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  1. #1
    Dios, Patria, Fueros, Rey
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    Conservatori chiamano Duosiciliani: appello

    Cari amici Duosiciliani,
    chi vi scrive è un fiero meridionale, cofondatore (insieme agli amici templares e ugodepayens) del forum Conservatori.

    La faccio breve. La questione monarchica - e io aggiungo "tradizionalista", in senso variamente inteso - è spesso al centro di dibattiti all'interno del nostro forum. Spesso ospitiamo interventi di monarchici filosabaudi che apprezzo perché utili ad arricchire la dialettica interna, ma se mi chiedeste se ne condivido i contenuti la mia risposta sarebbe nettamente contraria.

    Il sottoscritto (e buona parte dei forumisti conservatori) si muove lungo una direttrice storico-ideale che va dalla ferma opposizione ai disvalori promossi dall'89 francese, passando per l'esaltazione dell'epopea vandeana, delle insorgenze antigiacobine al sostegno alle forze antiprogressiste all'interno del mondo cattolico. Una piattaforma che, declinata nel momento presente, si traduce in una proposta di marca tradizionalista (in senso compiutamente cattolico e non già esoterico-evoliano) e autonomista (ma non indipendentista, questo è da sottolineare).

    Avverto pressante il bisogno che nelle nostre fila si arruoli qualche volenteroso duosiciliano per controbilanciare le incursioni di troppi filosabaudi e riequilibrare in tal modo l'asse culturale del forum.
    La Tradizione che muove dalla Vandea non ha nulla a che fare con Torino.

    W l'Italia, ma quella confederata.

    Aspetto una vostra risposta
    Cordialmente
    Italianhawk

  2. #2
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    Predefinito

    http://216.239.59.104/search?q=cache...ient=firefox-a

    Io ho postato questa ricerca di Casarrubea (in un thread di Termometro politico di Emiliano e che è stato spostato e che non trovo più...), ma i "savojardi" ripetono la filastrocca della loro dottrina senza dare nessuna documentazione.
    Quindi...io mi sono stancato di discutere con loro.
    Oltretutto, io, caso mai dovesse esservi di nuovo la monarchia in Italia, sono per quella "augustea" e non di diritto dinastico.


    ".....
    Nel giugno ’47, come abbiamo visto, sbarcano in Italia due
    personaggi di prima grandezza nella storia eversiva del Belpaese.
    Il primo è Charles Poletti, che promette soldi e armi da parte del
    governo americano a condizione che si istituisca un comando
    unico delle forze paramilitari neofasciste. Il secondo è Eva Perón.
    Giunge in Italia con un carico di lingotti d’oro, pietre preziose e
    denaro che sono distribuiti (tra giugno e luglio) in varie città della
    penisola, in Svizzera e in Portogallo. Nelle stesse settimane,
    anche Covelli viaggia a Lisbona per incontrarsi con Umberto II.
    Che i fondi per l’eversione nera provengano in gran parte dal
    paese sudamericano, ce lo conferma il quotidiano La Repubblica
    d’Italia del 22 giugno ‘47, a proposito della retata della polizia ai
    danni dei Far (di cui parleremo tra poco): “L’organizzazione a
    carattere terroristico farebbe capo a un governo provvisorio
    fascista in Argentina”...

  3. #3
    Sospeso/a
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    Predefinito

