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    Predefinito [Rivoluzionari 3] George Sorel

    RIFLESSIONI SULLA VIOLENZAdi Geroges Sorel
    TRATTO DA WWW.ANARCOTICO.NET
    Le "Riflessioni sulla violenza" (1908) sono senz'altro il migliore e il più grande libro di Georges Sorel (1847-1922).
    Vi si trovano pagine ammirevoli sul socialismo, sulla moralità della violenza, sull'avvenire della civiltà, sui miti socialisti; prospettive precise sui suoi metodi e sulle sue intenzioni; è la sola opera che conservi, contemporaneamente, una qualche unità interna sia a proposito dell'idea di violenza che a quella di sciopero.

    Le "Riflessioni" hanno procurato a Sorel la maggior parte dei suoi lettori e dei suoi ammiratori; tuttavia molti di essi sono stati delusi dalla lettura di questo libro, scoraggiati forse dal lato frammentario ed estemporaneo della sua composizione.
    Si adatta bene a "questo" Sorel il giudizio che egli, seguendo Croce, formulava su Marx: "Bisogna riconoscere che il sistema di Marx presenta notevoli difficoltà per la critica, poichè l'autore non ne ha dato un esposto didattico. Benedetto Croce afferma che "Il Capitale" sia una strana mescolanza di teorie generali, di polemiche e di satire amare, di illustrazioni e di digressioni storiche. Occorre andare alla ricerca del pensiero dell'autore, e ciò non manca di offrire numerosi motivi di errore".
    Sorel, anch'egli, non ha esposto didatticamente il proprio pensiero. Egli respingeva tutto quello che vagamente potesse incutere il sentore di qualcosa di educazionistico, pedagogico, precettistico. Le "Riflessioni", come "Il Capitale", sono pertanto una mescolanza bizzarra e suadente di teorie generali, di virulente polemiche, di motti di spirito e di digressioni. Bisogna ricercare il pensiero di Sorel con tutti i rischi di anticipazioni e di errori che la sua ermeneutica comporta.
    Tuttavia, è proprio partendo dalle "Riflessioni" che si può più proficuamente comporre un quadro del pensiero, della personalità morale ed intellettuale di Sorel. Si potrebbero dare le definizioni più varie del socialismo di Sorel; basterebbe trarle dalle sue opere: ma se vogliamo dare una definizione onesta del suo socialismo, presa in un'epoca in cui il suo pensiero, ondivago per antonomasia e per questo a noi particolarmente gradito e caro, è relativamente stabilizzato, ci si accorge che essa può essere formulata in poche parole: il socialismo, con tutte le sue speranze e le sue possibilità, è interamente contenuto nella lotta di classe -la sistemazione della lotta di classe è il solo apporto reale, enorme, tuttavia, del marxismo- e nel concetto di sciopero generale che permette di cogliere la lotta di classe nel suo aspetto più evidente e più crudo, esprimendone la più vivida e adamitica integralità.

    Il socialismo, mentre per Marx è "una filosofia della storia delle istituzioni contemporanee", viene essenzialmente e primariamente definito da Sorel come "una filosofia morale" e una metafisica dei costumi, "un'opera grave, temibile, eroica, il più alto ideale morale che l'uomo abbia mai concepito, una causa che si identifica con la rigenerazione del mondo". I socialisti non devono formulare teorie, costruire utopie più o meno seducenti, "la loro unica funzione consiste nell'occuparsi del proletariato per spiegare ad esso la grandezza dell'azione rivoluzionaria che gli compete".

    "Il socialismo è diventato una preparazione delle masse impiegate nella grande industria, le quali vogliono sopprimere lo Stato e la proprietà; ormai non si cercherà più il modo in cui gli uomini si adatteranno alla nuova e futura felicità: tutto si riduce alla scuola rivoluzionaria del proletariato, temprato dalle sue dolorose e caustiche esperienze".

    Per Sorel, dunque, il marxismo è soprattutto una "filosofia delle braccia", cioè una tattica e un metodo di lotta, fondata senza dubbio su un'analisi filosofica e sociologica orientata verso l'azione diretta e l'energia, una filosofia anti-intellettualistica e vitalistica-conquistatrice, soggiacente all'influenza della lezione migliore lasciataci dagli scritti nietzscheani.
    Impegnato su questa via Sorel scopre la violenza; ne scopre l'imperio, la crescente importanza nei rapporti umani e sociali -era l'epoca in cui nelle lotte operaie ogni anno decine di scioperanti cadevano sotto le pallottole della sbirraglia e della soldataglia- ed egli pensa che non sia più possibile parlare di socialismo senza filosofare sulla violenza e più particolarmente sulla violenza proletaria:

    "Il socialismo tende sempre più a configurarsi come una teoria del sindacalismo rivoluzionario -o meglio come una filosofia della storia moderna nella misura in cui quest'ultima subisca il fascino del sindacalismo. Risulta da questi dati incontestabili che, per ragionare seriamente del socialismo, bisogna prima di tutto preoccuparsi di definire l'azione che compete alla violenza nei rapporti sociali di oggi".
    La guerra di classe è dunque per lui l'essenza e la speranza del socialismo.

    Egli non oppone due sistemi, socialismo e capitalismo, libera concorrenza e collettivismo, per sottolineare i difetti e i vizi dell'uno e le qualità e i meriti dell'altro; egli oppone in una guerra eroica e leale, all'ultimo sangue, una nozione proudhoniana, questa, sempre sovrapposta al marxismo e sostanzialmente dominantelo, il proletariato alla borghesia. Dal loro urto scaturirà il Sublime.

    Sorel si occupa assai poco di economia. Egli tuona contro la borghesia vigliacca, arrogante, invidiosa e avida, i cui costumi, negli ultimi trent'anni presi in considerazione, lo hanno definitivamente irritato e che lascia perire il retaggio sacro della umanità contrario al sistema economico di cui non è neppure beneficiaria.

    Sorel si vieta ogni previsione sull'avvenire: egli aveva in grande orrore le utopie e gli utopisti: "Con che si fanno le utopie? Col passato, e spesso con un passato assai remoto". Spesso gli è stato rimproverato di non aver tenuto conto dell'organizzazione produttiva -descrizione che è generalmente richiesta ai teorici del socialismo- che in modo troppo semplicista. Nella prospettiva soreliana tale rimprovero è assurdo. Egli si accontenta deliberatamente di un atto di Fede sulla capacità di gestione della classe operaia, affinata dalla suprema lotta. L'idea dello sciopero generale produce presso i lavoratori "uno stato d'animo epico, che tende tutte le forze dell'Anima verso condizioni che permettano di realizzare un'officina che funzioni liberamente e che sia prodigiosamente progressiva".

    Egli si rifiuta altresì di tracciare, anche solo a grandi linee, l'immagine della società futura. Sorel ha bersagliato di sarcasmi e dileggi gli scrittori socialisti che avevano tentato di descriverla con un'ingegnosità più o meno felice, in particolare scagliandosi contro Jean Jaures e Charles Fourier: "Sembrava loro che le proprie invenzioni fossero tanto più convincenti quanto più l'esposizione era conforme alle esigenze di un libro scolastico".
    Il più grande merito attribuito a Marx da Sorel e che invece contrapponeva il Nostro in maniera feroce agli epigoni del rivoluzionario tedesco, i cosiddetti marxisti, si concretava proprio su questo punto: "Non si saprebbe troppo insistere sul fatto che Marx condanna tutte le ipotesi costruite dagli utopisti circa l'avvenire". "Ho detto che Marx rifiutava tutti i tentativi orientati verso la determinazione delle condizioni di una società futura; non si saprebbe abbastanza insistere su questo argomento, poichè noi vediamo che in tal modo Marx si collocava al di fuori della società borghese".

    La società futura per Sorel scaturirà del tutto naturaliter dall'azione del movimento operaio. Più il movimento operaio saprà essere Eroico e Puro, più la società che si elaborerà in seno al medesimo raggiungerà un elevato livello.
    Il diritto operaio non è dunque il diritto che fabbricano i legislatori borghesi amanti delle scienze sociali nel loro Parlamento, è il diritto che nasce nelle attività sindacali: "Si dovrebbero definire diritto operaio gli usi che si formano nella classe lavoratrice, e che possono, perfezionandosi, diventare il diritto futuro".

