Mulholland Drive

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Una donna misteriosa sta percorrendo in una limousine nera una strada di Los Angeles, la Mulholland Drive. Improvvisamente la macchina si ferma e uno dei due uomini seduti davanti tenta di uccidere la sconvolta passeggera. In quella tuttavia i tre personaggi rimangono vittime di un incidente: i due uomini muoiono sul colpo, la donna si slava ma perde del tutto la memoria e si avventura verso la città, finendo per rifugiarsi in una elegante casa. Qui viene trovata da Betty Elms, una giovane aspirante attrice appena arrivata nella metropoli: tra lei e la sconosciuta, che decide di farsi chiamare Rita, si instaura un legame sempre più profondo e intenso mentre le due cercano di fare luce sul passato dimenticato di quest' ultima. Ma in seguito all' apertura di una scatola blu i ruoli cambiano radicalmente; ora Betty è diventata Diane Selwyn, un' attrice frustrata dal successo della sua amante, la star Camilla Rhodes. Che altri non è se non Rita.
Capolavoro di intreccio e di immaginazione, "Mulholland Drive" è senza dubbio uno dei film più affascinanti del regista David Lynch: in esso tutti i temi cari al regista (la perdita dell' innocenza, l' ambiguità e l' imprevedibilità della realtà, la fusione di reale e irreale, la presenza della mostruosità come elemento più o meno avvertibile, il controverso rapporto fra eros e thanatos) vengono sviluppati con una raffinatezza psicologica e una ricercatezza stilistica molto rare nel cinema contemporaneo. E le vicende di contorno, soprattutto quella del regista frustrato vittima di produttori "uccisori" della sua libertà creativa, contribuiscono a creare un clima allucinato e opprimente, minaccioso e contrastato, che arriva ad avere il suo culmine del tragico finale, dove il sogno trasformato in incubo mieterà la sua vittima. Impossbile non provare solidarietà ed empatia per Betty, costretta ad una trasformazione "mostruosa" da un ambiente amorale e settario dove non esiste speranza alcuna, rappresentato tanto bene dalla creatura nel vicolo, figura in apparenza marginale ma in realtà decisiva dell' intera vicenda. Incompreso come lo fu "The elephant man", opposto rispetto all' atmosfera lineare e umana del precedente "Una storia vera", questo splendido lungometraggio sembra costituire una fusione fra l' anarchia creativa di "Eraserhead" e la trama "discendente" di "Velluto blu"; ma costituisce nello stesso tempo un importante passo in avanti nella poetica personale di Lynch e nell' analisi nel lato più oscuro dell' essere umano, attraente e repellente insieme.

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Grazie mille, Figlio. Rimane un mistero il motivo per cui non mi facesse entrare, ma su certi interrogativi preferisco non entrare, soprattutto in campi che non mi appartengono.