    GIUSEPPE CASARRUBEA
    MARIO J. CEREGHINO
    STATI UNITI,
    EVERSIONE NERA
    E GUERRA AL COMUNISMO
    IN ITALIA
    1943 - 1947
    18 aprile 2007
    Page 2
    2
    Nascita della strategia della tensione
    Questo dossier fa seguito alle motivazioni per la riapertura delle
    indagini sulle stragi del 1° maggio e del 22 giugno 1947 avvenute
    a Portella della Ginestra e a Partinico (Palermo), consegnate il 7
    dicembre 2004 e il 24 maggio 2005 al Procuratore della
    Repubblica di Palermo, dott. Pietro Grasso.
    L’obiettivo è di mettere in rilievo gli ulteriori approfondimenti
    compiuti dagli autori negli ultimi due anni negli archivi
    statunitensi, britannici, italiani e sloveni nonché di allargare lo
    spettro dei fatti stragistici del ’47 a un arco temporale che va dal
    ‘46 (strage di Alia, 22 settembre) fino agli assassinii di Epifanio
    Li Puma, segretario della Camera del lavoro di Petralia Soprana
    (2 marzo ‘48), Placido Rizzotto, segretario della Camera del
    lavoro di Corleone (10 marzo ‘48) e Calogero Cangelosi,
    segretario della Camera del lavoro di Camporeale (2 aprile ‘48).
    Lungo questo periodo si registrano numerosi altri delitti di sangue
    contro dirigenti sindacali e della sinistra, come gli assassinii di
    Giovanni Severino, segretario della Camera del lavoro di
    Joppolo (25 novembre ‘46); Nicolò Azoti, segretario della
    Camera del lavoro di Baucina (21 dicembre ‘46); Accursio
    Miraglia, segretario della Camera del lavoro di Sciacca (4
    gennaio ‘47); Pietro Macchiarella, segretario della Camera del
    lavoro di Ficarazzi (19 febbraio ‘47); Biagio Pellegrino e
    Giuseppe Martorana, caduti durante una sparatoria dei
    carabinieri sulla folla dei manifestanti a Messina (7 marzo ‘47);
    Giovanni Grifò, Filippo Di Salvo, Provvidenza Greco,
    Castrense Intravaia, Vincenza La Fata, Giovanni Megna,
    Margherita Clesceri, Vito Allotta, Francesco Vicari, Giuseppe
    Di Maggio, Giorgio Cusenza, Serafino Lascari, (Portella della
    Ginestra, comune di Piana degli Albanesi, 1° maggio ’47);
    Michelangelo Salvia (dirigente della Camera del lavoro di
    Partinico, 8 maggio ‘47); Giuseppe Casarrubea e Vincenzo Lo
    Iacono (dirigenti della Camera del Lavoro di Partinico, 22 giugno
    ’47); Giuseppe Maniaci, segretario della Federterra di Terrasini
    (23 ottobre ‘47); Calogero Caiola (testimone della strage di
    Portella della Ginestra, 3 novembre ‘47); Vito Pipitone,
    segretario della Camera del lavoro di Marsala (8 novembre ‘47).
    Delitti che ora appaiono unificati da un disegno eversivo unico,
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    3
    teso a decapitare il processo democratico e partecipativo che si
    realizza in Italia con la lotta di Resistenza e con l’unità delle
    forze antifasciste. Al crollo del fascismo, il vecchio regime
    risponde riorganizzando le proprie forze e sperimentando sul
    campo, in particolar modo tra l’autunno ’46 e quello successivo,
    la riconquista del potere perduto mediante un colpo di Stato e
    l’instaurazione di un governo autoritario in grado di imprimere un
    corso reazionario alla storia politica italiana. Il primo passo
    consiste nel mettere fuori legge il Pci di Palmiro Togliatti e
    nell’incarcerarne i principali dirigenti, dopo una sollevazione
    armata delle varie formazioni neofasciste. A eseguire questo
    piano troviamo generali dell’Arma dei carabinieri, dell’Esercito,
    dell’Aeronautica nonché ammiragli della Marina, tutti provenienti
    da ambienti monarchici o fascisti. Costituiscono in quei mesi
    varie organizzazioni eversive che confluiscono, nell’autunno ’46,
    nell’Unione patriottica anticomunista (Upa).
    Il dossier intende evidenziare come tale situazione sia determinata
    dal governo degli Stati Uniti d’America, tramite il Comando
    militare e i servizi segreti di questa nazione in Italia. La Sicilia è
    scelta come campo sperimentale del disegno golpista. Le stragi e
    gli assassinii fungono da innesco per la provocazione delle masse
    socialcomuniste, necessaria allo scatenarsi della reazione
    dell’Upa e delle formazioni nere sotto l’ombrello protettivo
    dell’intelligence Usa. È, di fatto, la nascita della strategia della
    tensione nel Belpaese.
    Queste pagine prendono in esame la documentazione, in forma
    cartacea originale, che si trova presso i seguenti archivi: 1) Usa,
    Maryland, College Park, National archives and records
    administration; 2) Gran Bretagna, Kew Gardens, Surrey, National
    archives; 3) Italia, Roma, Archivio centrale dello Stato, fondo
    Servizio informazioni e sicurezza (Sis); 4) Repubblica slovena,
    Lubiana, Archivio di Stato. Di detti originali è stata prodotta
    copia attualmente giacente presso l’archivio “Giuseppe
    Casarrubea”, sito in via Catania 3 a Partinico (Palermo). Per
    ciascuna copia presa in esame si è in grado di fornire l’esatta
    collocazione archivistica.
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    4
    I rapporti Sis provengono dall’Archivio centrale dello Stato
    (Roma). Qui sono depositati alla fine degli anni Novanta in
    seguito alla loro scoperta da parte dello storico Aldo Sabino
    Giannuli, che li ritrova nel ‘96 in un deposito del ministero
    dell’Interno sito in via Appia, mentre effettua una serie di ricerche
    per conto del giudice Guido Salvini sulla strage di Piazza
    Fontana (Milano, 12 dicembre ‘69).
    I nuovi elementi di documentazione rintracciati nei vari archivi
    appaiono convergenti e reciprocamente complementari, a tal
    punto da far ritenere insufficienti i dati emersi, anche in sede
    dibattimentale, nei processi conseguenti alle stragi di Portella
    della Ginestra e di Partinico. Le nuove scoperte risultano
    fondamentali alla riapertura delle indagini, allora basate su un
    Rapporto giudiziario (4 settembre ‘47) chiaramente depistante e
    privo di una corretta lettura dei fatti avvenuti.
    Con sentenze della Corte di Assise di Viterbo (3 maggio ‘52) e
    della seconda Corte di Appello di Roma (10 agosto ‘56), sono
    condannati a pene varie numerosi elementi della banda di
    Salvatore Giuliano (Montelepre, 1922). Emerge ora che i
    responsabili degli eccidi di Portella della Ginestra e di Partinico
    sono anche altri soggetti, alcuni dei quali potrebbero essere
    ancora in vita. Tali responsabilità riguardano inoltre delitti
    consumati a partire dalla strage di Alia e fino ai nuovi equilibri
    imposti alla vigilia delle elezioni politiche del 18 aprile ‘48,
    attraverso l’eliminazione di Li Puma, Rizzotto e Cangelosi.
    Un documento del Servizio informazioni e sicurezza (Sis)
    Un rapporto Sis datato 25 giugno ‘47, che si riporta per intero
    (pubblicato da Giannuli nella rivista Libertaria, il piacere
    dell’utopia, anno 5, n. 4, ottobre - dicembre 2003, pp. 48 - 58,
    titolo: Salvatore Giuliano, un bandito fascista,) riferisce quanto
    segue:
    […] Il “bandito Giuliano” vi è stato più volte segnalato, anche e soprattutto in
    ordine ai suoi contatti con le formazioni clandestine di Roma. Vi fu precisato il
    luogo degli incontri coi capi del neo - fascismo (bar sito a via del Traforo
    all’angolo di via Rasella). Vi parlammo dei suoi viaggi Roma-Torino.
    Precisammo che capo effettivo della banda è presentemente il tenente della
    Gnr Martina, già di stanza a Novara. È superfluo ricordarvi che la banda ha
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    sempre provveduto al mantenimento di un proprio nucleo dislocato in Roma
    (punto di ritrovo: alla “Teti” e nel caffé con servizio esterno sito in piazza San
    Silvestro) e che il noto detentore della valigia di bombe proveniente da Bari –
    per incarico del Partito fusionista italiano, certo Nicola, sfuggito (all’epoca del
    lancio delle “bombe di carta”) alla cattura per l’intempestiva pubblicazione
    relativa all’operazione di polizia in corso – altri non era che il pseudo “Dan”,
    altrimenti detto il “sergente di ferro”, che al nord fu attivissimo collaboratore
    del Martina, intimo fra l’altro della Sanna Anna, a voi nota, e di suo fratello
    Domenico. La banda Giuliano è da ritenersi, fin dall’epoca delle nostre prime
    segnalazioni, a completa disposizione delle formazioni nere. Il nucleo romano
    della banda Giuliano era comandato fino a quindici giorni fa da certo “Franco”
    e da un maresciallo della Gnr, che si trovano attualmente a Cosenza. Partirono
    da Roma improvvisamente “per ordine superiore”, e in Sicilia dopo una breve
    permanenza a Napoli, da dove hanno scritto al Fronte dando “ottime notizie
    sulla situazione locale”. Le loro lettere, a firma “Franco”, vengono indirizzate a
    certa signora Gatti, “zia” di Franco, madre della Sanna. Con la loro ultima,
    annunciavano “cose grandi in vista e molto prossime”. Richiedevano la
    presenza a Palermo di 8 uomini completamente sconosciuti in Sicilia, ma la
    richiesta non venne accolta. Da Cosenza, la banda Giuliano, che ha
    ramificazioni in ogni centro della Calabria, della Sicilia e della Campania,
    inviò la settimana scorsa a Roma tal Libertini Sebastiano. Si presentò con
    documenti vari. In alcuni risultava impiegato alle dipendenze della locale
    Direzione di Artiglieria; in altri carabiniere. Aveva l’incarico di far noto che
    “data l’imminenza dell’azione”, la presenza a Cosenza di un esponente
    nazionale era indispensabile. Non se ne fece nulla, anche perché il suo arrivo a
    Roma coincideva stranamente coi noti fermi degli appartenenti ai Far [Fasci di
    azione rivoluzionaria]. Vi fu molto tempo fa parimente segnalata l’attività
    clandestina neo – fascista del console Riggio, trapiantato a Palermo con lo
    pseudonimo di “ing. Rizzuti” e, reiteratamente, quelle dell’avv. Ciarrapico,
    neo capo del Partito fusionista in sostituzione di Pietro Marengo, e del noto
    dott. Cappellato, ex medico di Mussolini, agente provocatore n. 1 in Sicilia,
    comandante del vecchio Partito fascista democratico prima, e delle FFNN
    [Formazioni nere] dopo, in seno alla sezione romana del Partito fusionista.
    Altra nostra segnalazione di alcuni mesi fa: al bandito Giuliano doveva essere
    demandato il compito di provvedere alla evasione di [Junio Valerio]
    Borghese, relegato a Procida, perché soltanto l’ex capo della Decima Mas era
    ritenuto in grado di assumere militarmente il rango, per l’influenza esercitata,
    di capo militare delle formazioni clandestine dell’isola. Anche il colonnello
    Pollini e Spinetti Ottorino, già abitanti in Roma in via Castro Pretorio 24,
    piano ultimo, sono stati, pochi giorni prima dell’arresto del Pollini e dell’inizio
    dell’azione della banda, in Sicilia e a Palermo per conto dell’“Ecla” [o Eca,
    Esercito clandestino anticomunista] diretta da Muratori. Vale qui ricordare
    che Muratori ha sempre agito nel campo clandestino in funzione di agente
    provocatore. Egli ha avuto anche contatti e remunerazioni, da notizie
    assolutamente certe, dal Pci. Il Fronte antibolscevico costituito recentemente a
    Palermo, al quale dette la sua adesione incondizionata l’On. Alfredo Misuri in
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    6
    proprio, e quale capo del gruppo “Savoia” di via Savoia 86 (cap. Pietro
    Arnod, principessa Bianca Pio di Savoia, ecc.), non è una sezione del Fronte
    anticomunista a voi nota. Il [Gioacchino] Cipolla, che a Palermo dirigerebbe il
    Fronte, è del tutto sconosciuto al “Fronte unico anticomunista” di cui alle
    nostre reiterate segnalazioni confidenziali. Il Fronte antibolscevico di Palermo
    è però collegato con Anna Maria Romani, ospite della principessa Pio di
    Savoia, sedicente segretaria particolare di Misuri, cucita in tutto a filo doppio
    del noto colonnello Paradisi, detto anche Minelli (piazza Tuscolo) ed è pei
    suoi “buoni uffici” che Misuri e i “camerati” del Comitato anticomunista di
    Torino, a voi noto, appoggiarono e appoggiano il progetto di “azione diretta” di
    cui il Paradisi è autore. Negli ambienti dei Far, Nuovo Comando Generale, si
    ammette che l’azione della banda Giuliano è in relazione con l’ordine testé
    impartito di “accelerare i tempi”. L’ordine, come vi fu fatto noto, è stato esteso
    all’Ecla di Muratori e Venturi, i quali attingono denaro e disposizioni da
    un’unica fonte. Si preparano adesso a Roma e al nord. Non è il caso di
    sottovalutare questa ennesima segnalazione, i considerazione del fatto che, per
    la perfetta conoscenza dell’ambiente, quanto di solito vi viene segnalato si
    verifica poi a breve scadenza (anche l’affare dei Far vi era stato reiteratamente
    segnalato per la sua pericolosità). Nel mese di marzo, se ben si rammenta, fu
    segnalato che il duca Spadafora, capo del gruppo commerciale agrario del
    sud, fu a Roma ed ebbe colloqui con rappresentanti del Fronte clandestino.
    Chiese di poter versare un milione in conto, a condizione che si facesse in
    Sicilia “un lago di sangue”. Mormini, del Fronte, avrebbe dovuto raggiungere
    in Sicilia la banda Giuliano, a contatto anche colla mafia locale in parte a
    disposizione del suo gruppo. La proposta non fu accettata, sembrò orribile…
    Da allora, da notizie certe e sicure, Spadafora ha contatti diretti col Martina,
    che finanzia direttamente e al quale impartisce disposizioni. Elementi ricercati
    sono stati ammessi a far parte della banda. Proposte identiche a quelle avanzate
    dallo Spadafora pervengono in questi giorni insistentemente alle FFNN, e al
    Fronte anticomunista, da parte dell’avv. Tefanin di Padova. Di quest’ultimo
    (anche lui pone come condizione il “lago di sangue”) si sa soltanto che capita
    spesso a Roma e alloggia al Grande Albergo. A Roma, dopo l’azione della
    banda Giuliano, i più facinorosi (reperibili tutti tra i nullafacenti e gli
    sfaccendati dei bar dell’Esedra, al bar Carloni, al bar del Nord all’angolo del
    Viminale e in Galleria) hanno ripreso fiato, cianciano di rivoluzione imminente
    e di atroci vendette da compiere. Per esempio, l’anticomunismo di cui si
    ammanta il Rac (Reparti anticomunisti) è puramente fittizio. Non si tratta che
    di una organizzazione tipicamente fascista repubblichina, cui da Muratori e
    Venturi è stato affidato il compito di impossessarsi della Direzione Generale di
    Polizia. Dato l’aggravarsi della situazione interna, una visita a Milano, Verona,
    Torino, ecc. – di cui si hanno come già comunicato notizie certe di bande
    armate, le quali sono già sul piano di guerra – sarebbe più che opportuna per
    attingere informazioni dirette sulle azioni di piazza minacciate. Vale a questo
    punto ricordare che è recentissima la nostra segnalazione relativa alla
    distribuzione di buoni per il prelevamento di mitra ad opera del gruppo
    Navarra – Viggiani, che la questura non conosce, e di altre formazioni neo –
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    7
    fasciste (da non confondere con le organizzazioni anticomuniste “pure”), le
    quali attingono, si ripete, disposizioni e denaro da un’unica fonte. […].
    Sono informazioni di tale gravità da far ritenere che le stragi e gli
    omicidi, ai quali si è fatto cenno, siano da considerare sotto nuova
    luce.
    Il Rapporto giudiziario che fonda l’atto di accusa contro i
    mandanti e gli esecutori materiali delle stragi di Portella e di
    Partinico (firmato Giovanni Lo Bianco, Giuseppe Calandra,
    Pierino Santucci, marescialli dei Cc i primi due e brigadiere il
    terzo) è redatto nel settembre ’47 sotto l’egida dell’ispettore