    Ragionando per analogia, Sorel crede di cogliere delle affinità spirituali sorprendenti tra le qualità dei soldati delle guerre napoleoniche per la Libertà, quelle suscitate tra i lavoratori dallo sciopero generale e quelle che dovrebbero possedere i membri di un'officina socialista. L'operaio di un'officina socialista, come il soldato delle guerre per la Libertà, il militante sindacalista, non regola il suo sforzo su una misura esteriore; egli tende piuttosto a superare i modelli che gli si offrono, a voler spingere il proprio sforzo più in alto; soltanto un paragone con l'Arte considerata come "un'anticipazione della più alta produzione" potrebbe, secondo Sorel, permetterci di capire vagamente quello che accadrebbe in un'officina -a questo termine va esteso un significato lato, si intende- libera.
    D'altra parte "l'industria moderna è caratterizzata da una preoccupazione sempre maggiore dell'esattezza".

    Altra analogia con lo spirito delle armate rivoluzionarie nelle quali i soldati delle guerre per la Libertà "attribuivano un'importanza quasi superstiziosa all'adempimento delle più piccole consegne". Sorel afferma: "Quando si lancia una colonna d'assalto, gli uomini che marciano in testa sanno che sono votati alla morte, e che la gloria sarà per quelli che, calpestando i loro cadaveri, entreranno in territorio nemico. Tuttavia essi non pensano a questa grande ingiustizia e vanno avanti".
    I soldati delle armate rivoluzionarie che procedevano senza sperare ricompensa, i grandi artisti sconosciuti che hanno edificato le cattedrali, gli inventori che hanno assicurato il trionfo dell'industria moderna senza attendere una rimunerazione per le loro scoperte, hanno tutti vissuto senza ricevere una ricompensa personale immediata e adeguata del loro eroismo, del loro genio, del loro sforzo.

    Il sacrificio più assoluto e dedito di se stessi in nome di un Ideale indicibile: non possono che emergere nella nostra mente le figure misteriose, fulgide ed altere di due Incomparabili Genii, immeritatamente per noi italiani: Bruno Filippi e Carlo Michelstaedter. Nel nostro mondo marcio, esiste ancora una forza d'entusiasmo ad essi confrontabile? Sorel lo crede: egli pensa che l'entusiasmo e la fede che sono stati la forza motrice del movimento rivoluzionario saranno domani le forze vive della "morale dei produttori": responsabilità personale, eroismo invincibile, disciplina interiore, abnegazione, rifiuto del mondano osceno e scurrile.


    Sorel prosegue nel suo discorso enunciando: "La morale non è destinata a scomparire perchè le sue forze motrici saranno cambiate; essa non è condannata a diventare una semplice raccolta di didascalici precetti, se può allearsi ancora a un entusiasmo capace di vincere tutti gli ostacoli opposti dall'abitudine, dai pregiudizi e dal bisogno di vantaggi immediati-portati di una logica utilitaristica-benthamiana. Ma è certo che non si potrà conquistare questa forza sovrana seguendo le vie nelle quali vorrebbero farci entrare i filosofi contemporanei, gli esperti in scienza sociale e gli inventori di riforma profonda. Oggi non vi è che una sola forza che possa provocare quell'entusiasmo senza il cui aiuto non vi è morale possibile: è la forza che si sviluppa dalla propaganda in favore dello sciopero generale. Abbiamo così riconosciuto che vi sono degli stretti legami tra i sentimenti provocati dallo sciopero generale e quelli che sono necessari per innescare il processo della produzione. Abbiamo il diritto di sostenere che il mondo moderno possiede il movente primo che può assicurare la morale dei produttori".
    Ma perchè il socialismo possa adempiere alla sua funzione soteriologica, dopo il crollo degli antichi valori e il processo nietzscheano che prevede la Trasvalutazione degli stessi, occorre che esso sia perfettamente autonomo e puro, occorre che non debba nulla alle ideologie tradizionaliste della borghesia.
    Il movimento socialista rivoluzionario deve essere immune da ogni elemento estraneo, deve includere e prevedere presso di sè il vituperato ma sempre valido concetto di epurazione, nonchè la prassi derivante da quello, che sia nell'accezione nietzscheana che in quella staliniana lo conduce al suo repente rafforzamento. Deve essere un movimento anti-intellettualistico, rigorosamente ed esclusivamente rivoluzionario e proletario: deve destituire quindi intellettuali, commercianti, piccoli borghesi, funzionari.

    Due pericoli minacciano il socialismo secondo Sorel: il primo, sul piano politico, costituito da tutte le deviazioni democratiche, riformiste e parlamentari possibili; il secondo, sul piano economico, costituito invece da tutti gli squallidi tentativi di collaborazione fra le classi che Sorel simboleggia e compendia in una sola espressione, la vigliaccheria borghese.
    Il socialismo riformista e parlamentare cerca indifferentemente la clientela elettorale fra tutte le classi sociali. Esso mira alla conquista dello Stato mediante il suffragio universale, ennesima frale menzogna, illusione democratica, vuotando il socialismo di ogni contenuto classista e togliendo al marxismo le sue poche potenzialità liberatrici:

    "La letteratura elettorale sembra ispirata dalle più pure dottrine demagogiche: il socialismo di questo tipo si rivolge agli scontenti, qualsiasi sia la loro appartenenza di classe; per questo troviamo dei socialisti laddove non ci aspetteremmo di rinvenirli. Il socialismo parlamentare parla tanti linguaggi quanti sono i tipi delle clientele. Esso si rivolge agli operai, ai piccoli padroni, ai contadini, a dispetto di Engels anche agli affittuari; talvolta è patriota, talvolta declama contro l'esercito; nessuna contraddizione lo ferma, perchè l'esperienza ha dimostrato che si può, in una campagna elettorale, riunire le forze che dovrebbero essere normalmente antagoniste, secondo le stesse concezioni marxiste. D'altra parte un deputato non può rendere servizi a elettori di ogni situazione economica".

    "I socialisti parlamentari - prosegue ancora Sorel - non possono avere grande influenza se non giungono ad imporsi a gruppi molto dissimili parlando un linguaggio volutamente confuso: a loro occorrono degli elettori operai abbastanza ingenui da lasciarsi ingannare dalle frasi roboanti sul futuro collettivismo. Essi devono presentarsi come profondi filosofi ai borghesi stupidi che vogliono sembrare esperti in questioni sociali; devono poter sfruttare persone ricche che credono di ben meritare dall'umanità attuando imprese di politica socialista. Quest'influsso è fondato sull'arruffio e i nostri grandi uomini lavorano con successo spesso troppo grande a creare la confusione nelle idee dei loro elettori".

    Queste pratiche elettorali portano con sè la più larga corruzione. I deputati socialisti non sono certo da meno dei parlamentari più esplicitamente borghesi nell'arte dell'inganno e dell'imbroglio. E le "Riflessioni sulla violenza" costituiscono parimenti un libello antidemocratico d'una violenza e d'una vivacità raramente in seguito raggiunti.

    Già nel 1906, Sorel, dopo le delusioni indottegli dalla campagna dreyfusarda, non ha più alcun riguardo per la democrazia; è risolutamente antidemocratico, e tale resterà fino alla morte. "Il suo antidemocraticismo resterà sempre -ha scritto Pirou- quanto mai saldo e risoluto. Esso è il perno fisso intorno al quale girerà ormai la sua dottrina". La democrazia che trascina il socialismo nella via delle transazioni e dei compromessi è il nemico principale del movimento operaio, il suo principale agente di confusione e di dissoluzione:

    "L'esperienza ha finalmente dimostrato che un accordo fra il socialismo e la democrazia non permette all'ideologia rivoluzionaria di mantenersi all'altezza che essa dovrebbe avere perchè il proletariato possa compiere la sua missione storica. La liquidazione della rivoluzione dreyfusarda doveva portarmi a riconoscere che il socialismo proletario o Sindacalismo non realizza pienamente la sua natura se non quando è volontariamente un movimento operaio rivolto contro i demagoghi".

