimasto nel Cafta con gli Stati Uniti.
Il nicaraguense non si è fermato qui. Prima ha ricevuto Chávez, prendendo da lui i soldi per una raffineria in grado di processare 150.000 barili al giorno di petrolio venezuelano. Poi è andato da Lula, per discutere, anche lui, di etanolo.
L’uruguayano Vázquez ha festeggiato Bush mentre ministri della sua maggioranza lo hanno apostrofato come “un criminale”. Anche l’Argentina si è mossa sulle stesse orme. Kirchner ha ricevuto Chávez a Buenos Aires lo stesso giorno dell’arrivo di Bush a Montevideo, sicurissimo che l’ospite venezuelano ne avrebbe approfittato per organizzare un comizio contro la Casa Bianca. Poi ha indotto il ministro degli Esteri, Jorge Taiana, a spiegare che il governo “non ha avuto nulla a che fare” con la realizzazione di quell’evento.
Kirchner, da una parte, ha firmato con Chávez trattati di cooperazione a raffica, per progetti che vanno dall’emittente Telesur al Banco del Sur; dall’altra permette alle sue forze armate e ai suoi servizi di mantenere rapporti di massimo livello con gli Stati Uniti: dalla Minustah, la missione dell’Onu per la stabilizzazione di Haiti, alle manovre militari congiunte.
Da un lato, nel 2006 ha fatto approvare una serie di provvedimenti per la cooperazione nella guerra al terrorismo dell’amministrazione Bush.
Dall’altro, per pagare il debito al Fondo monetario internazionale e riconvertire quello con i privati, gli sono stati necessari i molti petroldollari di Chávez, che ha acquistato bond altrimenti non collocabili.

Da il Foglio del 16 marzo

saluti