    generale di Ps nell’isola, Ettore Messana, del quale parleremo
    più avanti. La figura del principale imputato, Salvatore Giuliano,
    risulta collocata nell’ambito delle azioni criminali delle squadre
    paramilitari neofasciste operanti su tutto il territorio nazionale
    almeno dall’autunno ‘43. Infine, è da segnalare che per la
    maggioranza dei sindacalisti assassinati tra il ’46 e il ’48 i
    processi giudiziari non sono mai stati celebrati.
    Squadroni della morte
    Per capire ciò che accade nel ’47, occorre fare un passo indietro.
    Sappiamo che tra la caduta di Mussolini (25 luglio ‘43) e il mese
    di gennaio ‘44, Giuliano costruisce le basi della sua futura
    carriera criminale. Nell’estate ’43 avvengono numerose evasioni
    in massa dalle carceri di Partinico e dei comuni vicini. Non è un
    dettaglio secondario in quanto un documento americano,
    intitolato I mafiosi e datato 18 luglio ‘43, riferisce: “Ispettori della
    Milizia fascista sono stati inviati a Palermo e a Sciacca per aprire
    negoziati con esponenti mafiosi in prigione da lungo tempo. Ai
    mafiosi internati è fatta la seguente promessa: se contribuiranno a
    difendere la Sicilia, saranno allestiti nuovi processi per provare la
    loro innocenza”. È appena passata una settimana dallo sbarco
    angloamericano.
    Il 2 settembre ‘43 Giuliano uccide il carabiniere Antonio
    Mancino; il 10 novembre prende d’assalto la polveriera di San
    Nicola a Montelepre, provocando 18 morti; alla vigilia di Natale
    uccide il carabiniere Aristide Gualtieri; il 30 e il 31 gennaio ’44
    organizza l’evasione in massa dei detenuti dalle carceri di
    Page 8
    8
    Monreale. La sua carriera, appena agli esordi, è già collaudata.
    Giuliano è specializzato in assalti ad armerie e penitenziari. La
    fuga dei detenuti di Monreale segna la data di nascita del gruppo
    di fuoco monteleprino, sotto l’egida della famiglia mafiosa dei
    Miceli che in questa città del palermitano esercita un dominio
    assoluto. Su ciò che accade nei mesi successivi si possono ora
    avanzare alcune ipotesi, basate su una serie di documenti
    dell’intelligence Usa.
    La Sicilia e il sud sono stati liberati dagli angloamericani e il
    fronte si trova sulla linea Gustav (settembre ’43). Nel febbraio ’44
    Giuliano è inviato a Taranto e ottiene una sorta di promozione sul
    campo. È probabile che l’operazione sia da attribuire alla rete
    nazifascista clandestina al sud, coordinata dal principe calabrese
    Valerio Pignatelli e operativa da prima del 25 luglio ‘43. In vista
    del crollo del regime, infatti, Mussolini istituisce la “Guardia ai
    Labari”, di cui Pignatelli è designato capo per il mezzogiorno
    d’Italia. Nel porto pugliese Giuliano si arruola in un corpo
    speciale, quello della Decima Flottiglia Mas badogliana, istituita
    alla fine del ’43 a Taranto dagli Alleati, al comando del capitano
    Kelly O’Neill. Sono i Nuotatori paracadutisti (Np) del sud e non
    superano i cinquanta elementi. Dovranno combattere con gli
    Alleati contro i tedeschi. La missione di Giuliano è di infiltrarsi
    per conto della rete Pignatelli. Tra gli uomini di O’Neill c’è anche
    Athos Francesconi.
    A marzo ’44 arrivano a Taranto Rodolfo Ceccacci e Aldo
    Bertucci, appartenenti ai corpi speciali della Decima Mas di
    Junio Valerio Borghese. Il principe ha aderito alla Rsi costituendo
    nel settembre ’43 la Decima Mas, a La Spezia, per combattere
    assieme ai nazifascisti. Ceccacci e Bertucci si fingono disertori
    dell’esercito di Salò e hanno la missione di organizzare lo
    spionaggio e il sabotaggio in tutto il meridione contro gli
    angloamericani. Contattano subito Francesconi, di idee fasciste, e
    nei giorni seguenti altri marò disposti ad agire contro gli Alleati.
    Tra costoro c’è Giuliano. Che si tratti di infiltrati è così certo che,
    nell’aprile ’44, Giuliano diserta per seguire Ceccacci e Bertucci
    nella Rsi. I tre uomini varcano la linea Gustav e raggiungono
    Penne, nelle Marche, dove è operativa una base della Decima
    nazifascista. Poco dopo, il colonnello Hill Dillon del Cic
    Page 9
    9
    (Counter intelligence corps, il controspionaggio dell’esercito
    americano) segnala il grave fatto con una circolare nella quale
    Giuliano spunta come “Giuliani, palombaro e sottocapo” della
    Decima di O’Neill a Taranto. Il colonnello traccia anche un
    identikit del ricercato, da dove risulta che è alto m. 1,65, robusto,
    occhi e capelli scuri. La descrizione dei caratteri fisici
    corrisponde a quella del capobanda monteleprino.
    L’8 maggio ‘44, giorno dell’arrivo dei tre a Penne, Ceccacci
    raduna i suoi uomini e comunica loro che è giunta l’ora di agire
    oltre le linee contro gli Alleati, con azioni di spionaggio e
    sabotaggio. Tra i presenti troviamo i parà Giuseppe e Giovanni
    Console di Partinico, un paese distante pochi chilometri da
    Montelepre in provincia di Palermo, e il marò Dante Magistrelli
    (Milano). È probabile che l’incontro tra Giuliano, i Console e
    Magistrelli avvenga proprio l’8 maggio e che nei giorni seguenti
    prenda corpo il piano di spedire un commando nazifascista a
    Partinico. A fine giugno, infatti, i fratelli Console e Magistrelli
    sono già operativi nella cittadina siciliana. Per coprire le loro reali
    attività, i tre iniziano a lavorare in un esercizio commerciale. I
    Console raccontano ai loro compaesani che Magistrelli è un
    profugo rifugiatosi a Partinico per sfuggire alla guerra in corso
    nell’Italia centro - settentrionale. Nelle stesse settimane, a
    Giuliano è ordinato di rimanere nella Rsi per continuare
    l’addestramento nei corpi speciali nazifascisti. A luglio è
    segnalato dagli americani in un elenco di Np siciliani al nord,
    nella Decima di Borghese, assieme a Cacace e a Lo Cascio
    (quest’ultimo originario di Monreale, in provincia di Palermo).
    Tra il novembre e il dicembre ’44, secondo le dichiarazioni rese
    agli Alleati nell’agosto ‘45 da Aniceto del Massa (uno dei capi
    dei servizi segreti di Salò), trenta uomini della Decima sono
    inviati in Sicilia. Sono stati addestrati a Campalto (Verona) presso
    la scuola di sabotaggio diretta dall’Ss Otto Ragen. Nell’elenco
    compare anche Giuseppe Sapienza, nato a Montelepre (il paese
    di Giuliano) il 19 novembre ‘18. La presenza di Sapienza nel
    palermitano, per operare con le bande fasciste, è segnalata anche
    da un dispaccio di Hill Dillon del novembre ‘44. Che Giuliano
    faccia parte di questo gruppo è confermato dall’interrogatorio di
    Pasquale Sidari (12 maggio ’45), un agente segreto nazifascista
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    10
    in missione nell’Italia liberata, arrestato dagli americani nei pressi
    di Pistoia il 2 marzo ‘45 assieme a Giovanni Tarroni, anch’egli
    una spia di Salò. Sidari confessa che nelle montagne tra Partinico
    e Montelepre è attiva una banda fascista al comando di “Giuliani”
    (head of a fascist band in the Palermo province), composta anche
    da “disertori tedeschi” (un riferimento agli istruttori delle Ss di
    Verona). Spiega di avere appreso queste notizie dai fratelli
    Console durante una conversazione avvenuta il 15 dicembre ’44,
    nell’atrio del teatro Finocchiaro a Palermo, e aggiunge che “dopo
    Natale, Magistrelli e Giovanni Console si sarebbero recati al nord
    per riferire al comando della Decima Mas sulle attività della
    banda”.
    L’arrivo in Sicilia del gruppo dei trenta sabotatori di Campalto
    coincide con lo scoppio dei moti del “Non si parte” (i giovani si
    ribellano alla chiamata alle armi del governo Bonomi, che intende
    inviarli a combattere sulla linea Gotica contro le truppe
    nazifasciste). L’insubordinazione si sviluppa nell’isola sotto
    l’apparente spinta separatistica tra il dicembre ’44 e il gennaio
    ’45. Che si tratti di terroristi salotini emerge dai rapporti
    dell’intelligence britannica. In diversi comuni siciliani appaiono
    scritte fasciste accanto a slogan come “Entrate nella banda!” e
    “Viva Giuliani!”.
    Nel marzo ’45, le confessioni di Sidari e Tarroni provocano
    l’arresto di una quarantina di sabotatori della Decima nazifascista
    tra Napoli e Palermo. A Napoli, cadono nella rete americana gli
    uomini di Pignatelli (Rosario Ioele) e i sabotatori Bartolo
    Gallitto e Gino Locatelli. A Partinico sono arrestati i fratelli
    Console e Dante Magistrelli. Gli interrogatori avvengono presso il
    carcere di Poggioreale, a Napoli, e sono condotti dai carabinieri
    del Sim (Servizio informazioni militari) al comando del maggiore
    Camillo Pecorella.
    Dalle scuole di sabotaggio all’azione sul campo
    Giuliano, Sapienza e i trenta sabotatori addestrati a Campalto
    sfuggono alla cattura e tornano nella Rsi. In un rapporto di Hill
    Dillon del 25 marzo ’45, troviamo infatti il nome del
    “sottotenente dei parà Giuliano” in uno dei corpi scelti della
    Decima Mas nazifascista, al nord. Sapienza è arrestato il 7
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    11
    maggio ‘45 e internato in un campo di prigionia alleato, a
    Modena. Nonostante i gravi contraccolpi subìti, l’eversione nera
    in Sicilia non si arrende. Al contrario. Dalla confessione resa agli
    Alleati il 17 giugno ’45 da Fernando Pellegatta, un sabotatore
    del battaglione Vega della Decima nazifascista con sede a
    Montorfano (Como), apprendiamo che 120 uomini del Vega sono
    inviati al sud il 1° aprile ’45. Sono stati selezionati tra le Ss
    italiane e i militi della trentacinquesima brigata nera “Raffaele
    Manganiello”. Il capo di quest’ultima a Como, dall’autunno ’44
    all’aprile ’45, è l’ex federale di Firenze Fortunato Polvani,
    stretto collaboratore di Pino Romualdi, vicesegretario del Partito
    fascista repubblicano (Pfr). Polvani, non a caso, è a Palermo
    dall’estate ’45 per dirigere il Centro clandestino fascista della
    capitale siciliana, e qui rimane fino al marzo ‘46. È probabile,
    quindi, che i 120 uomini del Vega costituiscano il nocciolo duro
    dell’Evis (Esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia),
    che nasce nel settembre ‘45 e di cui Giuliano è nominato
    “colonnello” nei pressi di Sagana (Montelepre).
    Il terrorismo nazifascista in Sicilia è considerato, da un punto di
    vista strategico, fondamentale per il futuro movimento
    neofascista. Non pochi indizi ci dicono che dietro la strage del 19
    ottobre ‘44 in via Maqueda
    (Palermo) agiscano, quali
    provocatori, elementi salotini. Tale presenza, agli occhi del
    governo Bonomi, appare così pericolosa da far ordinare il
    massacro della folla da parte della divisione Sabaudia. Di fatto,
    l’eccidio (16 morti e decine di feriti) è un monito contro
    l’eversione nera nell’isola. Ma serve a poco. Un mese dopo
    scoppiano i moti del “Non si parte”.
    Montelepre, 9 gennaio ’46. Centocinquanta uomini agli ordini di
    Salvatore Giuliano sferrano un durissimo attacco contro le
    caserme dei carabinieri. Il conflitto dura una settimana. Perdono
    la vita 9 militari, i feriti sono 35. I servizi segreti britannici
    affermano che la banda è composta anche da “terroristi ebraici” e
    da “elementi anticomunisti jugoslavi”. I primi potrebbero essere i
    gruppi armati che si preparano alla nascita dello Stato di Israele,
    addestrati nel dopoguerra dagli uomini della Decima Mas di
    Borghese su richiesta del capo dei servizi segreti americani in
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    12
    Italia, James J. Angleton. A confermarlo è Nino Buttazzoni
    (capo degli Np nella Rsi tra il ’43 e il ’45) nel volume Solo per la
    bandiera (Milano, Mursia, 2002, p. 125). Per quanto riguarda gli
    jugoslavi, potrebbe trattarsi di elementi fascisti croati manovrati
    dai servizi Usa. Operano in Italia al comando di Ante Moškov,
    un ex generale ustascia. Anche il Sis segnala l’attività dei gruppi
    jugoslavi in Puglia, pronti a entrare in azione “contro il pericolo
    bolscevico”
    (b.
    46,
    f.
    LP155/Fronte
    internazionale
    antibolscevico,
    titolo:
    Organizzazione
    internazionale
    anticomunista, 6 settembre ’47). Fanno capo a una centrale
    anticomunista slava, con sede a Parigi e collegata
    all’Internazionale nera di Martin Bormann e Otto Skorzeny (ex
    gerarchi nazisti), attiva in Argentina e in Europa dal ‘46 (sul
    tema, cfr. il capitolo I del volume Tango Connection di G.
    Casarrubea e M. J. Cereghino, Milano, Bompiani, 2007).
    Nei primi cinque mesi del ’46 cresce la tensione nei gruppi
    monarchici e neofascisti. Temono la vittoria della Repubblica al
    referendum istituzionale e una forte affermazione delle sinistre
    all’Assemblea costituente. I servizi segreti americani non
    nascondono le loro preoccupazioni e, dopo le precedenti intese
    col principe Borghese (primavera ‘45), si accordano con i capi
    politici e militari del neofascismo (Augusto Turati, Scorza,
    Messe, Navarra Viggiani, Romualdi, Buttazzoni) per avviare su
    vasta scala l’offensiva anticomunista. Sanno che il Pci e il Psi
    potrebbero conquistare la maggioranza relativa alla Costituente e
    che l’avvento della Repubblica potrebbe rapidamente trasformarsi
    nell’“anticamera del comunismo”. Nel marzo ’46, in gran segreto,
    l’intelligence Usa preleva Borghese dal penitenziario di Procida e
    lo trasferisce in una località sconosciuta. L’obiettivo è di
    organizzare la controffensiva paramilitare in caso di vittoria dei
    comunisti e dei socialisti.
    All’armi siam fascisti!
    Nell’aprile ’46, Buttazzoni inizia a lavorare per Angleton con lo
    pseudonimo di “ingegner Cattarini”. Forte di questa copertura,
    il capo degli Np fa sfilare i suoi uomini al parco del Pincio, a
    Roma. Sono duecento militi di provata fede anticomunista e
    disposti a tutto. In Solo per la bandiera (cit., pp. 122 - 123)
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    13
    scrive: “Sono momenti in cui per molti Repubblica significa
    comunismo e la nostra scelta non ha incertezze. Abbiamo armi e
    depositi al completo. Faccio contattare anche alcuni Np del sud”.
    Nelle stesse settimane, Buttazzoni fonda l’Eca (Esercito
    clandestino anticomunista) mentre Romualdi redige il manifesto
    programmatico del Fronte antibolscevico italiano (Fai, composto
    interamente da unità neofasciste clandestine) e lo consegna ad
    Angleton tramite Buttazzoni. Nel documento si sostiene in
    maniera esplicita che neofascisti e americani devono unirsi per
    una comune azione contro il comunismo, “focolaio di infezione
    sociale per l’Europa e il mondo”. Vi si afferma testualmente: “I
    neofascisti intendono stabilire un contatto con le autorità
    americane per analizzare congiuntamente la situazione del Paese.
    La questione politica italiana sarà quindi collocata nelle mani
    degli Stati Uniti d’America”. Dall’analisi di questo testo (ora in
    Nicola Tranfaglia, Come nasce la Repubblica, Milano,
    Bompiani, 2004, pp. 80 - 86) emergono non poche analogie con il
    testo dei volantini lanciati durante gli assalti contro le Camere del
    lavoro di Partinico e Carini (Palermo), il 22 giugno ‘47. Qui si fa
    riferimento alla “canea rossa” e alla “mastodontica macchina
    sovietica”. I due documenti sembrano scritti dalla stessa mano.
    Non a caso, i Fasci di azione rivoluzionaria (Far) nascono
    ufficialmente poco dopo, nell’autunno ’46, sotto la guida di Pino
    Romualdi e con palesi finalità terroristiche.