    "La democrazia elettorale - scrive ancora, e in questo passo che è di un'attualità sconcertante, veramente in maniera magistrale, Sorel - assomiglia molto al mondo della Borsa. In un caso, come nell'altro, bisogna operare sull'ingenuità delle masse, comprarsi l'appoggio della grande stampa e aiutare il caso con un'infinità di astuzie; non c'è grande differenza fra un finanziere che immette nel mercato dei clamorosi affari che poi crollano in pochi anni, e il politicante che promette ai suoi concittadini un'infinità di riforme che non sa come attuare e che si ridurranno a un mucchio di carte parlamentari. Gli uni e gli altri non capiscono nulla della produzione e cercano tuttavia di imporsi ad essa, di dirigerla male, e di sfruttarla spudoratamente; essi sono abbagliati dalle meraviglie della industria moderna e pensano che il mondo sia abbastanza provvisto di ricchezze perchè lo si possa derubare largamente, senza far troppo gridare i produttori. Spennare il contribuente senza che si ribelli: ecco tutta l'arte del grande statista e del grande finanziere. Democratici e affaristi hanno una capacità tutta particolare per fare approvare i loro imbrogli dalle assemblee deliberanti; il regime parlamentare è mistificato come le riunioni di azionisti. Probabilmente è a causa dalle affinità psicologiche profonde risultanti da questi modi di agire, che gli uni e gli altri s'intendono così perfettamente: la democrazia è il paese di cuccagna sognato dai finanzieri senza scrupoli".

    Ed inoltre: "I politicanti sono gente navigata, nei quali la perspicacia è resa singolarmente aguzza dagli appetiti voraci e fra i quali la caccia ai buoni posti sviluppa scaltrezze da apache".

    Le "Riflessioni" sono colme di centinaia di aforismi dello stesso tipo, magnifici e fulminanti. Giuseppe La Ferla, nel suo "Renan politico" (Firenze 1953, pagina 66) sostiene che Renan, con la romantica affermazione già nel 1849 di un "compito provvidenziale della barbarie", consistente nel restituire allo spirito e alla cultura il loro primigenio vigore, sia il primo ispiratore delle "Riflessioni" soreliane, insieme a Marx e a Vico. Se così fosse, noi lo ringraziamo per questo: l'esigenza di una riforma intellettuale e morale, antecedente al rovesciamento dei rapporti sociali ed economici dominanti, comune secondo il giudizio di Gramsci sia a Sorel che a Renan medesimo, è rimasta tale quale era, un'esigenza, non c'è stata, non ci sarà; non abbiamo altra speranza nell'avvenire se non nel Caos, ci insegna Ernest Coeurderoy. Ma rimane l'impronta ferma di quest'opera colossale, somma e sontuosa, le "Riflessioni sulla violenza" di Sorel, ed incancellabile il merito che il nostro Maestro Sorel ha avuto nell'espungere dal marxismo tutte le aspirazioni teleologiche, scientiste, positiviste, nell'eliminare da esso qualsiasi traccia di filosofia della storia, nell'assegnare alla violenza la virtù, l'onere e l'onore della azione creatrice, o se preferite, seguendo Georges Palante, della Bontà Creatrice, il compito di una nuova fondazione etica. L'avvenire si divarica enigmatico innanzi a noi, la Volontà nostra o del Fato - l'amor fati nietzscheano- lo determinerà; ma anche se lo scoramento e lo sgomento sono i sentimenti odiernamente prevalenti nei nostri pensieri, il debito di riconoscenza nostro nei confronti di Sorel non verrà mai meno.
    Egli fu il nostro maestro di libertà e di rivolta. Non cesserà mai di esserlo. Ed io, timido auleda, non posso esimermi dal cantarne la venustà prima di sprofondare rigenerato nella mia familiare catabasi. Poichè il mio lene delirio nell'inesausta caldezza del Sole non si perita di risparmiare neppure il socialismo, fosse pure codesto, eresiarchico, di Georges Sorel, a cui le ingiurie del Tempo edace non potranno sottrarre le faville dell'eversività.

    "Penso che il desiderio di ricondurre tutto al punto di vista scientifico conduca - quasi necessariamente - all'utopia o al socialismo di stato".


    (Georges Sorel, "La rovina del mondo antico", I edizione Parigi 1902)


    "In ogni problema la scienza agisce in modo potente dando all'uomo un'intelligenza completa delle sue azioni ed eliminando le illusioni parafisiche che vengono, ad ogni momento, a turbare il nostro spirito. Tuttavia, perchè si produca il cambiamento è necessario ben altro che la scienza; ci vuole l'evoluzione dell'ambiente artificiale nel quale viviamo: i bisogni della vita economica dell'ambiente sono i motori diretti. Non possiamo dire che cosa sarà la società collettivista come non possiamo dire che cosa sarà la macchina a vapore tra un secolo: sforziamoci piuttosto di comprendere e giudicare quello che facciamo".

    (Georges Sorel, "L'antica e la nuova metafisica", 1894)


    "Il socialismo, mantenendo le forme, il nome, gli schemi delle argomentazioni, - tutto il frasario di Marx - ha ridotto la sua negazione della società borghese a un elemento di riforma nella società borghese, volto a scopi più o meno particolari e materiali: più o meno mite, a seconda che più o meno i capi del partito avevano bisogno della società borghese e, approfittando della forza che loro concedeva il partito, ambivano a un posto in quella. Così che in Francia il socialismo è giunto al governo, in Germania ha creato una classe benestante più borghese dei borghesi, in Italia... dell'Italia è pietoso tacere".

    (Carlo Michelstaedter, "La Persuasione e la Rettorica", 1910)



    L'ERESIA SORELIANA

    Noi siamo in linea di massima comunisti anarchici per quel che concerne l'aspetto economico, anche se propriamente l'anarchico individualista deve ignorare l'economia, anzi professare il disprezzo dell'economia; utilizziamo pro domo nostra questa espressione tipicamente evoliana rigettando la turpe ideologia che soggiace ad essa. L' unico interesse nostro appo la questione economica ci deriva dallo stirnerismo, naturalmente in maniera paradossale; mi riferisco alla prima embrionale teorizzazione, operata da Stirner, del concetto di sciopero generale nelle pagine dell' "Unico" (1845) e che poi sara' Sorel a portare a magnificenti conclusioni in una traiettoria teoretica che parte dall' "Avvenire socialista dei sindacati"(1898) e arriva alle imprescindibili "Riflessioni sulla violenza" (1908). Quindi, pensare l'economia per distruggere l'economia; ma è ancora troppo, un eccessivo coinvolgimento nelle cose, per coloro i quali hanno fondato la loro causa sul Nulla.

    Ad ogni modo Sorel, come Nietzsche, considerava la sua epoca come un periodo di fiacchezza culturale e di decadimento umano e morale e credeva suo dovere combattere la mediocrità' borghese propugnando una morale eroica e rivoluzionaria piu' severa e rigida. Percio' molto di quello che oggi i borghesi, i politicanti e gli esponenti di quella obbrobriosa e nauseabonda pseudopolitica culturale della cosiddetta sinistra trovano ripugnante in Sorel, particolarmente il suo odio per il socialismo partitico e burocratico e per la democrazia parlamentare, nono solo puo' essere attribuito alla situazione in cui egli scriveva, ma è cio' che noi nemici dell' Ordine rivendichiamo con forza e asprezza come attualmente ancora valido e come "nostro". Il socialismo francese cosi' come ogni socialismo organizzatore meritava ampiamente gli strali soreliani e li merita ancora. Nulla vi è di piu' infame del riformismo. In ogni caso la separazione dall'economico è un privilegio dell'individualista, concessogli dalla sua tragica ed inappellabile visione del mondo edella vita: per le masse invece l'Economico rimane indispensabile, Sorel infatti scrive:

    "Una collettivita' è inchiodata alle categorie economiche come l'individuo è inchiodato al suo sistema nervoso".

    Nella concezione soreliana sussiste una antinomia o piu' precisamente una coppia opposizionale le cui due polarita' sono la violenza proletaria da un lato e la forza statale dall'altro. La violenza è sempre proletaria e la forza è sempre dello Stato; è uno sviluppo teorico chiaramente piu' ancora anti-statale che anti-capitalistico, e pertanto di chiara matrice proudhoniana. Su di esso si inserisce pero' in maniera originale l'analisi marxista, della quale viene difesa piu' lo spirito della lettera, e per la quale lo Stato non è un organo neutrale e al di sopra delle classi come in Proudhon bensi' e' espressione diretta delle classi dominanti. Perno di tutto e motore della Storia essendo beninteso la lotta di classe per una societa' socialista autogovernata dai liberi produttori, perchè in Marx, "l'emancipazione della classe operaia non puo' che essere opera della stessa".