    A Palermo, nel giugno ’46, è arrestato Giuseppe Caccini, alias
    “comandante Tempesta” della brigata Carnia (derivazione della
    Osoppo). L’accusa è di costituzione di banda armata (cfr.
    documenti Sis del 14 e 26 giugno ‘46). In Sicilia, a Catania, è
    entrato in contatto col principe Flavio Borghese, fratello
    maggiore del capo della Decima Mas. Caccini proviene da Roma,
    dove è giunto nel mese di maggio assieme a 221 militi pronti a
    entrare in azione in caso di vittoria della Repubblica. È probabile,
    quindi, che gli uomini del “comandante Tempesta” siano gli stessi
    passati in rassegna da Buttazzoni, al Pincio, nelle stesse
    settimane. Caccini raggiunge la Sicilia su raccomandazione del
    capitano Callegarini (Cc), legato agli ambienti della Casa reale.
    Il 25 giugno ‘46, il Sis segnala in Calabria le attività di “un
    movimento clandestino armato, sia per sostenere la monarchia nel
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    caso di vittoria nel referendum, sia per attuare la separazione del
    Mezzogiorno dall’Italia”. Il movimento è diretto da un ex
    carabiniere ed ex maggiore della Gnr, Serafino Ferrero (Torino,
    1899), e da un certo “tenente Franco”, ovvero Walter Di
    Franco. Il suo vero nome è Francesco Argentino (Reggio
    Calabria, 1916), ex membro della banda Koch e capofila dei Far
    nel meridione. Le attività paramilitari nere, ramificate in tutta la
    regione, godono del supporto sotterraneo dell’Arma dei
    carabinieri e delle squadre neofasciste calabresi, siciliane e
    campane con base a Napoli.
    Di una tentata insurrezione neofascista a Roma, nel maggio ’46,
    scrive ampiamente un rapporto Sis del 17 giugno, a firma del
    questore Ciro Verdiani. Tra gli organizzatori troviamo
    Candiollo e Rodelli, capisquadra neofascisti per l’attuazione di
    un colpo di Stato. I due frequentano Francesco Garase, detto “lo
    zoppo”, che varie carte Sis definiscono nel ‘47 “l’emissario a
    Roma della nota banda Giuliano”, in contatto permanente con
    Walter Di Franco. Assieme ad altri neofascisti come Silvestro
    Cannamela (ex Decima Mas) e Caterina Bianca (ex spia
    nazifascista), Garase visita assiduamente le sedi monarchiche di
    via Quattro Fontane 143 e di via dell’Umiltà 83. Non a caso, un
    rapporto Sis di qualche mese dopo (1° novembre ‘46) afferma
    testualmente: “Da 20 giorni è stata riaperta la sede del partito in
    via Quattro Fontane, che è quella legale e dove gli iscritti
    vengono indirizzati verso l'organizzazione clandestina. Ferve
    l'opera di riorganizzazione soprattutto in Sicilia, dove non si
    disdegnano i contatti diretti neppure con la banda Giuliano”. Tra
    il novembre e il dicembre ‘46, il Sis segnala inoltre che la banda è
    in rapporti con le squadre neofasciste in Basilicata (26 novembre)
    e con il Macri (Movimento anticomunista repubblicano italiano,
    31 dicembre). Tra il ’44 e il ‘45, Cannamela fa parte di un
    commando nazifascista della Decima Mas operante nell’Italia
    liberata (squadra Anassagora Serri/Gruppo Ceccacci). Tra i suoi
    componenti vi sono anche i fratelli Giovanni e Giuseppe Console
    e Dante Magistrelli, in missione a Partinico dall’estate ’44.
    Nell’ottobre ’46 il colonnello Laderchi (Cc), il capitano
    Callegarini (Cc), l’ammiraglio Maugeri, il colonnello Resio
    (Marina), il generale dell’Aeronautica Infante e molti altri
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    ufficiali iniziano a organizzare un colpo di Stato antidemocratico.
    “Sono in contatto con i fascisti monarchici” e preparano “una
    rivolta armata nel Paese” (cfr. documenti Sis, 12 ottobre e 5
    novembre ‘46). Carlo Resio lavora per l’Oss di Angleton
    dall’estate ’44 (a Roma, in via Sicilia 59) e rimane alle sue
    dipendenze fino al dicembre ‘47, data in cui il capo dei servizi
    americani ritorna negli Stati Uniti. Resio è tra gli uomini che
    prelevano Junio Valerio Borghese (a Milano, il 10 maggio ’45)
    per tradurlo a Roma. All’operazione partecipano Angleton e
    Federico d’Amato (intelligence italiana).
    Secondo un documento top secret dell’MI5 britannico, datato 8
    ottobre ’46 e desecretato a Londra nel gennaio 2006, sono soliti
    riunirsi a Roma: Augusto Turati, ex segretario del Partito
    nazionale fascista (Pnf) e capo politico del clandestinismo
    fascista; Pompeo Agrifoglio, ex capo del Sim; Luigi Ferrari,
    capo della polizia; Leone Santoro, membro dell’ufficio politico
    del ministero dell’Interno; Izielo (sic) Corso, sottosegretario
    all’Interno nel secondo governo De Gasperi [c’è un Angelo
    Corso, sottosegretario all’Interno nel secondo governo De
    Gasperi] e l’agente americano Philip J. Corso (Cic), uno dei
    collaboratori più stretti di Angleton e “custode” di Junio Valerio
    Borghese a Forte Boccea (Roma) e a Procida. Il documento
    specifica: “Numerosi ufficiali americani e italiani (come il
    capitano Corso suddetto) sono legati in maniera intima e attiva a
    questo gruppo”. Il tramite tra Corso e Agrifoglio è il tenente
    Mario Bolaffio (Sim). Nello stesso periodo, Augusto Turati è
    ritenuto “persona grata agli angloamericani, i quali lo stimano e lo
    rispettano molto” (Sis, 19 settembre ‘46, b. 13, f. Turati Augusto).
    Secondo un altro rapporto britannico top secret (27 novembre
    ’46), “Il capitano Corso ha recentemente sostenuto un incontro
    con Enzo Selvaggi [esponente monarchico] e lo ha informato di
    aver ricevuto istruzioni dal suo governo per formare un gruppo
    politico anticomunista. Corso ha aggiunto che questo cambio di
    politiche è dovuto al successo del Partito repubblicano nelle
    elezioni statunitensi”. Si tratta delle elezioni di mezzo termine del
    congresso americano (novembre ’46) . Si registra, in pratica, il via
    libera all’offensiva anticomunista in Italia da parte di
    Washington.
    Page 16
    16
    Il 27 novembre ‘46, il Sis (b. 13, f. Turati Augusto) segnala:
    Da alcuni elementi fascisti è stato riferito che i noti Scorza e Turati si
    sarebbero trasferiti dal nord a Roma, dove sarebbe stato pure trasferito il
    ‘comando generale del movimento fascista’. Secondo le voci che corrono tra
    gli elementi fascisti, il ‘comando’ starebbe preparando tutto un lavorìo di
    organizzazione dei ‘quadri’ fascisti specialmente con riferimento al meridione.
    Si dice che in gennaio o febbraio dovrebbe ‘scoppiare’ qualcosa di grosso.
    Da Bari, il 13 gennaio ‘47, il Cic scrive:
    Un informatore affidabile di questo Ufficio ha sostenuto una conversazione
    con tre ufficiali dell’Arma dei carabinieri, il 10 dicembre ‘46. Costui ha riferito
    di certe direttive provenienti dal comando dell’Arma dei carabinieri a Roma, in
    cui si raccomanda di promuovere una forte propaganda monarchica all’interno
    del Corpo. Quando l’informatore ha chiesto notizie più dettagliate, gli è stato
    risposto che la monarchia sarebbe stata ristabilita nel giro di pochi mesi.
    L’informatore ha replicato che la restaurazione della monarchia sarebbe il
    segnale per una rivolta popolare, soprattutto al nord. Gli ufficiali però,
    sorridendo, hanno fatto notare che i qualunquisti hanno il supporto dei
    carabinieri e che sono fortemente armati e in posizione di contrastare
    qualunque mossa. I qualunquisti sono stati menzionati a tale proposito perché
    si suppone che questo partito debba creare ‘l’incidente’ che dovrebbe condurre
    al colpo di Stato.
    I collegamenti tra il gruppo terroristico di Salvatore Giuliano in
    Sicilia e il capo dei Far, Pino Romualdi, trovano conferma nei
    seguenti elementi:
    1) Fortunato Polvani, braccio destro di Romualdi almeno dal ‘43,
    è a Palermo nella veste di capo del Centro clandestino fascista a
    partire dall’estate ’45. Qui si ferma fino al marzo ’46. È Polvani il
    responsabile della trentacinquesima brigata nera “Raffaele
    Manganiello”, a Como, fino alla primavera ‘45. L’1 aprile ‘45,
    120 militi di questa formazione sono inviati al sud con l’intento di
    continuare la cosiddetta “resistenza fascista” nell’Italia liberata;
    2) Uomo dei Far e referente della banda Giuliano in Calabria e in
    Sicilia, almeno dal maggio ’46, è Francesco Argentino/Walter Di
    Franco, che opera in Calabria con Serafino Ferrero. È molto
    probabile che il documento Sis del 25 giugno ’47 (riportato
    all’inizio di questo dossier) si riferisca proprio a questi due
    elementi nel seguente passo:
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    17
    La banda Giuliano è da ritenersi, fin dall’epoca delle nostre prime
    segnalazioni, a completa disposizione delle formazioni nere. Il nucleo romano
    della banda Giuliano era comandato fino a quindici giorni fa da certo “Franco”
    e da un maresciallo della Gnr, che si trovano attualmente a Cosenza.
    Nel ’47, vari documenti Sis segnalano Argentino/Di Franco in
    contatto con Francesco Garase, “emissario a Roma della nota
    banda Giuliano”;
    3) Gli assalti alle sedi comuniste e alle Camere del lavoro
    iniziano il 18 giugno ’47 in Calabria, per poi dilagare nella
    provincia di Palermo con gli esiti stragistici del 22 giugno. Il
    rapporto Sis del 25 giugno ’47, infatti, afferma che “la banda
    Giuliano ha ramificazioni in ogni centro della Calabria, della
    Sicilia e della Campania”;
    4) Nello stesso documento leggiamo:
    Negli ambienti dei Far, Nuovo Comando Generale, si ammette che l’azione
    della banda Giuliano è in relazione con l’ordine testé impartito di “accelerare i
    tempi”. L’ordine, come vi fu fatto noto, è stato esteso all’Ecla [Eca] di
    Muratori e Venturi, i quali attingono denaro e disposizioni da un’unica fonte.
    Si preparano adesso a Roma e al nord.
    Un altro dispaccio Sis (b. 46, f. LP155/Fronte internazionale
    antibolscevico, Titolo: Movimenti neo - fascisti, segreto, 25
    giugno ‘47), riporta:
    Il comando generale dei Far ha ordinato questa mattina, in conseguenza
    dell’operazione di polizia in corso, di accelerare i tempi, nel senso di anticipare
    l’azione di piazza per la conquista del potere. L’Ecla e le Sam [Squadre armate
    Mussolini] procedono di pari passo (come tattica, metodo e programma) con i
    Far. Le direttive sono identiche. I fondi, notevoli, provengono da un’unica
    fonte. L’ultimo stanziamento è stato interessante. La sola formazione Ecla ha
    incamerato quattro milioni. La polizia romana non ha fermato che alcuni degli
    elementi effettivamente responsabili, senza minimamente intaccare i gangli
    vitali e capillari della organizzazione, che ha carattere nazionale. Da non
    sottovalutare lo spirito combattivo e, per la disciplina instaurata nei ranghi, la
    più assoluta dedizione ai capi da parte dei gregari. (…) Se vi saranno moti
    armati, i Far vi parteciperanno per diventare movimento risolutivo della
    situazione. Nonostante la suddetta operazione di polizia, i Far continuano a
    controllare tutte le formazioni clandestine, anche l’Upa e il gruppo carabinieri,
    in seno a quali elementi fidati lavorano sotto controllo agli effetti della
    realizzazione del colpo di Stato.
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    Si fa riferimento a un “Nuovo comando generale”, risultante
    dall’unificazione delle tre principali formazioni paramilitari
    neofasciste: Eca, Sam e Far. Secondo una nota del Sis (cfr.
    Giannuli, Libertaria, cit., p. 51), “a Venezia, Milano e nella
    Calabria ferve il lavoro delle Sam, le quali sono sovvenzionate da
    Giuliano ed il suo aiutante è lo scugnizzo. È partito da Roma un
    console della Milizia per la Calabria, per incontrarsi con
    Giuliano”. Uno dei capi delle Sam è Selene Corbellini (ex
    membro della banda Koch), che agisce tra Milano, Torino e
    Roma e che nel ‘47 troviamo a Palermo per incontrare il
    capobanda monteleprino. Scrive il Sis:
    Da Palermo viene segnalata la presenza in quella città di Selene Corbellini,
    ricercata, già della banda Koch, detta anche Lucia o Maria Teresa (…). Si
    tratta di un elemento pericoloso. Ai camerati di Palermo dichiarava appena
    giunta di dovere stabilire contatti diretti col noto Martina, capo della banda
    Giuliano (2 agosto ‘47).
    I collegamenti diretti tra l’Evis e le Sam sono segnalati inoltre
    dall’intelligence Usa (20 febbraio ’46) e da quella britannica (19
    gennaio ’46). Dalla Sicilia, il Cic riferisce:
    Alcuni membri dell’Evis indossano uniformi americane e britanniche. Parecchi
    disertori alleati sono membri di queste bande ribelli. Il maggiore britannico
    Oliver si dice appartenga a una di queste formazioni ribelli. Un ufficiale
    britannico dello stesso nome sarebbe stato di stanza a Palermo per conto
    dell’intelligence alleata, durante il periodo dell’occupazione (29 gennaio ’46).
    Secondo un rapporto statunitense dell’anno precedente (23
    gennaio ’45), Oliver è un agente del Field security service (il
    controspionaggio britannico), a contatto nell’isola con non meglio
    precisati “banditi”.
    Il riferimento all’Eca di Muratori non è da sottovalutare. Lo
    stesso Buttazzoni (cfr. il volume di Lapo Mazza Fontana
    intitolato Italia über alles, Milano, Boroli editore, 2006, pp.169 -
    170) dichiara:
    Io ho costituito l’Eca (…) a Roma nel periodo del ’46 - ’47, dopo essere
    scappato dal campo di concentramento di Ancona il 22 settembre 1945 (…), e
    con l’Eca ho riunito parecchi ex ufficiali; come aiutante avevo un ex generale
    della Milizia che si chiamava Muratori.
    Page 19
    19
    È Muratori a coordinare l’eversione nera in Sicilia alla vigilia
    delle stragi del ’47 (Sis, 25 giugno ‘47):
    Anche il colonnello Pollini e Spinetti Ottorino (…) sono stati, prima
    dell’arresto del Pollini e dell’inizio dell’azione della banda [Giuliano], in
    Sicilia e a Palermo per conto dell’Ecla diretta da Muratori.
    Si può quindi ipotizzare che sia Muratori a emanare ordini al
    colonnello Pollini e a Spinetti (esponenti neofascisti), su mandato
    di Nino Buttazzoni. Ma quest’ultimo ha sempre evitato ogni
    riferimento alle attività da lui svolte nel periodo che va dall’aprile
    ‘46 (inizio della sua collaborazione con i servizi segreti di
    Angleton, a Roma) al settembre ‘47, data in cui è arrestato dalla
    polizia nei pressi dell’università La Sapienza;
    5) A Palermo, nella primavera ‘47, opera il Fronte antibolscevico
    (via dell’Orologio). Lo guida Gioacchino Cipolla, un neofascista.
    Secondo quanto emerge durante la fase dibattimentale al processo
    di Viterbo, e le dichiarazioni del bandito Antonino Terranova
    (inteso “Cacaova”), Giuliano è solito frequentare il “Partito
    anticomunista” della capitale siciliana proprio nella temperie delle
    stragi di Portella e di Partinico. In realtà, il Fronte antibolscevico
    (o anticomunista) altro non è che la copertura legale delle attività
    terroristiche dei Far nell’isola;
    6) Secondo il giornalista Andrea Lodato, i Far di Romualdi
    iniziano a operare a Catania nel gennaio ’46, tramite il neofascista
    Nino Platania. In città, dal ’43, è attivo anche il principe Flavio
    Borghese, in contatto dal ’46 con le formazioni paramilitari di
    Caccini (Osoppo) e, probabilmente, con quelle di Buttazzoni
    (Eca) e di Giuliano (Evis/Sam).
    Golpisti
    Numerosi rapporti Sis si occupano di un’organizzazione, l’Upa,
    che nell’ottobre ’46 inizia a preparare un colpo di Stato. È guidata
    dal generale Giovanni Messe (Cc), dal Sim e, come abbiamo
    visto, da Laderchi, Callegarini, Maugeri, Resio e Infante. L’Upa