    In seguito Filippo Corridoni, ripecorrendo queste orme, per distorgliersene appena, diede il suo originale contributo condensato nella formula dell'"autogoverno delle categorie produttive". Sono questi degli ibridi sublimi ed affascinanti da un punto di vista formale ed estetico, sconfitti purtroppo se mirati da una prospettiva sostanziale.
    Ma di questo, della pars costruens del sistema soreliano, in fondo poco mi importa. Sorel, cosi' come scrive lo squallido scrittore borghese H.Stuart Hughes nel suo "Coscienza e societa'. Storia delle idee in Europa dal 1890 al 1930" (1), ma in questo caso a ragione, "appartiene alla tradizione dei grandi suscitatori di dubbi, dei grandi eversori delle opinioni gia' fatte e comunemente accettate, di uomini come Pietro Abelardo e Nietzsche e Socrate": il suo pensiero eversivo ci insegna a decostruire, decomporre, demolire, distruggere, perche' l'opera di distruzione deve essere radicale in questa societa', perche' l'opera di distruzione deve essere radicale di questa societa', perche cio' che ci unisce è lo sdegno morale per tutto quello che di ingiusto e di fetido quivi impera. Spetta a noi, élite di ribelli aristocratici e sprezzanti, fanatici del dubbio, cultori delle incertezze, scuotere le alme schiave e avvilite, condurle alla stirneriana rivolta con una lunga serie di tentativi, spesso vani e insensati, mai abbastanza numerosi alla bisogna.

    E concludiamo con una citazione soreliana tanto superba esteticamente quanto è nell' intero corpus della sua opera la piu' direttamente ed esplicitamente di filiazione nietscheana:

    "Io non sono tra coloro che credono destinato a sparire il tipo acheo, cantato da Omero, l'eroe indomito, che fiducioso nella propria forza, si colloca di la' dalle leggi. Se di frequente si è creduto alla sua futura sparizione, cio' dipende dal fatto che i valori omerici sono stati considerati come inconciliabili con altri valori, derivanti da un principio completamente diverso. Molti problemi morali cesserebbero di spingere gli uomini al progresso, se alcune persone ribelli non costringessero il popolo a ritrovar se' stesso."

    (Georges Sorel, "Riflessioni sulla violenza", I edizione 1908)

    Il revisionista riformista del marxismo, Edouard Bernstein, per semplificare e sloganizzare il suo discorso e i suoi assunti, sosteneva che il movimento è tutto, il fine è nulla. Io per molto tempo ho cercato di controbattere che il movimento è nulla, il fine è tutto, ed ho tentato di agire in questo senso. Mestamente ho concluso, oggi ed invece, che il movimento è nulla, il fine è nulla.


    (1). Einaudi Editore,Torino 1967


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    George Sorel: la grande sfida

    Georges Sorel muore il 27 agosto del 1922.
    In un momento in cui per i bolscevichi in Russia e per i fascisti in Italia -gli uni e gli altri figli dell'ardente messianismo soreliano- c'è una specie di diritto alla rivoluzione o alla conquista dello Stato, che la guerra ha reso esplicito: paradossalmente i governi, mobilitando le masse e gettandole nella fornace del conflitto, hanno offerto al cives/miles l'occasione storica per diventare parte attiva dello Stato e, insieme, arma politica per contestarlo.
    Kurt Suckert -il futuro Curzio Malaparte- lo capiva bene: il fante-carne-da-cannone -che si ribella alle idee di patria e di eroismo, imposte dagli stati maggiori e dalle oleografie borghesi, e contro di esse fa Caporetto- è il santo maledetto che, confusamente, una sua patria e un suo modello di eroismo intuisce ed evoca. E che il suo mito si chiami Italia o classe operaia non fa grande differenza, purché nell'una o nell'altra egli, depositario e dispensatore di energie nuove, si senta cittadino o compagno. O magari l'una e l'altra cosa?
    È questo che vede e vuole il Sorel che, sul limitare della vita, ripensa il proprio socialismo, traccia bilanci, guarda con simpatia Lenin che ha fatto la rivoluzione e a Mussolini che sta per fare la marcia su Roma? Che Sorel muoia lasciando eredità di affetti sia tra i fascisti che tra i bolscevichi è indubbio. E come poteva essere diversamente? Ci ricorda comunque Giuseppe Ludovico Goisis che «l'interpretazione del sindacalismo rivoluzionario che è finita per imporsi è quella stessa che del fenomeno ha dato il fascismo».
    Nella voce "Fascismo" firmata da Benito Mussolini nell'Enciclopedia Italiana si legge: «Nel grande fiume del fascismo troverete i filoni che si dipartono dal Sorel, dal Peguy, dal Lagardelle del Mouvement socialiste e dalla coorte dei sindacalisti italiani che tra il 1904 e il 1914 portarono una nota di novità nell'ambiente socialistico italiano, già svirilizzato e cloroformizzato dalla fornicazione giolittiana, con le "Pagine libere" di Olivetti, la "Lupa" di Orano, il "Divenire sociale" di Enrico Leone».
    Certamente Mussolini si sentiva discepolo anche di Sorel, letto e delibato, insieme a Nietzsche e Stirner negli anni in cui il futuro dittatore era un agitatore della sinistra socialista. In quel periodo, ed esattamente nel 1912, Sorel, parlando con il nazionalista Variot (con lui aveva dato vita alla rivista "L'Independance", centro di raccolta di estremisti di destra e di sinistra uniti dal comune odio per la Francia giacobina, parlamentare, plutocratica) aveva profetizzato: «Questo Mussolini non è un socialista ordinario. Credetemi: un giorno, forse, lo vedrete alla testa di un battaglione sacro, in atto di salutare con la spada la bandiera italiana. È un italiano del XV secolo, un condottiero! Ancora non lo sanno, ma è l'unico uomo energico in grado di raddrizzare le debolezze del governo».
    Nel novembre del 1919, l'Ingegnere di ponti e di strade (così Sorel amava definirsi) scrive sul quotidiano "Il Resto del Carlino" (vi collaborerà regolarmente fino al '21): «Gli avvenimenti d'Italia fanno testimonianza una volta di più dell'alto valore storico della violenza».
    Che cosa sta succedendo? Mussolini ha creato i suoi fasci il 23 marzo e in aprile c'è stata la prima impresa squadristica con l'incendio della sede de "l'Avanti!". Da che parte sta Sorel? Certamente non da quella del socialismo riformista: di questi ambienti ha sempre diffidato, e nell'agosto del '20, parlando dei socialisti francesi, scriverà a Croce: «il governo può comprarli come il sensale i bovi». D'altra parte, l'attenzione che il pensatore di Cherbourg (in questa città della Normandia è nato nel 1847) rivolge al fascismo è sempre più partecipe: e non certo per trasformismo o perché il nostro plauda all'attacco contro le organizzazioni operaie. Piuttosto, Sorel vede nel fascismo un movimento capace di esercitare profonde suggestioni politiche e sociali, e in grado di rovesciare o di condizionare fortemente le istituzioni borghesi che egli combatte perché corruttrici del costume tradizionale e disgregatrici delle naturali virtù del popolo a causa del veleno inoculato dall'intellighentsia giacobina e radicale.
    * * *
    Mussolini gli appare come l'uomo nuovo: con l'istinto e con la vitalità, con la violenza e con la sapiente spregiudicatezza nell'utilizzare uomini e mezzi, certamente avrebbe fatto sentire il suo peso sullo scenario politico italiano. Nell'agosto del '21 scrive a Croce: «Le avventure del fascismo sono forse in questo momento il fenomeno sociale più originale d'Italia; mi sembra che vadano molto al di là delle combinazioni dei politicanti».
    Secondo, lui, Mussolini ha inventato qualcosa di molto importante: l'unione dell'elemento nazionale con quello sociale. Sorel aggiunge che questo non c'era, nei suoi libri, che questo non è stato lui a suggerirglielo: la teoria della violenza, invece, sì quella il duce l'ha trovata in Sorel. Ancora nel settembre, leggiamo su "Il Resto del Carlino": «I fascisti hanno avuto l'idea di sostituirsi allo stesso Stato, sostenendo e difendendo l'indipendenza nazionale conquistata da Garibaldi.

    * * *
    «Siamo all'inizio di un movimento che deve rovesciare tutto l'edificio parlamentare, ogni giorno più inutile». Si badi bene: siamo in un periodo di tempo in cui tutto è ancora da giocare, il fascismo è una forza magmatica, il movimento socialista fa fronte unico contro le camicie nere ma appare anche frantumato in mille realtà contrastanti, il comunismo si affaccia duro e puro sulla scena politica italiana, il sindacalismo rivoluzionario si sta spezzando tra chi sceglie di battagliare sotto le insegne di Mussolini (Bianchi, Lanzillo, Rossoni, lo stesso Malaparte che è soreliano e garibaldino) e chi ha già deciso o sta decidendo per l'opposizione (Labriola, De Ambris, Di Vittorio). Sorel continua a nutrire gli uni e gli altri: tra gli antifascisti, anche Nenni, Togliatti, Gramsci, Gobetti ne sono suggestionati.
    Il Normanno di Cherbourg è attratto -e lo vedremo- dall'esperienza eroica dei Soviet, ma anche da quel che sta facendo Mussolini. Lo conforta il parere di amici come Croce e Pareto, decisamente filo-fascisti nel '22 (il disincanto e poi l'opposizione crociana arriveranno presto, quanto a quel che avrebbero detto e fatto di fronte al fascismo-regime, un Sorel, morto nel '22 e un Pareto, morto nel '23, è impossibile azzardare previsioni): altri, come Prezzolini e Missiroli, pur scettici e desiderosi di conservare la loro libertà di critica, vedono comunque nel fascismo un fenomeno di larga portata, capace di coinvolgere e travolgere, e con cui bisogna fare i conti anche intellettualmente: viene, infatti, da vicino e da lontano, nel senso che è, sì, un parto di guerra e dopoguerra, ma nondimeno non sarebbe spiegabile senza ripensare a tutte le furibonde polemiche culturali contro la democrazia, il socialismo parlamentare, la borghesia ecc. innescate, a partire dal '900, da riviste, movimenti di avanguardia ecc.
    A questo punto, il Sorel leninista può apparire ancor più inquietante del Sorel mussoliniano solo a chi non tenga conto della bollente temperatura ideale del dopoguerra, dei suoi precedenti e di tutte le attese che messaggi rivoluzionari di opposto segno suscitavano negli intellettuali.
    Sorel, agli inizi, ha un atteggiamento di attesa di fronte alla rivoluzione russa: ma ben presto celebra nel bolscevismo il sangue nuovo di cui avevano bisogno gli ideali socialisti; fa propria l'affermazione dei soviet secondo cui i diritti politici sono diritti dei produttori; saluta nel comunismo una morale dell'ordine non formalistica; scrive -nel settembre del 1919- "Pour Lenine", dicendosi fiero di aver contribuito alla formazione del rivoluzionario russo, se davvero, come alcuni sostengono, Lenin ha tratto ispirazione dai suoi libri; collabora alla "Revue communiste"; difende il bolscevismo dagli attacchi delle democrazie occidentali, contrapponendolo alla più odiosa delle plutocrazie, quella americana; esalta nella rivoluzione russa «l'alba di una nuova era»; parla di Mosca come della «Roma del proletariato» contro cui congiurano le «nuove Cartagini», «le orgogliose democrazie borghesi»; auspica che «il sentimento del sublime, che non muore mai nell'animo popolare popolare, commosso dal racconto dei sacrifici straordinari compiuti dai bolscevichi, consacri la certezza del socialismo, già accettato dagli intellettuali».

    * * *
    Filo-fascista e filo-comunista, e, insieme, socialista, anzi, come è stato detto più volte, eretico del marxismo: è un velleitario, un trasformista, un opportunista, magari un intellettuale estetizzante Georges Sorel? E lo sarebbe diventato proprio alle soglie della morte? Ma poi perché? Trovando quali vantaggi nell'adesione a due movimenti che non avevano ancora in pugno alcuna certezza, alcuna garanzia di durare? Per quel che ci riguarda, crediamo in una fondamentale coerenza soreliana. La sua vita, le sue opere, in fondo, ce la insegnano. Del resto, Sorel è insieme un uomo coerente e un segno di contraddizione: destino comune a tanti battitori liberi, ai quali gli schemi vanno stretti, per i quali i limiti delle ideologie appaiono soffocanti. Guardiamo. Non ancora ventenne, allievo del Politecnico, il nostro è monarchico, legittimista, tradizionalista. Reca impressi, dunque, i tratti di una generazione che «deplorava nel regime esistente una corrente materialista, cara ad avventurieri noncuranti dell'opinione delle famiglie oneste, avidi di denaro, gonfi di orgoglio. Si odiava un governo che sembrava disonorare la Francia, a cagione della sua ignoranza del genio nazionale». Il lessico di Sorel si fonderà ben presto su alcune parole-chiave: entusiasmo, volontà, disciplina, eroismo, spirito di sacrificio, morale guerriera, virtù quirite, devozione, fedeltà e non cercherà egli nel socialismo, in ultima analisi, proprio «una metafisica dei costumi»?

    * * *
    Non ama -non amerà mai- la Rivoluzione francese, il settarismo giacobino degli avvocati, dei notai, dei giornalisti e cioè dei gruppi sociali che ne furono il motore e l'anima; diffida dello Stato moderno che, fingendo di assicurare la libertà di coscienza, in realtà controlla le coscienze e, dopo aver distrutto i valori cristiani, formula dogmi ingannevoli e costrittivi.
    Tra questi, c'è la democrazia, il sistema politico che rappresenta il trionfo dell'arrivismo e dell'utilitarismo, oltreché dell'indifferentismo morale e della mediocrità. L'uomo giusto di Sorel, l'eroe a cui guarda è «povero, temperante, circondato da una famiglia numerosa»: come libro gli va data la Bibbia; mentre i libri che gli mette in mano lo Stato con l'istruzione obbligatoria disgregano la sua moralità.
    Sostenuto da questo intransigentismo, il Sorel che scopre il marxismo, il socialismo, il sindacalismo non può non trasportare la tensione originaria in paesaggi dello spirito pure tanto diversi. "Le Réflexions sur la violence", scritte nel 1906 e pubblicate in edizione italiana nel 1909 con prefazione di Benedetto Croce ne sono una conferma. Sorel, che nutre una profonda riverenza per la severità dei grandi cristiani francesi del secolo decimosettimo, che detesta la rilassatezza dei costumi e il melenso sentimentalismo romantico, che prova un moto di istintiva ostilità di fronte agli «abbracciamenti universali», capaci di soddisfare interessi materiali e transitori, ma anche tali da compromettere quelli profondi e duraturi, vuole un proletariato costituito in solido organismo che, sfuggendo al controllo dei politicanti, si dia istituzioni proprie. Deve insomma presentarsi come classe sociale contrassegnata da un profondo senso di responsabilità morale e da una intrepida vocazione alla ascesi, alla probità, al sacrificio.
    E alla violenza, feconda di bene non solo per il proletariato, ma anche per la borghesia. Scrive Sorel: «...la violenza proletaria entra in scena nel medesimo tempo che la pace sociale pretende di addolcire i conflitti; riconduce gli imprenditori capitalisti alla loro funzione produttrice, e tende a restaurare la struttura delle classi, via via che sembrano mescolarsi in un pantano democratico. Essa non solo può assicurare la rivoluzione futura, ma appare anche come il solo mezzo di cui dispongano le nazioni europee, abbrutite dall'umanitarismo, per ritrovare la loro antica vigorìa. Questa violenza costringe il capitalismo a preoccuparsi unicamente della funzione produttrice, e tende a ridargli le qualità bellicose di un tempo». Insomma, tutti in trincea.
    Benedetto Croce precisa: «Tutti i consigli che il Sorel rivolge agli operai, li compendia in tre capi, ossia: circa la democrazia, di non correre dietro all'acquisto di molti seggi legislativi, che si ottengono col far causa comune coi malcontenti di ogni sorta; di non presentarsi mai come il partito dei poveri, ma come quello dei lavoratori; di non mescolare il proletariato operaio con gli impiegati delle amministrazioni pubbliche, e di non mirare a estendere il demanio dello Stato; circa il capitalismo, di respingere ogni provvedimento, favorevole che sembri al momento agli operai, se porti a infiacchire l'attività sociale; circa il conciliatorismo e la filantropia, di ricusare qualsiasi istituzione, che tenda a ridurre la lotta di classe a rivalità di interessi materiali; ricusare la partecipazione di delegati operai alle istituzioni create dallo Stato e dalla borghesia; rinchiudersi nei sindacati, ossia nelle Camere di lavoro, e raccogliere intorno ad esse tutta la vita operaia».