    agisce agli ordini diretti dell’intelligence Usa di Angleton e di
    Philip J. Corso. L’obiettivo è una dittatura militare transitoria,
    della durata di uno o due anni, affidata all’Arma dei carabinieri.
    Page 20
    20
    Secondo un documento britannico dell’11 agosto ‘47,
    (Movimento italiano di estrema destra: assistenza americana,
    paragrafo Visita di un rappresentante americano), l’ex capo
    dell’Amgot (il governo militare alleato dal ‘43 al ‘45), il
    colonnello Charles Poletti, arriva in Italia nel mese di giugno ‘47
    “in missione speciale per conto del governo americano”, in
    coincidenza con le stragi siciliane:
    Il signor Poletti è arrivato in Italia a giugno in missione speciale per conto del
    governo americano. Ha incontrato il signor Jacini a Roma e, dopo un attento
    esame dell’organizzazione dei movimenti italiani di estrema destra, ha
    promesso da parte del governo americano armi per il movimento e un supporto
    finanziario sia per le attività in Italia sia sul confine orientale (Udine). […]
    Poletti ha posto come condizione per l’assistenza americana che il movimento
    dell’estrema destra in tutta Italia sia collocato sotto un comando unificato
    .
    Con ogni probabilità, il Jacini in questione è Stefano Jacini,
    ministro della Guerra nel governo Parri e ambasciatore
    straordinario in Argentina dal settembre ‘47. È con lui che Poletti
    instaura un rapporto fiduciario.
    Il percorso eversivo (iniziato nell’estate ’46) appare ora più
    maturo sotto la spinta degli Usa, che forniscono un poderoso
    scudo protettivo costituito da appoggi politici, denaro e armi.
    Ecco perché l’8 maggio ’47, una settimana dopo la strage di
    Portella della Ginestra, troviamo Mike Stern (un celebre
    giornalista americano, in Sicilia da molte settimane) a pranzo con
    la famiglia di Salvatore Giuliano, a Montelepre. Stern è il garante
    in Sicilia, per conto di Poletti, della corretta esecuzione del piano
    golpista, che dovrà in breve espandersi a tutta l’Italia? Su questo
    argomento, il supplemento n. 24 di Propaganda (Pci, 1949), al
    paragrafo I banditi e gli agenti americani (pp. 16 - 18), denuncia
    senza mezzi termini:
    Il giorno 8 maggio 1947, a una settimana di distanza dall’eccidio di Portella
    della Ginestra, il capitano dell’esercito americano Stern si recava, a quanto
    scrive egli stesso, nel covo di Giuliano e riceveva dalle mani del bandito un
    proclama indirizzato al presidente [Harry] Truman. Dopo qualche settimana,
    nelle tasche di un bandito caduto in mano della polizia, veniva trovata una
    lettera autentica di Giuliano diretta al suo amico Stern a Roma, via della
    Mercede 53 (sede della Associazione della stampa estera), nella quale il
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    21
    fuorilegge chiedeva armi pesanti e dava consigli circa la maniera di mantenere
    i contatti con l’ufficiale americano. Due circostanze colpiscono a prima vista: il
    fatto che, proprio all’indomani di Portella, lo Stern senta il bisogno di andare a
    fare visita al “re di Montelepre” ed il fatto che quest’ultimo si permetta, nella
    sua lettera intercettata dalla polizia, di chiedere armi ad un ufficiale
    dell’esercito americano. Ma tutto ciò ormai non ha più nulla di strano. È chiaro
    che l’iniziativa dello Stern non è frutto di una curiosità individuale, ma che la
    sua visita a Giuliano ed i suoi rapporti con il bandito sono frutto di precise
    istruzioni diramate dall’Ufficio servizi strategici [Oss], allo scopo di
    agganciare il bandito alla politica americana nel Mediterraneo. A conferma di
    questa tesi, è facile ricordare l’atteggiamento del governo di De Gasperi in
    questa circostanza. Il governo italiano, infatti, si guarda bene di intervenire
    presso l’ambasciatore americano a Roma per protestare o almeno per chiedere
    spiegazioni dell’attività del capitano Stern, uno straniero che promette ad un
    bandito armi ed aiuto.
    In sintesi, i rapporti britannici (inaccessibili fino a un anno fa) ci
    dicono che i mandanti delle stragi siciliane del maggio - giugno
    ’47 sono da ricercare nel governo degli Stati Uniti d’America,
    presieduto dall’aprile ‘45 da Harry Truman. Di conseguenza, i
    tramiti sono Charles Poletti, James Angleton, Philip J. Corso e,
    forse, Mike Stern. Non a caso, un documento del 13 agosto ‘47
    afferma:
    Il maresciallo Messe ha assunto la direzione militare di tutto il movimento
    anticomunista nel nord Italia (…). Il movimento riceve dieci milioni di lire al
    mese dalla Confederazione degli industriali dell’Italia settentrionale (…).
    Jacini mantiene costantemente informate le autorità americane sugli sviluppi
    del movimento anticomunista.
    Altri due dispacci britannici (2 giugno e 5 agosto ’47, spediti da
    Roma a Londra) riferiscono ampiamente sui finanziamenti erogati
    dalla Banca nazionale dell’agricoltura (Bna) al movimento
    clandestino monarchico - fascista, che punta alla costituzione “di
    squadre armate per opporsi alle formazioni comuniste”. Si fanno i
    nomi dell’avvocato Carlo Jurghens, presidente della Bna, e del
    condirettore della banca, conte Armenise. Il denaro arriva anche
    ai rappresentanti dell’Umi (Unione monarchica italiana) con sede
    a Roma in via Quattro Fontane, luogo frequentato anche dagli
    emissari della banda Giuliano. Ed è molto probabile che sia
    proprio questa la “fonte unica” a cui attinge il “Nuovo comando
    generale” (Far, Eca e Sam) per sviluppare le attività terroristiche
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    del maggio - giugno ’47 in Sicilia (cfr. i due documenti Sis del 25
    giugno ’47, già esaminati). Secondo Londra, Umberto II (in
    esilio da un anno a Cascais, in Portogallo) è al corrente
    dell’operazione eversiva in atto. Non è casuale che nelle stesse
    settimane l’ex re incontri Eva Perón, consorte del presidente
    argentino Juan Perón, dalla quale (secondo il giornalista Jorge
    Camarasa) riceve un grosso quantitativo di pietre preziose (cfr. il
    capitolo I del volume Tango Connection, cit.). Il rapporto
    britannico del 5 agosto spiega infatti che le formazioni nere
    cercano di ottenere finanziamenti, oltre che dalla Bna, anche dagli
    industriali e dai neofascisti italiani emigrati in Argentina. Nel ‘47,
    denaro e armi arrivano in Italia senza problemi. Il comando
    militare del Partito nazionale monarchico (Pnm), guidato dal
    generale Scala, dispone a Roma di tre depositi d’armi clandestini
    con seicento mitragliatrici e cinquemila bombe a mano. Ma
    l’afflusso di armi inizia nell’autunno ‘46:
    I gruppi monarchici hanno ricevuto dall'America del Nord ingentissime somme
    e armi di ogni specie. Fra le armi, vi sono dei fucili mitragliatori di nuovo tipo
    con cartuccia molto lunga e di grosso calibro. Il morale è elevatissimo. Notizia
    assolutamente certa (Sis, b. 43, f. L25/Attività monarchica, 9 ottobre ’46).
    Le gravi responsabilità del governo americano nelle vicende
    eversive italiane emergono anche da un questionario dei servizi
    segreti Usa (tradotto in italiano dal Sis):
    Gli elementi che potrebbero opporsi in combattimento contro il comunismo
    armato provengono quasi totalmente dai quadri degli ufficiali dell’esercito
    regolare, devoti alla monarchia, nonché da elementi fascisti che non si siano
    piegati al comunismo (Sis, b. 44, f. LP39/Movimento anticomunista, 17 ottobre
    ’47).
    Alle soglie dell’inferno
    Non vi è dubbio che il Pci di Togliatti, ovvero il “partito nuovo”
    che inizia a formarsi all’indomani della Liberazione, dispone di
    un’organizzazione armata occulta (il celebre “apparato”) pronta a
    entrare in azione soprattutto nell’Italia centrale e settentrionale.
    Ma possiamo affermare senza ombra di dubbio che tale
    “apparato” non ha funzioni eversive. Il suo compito è semmai di
    “vigilanza rivoluzionaria”, come si diceva in quegli anni, con
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    l’obiettivo legittimo di impedire che un colpo di Stato neofascista
    provochi l’annientamento delle sinistre e delle conquiste
    democratiche successive al 25 aprile ‘45. Truman teme che i
    comunisti e i socialisti assumano il potere mediante regolari
    elezioni politiche, un modello che potrebbe diffondersi
    rapidamente in altre parti del mondo e mettere in crisi le basi
    ideologiche della nascente guerra fredda tra i blocchi dell’est e
    dell’ovest. L’ostentazione ossessiva del cosiddetto “fantasma
    rosso” e la sua demonizzazione sono quindi strumentali al patto
    scellerato che si stabilisce tra servizi segreti Usa, corpi dello Stato
    italiano, neofascisti e mafia fin dal ‘43 e che tanti lutti provocherà
    nei decenni successivi. Sono i servizi segreti statunitensi a sancire
    questo connubio, con l’obiettivo di bloccare il processo
    democratico che inizia a svilupparsi in Italia a partire dall’8
    settembre ‘43 e, in modo più deciso, dopo il 25 aprile ‘45.
    L’ottima affermazione delle sinistre nelle elezioni per
    l’Assemblea costituente del 2 giugno ‘46 (comunisti e socialisti
    sfiorano il 40 per cento dei voti, contro il 37, 2 della Dc) e la
    vittoria della Repubblica sulla monarchia, sono i moventi di un
    colpo di Stato antidemocratico che mira ad instaurare una
    dittatura gestita unicamente dall’Arma dei carabinieri. Tra gli
    obiettivi urgenti, vi è la messa fuori legge del Pci. In sintesi, le
    stragi siciliane della primavera ’47 altro non sono che l’innesco di
    una bomba che dovrà portare alla reazione popolare e alla
    conseguente risposta armata guidata dall’intelligence americana.
    L’esecuzione del golpe è affidato all’Arma dei carabinieri e alle
    squadre armate neofasciste, con la complicità dell’Esercito, della
    Marina e dell’Aeronautica.
    Sono molti i nominativi che ricorrono nel lungo documento Sis
    del 25 giugno ‘47, riportato all’inizio di questo dossier. A parte
    Salvatore Giuliano, incontriamo un certo “tenente della Gnr
    Martina, già di stanza a Novara”, definito “capo effettivo della
    banda”. Nell’interrogatorio condotto dal Sim di Napoli il 12
    maggio ’45, intitolato Magistrelli Dante, agente nemico, si legge:
    Il 16 giugno 1944 i comandi italiani e tedeschi arrivano a Porto d’Ascoli, dove
    rimangono per tutto il giorno. Qui, assieme a Console Pino, il soggetto decide
    di disertare per raggiungere Partinico, provincia di Palermo. I due ricevono
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    l’aiuto di un certo Francesco Martina, nativo anche lui di Palermo, elemento
    che incontrano per caso presso la famiglia Caratella, originaria di Franca
    Villa Mare, ma sfollata a Porto d’Ascoli
    .
    È quindi lecito ipotizzare che il Martina al quale si accenna nel
    documento Sis, sia lo stesso che accompagna i fratelli Console e
    Magistrelli a Palermo nell’estate ’44.
    Scorrendo il documento del 25 giugno ’47, compare più volte il
    Partito fusionista italiano (Pfi). In particolare, si menzionano i
    suoi dirigenti: Pietro Marengo, l’avvocato Ciarrapico e “il noto
    dottor Cappellato, ex medico di Mussolini, agente provocatore
    numero uno in Sicilia, comandante del vecchio Partito fascista
    democratico prima, e delle formazioni nere dopo, in seno alla
    sezione romana del Partito fusionista”. Di Marengo scrive il Cic
    in un rapporto del 27 gennaio ‘47 intitolato Attività neofasciste a
    Bari: “Pietro Marengo, che è il direttore dell’organo del partito Il
    Manifesto, ha assicurato il nostro informatore che la piattaforma
    del partito è fascista”. E poco prima: “Cerapico [si tratta
    probabilmente di Ciarrapico] ha istruito un membro siciliano del
    partito nei seguenti termini: ‘Dobbiamo assolutamente vincere le
    elezioni in Sicilia in via pacifica, altrimenti dovremo cominciare a
    spezzare le ossa con cazzotti e bastoni’ ”. Su questa formazione, i
    servizi segreti britannici riferiscono:
    Il Partito fusionista italiano, in origine un piccolo fronte neofascista camuffato
    in Sicilia, sta trasferendo la sua base di operazioni a Roma. Nuove forze
    organizzative ne hanno preso il controllo e ora servirà da fronte per i vari
    elementi ex fascisti, un tempo disorganizzati, e per i vari elementi
    nazionalistici. Il suo programma sarà basato sull’attività anticomunista (18
    ottobre ‘46).
    La riorganizzazione del Pfi avviene nell’autunno ’46 quando,
    secondo i documenti Sis, si inizia a parlare di un colpo di Stato
    guidato dall’intelligence Usa e dall’Upa. La sperimentazione
    eversiva in Sicilia assume, quindi, un carattere nazionale e si
    colloca all’interno del più generale progetto golpista attuato delle
    squadre paramilitari neofasciste, che cominciano la lunga marcia
    che le porterà a scatenare, qualche mese dopo, l’“incidente”
    terroristico di Portella della Ginestra. Sul Pfi leggiamo ancora:
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    25
    Scorza [ex segretario Pnf] ha diretti rapporti col generale Messe [generale dei
    Cc, capo dell’Upa] e tali rapporti si riferiscono all’eventualità di un’azione
    anticomunista di carattere interno [il colpo di Stato dell’Upa] o contro le forze
    di Tito nella Venezia Giulia. Sono organi politici del partito [Pfd]: il Partito
    fusionista italiano; la frazione Patrissi dell’Uq (Uomo qualunque); […] le
    organizzazioni neofasciste indipendenti, create in Calabria e in Sicilia dal
    principe Pignatelli; i nuclei reduci della Decima Mas del principe Borghese
    (Sis, b.13, f. Turati Augusto, titolo: Partito fascista democratico: quadro
    dell’organizzazione a tutto il 26 settembre 1946, 30 settembre ‘46)
    .
    L’imminenza di un’azione anticomunista risulta anche da un altro
    rapporto Sis:
    Ha avuto luogo ieri sera alla sede del Pfi, via Regina Giovanna di Bulgaria, n.
    95 (interno 20), una riunione limitata ai dirigenti fascisti dello stesso partito.
    Erano presenti: il dott. Cappellato che presiedeva (…). Cappellato ha fatto le
    seguenti testuali dichiarazioni: ‘Abbiamo preso noi fascisti le redini del Pfi che
    ormai è letteralmente nelle nostre mani (…). Un’azione monarchica tendente a
    capovolgere radicalmente la situazione pare imminente con l’intervento di
    corpi armati. In questo caso il Pfi si terrà a stretto contatto di gomito, al centro
    e alla periferia, col nostro partito (alludeva al Pfd) per la funzione che questo
    ha da svolgere di movimento risolutivo della situazione’ (b. 56, f.
    MP44/Attività fascista nel Lazio, titolo: Partito fusionista italiano, 9 ottobre
    ‘46) .
    La riunione si svolge pochi giorni dopo quella - ben più
    importante - tra Turati, Corso (sottosegretario agli Interni nel
    secondo governo De Gasperi), Ferrari, Santoro, Agrifoglio e
    Philip J. Corso (cfr. documento britannico dell’8 ottobre ’46, già
    visto). A conferma di queste manovre, una nota Sis del 2
    novembre ‘46 (b. 56, f. MP44/Attività fascista nel Lazio)
    riferisce: “Personalità dell’Alto comando alleato incoraggiano
    questi piani [golpisti] ‘da un punto di vista soprattutto
    antibolscevico’. Il passaporto internazionale rilasciato dagli
    Alleati a Turati è parte integrante del suddetto programma
    d’azione”.
    Emerge in modo netto il progetto di colpo di Stato, che vede in
    cima alla piramide il Comando alleato e i servizi segreti
    statunitensi (Angleton, Philip J. Corso e altri). Costoro inviano
    ordini a rappresentanti del governo italiano e degli apparati dello