    * * *
    Violenza e sciopero generale debbono essere visti come miti suscitatori di entusiasmi morali e di energie liberatrici, momenti centrali della storia eroica del proletariato che deve dare sangue nuovo alla società, opponendosi alla decadenza borghese e riprendendo ciò che la borghesia più non coltiva: l'idealismo delle origini, il gusto della lotta, l'antico culto- compenetrato di spirito cristiano- del lavoro e del risparmio, del decoro e della solidarietà.
    E Marx? A lui Sorel fa spesso riferimento; senza di lui, possiamo dirlo, Sorel non si spiega.
    È altrettanto vero che, come nota Edouard Berth, un soreliano che nel primo dopoguerra sarà vicino ai comunisti, mentre «presso Marx il divenire sociale è concepito come un determinismo storico e diviene una specie di fatalismo, negazione, in fondo, del divenire reale, presso Sorel è concepito come la libera creazione, sotto l'influenza dei miti sociali, di un gruppo di uomini appassionati, portati alle più alte vette dell'entusiasmo poetico (nel senso originario della parola)».
    Nessun automatismo, nessuna fatalità, nessun meccanicismo in Sorel. Il suo proletariato vive il dramma della lotta e della devozione alla causa; e il dramma si scioglie se la lotta è coerenza e se la devozione non si incrina; il proletariato è un eroe collettivo che incarna le stesse virtù dei solitari eroi della classicità e del Medio Evo e che deve redimersi in nome del suo lavoro, per virtù sua propria, forte di una continua ascensione spirituale, acquistando così il diritto di fondare la nuova città e di restaurare gli eterni valori morali. Questo è Sorel.


    Mario Bernardi Guardi

  3. #3
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    SOREL ED IL FASCISMO

    Lo sforzo evidente che il fascismo si impone per darsi un contenuto ideale sarebbe degno di rispetto e potrebbe anche essere fecondo di proficui risultati per la chiarificazione delle idee in questo periodo veramente babilonico della nostra vita politica, se il fascismo accennasse davvero, attraverso questo suo sforzo, a chiarire prima di tutto se stesso. Ma, purtroppo, non è così. Già, è da diffidare sempre di queste teorizzazioni postume con cui si cerca di giustificare un movimento nuovo con ideologie vecchie. Il movimento, che è il corpo, e le idee, che sono lo spirito, debbono nascere insieme in uno stesso parto, uniti in uno stesso organismo, che solo a questa condizione potrà essere vivo e vitale.
    Ma, insomma, bene o male, quando si appende cappello, pastrano, giacca e pantaloni ad uno stesso chiodo, da lontano questi panni possono dare, in qualche modo, l'illusione della persona viva e servire, almeno, da spaventapasseri. Ma il guaio è che il fascismo non si contenta di un solo rampino, e vuole avere tutta la sua collezione di attaccapanni. C'è il chiodo Mazzini, c'è il chiodo Crispi, il chiodo De Maistre, adesso hanno piantato anche quello Oriani, ed in uno hanno appeso la camicia nera, nell'altro il fez col fiocco, in questo le panaches e in quell'altro le mollettiere. Ora, poi, si vuole conficcare bene a fondo il chiodo Sorel, dove vorranno appendere, suppongo, proprio il manganello, posto che questo nuovo rampino dovrebbe giustificare il fascismo come partito sindacale e di masse, e per via di quella violenza che quasi tutti, oggi, in Italia, e i fascisti per i primi, si ostinano a non comprendere.


    Ora, pur senza ammettere che i grandi nomi, dopo la morte delle persone che li hanno portati, diventino res nullius, sicché ognuno possa appropriarsene col diritto del primo occupante, è certo che dalla dottrina d'un pensatore possono talvolta dedursi le conclusioni più diverse e, perfino, diametralmente opposte al pensiero originario del loro autore. Ma, a prescindere che, in questo caso, si tratta di superamento di una teoria antica e non di semplice adesione ad essa, sta in fatto che le dottrine di Sorel trovano la radice profonda della loro originalità non tanto nei risultati concreti cui pervengono, quanto, e sopra tutto, nel metodo che le ispira. Ed è certo, a parte ogni altra considerazione, che voler collegare il metodo del sindacalismo sorelliano con quello del sindacalismo fascista é tale impresa logica che può solo sorridere alla facile improvvisazione dei filosofi novissimi che oggi pontificano in Italia.
    Il sindacalismo di Sorel, infatti, non si può comprendere esattamente se non si astrae dal fatto pratico e non si inquadra nel pensiero generale dell'autore, in cui esso diventa proprio il metodo speciale attraverso cui è destinata a realizzarsi, nella presente epoca storica, quella marcia verso la liberazione che costituisce per Sorel il superamento attivo del suo iniziale pessimismo. Questa marcia verso la liberazione, in cui consiste, in fondo, il vero progresso della Storia, si attua, a sua volta, inizialmente, per opera di pochi, e cioè mediante quel fenomeno storico e psicologico, insieme, della scissione, che è davvero fondamentale nel pensiero di Sorel.


    Dalla massa amorfa, indifferenziata e incosciente si scinde un gruppo di uomini, il cui legame è il mito, e i quali, appunto attraverso il mito, prendono coscienza di loro stessi e della loro missione nel mondo. Questo gruppo che, illuminato dal suo mito caratteristico, brilla per la prima volta sull'orizzonte della Storia, si isola dalla massa, e mediante questo suo isolamento si organizza come cellula generativa del nuovo mondo, affermando la sua esistenza ed il suo sviluppo progressivo mediante la negazione dei valori già esistenti e la costruzione di nuovi valori, morali e religiosi, politici e sociali. Il metodo di questa formazione è, dunque, l'isolamento e l'intransigenza: isolamento di culture prima ancora che intransigenza di atti e rivoluzione di fatti.
    Non si può comprendere perfettamente Sorel se non si riconosce con lui che questa formazione di nuovi valori e di un nuovo mondo per opera di un gruppo iniziale si è verificata già altre volte nella Storia, ed una in maniera addirittura universale, attraverso il Cristianesimo. Ed è proprio la prassi antica dello sviluppo progressivo del Cristianesimo che Sorel addita come schema ed archetipo al sindacalismo attuale.
    Fu, appunto, mediante la sua completa scissione dal mondo greco-romano, mediante il suo persistente attaccamento alla barbarie giudaica e la sua recisa intransigenza di fronte a tutte le forme della cultura classica, che la Chiesa nascente poté conservare la sua originalità ed assicurare il suo più tardo trionfo. Se i Cristiani primitivi non avessero adottato, di fronte al Paganesimo tramontante, questa rigorosa intransigenza che doveva meritar loro, dagli uomini di cultura come Apuleio, la taccia di barbari, probabilmente il Cristianesimo avrebbe perduta, ben presto, la sua personalità, ed avrebbe presa nell'Impero Romano lo stesso posto di tutte quelle religioni orientali che annegarono i loro riti ed i loro simboli nel sincretismo dell'epoca alessandrina. Il Cristianesimo volle essere, invece, una fede che si isola, e che ripudia in blocco la civiltà esistente con tutti i suoi valori, ed in questo senso deve intendersi l'esilio dal mondo dei primi Cristiani; per essi, veramente, mito e metodo si identificavano in un concetto comune, dacché la fede nell'al di là, nel Regno dei Celi e nella resurrezione, che costituiva il mito specifico del Cristianesimo, si traduceva praticamente in questo metodo di isolamento spirituale dal mondo sensibile, che costituisce l'esilio eroico dei primi Cristiani, pellegrini della Patria Celeste nel regno di Satana.