    Stato (Agrifoglio, Corso, Santoro, Ferrari) nonché a Turati.
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    Quest’ultimo controlla le varie organizzazioni del clandestinismo
    fascista sparse in tutta l’Italia. Tra queste, il Pfi di Marengo,
    Ciarrapico e Cappellato. La militarizzazione neofascista è
    “conseguenza degli incontri di cui sopra. (…) Si tratta di
    formazioni che avranno in dotazione armi e munizioni”. Le
    riunioni si tengono ai primi di ottobre tra “Bastiano” (definito
    “un cugino del re”, ovvero Laderchi), il principe Ruspoli e i
    neofascisti Gray, Nunzi, Turati e Pini. Agli incontri partecipa
    anche Resio. Il documento Sis del 2 novembre ’46 è molto
    esplicito sulle finalità di questi gentiluomini: “Stringere un più
    omogeneo patto d’azione tra fascisti e monarchici, in previsione
    delle agitazioni popolari che verranno promosse simultaneamente
    in tutte le città d’Italia, per imporre il ritorno al regime
    monarchico e alla legalità”.
    Le riunioni, nel corso delle quali è sancita la nascita dell’Upa,
    affidata al generale Messe (Cc), si svolgono a Roma in una casa
    di via Due Macelli (di proprietà della duchessa Caffarelli), che
    dista appena cinquanta metri dal bar Traforo, un locale
    frequentato da Giuliano. Nel documento del 25 giugno ‘47
    leggiamo che “il bandito Giuliano vi è stato più volte segnalato,
    anche e soprattutto in ordine ai suoi contatti con le formazioni
    clandestine di Roma. Vi fu precisato il luogo degli incontri con i
    capi del neofascismo (bar sito a via del Traforo, all’angolo di via
    Rasella)”. E via Due Macelli non è lontana dal bar con servizio
    esterno situato a piazza San Silvestro (angolo con via della
    Mercede). Qui, come abbiamo visto, ha sede l’Associazione della
    stampa estera dove lavora Mike Stern.
    Nella gerarchia golpista il Pfi assume un’importanza
    fondamentale, in quanto garantisce i contatti logistici tra la
    capitale e il sud nelle persone di Marengo, Pini, Cappellato e altri.
    Francesco Garase assicura il rapporto col gruppo monteleprino
    (nota Sis del 28 luglio ‘47) ed è definito, il 2 agosto successivo,
    “emissario a Roma della nota banda Giuliano”. Frequenta il bar di
    piazza San Silvestro allo scopo di “tenere i collegamenti con i
    rappresentanti romani delle varie organizzazioni clandestine”,
    sostituendo Giuliano quando questi è impegnato in Sicilia. A
    Roma, Garase è in contatto con elementi dei Far di Romualdi (in
    particolare con Walter Di Franco, che è solito incontrare
    Page 27
    27
    Puccioni, 28 luglio ’47) ma anche con pericolosi neofascisti come
    Armando Di Rienzo, Marco Fossa e Antonio Di Legge.
    Quest’ultimo è segnalato dal Sis in rapporti con il Centro
    informazioni Pro Deo, ovvero l’intelligence vaticana diretta dal
    frate domenicano belga Felix Morlion. Secondo un documento
    Sis dell’8 luglio ‘47 “c’è un movimento, l’Eca, che fa capo a un
    certo Muratori, e del cui servizio informazioni è a capo un certo
    Puccioni”. In sintesi, emerge che i Far e l’Eca, tramite Di Franco,
    Garase e Puccioni, inviano ordini alla banda Giuliano in Sicilia e
    in Calabria. Come abbiamo visto, l’Eca è stata fondata da Nino
    Buttazzoni, ai cui ordini opera Muratori. Altri rapporti Sis
    descrivono Buttazzoni e Di Franco come elementi neofascisti
    coinvolti nelle azioni eversive dell’estate ‘47. Da un dispaccio del
    6 dicembre ’46 (Sis) apprendiamo che anche Alfredo Covelli è
    alla testa del movimento clandestino monarchico - fascista di
    Laderchi, Callegarini, Resio e Infante. Si segnalano poi le attività
    eversive di Spinetti, Pollini e Cappellato, che agiscono all’interno
    del Pfi, sorto a Bari nell’aprile ‘46. Il loro campo di azione si
    estende a Roma, Milano, Agrigento, Brindisi, Caltanissetta,
    Cagliari, Catania, Palermo, Firenze, Lecce, Messina e Potenza.
    Come si vede, le città siciliane interessate sono ben cinque.
    Nei rapporti, anche alcune perifrasi alludono al colpo di Stato. Ad
    esempio, i termini “azione diretta” e “movimento risolutivo della
    situazione”. La formula “azione diretta” compare in una circolare
    del Fronte internazionale antibolscevico riportata dal Sis il 18
    luglio ‘47 (in cui si illustrano le fasi dell’imminente insurrezione
    neofascista) e in un documento datato 13 agosto ’47, in cui si
    afferma “che i Far sono per l’azione diretta, non rifuggono dalla
    violenza e fanno ricorso ad atti terroristici”. L’espressione
    “movimento risolutivo della situazione”, che troviamo in un altro
    rapporto del 25 giugno ’47, ricorre per la prima volta il 9 ottobre
    ‘46, come abbiamo già visto. Si parla del Pfi, del dottor
    Cappellato e di “un’azione monarchica tendente a capovolgere
    radicalmente la situazione con l’intervento di corpi armati”. La
    stessa formula compare il 14 ottobre ‘46 riferita al Pfd di Turati,
    Nunzi e Gray, che proprio in quei giorni decide di “fiancheggiare
    il movimento monarchico”. Le disposizioni sono impartite anche
    agli uomini di Romualdi e del Pfi in tutta Italia, isole comprese.
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    28
    Altri personaggi ricorrono nel documento del 25 giugno ’47. I
    loro nomi sono Alfredo Misuri, la principessa Bianca Pio di
    Savoia, Gioacchino Cipolla e “Anna Maria Romani”:
    Il Fronte antibolscevico costituito recentemente a Palermo, al quale dette la sua
    adesione incondizionata l’onorevole Alfredo Misuri in proprio, e quale capo
    del gruppo di via Savoia 86 (capitano Pietro Arnod, principessa Bianca Pio di
    Savoia, ecc.), non è una sezione del Fronte anticomunista a voi nota. Il Cipolla
    che a Palermo dirigerebbe il fronte è del tutto sconosciuto al Fronte unico
    anticomunista, di cui alle nostre reiterate segnalazioni confidenziali. Il Fronte
    antibolscevico di Palermo è però collegato con Anna Maria Romani, ospite
    della principessa Pio di Savoia sedicente segretaria particolare di Misuri, cucita
    in tutto a filo doppio del noto colonnello Paradisi, detto anche Minelli (piazza
    Tuscolo) ed è pei suoi buoni uffici che Misuri e i camerati del comitato
    anticomunista di Torino, a Voi noto, appoggiarono e appoggiano il progetto di
    azione diretta di cui Paradisi è autore.
    Alfredo Misuri è un collaboratore stretto di Covelli. Alla fine del
    ’47 ricopre l’incarico di presidente dell’Umi in via dell’Umiltà
    83, a Roma. Vicepresidente è il conte Luigi Benedettini, che nel
    maggio ‘46 incontra Garase, Cannamela e Caterina Bianca
    proprio in via dell’Umiltà. Risulta quindi evidente che, almeno
    dalla primavera ’46, esponenti monarchici di prima grandezza
    sono in contatto con la banda Giuliano, in maniera diretta o
    tramite emissari.
    A proposito del colonnello Paradisi, alias Minelli, che opera
    presso la cellula neofascista del rione Tuscolo a Roma, leggiamo:
    “In via Britannia, di fronte alla caserma dei carabinieri
    esisterebbe un bar ove si terrebbero riunioni della cellula
    neofascista, il cui locale verrebbe fra l’altro frequentato da tale
    Bianchini, da un maggiore dell’esercito e da un professore” (Sis,
    busta 56, f. MP44/Attività fascista nel Lazio, 19 ottobre ‘46). E in
    un altro rapporto del 21 ottobre ‘46: “Dal gruppo neofascista
    Tuscolo ho avuto l’incarico - scrive l’anonimo agente - di
    funzionare da tratto di unione tra il gruppo stesso e il capitano
    Nebulante, comandante di settore del movimento monarchico
    romano”. Si fa riferimento anche all’attività clandestina dei
    carabinieri. Infine, in un dispaccio Sis del 2 novembre ‘46 si parla
    di “contatti tra monarchici clandestini e neofascisti/qualunquisti
    del rione Tuscolo, per un’azione in comune nell’imminenza
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    29
    dell’azione di piazza di cui si farebbe promotore il Partito
    monarchico per il ritorno al potere del re. Il piano di tale alleanza
    sarebbe stato propugnato col consenso della federazione romana
    del Partito fascista democratico”. È chiaro, come recita un altro
    documento Sis redatto il 2 novembre (già citato), che tale
    fermento punta a “stringere un più omogeneo patto di azione tra
    fascisti e monarchici in previsione delle agitazioni popolari che
    verranno promosse”. Il Bianchini in questione è Domenico
    Bianchini (classe 1896), figura di spicco nel Pfd dell’epoca
    assieme ai colonnelli Mariani e Pollini, che tra la fine del ’46 e
    l’estate ’47 operano al sud. Ma sappiamo anche che Pollini è in
    Sicilia prima della fine dell’estate: “Il colonnello Pollini Gianni,
    già in collegamento con Pucci e Del Massa [esponenti di primo
    piano dei servizi segreti della Rsi], è attualmente a Napoli in
    attesa di trasferirsi in Sicilia con altri elementi” (Sis, b. 38 f.
    HP40/Penne
    stilografiche
    esplosive,
    11
    agosto
    ‘46).
    L’affermazione è confermata da un passo (già visto) del rapporto
    del 25 giugno ‘47 che stiamo esaminando: “Anche il colonnello
    Pollini e Spinetti Ottorino (già abitanti a Roma, in via Castro
    Pretorio 24, piano ultimo), sono stati, pochi giorni prima
    dell’arresto del Pollini e dell’inizio dell’azione della banda
    [Giuliano], in Sicilia e a Palermo per conto dell’Ecla diretta da
    Muratori”. Per quanto riguarda Mariani, colonnello dei carabinieri
    ed ex Gnr, è presente al sud tra il ’46 e il ‘47 e agisce in sintonia
    con i generali Bencivenga e Caracciolo. In quei mesi, Napoli è
    un punto di riferimento cruciale per l’eversione monarchico -
    fascista nel meridione e nelle isole. I contatti con l’Arma dei
    carabinieri sono costanti. Si citano, ad esempio, il maggiore
    Giovannini, il maresciallo Milanesi e il capitano Bernardi
    dell’Ufficio informazioni (Sis, b. 43, f. L25/Attività monarchica,
    20 settembre ‘46).
    Un personaggio importante è la principessa Bianca Pio di Savoia,
    cognata del colonnello Laderchi (Cc), dal quale la nobildonna è
    incaricata di occuparsi delle formazioni nere meridionali. La sua
    abitazione, in via Savoia 86 a Roma, è un centro di
    organizzazione anticomunista per le attività eversive al sud nei
    primi mesi del ’47 nonché punto di riferimento per la nobiltà
    siciliana nella capitale, di cui sono esponenti non secondari le
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    30
    principesse di Ganci e di Niscemi. Bianca Pio di Savoia ospita
    “Anna Maria Romani”, uno dei nomi di copertura di Selene
    Corbellini, esponente delle Sam e frequentatrice degli ambienti
    eversivi palermitani collegati al “noto Martina, capo della banda
    Giuliano”. La Corbellini mantiene i contatti con l’Associazione
    patriottica anticomunista (Apa) di Torino. Qui troviamo Valletta,
    Pirelli, Falck, Piaggio e Costa, che finanziano i movimenti
    eversivi neri almeno dall’immediato dopoguerra (cfr. documento
    britannico del 30 giugno ‘45). Tra il ’46 e il ’47, la capitale
    sabauda diventa il crocevia dei movimenti clandestini monarchico
    - fascisti, che ricevono denaro e armi per le attività terroristiche in
    tutta l’Italia. A Torino, nei primi mesi del ’47, sono operativi il
    generale Infante, Covelli, Misuri, il principe Giovanni Francesco
    Alliata di Montereale (poi coinvolto nelle trame nere degli anni
    60’ e ’70), Tommaso Leone Marchesano, Selene Corbellini,
    Tullio Abelli (Decima Mas/Far), Mario Tedeschi (Decima
    Mas/Far) e, secondo il documento del 25 giugno ’47 che stiamo
    esaminando, Salvatore Giuliano in persona (“Vi parlammo dei
    suoi viaggi Roma - Torino”). Sappiamo inoltre che, dal
    dopoguerra, Tedeschi e Abelli lavorano come confidenti per
    l’intelligence americana. Sull’importante ruolo golpista ricoperto
    dall’Apa nel ’47, il Sis non potrebbe essere più esplicito:
    “Formazioni clandestine anticomuniste preparano in Sardegna
    moti rivoluzionari per la defenestrazione violenta delle autorità
    locali e la proclamazione di un governo nazionale nell’isola. Le
    formazioni, collegate con altre organizzazioni della penisola,
    riceverebbero ordini e denaro da un Comitato anticomunista di
    Torino” (b. 44, f. LP39/Movimento anticomunista, 8 agosto ’47).
    Secondo il Sis, l’Apa di Torino “è un movimento che mira ad un
    colpo di Stato e che è incoraggiato e finanziato dall’Argentina”
    (cfr. documenti del 10 giugno ’47, 13 agosto ’47, 19 settembre
    ’47 e il capitolo I del volume Tango Connection, cit.). Elemento
    fondamentale dei circuiti eversivi e finanziari neofascisti è
    Giuseppe Cambareri, gran massone, capo dei Rosacrociati
    d’America e del Fronte internazionale antibolscevico (Fia) e
    collaboratore dei servizi segreti americani dal ‘39. Non a caso, un
    dispaccio Sis del 27 ottobre ’47 riferisce che “Cambareri ha
    rapporti con l’estero, principalmente con le Americhe e con la
    Page 31
    31
    Spagna, ed è stato fra i dirigenti della rivoluzione che ha portato
    al potere Peron”.
    Nel giugno ’47, come abbiamo visto, sbarcano in Italia due
    personaggi di prima grandezza nella storia eversiva del Belpaese.
    Il primo è Charles Poletti, che promette soldi e armi da parte del
    governo americano a condizione che si istituisca un comando
    unico delle forze paramilitari neofasciste. Il secondo è Eva Perón.
    Giunge in Italia con un carico di lingotti d’oro, pietre preziose e
    denaro che sono distribuiti (tra giugno e luglio) in varie città della
    penisola, in Svizzera e in Portogallo. Nelle stesse settimane,
    anche Covelli viaggia a Lisbona per incontrarsi con Umberto II.
    Che i fondi per l’eversione nera provengano in gran parte dal
    paese sudamericano, ce lo conferma il quotidiano La Repubblica
    d’Italia del 22 giugno ‘47, a proposito della retata della polizia ai
    danni dei Far (di cui parleremo tra poco): “L’organizzazione a
    carattere terroristico farebbe capo a un governo provvisorio
    fascista in Argentina”.
    Si può ora ipotizzare il seguente schema finanziario per il golpe
    neofascista del ’47 in Italia: il denaro (proveniente dalle casse
    dall’Internazionale nera di Bormann e Skorzeny) parte
    dall’Argentina di Perón tramite il “governo provvisorio fascista”
    con sede a Buenos Aires (composto anche da tre ministri della ex
    Rsi: Moroni, Spinelli e Pellegrini Giampietro; sul tema, cfr. il
    settimanale L’Europeo del 10 luglio ‘49); viaggia con Eva Perón
    (cioè con valigia diplomatica) nel giugno ’47; arriva in Italia dove
    è suddiviso tra gerarchie vaticane e banche. Ne beneficiano l’ex
    re d’Italia, l’Upa e, probabilmente, anche la Bna. A sua volta,
    quest’ultima lo distribuisce alle squadre paramilitari monarchico -
    fasciste di Turati, Scorza, Covelli, Fresa e Patrissi. I soldi
    finiscono così nei circuiti del “Nuovo comando generale” (Far,
    Eca, Sam) per le azioni terroristiche siciliane del maggio - giugno
    ‘47, ovvero “il bagno di sangue” messo in atto dallo squadrone
    della morte agli ordini di Salvatore Giuliano.
    Il rapporto del 25 giugno ’47 si sofferma anche sul duca di
    Spadafora:
    Page 32
    32
    Nel mese di marzo, se ben si rammenta, fu segnalato che il duca Spadafora,
    capo del gruppo commerciale agrario del sud, fu a Roma ed ebbe colloqui con
    rappresentanti del Fronte clandestino. Chiese di poter versare un milione in
    conto, a condizione che si facesse in Sicilia “un lago di sangue”. Mormini, del
    Fronte, avrebbe dovuto raggiungere in Sicilia la banda Giuliano, a contatto