    Questa tesi di Sorel sulla formazione spirituale del Cristianesimo primitivo si può discutere, ed è stata, infatti, discussa; ma è questa la sua tesi, e bisogna accettarla o ripudiarla in blocco, perché non si tratta di una teoria diretta ad interpretare la Storia che fu; ma di una dottrina che mira ad indicare lo schema di una pratica attiva per la costruzione faticosa della Storia che si fa. Questa dottrina, ripeto, è fondamentale nell'opera di Sorel, ed informa di sé tutta la sua teoria del sindacalismo: che non vuole essere una semplice prassi economica, una tattica della lotta di classe, ma un metodo di rinnovazione morale prima ancora che un sistema di rivoluzione sociale e politica.
    Metodo che si realizza attraverso la formazione spontanea di gruppi separantisi dalla massa caotica del proletariato, che nega, nei suoi risultati finali, non solo lo Stato, ma tutti i valori della civiltà preesistente, e che a quest'opera di negazione e di ricostruzione totale subordina qualsiasi interesse d'ordine pratico. Così soltanto si può comprendere, ad esempio, il mito sorelliano dello sciopero generale, che non è conquista di alti salari, di miglioramenti o d'altro, ma negazione, tanto più alta quanto più senza scopo immediato e senza speranza di vittoria, attraverso a cui i gruppi operai prendono coscienza della propria forza. Metodo, insomma, che ha bisogno, per attuarsi e per raggiungere veramente i suoi scopi morali sugli individui, sublimandone la fede attraverso la disperazione eroica, del clima storico della lotta e della persecuzione.
    Ora, di fronte a questo che é il pensiero fondamentale di Giorgio Sorel, così vivo e così logicamente esposto in tutte le sue opere, come si può onestamente parlare di riferimento al sindacalismo sorelliano a proposito del sindacalismo fascista? Non è mio ufficio analizzare qui questo sindacalismo fascista cosidetto nazionale, ma è, bensí, mio ufficio, per il tema che mi sono proposto, dimostrare come esso sia proprio agli antipodi del sindacalismo sorelliano, e ne costituisca la negazione più recisa ed evidente.


    Dove è, infatti, in questo sindacalismo fascista, la costruzione dei nuovi valori spirituali, l'antitesi assoluta ai vecchi valori, il ripudio in blocco della civiltà attuale e delle antiche tradizioni? Esso, cioè il sindacalismo nazionale, si basa, se mai, proprio sopra un mito tradizionale per eccellenza, su quel mito-Nazione che è caratteristico dell'epoca romantica e che è il solo sopravvissuto, oggi, al tramonto universale degli idoli verificatosi nel dopo-guerra. Ed in quanto al concetto della produzione come fenomeno avulso e distinto da quello della distribuzione, concetto di cui si fa bello, oggi, il sindacalismo fascista, esso non ha proprio nulla a che vedere col pensiero di Sorel, a cui si rivela, anzi, in antitesi, così come non ha nulla a che vedere colla celebre, sorelliana morale dei produttori, in cui il dilemma fra le esigenze della produzione e quelle della distribuzione è affrontato non sotto le forme del contingente e del relativo, ma nei suoi riflessi collo Spirito e coll'Assoluto, e quasi sub specie aeternitatis.
    Ma l'antinomia tra il pensiero di Sorel e la prassi del sindacalismo fascista si rivela più aperta ed evidente nella tattica stessa di quest'ultimo; il quale, in contrapposto alla vecchia unificazione internazionale del proletariato, vuole fondere insieme, oggi, sotto la bandiera della Nazione, i rappresentanti delle classi sociali in lotta. Sindacalismo integrale, si dice, ma qui bisogna dar di frego, addirittura, all'idea sorelliana della scissione, qui abbiamo, proprio, una di quelle centralizzazioni astratte che Sorel tacciava col nome di utopie, qui siamo, senza dubbio, di fronte a quel conciliatorismo democratico ed a quel paternalismo riformista, entrambi di marca ottimistico-razionalista, che Sorel condannava, perché vedeva in essi la causa profonda della comune degenerazione del proletariato e della borghesia.
    Industriali ed operai uniti sotto la guida dell'on. Rossoni, che fa silenzio nei due campi avversi, e si asside arbitro fra il mondo dei pescicani e quello dei leghisti! Dio mio, se un precursore si vuol proprio cercare per questo sindacalismo nuovo stile, non è affatto Sorel che bisogna scomodare, ma l'immortale dottor Pangloss.
    SALVATORE VITALE.

  4. #4
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    Primo maggio. Rilfessioni sul riformismo (suggerite dal pensiero di Georges Sorel)
    di Carlo Gambescia - 01/05/2007

    Fonte: Carlo Gambescia [scheda fonte]






    Georges Sorel (1847-1922) è probabilmente uno dei pensatori più controversi dell'intera storia del socialismo, in particolare per le sue amicizie pericolose a destra, tra monarchici maurrasiani e altri vari gruppi politici criptofascisti. Fu anche un avversario ostinato di qualsiasi forma di riformismo e un teorizzatore dell'azione diretta in campo sindacale e politico, nonché simpatizzante al tempo stesso di Lenin e Mussolini. Al di là di questi aspetti politici, certamente discutibili, del suo pensiero gli va riconosciuta un certa profondità di analisi, soprattutto per aver intuito, già all'inizio del Novecento, due fenomeni, particolarmente interessanti, e interni allo sviluppo dei partiti e sindacati operai.
    Dobbiamo a Sorel l'individuazione di due costanti sociologiche nel riformismo socialista.
    La prima è che il riformismo, se per un verso si traduce in miglioramenti sociali, per l'altro produce una trasformazione, in senso secolare ( o se si preferisce materialistico), non solo dei quadri dirigenti, ma dello stesso movimento socialista ed operaio. Il problema, non è solo "l'imborghesimento", ma la rinuncia a qualsiasi obiettivo, che non sia rivolto al miglioramento materiale. Si finisce per ragionare, tutti, solo nei termini della maggior quota di benessere perseguibile in un dato momento storico.
    La seconda è che il il riformismo, perpetua se stesso: come ogni fenomeno sociale - e qui le sue osservazioni sono particolarmente profonde - da mezzo finisce per trasformarsi in fine: se il riformismo (il mezzo) deve costruire il socialismo (il fine), nel tempo si finisce per perdere di vista quest'ultimo obiettivo, e il riformismo da mezzo diviene fine. Pertanto, secondo Sorel, attraverso questo processo, i partiti e i sindacati socialisti, rischiavano già ai suoi tempi di trasformarsi da strumenti rivoluzionari in strumenti di conservazione dell'ordine esistente. Come poi è regolarmente avvenuto.
    Come rimedio, Sorel teorizzò - e questo molto prima di Gramsci e Trotzskij (ci si riferisce a categorie sociologiche e non politiche o di scolastica marxista) - una sorta di rivoluzione permanente, da attuare attraverso lo sciopero generale e il successivo controllo sindacale "permanente" dell'economia socialista (ma su quest'ultimo punto la teoria soreliana è piuttosto nebulosa, come sul tipo di società che verrà dopo la rivoluzione). Un rimedio difficilissmo da attuare - e qui vengono fuori i limiti del pensiero (sociologico) soreliano -, perché il momento dello stato nascente (dello sciopero rivoluzionario) non può sociologicamente durare per sempre. Al Movimento deve seguire l'Istituzione: le società (socialiste, liberali, eccetera), come lava incandescente, finiscono regolarmente per solidificarsi in isituzioni che gestiscono, come dire, l'esistente, anche se introdotto attraverso un processo rivouzionario.
    Quel che è impossibile insomma, non è la rivoluzione, ma la "rivoluzione permanente". Non esiste un "riformismo rivoluzionario". Esistono soltanto - e si chiede scusa per il quasi gioco di parole - un "riformismo riformatore" e un "rivoluzionarismo rivoluzionario".
    Tertium non datur. Non è concessa una terza possibilità. Almeno sociologicamente.




    Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

  5. #5
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    Spunti sul pensiero di Sorel
    Oltre che sul terreno religioso, il pensiero di Bergson esercita una viva influenza anche sul terreno sociale, per il singolare innesto che dei motivi bergsoniani ha operato in seno al marxismo il celebre autore delle "Réflexions sur la violence" (1906) Georges Sorel (1847-1922). La coscienza, cui gli spiritualisti fanno riferimento, è solitamente intesa come la via interiore che porta alla conoscenza delle più profonde regioni dello spirito e, anche quando viene interpretata in senso pratico, cioè come volontà e azione, essa ha genericamente esiti intimistici e religiosi. Nel caso di Sorel, invece, che si richiama esplicitamente a Bergson, la coscienza è anche la sede di un "mondo fantastico" in cui si esprime la volontà di un'azione politica tutta esteriore, intesa a promuovere quella rivoluzione che libererà le masse oppresse dal capitalismo. In Sorel si realizza pertanto una strana commistione di temi spiritualistici e di fede marxista, da lui abbracciata nell'ultimo decennio dell'Ottocento. Anche per Sorel la realtà dell'uomo si riduce all'azione: un'azione che scaturisce spontaneamente dalla libera volontà dell'uomo. Ma a questo scopo occorre che nella coscienza umana sia presente un complesso di immagini in grado di agire sull'istinto, sprigionando in questo modo l'azione. A questo complesso di immagini spontanee ed istintive Sorel dà il nome di mito . Benchè entrambi rivolti alla prassi futura, il mito si definisce attraverso la sua contrapposizione all'utopia: mentre quest'ultima è una rappresentazione intellettuale che può essere razionalmente esaminata e discussa, e che quindi non ha un effetto pratico dirompente (siamo negli anni in cui sul Positivismo prevale il vitalismo), il mito è l'espressione immediata per immagini della volontà che attende di tradursi in azione. In questo senso, non ha alcuna rilevanza il fatto che il contenuto del mito sia o non sia realizzabile: in ogni caso esso diventa il potente motore dell'azione dell'uomo e la sola fonte di creazione di nuova realtà: " si può parlare all'infinito di rivolte senza mai provocare un movimento rivoluzionario, fin tanto che non vi sono miti accettati dalle masse […] il mito è un'organizzazione di immagini capaci di evocare istintivamente tutti i sentimenti che corrispondono alle diverse manifestazioni della guerra intrapresa dal socialismo contro la società moderna ". Nei tempi passati hanno svolto la funzione di mito la credenza dei primi cristiani nella prossima fine del mondo, oppure i sogni di rinnovamento nutriti dai grandi riformatori religiosi. Oggi il mito riveste la forma di "mito sociale" e trova il suo soggetto nelle masse popolari oppresse dal capitalismo e il suo oggetto nello sciopero generale : " lo sciopero generale è proprio ciò che ho detto: il mito nel quale si racchiude tutto intero il socialismo ". L'azione che il mito deve sprigionare è, dunque, l'azione rivoluzionaria e la "guerra di classe". Lo sciopero generale è infatti sentito come un'attività catastrofica, che porta alla paralisi, all'inceppamento e alla distruzione del vecchio regime capitalistico, creando le condizioni per la formazione di una nuova umanità. Per questo, dice Sorel, esso viene rifiutato dai socialisti riformisti, che sono piuttosto guidati da un'utopia da realizzare, intellettualisticamente, attraverso trasformazioni graduali. Al socialismo riformistico Sorel contrappone pertanto il suo sindacalismo rivoluzionario e anarchico . T7 Il pensiero di Sorel si prefigge dunque una giustificazione della violenza , intesa però non come forza impiegata con calcolo razionale per ottenere risultati specifici (quale è quella usata dal sistema capitalistico per imporre il suo dominio), ma piuttosto come un bergsoniano slancio vitale e creatore che sprigiona energie spirituali in attesa di manifestazione: la violenza è la condizione e il mezzo per l'istituzione di forme via via più alte di organizzazione. E tutta la storia dell'umanità è solcata, nel suo processo, da fratture violente: il Cristianesimo, la Riforma, la Rivoluzione francese, il Mazzinianesimo; e a far sì che avvengano queste fratture sono le rappresentazioni da parte degli uomini di mondi fantastici, cioè di miti. Di qui il carattere profondamente etico della violenza, che assolve una funzione di liberazione e di creazione. L'impianto concettuale del pensiero di Sorel è particolarmente debole, risolvendosi in una forma di volontarismo e di spontaneismo irrazionalistico che ben si inquadra nel clima di avversione per il razionalismo positivistico che aleggiava in quegli anni. L'impatto che le sue teorie ebbero soprattutto sul mondo politico dei primi decenni del Novecento fu tuttavia enorme, anche se (proprio per via del suo carattere sfuggente) esso si prestò ad essere utilizzato sia da parte comunista sia da parte fascista (Sorel era la lettura preferita di Mussolini). Del resto, le stesse posizioni personali di Sorel non furono esenti da ambiguità: dopo aver difeso l'anarco-sindacalismo, egli si accostò, verso il 1910, al movimento di destra dell' "Action française" e non mancò di manifestare le sue simpatie per il nascente fascismo italiano. Con il sindacalismo rivoluzionario di Sorel emerge in primo piano la rivoluzione in quanto tale, quasi come se si verificasse una sorta di mitizzazione del cambiamento della società, una volontà cieca di fare la rivoluzione a mano armata e in modo violento. L'obiettivo, però, viene perso di vista e questo è molto importante perché farà sì che si ispirino a Sorel sia esponenti dell'ala progressista sia esponenti dell'ala reazionaria e fascista.

  6. #6
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    «La democrazia è il più grande pericolo sociale per tutte le classi,
    e specialmente per quelle povere»
    Georges Sorel
    GEORGES SOREL
    Nato nel 1847 a Cherbourg e morto nel 1922 a Boulogne-sur-Seine giornalista e uomo politico francese. Terminati gli studi all'Ecole Polytechnique di Parigi, lavorò in Algeria come ingegnere civile sino al 1891. Appassionato socialista, divenne poi l'indiscusso leader e il principale teorico del movimento sindacalista rivoluzionario. Si occupò a lungo di questioni filosofiche, la sua fama è però legata al dibattito sul revisionismo marxista, aperto nel 1896 da Bernstein, e alla sua successiva interpretazione volontaristica e antipositivistica del socialismo. Nel 1898, sotto l’influsso di Croce, prese ad appoggiare il revisionismo. Nei primi anni del ‘900 divenne il maggior teorico del sindacalismo rivoluzionario, tentando (tra il 1905 e il 1908) di recuperare la sostanza rivoluzionaria del socialismo.
    Nelle Riflessioni sulla violenza (1908) Sorel pronunciò un giudizio negativo sull'accettazione da parte dei socialisti della logica parlamentare e democratica; a suo parere, i capi del partito non facevano altro che collaborare al rafforzamento dello stato e, invece di puntare alla sua distruzione, miravano semplicemente a sostituire i borghesi alla guida dell'apparato repressivo. Al proletariato non restava altra via, per la conquista del potere, che il ricorso alla violenza; nel suo lessico il termine non significava tuttavia il semplice uso della forza, ma la capacità di creare una nuova morale e una nuova ideologia rivoluzionaria e il tratto più originale della teoria stava nell'identificare il mezzo della presa del potere nello sciopero generale.

    Dopo il 1909 abbandonò il sindacalismo e si avvicinò al movimento monarchico protofascista di Action Française. All'epoca della rivoluzione russa appoggiò con fervore il rilancio del comunismo internazionale, scrivendo ripetutamente in favore delle iniziative di Lenin. Le sue idee hanno esercitato una rilevante influenza su alcuni uomini politici; lo stesso Mussolini riconobbe più volte il suo debito nei confronti di Sorel.

  7. #7
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    W Sorel!

    un maestro!

  8. #8
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    Vabbè abbiamo capito... non sei Fascista e ritieni che Sorel non sia stato realizzato da Mussolini.

    E mo da noi Fascisti che voi? Te dovemo da 5 Euro? Te li carico su postepay?

  9. #9
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    Citazione Originariamente Scritto da Nolan Visualizza Messaggio
    Vabbè abbiamo capito... non sei Fascista e ritieni che Sorel non sia stato realizzato da Mussolini.

    ho solo postato un po' di documenti su sorel. tutto qui.


    Citazione Originariamente Scritto da Nolan Visualizza Messaggio
    E mo da noi Fascisti che voi? Te dovemo da 5 Euro? Te li carico su postepay?
    Si magari. Ti invio in pvt il numero.

  10. #10
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    Citazione Originariamente Scritto da Sabotaggio Visualizza Messaggio
    ho solo postato un po' di documenti su sorel. tutto qui.




    Si magari. Ti invio in pvt il numero.
    Ma lo sai che esiste un forum apposito per i nazionalcomunitaristi nazionalitari etc..

    http://www.politicaonline.net/forum/...isplay.php?f=8

    No perchè magari veramente non lo conosci, e ti troveresti benissimo!

    Ciao, ci vediamo quando sarai diventato antifascista...

 

 
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