    anche colla mafia locale in parte a disposizione del suo gruppo. La proposta
    non fu accettata, sembrò orribile… Da allora, da notizie certe e sicure,
    Spadafora ha contatti diretti col Martina, che finanzia direttamente e al quale
    impartisce disposizioni. Elementi ricercati sono stati ammessi a far parte della
    banda.
    Qualche mese prima, il Sis scrive:
    Il principe Spadafora, neofascista monarchico che fu collaboratore della
    Repubblica di Salò, sottosegretario di Stato e detenuto a Regina Coeli da dove
    venne liberato per il personale intervento di re Umberto, si trova presentemente
    in missione in Sicilia, a contatto con i dirigenti separatisti e con i neofascisti
    aderenti ai gruppi autonomi (6 ottobre ’46).
    Le attività stragiste del duca sono dunque documentate almeno
    dall’autunno ’46, in coincidenza con l’inizio delle mattanze in
    Sicilia (eccidio di Alia) e con gli accordi golpisti siglati nei
    palazzi romani. Vi è inoltre un legame diretto tra il duca e
    Martina, ritenuto dal Sis il capo della banda Giuliano e al quale
    Spadafora invia ordini e denaro.
    In merito al “lago di sangue”, una nota Sis del 17 settembre ‘47
    afferma:
    Altri emissari di Ambrosini [capo delle formazioni militari neofasciste del Pfr]
    si recarono a Milano e incassarono la somma elargita (…) per il lago di sangue
    voluto dagli industriali. In casa Ambrosini fu compilata una lista di coloro che
    dovrebbero comporre il nuovo governo (…). Si sta provvedendo alla
    distribuzione di armi automatiche nuove e di munizionamento (…). Certo Di
    Franco andrà in questi giorni in Umbria per impartire ai camerati le ultime
    disposizioni. Parteciperà al raduno di Napoli (…). Lavorano attivamente per la
    detta azione: generale Navarra Viggiani, generale Muratori, Venturi (…), il
    capitano Italo Nebulante (…), il colonnello Festi, il colonnello Buttazzoni (b.
    39, f. HP68/Partito fascista repubblicano).
    Alla fine dell’estate ’47, Walter Di Franco continua ad essere
    molto attivo nella preparazione del “lago di sangue” che dovrà
    condurre al colpo di Stato. Tornano alla ribalta il capitano
    Nebulante (già visto in collegamento con il gruppo neofascista di
    Page 33
    33
    piazza Tuscolo, a Roma) e Buttazzoni, che è arrestato dalla
    polizia nel settembre ’47. L’azione golpista, dunque, non si ferma
    dopo le stragi siciliane e mira con insistenza a provocare il tanto
    agognato “incidente” di cui scrivono numerosi rapporti italiani e
    britannici. Un altro documento Sis del 25 giugno ’47, già
    esaminato, recita infatti:
    Il comando generale dei Far ha ordinato questa mattina, in conseguenza
    dell’operazione di polizia in corso, di accelerare i tempi.
    Le operazioni di polizia cercano di arginare gli attacchi terroristici
    neofascisti, che avvengono in Calabria e in Sicilia a partire dal 18
    giugno ‘47. Si tratta di una retata di ampio respiro che porta
    all’arresto di numerosi capi dei Far (cfr. Pier Giuseppe Murgia,
    Il vento del nord. Storia e cronaca del fascismo dopo la
    resistenza, 1945 - 1950, Milano, Sugarco, 1975, pp. 288 - 292).
    La strage di Portella della Ginestra (1° maggio) non ha sortito
    l’effetto desiderato, ovvero l’insurrezione delle sinistre. I
    neofascisti dei Far tentano quindi il tutto per tutto. Ecco perché il
    22 giugno ’47 attaccano con mitra e bombe a mano le Camere del
    lavoro della provincia di Palermo (due sindacalisti perdono la vita
    e i feriti si contano a decine). Nelle settimane precedenti atti
    analoghi si registrano in tutta Italia, soprattutto a Milano e a
    Roma. Si punta a provocare il Pci, costi quel che costi. Lo
    conferma Pasquale Pino Sciortino, membro autorevole della
    banda Giuliano, nel suo discorso ai banditi radunati la sera del 21
    giugno ’47 a Testa di Corsa, una contrada di Montelepre.
    Sciortino istruisce i suoi uomini agli assalti del giorno dopo. È
    presente il “picciotto” Giuseppe Di Lorenzo, già veterano dei
    moti del “Non si parte”. Questi, in un verbale d’interrogatorio
    datato 16 luglio ‘47, riporta l’intervento (poi ripreso dal Rapporto
    giudiziario del 4 settembre ‘47): “Lo Sciortino concluse dicendo
    che questa seconda parte del loro programma [la prima era stata la
    strage del 1° maggio] tendeva specificamente alla distruzione
    delle sedi dei partiti di sinistra, site nella zona di influenza del
    Giuliano, in modo da creare lo scompiglio e far sì che anche negli
    altri comuni gli aggressori trovassero imitatori”. È una frase che
    ricorda da vicino il documento del 25 giugno ’47, a proposito dei
    Far: “Anticipare l’azione di piazza per la conquista del potere”. Il
    Page 34
    34
    Sis torna sull’argomento due settimane più tardi, il 10 luglio ‘47
    (b. 44, f. LP40/Arditi): “Con le annunciate manifestazioni degli
    Arditi (…), si vorrebbe provocare incidenti di piazza per dare
    modo al Partito comunista di scendere in campo con le sue forze,
    per una offensiva anticomunista in grande stile da parte delle
    organizzazioni militari clandestine [neofasciste]”. Infine, di
    “iniziative di piazza” parla anche il conte Armenise (condirettore
    della Bna), nell’ambito del “movimento anticomunista armato” da
    lui finanziato (cfr. MI5 britannico, 16 giugno ’47).
    Il progetto di insurrezione golpista, che doveva innescarsi con
    l’eccidio di Portella, fallisce perché il Pci e il Psi non reagiscono
    alla grave provocazione. Togliatti e Nenni sanno benissimo che la
    strage altro non è che una gigantesca trappola destinata ad
    annientare i partiti storici della sinistra italiana. Già l’8 maggio
    ’47, il Sis rileva che vi è una spaccatura tra l’Upa e i Far, che
    diventa definitiva con la nascita del quarto governo De Gasperi, il
    31 maggio ‘47, quando comunisti e socialisti sono estromessi dal
    governo. L’Upa avverte che non è più necessaria una insurrezione
    violenta perché il “pericolo comunista” comincia finalmente ad
    allontanarsi. Non così la pensano i Far, che proseguono
    imperterriti sulla strada delle azioni terroristiche che dovranno
    portare al golpe. Ma è un pesante atto di disubbidienza nei
    confronti delle potenti gerarchie eversive della capitale, uno
    sgarro che Romualdi e le sue squadre armate pagano a caro
    prezzo. Tra il 26 e il 27 giugno ’47 si scatena la micidiale
    rappresaglia dell’Upa. In poche ore, in Sicilia, sono massacrati a
    colpi di mitra Salvatore Ferreri, alias Fra’ Diavolo (il vice di
    Giuliano), e altri otto banditi. È l’inizio della fine per lo
    squadrone della morte monteleprino e per le Sam, l’Eca e i Far.
    La sconfitta del “Nuovo comando generale” segna il decollo
    definitivo dell’Upa - l’organizzazione parallela interna allo Stato
    che veglierà sulla “minaccia comunista” per i successivi
    cinquant’anni - e della destra “istituzionale” dell’Msi di Giorgio
    Almirante.
    Secondo il documento Sis del 25 giugno ’47, Giuliano è in
    rapporti anche con la mafia. A questo proposito, occorre precisare
    che il bandito, dal ’43, agisce sotto il controllo dei vari
    capifamiglia delle zone in cui opera: Vincenzo Rimi (Alcamo),
    Page 35
    35
    Santo Fleres (Partinico), Domenico Albano (Borgetto),
    Salvatore Celeste (San Cipirello), Giuseppe Troia (San
    Giuseppe Jato), don Ciccio Cuccia (Piana degli Albanesi), don
    Calcedonio Miceli (Monreale). Sono questi padrini a determinare
    la particolare insorgenza del gruppo monteleprino e la scomparsa
    di tutte le altre bande di tipo tradizionale in Sicilia. Giuliano
    rappresenta un fatto nuovo nell’organizzazione criminale del
    territorio. Ne segna un salto qualitativo nella direzione dei più alti
    livelli istituzionali e politici del tempo, a cominciare dagli
    ambienti più disponibili a sperimentare il terrorismo di Stato e
    l’eversione antidemocratica: “Mormini del Fronte - leggiamo nel
    lungo rapporto - avrebbe dovuto raggiungere in Sicilia la banda
    Giuliano, a contatto anche con la mafia locale in parte a
    disposizione del suo gruppo”. Non sappiamo chi sia questo
    Mormini, ma il documento ci dice che lavora per il Fronte
    antibolscevico nell’isola, cioè per il “Nuovo comando generale”
    neofascista. Più sfumato appare il quadro che l’estensore del
    documento presenta circa le relazioni tra la mafia e il bandito.
    Probabilmente, gli sfugge lo status di dipendenza del gruppo
    terroristico dal più attrezzato (anche sotto il profilo sociale)
    controllo mafioso del territorio. Sono infatti i padrini locali a
    determinare l’esistenza, la durata e persino i modi di essere di
    qualsiasi organizzazione criminale all’interno della nicchia di
    potere che esse si costruiscono. Fino alla vigilia di Portella, le
    famiglie mafiose sembrano paghe del loro tradizionale controllo
    territoriale. Sono in rapporti con autorevoli esponenti del mondo
    istituzionale ma non hanno ancora compiuto il salto verso lo
    Stato. Stentano a percepire il terrorismo come strategia di lotta
    politica ma non disdegnano di contribuire alla decapitazione delle
    leadership del movimento democratico.
    Nell’imminenza
    dell’evento stragista, i vecchi padrini nutrono ancora molti dubbi
    sul da farsi. A tutti loro pensa Salvatore Lucania (Lercara Friddi,
    1897), alias Lucky Luciano, il super boss della mafia siculo -
    americana che arriva per la prima volta a Palermo nella primavera
    ‘46 (aprile, maggio e giugno) per poi ripartire durante l’estate per
    il Sud America (Brasile, Colombia e Venezuela). Dall’ottobre ’46
    al marzo ’47 è a Cuba e il 12 aprile ’47 arriva a Genova a bordo
    di un piroscafo turco. Il 30 aprile è a Palermo, dove giunge con un
    Page 36
    36
    treno speciale scortato da sei carabinieri. Il 22 giugno lascia
    l’hotel delle Palme per recarsi a Napoli. La data di arrivo e quella
    di partenza sono illuminanti: la presenza di Lucky Luciano è
    ritenuta imprescindibile dall’intelligence Usa (Angleton in testa)
    per appianare le divergenze che potrebbero svilupparsi tra i vari
    capifamiglia dell’isola nell’attuazione del golpe.
    Ad assicurare la necessaria tranquillità sul piano delle cosiddette
    “forze dell’ordine” troviamo un personaggio come Ettore
    Messana. Ma non è da questo versante che può arrivare la
    certezza sulle future coperture istituzionali e sociali di cui
    l’operazione stragista ha bisogno. La mafia garantisce non solo
    l’omertà necessaria ma anche la prospettiva del controllo interno
    agli stessi apparati dello Stato. E, al contempo, costituisce il
    deterrente al disvelarsi di eventuali anelli deboli. Messana è
    l’uomo giusto al posto giusto, forte delle sue esperienze di
    criminale di guerra per gli atti genocidi compiuti tra il ‘41 e il ‘42
    nella Slovenia occupata dalle truppe italiane. Ma non subisce
    alcun processo. Al contrario, nell’autunno ’44 è scelto ispettore
    generale di Ps in Sicilia dal secondo governo Bonomi, in
    straordinaria coincidenza con la nomina di Angleton a capo
    assoluto
    dello
    Special
    counter
    intelligence
    (Sci),
    il
    controspionaggio alleato in Italia. Si può quindi ipotizzare che il
    Comando alleato utilizzi i moti siciliani della fine del ’44 (ispirati
    e in gran parte organizzati dai servizi segreti di Salò) come
    contraltare al “pericolo rosso” che si sviluppa al nord (lotta
    partigiana) e al sud
    (leggi di riforma agraria del ministro
    comunista Fausto Gullo). Tuttavia, appaiono gravi le
    responsabilità del capo del governo, Ivanoe Bonomi, che
    nell’inverno ’44 - ’45 ricopre ad interim la carica di ministro
    dell’Interno. È lui a mettere Messana a capo della Ps in Sicilia,
    pur sapendo che questi figura negli elenchi dei criminali di guerra
    ricercati dalle Nazioni unite per “assassinio, massacri, terrorismo
    sistematico, torture di civili, violenza carnale, deportazioni di
    civili, internamento di civili in condizioni inumane, tentativi di
    denazionalizzazione degli abitanti dei territori occupati” (cfr.
    Repubblica Slovena, Archivio nazionale di Lubiana, b. 1551, 14
    luglio ’45).
    Page 37
    37
    Altrettanto sconcertanti risultano le mosse di Alcide De Gasperi.
    Durante il suo secondo governo (13 luglio ’46 - 20 gennaio ‘47),
    si registra la fase matura degli accordi tra intelligence Usa,
    clandestinismo neofascista e corpi dello Stato (ottobre - novembre
    ‘46). Questi ultimi fanno riferimento al ministero dell’Interno, al
    Sim, alla Ps e all’Arma dei carabinieri. È evidente che il Sis
    riferisce, per dovere d’ufficio, al ministro dell’Interno, carica
    ricoperta ad interim proprio da De Gasperi. Come abbiamo visto,
    la circostanza è denunciata in quelle settimane da una serie di
    preoccupati rapporti top secret redatti a Roma dall’intelligence
    britannica.
    Mario Scelba diventa ministro dell’Interno con il terzo governo
    De Gasperi (2 febbraio - 13 maggio ‘47) e tale carica ricopre in
    maniera ininterrotta fino al ‘54. Il ministro è perfettamente a
    conoscenza del retroscena eversivo neofascista che porta alle
    stragi siciliane del maggio - giugno ‘47. Le migliaia di rapporti
    Sis prodotti nella primavera - estate ’47, e che riconducono in
    maniera inequivocabile all’alleanza tra servizi segreti statunitensi,
    squadre armate neofasciste, Arma dei carabinieri ed Esercito,
    sono ovviamente diretti proprio a lui. Tuttavia il 2 maggio ‘47, in
    piena Assemblea costituente, Scelba pronuncia un accalorato
    discorso nel quale nega l’esistenza di mandanti nella strage di
    Portella della Ginestra, definendola un fenomeno da collegare
    all’arretratezza feudale della Sicilia. In Italia si avvia così un’altra
    storia tra mistificazioni, inganni e omertà istituzionali. Quella
    della doppia lealtà, del doppio Stato.
    Per ulteriori approfondimenti, si rinvia alle seguenti opere:
    Giuseppe Casarrubea, Portella della Ginestra. Microstoria di una
    strage di Stato, Milano, Franco Angeli, 1997;
    Idem, Fra’ Diavolo e il governo nero. Doppio Stato e stragi nella
    Sicilia del dopoguerra, Milano, Franco Angeli, 1998;
    Provincia Regionale di Palermo, Comune di Piana degli Albanesi,
    Biblioteca comunale “G. Schirò”, Portella della Ginestra. 50 anni
    dopo (1947 - 1997), Caltanissetta - Roma, Salvatore Sciascia
    Editore, 1999, vol. I (atti del Convegno); vol. II (documenti
    raccolti, annotati e introdotti da Giuseppe Casarrubea); vol. III
    Page 38
    38
    (documenti raccolti, scelti e introdotti da Giuseppe Casarrubea,
    2001);
    Giuseppe Casarrubea, Salvatore Giuliano. Morte di un
    capobanda e dei suoi luogotenenti, Milano, Franco Angeli, 2001;
    Nicola Tranfaglia, Come nasce la repubblica. La mafia, il
    Vaticano e il neofascismo nei documenti americani e italiani,
    1943 - 1947, Milano, Bompiani, 2004;
    Giuseppe Casarrubea, Storia segreta della Sicilia. Dallo sbarco
    alleato a Portella della Ginestra, Milano, Bompiani, 2005;
    Idem, Morte di un agente segreto, Roma, Nuova Iniziativa
    Editoriale; 2006;
    Giuseppe Casarrubea - Mario J. Cereghino, Tango Connection.
    L’oro nazifascista, l’America latina e la guerra al comunismo in
    Italia. 1943 -1947, Milano, Bompiani, 2007.
    Ricerche negli archivi italiani, sloveni, statunitensi e britannici:
    Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino.
    Info:
    Giuseppe Casarrubea: 091.8907124 - 349.7326198
    icasar@tin.it
    Mario J. Cereghino: 338.4257736
    mariocereghino@hotmail.com

  4. #4
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    Cosa ne pensi in merito al mio invito, mosongo?

    ps.
    spero di ricevere quante più risposte possibile, posive o negative che siano mi interessa conoscere il vostro punto di vista riguardo la mia proposta

  5. #5
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    che i valori della Vandea siano in antitesi a "quelli" è palese, che qualcuno tenta di appropriarsi del sacrificio dei vandeani è normale, siamo parlando dei saBoia fans, il che è tutto dire!

    Di sicuro il compinato Silvio Vitale, se avesse conosciuto i forum, sarebbe stato dei vostri e cmq nel ns ambiente in molti la pensano come voi.

    personalmente sono per la scostituzione di un MOVIMENTO di LIBERAZIONE NAZIONALE, qualcosa di equiparabile a Sinn Fein o a Batasuna, poi dopo... ci divideremo in base ai ns ideali.

    Dopo, vuol dire che io sono per l'INDIPENDENZA della Nazione fondata dal Normanno. COnfederazione, aiuto alle regioni "più sfrotunate" etc etec sono tutte stronzete (per dirla alla Banfi), la veritàè che l'Italia è stata fatta con il sangue e i soldi dei "beduini affricani" e non c'è ragione di ritenere che le cose cambieranno finchè staremo sotto l'emo di scipio!

    Pertano per le vecchie generazioni, per le nuove e soprattutti per NOI STESSI abiamo l'obbligo di spezzare le catene!!!

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da Italianhawk83 Visualizza Messaggio
    Cosa ne pensi in merito al mio invito, mosongo?

    ps.
    spero di ricevere quante più risposte possibile, posive o negative che siano mi interessa conoscere il vostro punto di vista riguardo la mia proposta
    Ti avevo già risposto così:
    "...ma i "savojardi" ripetono la filastrocca della loro dottrina senza dare nessuna documentazione.
    Quindi...io mi sono stancato di discutere con loro....".

    E riprendo, anche se Citeriore mi ha già citato:
    Oltretutto, io, caso mai dovesse esservi di nuovo la monarchia in Italia, sono per quella "augustea" e non di diritto dinastico.

    Ti ringrazio...non sono contro la monarchia ma contro il suo prosieguo, appunto "tradizionale" per via dinastica, oltretutto per me la "Tradizione" si fermò al Settimo Re di Roma!

  7. #7
    Gaeta resiste ancora!
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    Citazione Originariamente Scritto da mosongo Visualizza Messaggio
    Ti avevo già risposto così:
    "...ma i "savojardi" ripetono la filastrocca della loro dottrina senza dare nessuna documentazione.
    Quindi...io mi sono stancato di discutere con loro....".
    nella sqola itagliana solo quella si sono mparati a memoria !

  8. #8
    Sospeso/a
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    Citazione Originariamente Scritto da Princ.Citeriore Visualizza Messaggio
    nella sqola itagliana solo quella si sono mparati a memoria !
    ...Manco se fosse la Dottrina del Catechismo (che la reputo sempre utile...peccato la si applichi poco...cioè: dar da bere agli assetati, coprire gli ignudi, visitare infermi e carcerati...ecc. ecc.).

    Io gli ho postato il lavoro decennale di Casarrubea che ha dovuto sfogliare milioni di pagine in archivi statali sparsi nel mondo e uno di loro continuava a ripetere del falso plebiscito, e che se volevano avrebbero ripreso l'Italia già nel '46 ma Umberto II preferì andare per non fare scoppiare la guerra civile ...ma chi l'ha messi...******löaqäpsdgmäqksreu^pt6pq-.dvjklöa
    Casso! Casso!
    Alluccinante...gli dai i documenti e loro nemmeno una stralcio di scritto ma solo "il fottuto amor monarchico"...ma quello della nostra ROVINA!!!

  9. #9
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    SUA MAESTÀ FRANCESCO II:

    " La restituzione del mio non mi adesca.
    Quando si perde un trono, poco importa il patrimonio.
    Se l'abbia l'usurpatore o il restituisca, né quello mi strappa un lamento, né questo un sorriso.
    Povero sono, come oggi tanti altri migliori di me:
    stimo più la dignità che la ricchezza."


    *****************************************


    Non sono per la monarchia dinastica...ma a volte, il "sangue" non è acqua!
    Nobile non perché nato dinasticamente nobile...W Francesco II di Borbone.

  10. #10
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    Citazione Originariamente Scritto da Italianhawk83 Visualizza Messaggio
    Cari amici Duosiciliani,
    chi vi scrive è un fiero meridionale, cofondatore (insieme agli amici templares e ugodepayens) del forum Conservatori.

    La faccio breve. La questione monarchica - e io aggiungo "tradizionalista", in senso variamente inteso - è spesso al centro di dibattiti all'interno del nostro forum. Spesso ospitiamo interventi di monarchici filosabaudi che apprezzo perché utili ad arricchire la dialettica interna, ma se mi chiedeste se ne condivido i contenuti la mia risposta sarebbe nettamente contraria.

    Il sottoscritto (e buona parte dei forumisti conservatori) si muove lungo una direttrice storico-ideale che va dalla ferma opposizione ai disvalori promossi dall'89 francese, passando per l'esaltazione dell'epopea vandeana, delle insorgenze antigiacobine al sostegno alle forze antiprogressiste all'interno del mondo cattolico. Una piattaforma che, declinata nel momento presente, si traduce in una proposta di marca tradizionalista (in senso compiutamente cattolico e non già esoterico-evoliano) e autonomista (ma non indipendentista, questo è da sottolineare).

    Avverto pressante il bisogno che nelle nostre fila si arruoli qualche volenteroso duosiciliano per controbilanciare le incursioni di troppi filosabaudi e riequilibrare in tal modo l'asse culturale del forum.
    La Tradizione che muove dalla Vandea non ha nulla a che fare con Torino.

    W l'Italia, ma quella confederata.

    Aspetto una vostra risposta
    Cordialmente
    Italianhawk

    BENE ! Son D'accordo
    2010:

 

 
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