Riporto all'attenzione delle signore e dei signori frequentanti questo forum un articolo di Massimo Fini.
Noi non siamo solo stufi di pagare le tasse. Siamo stufi di lavorare. Di essere, nella stragrande maggioranza, degli “schiavi salariati”, per dirla con Nietzsche, costretti a produrre per consumare. Stufi di essere dei tubi digerenti, dei lavandini, dei water attraverso i quali deve passare il più velocemente possibile ciò che altrettanto velocemente produciamo. Adesso siamo arrivati addirittura all’estremo paradosso per cui non produciamo più nemmeno per consumare, ma dobbiamo consumare per produrre («Bisogna stimolare i consumi per aumentare la produzione», vero?). Dobbiamo cacare in continuazione, come scimmie, ingoiare la nostra merda e dire anche che ne siamo felici.
Siamo la “variabile dipendente” del meccanismo economico, il “terminale uomo”. Anzi non siamo più nemmeno uomini, siamo stati degradati, appunto, a “consumatori”. Non c’è cosa più beffarda, concretamente e linguisticamente, del cosiddetto “tempo libero”. È anch’esso un tempo obbligato, da consumare per nutrire l’onnipotente meccanismo che ci sovrasta. Se un gruppo consistente di italiani, poniamo, decidesse di botto di non far più le vacanze crollerebbe il sistema e arriverebbero gli sbirri ad arrestare i renitenti per boicottaggio.
Quanto era felice il contadino
Non è che a noi umani non piaccia lavorare in assoluto. Qualche volta ci piace anche. Certamente l’artigiano e il contadino dell’ancien régime traevano soddisfazione dal proprio mestiere (che, per altro, è un concetto diverso da quello di lavoro), perché era creativo, personale (oggi si direbbe “personalizzato”, ed è già tutto un programma) e dalla loro abilità dipendeva la loro sopravvivenza, soddisfazioni che dubito riguardino l’operaio industriale, l’operatore del terziario, i ragazzi del “call center” e infinite altre categorie di lavoratori. Noi siamo stufi di lavorare come muli, come bestie da soma, per un modello insensato e di essere tosati come pecore della cui lana non si sa poi che fare. Siamo stufi di lavorare per permettere a Bill Gates (o chi per lui) di accumulare enormi ricchezze delle quali, arrivato a cinquant’anni, comprende che potrà utilizzarne solo una minima parte e che mette in una qualche Fondazione pur di liberarsene. O perché Silvio Berlusconi possa comprarsi sempre nuove ville che nemmeno se vivesse cent’anni (cosa a cui costui aspira, povero vecchio, illuso “puer aeternus”) potrebbe mai abitare. O perché individui totalmente decerebrati facciano finta di divertirsi al “Billionaire”.
I ricchi depressi fra alcol e droga
Poveri ricchi. Fan pena. È fra di loro che si riscontrano le più alte percentuali di nevrosi,di depressione, di consumo di psicofarmaci, di alcol, di droga. Per trarre dal loro membro sempre più floscio una goccia di godimento, per provare un’emozione, devono farsi inchiappettare da un travesta e farsi ficcare il Rolex nel culo (che è un atto altamente simbolico: è come dire che i ricchi gadget che bramiamo e di cui ossessivamente ci circondiamo, per avere i quali lavoriamo, produciamo e ci consumiamo, non valgono nulla e devono far la fine che si meritano). Questo modello di sviluppo è riuscito nell’impresa, veramente miracolosa, di far star male anche chi sta bene. E poveri politici, mosche cocchiere che si illudono di governare una macchina che non risponde più a nessun comando, tantomeno ai loro, e che da tempo va per conto suo, autopotenziandosi e aumentando costantemente, a causa della propria e ineludibile dinamica interna, la sua velocità. Finché andrà trionfalmente a sbattere da qualche parte. Costoro o sono dei truffatori - perché sono consapevoli di essere impotenti - o sono dei coglioni. Ma, forse, sono truffatori e coglioni insieme. Liberté, egalité, fraternité era il motto della Rivoluzione francese nata da quell’evento epocale, decisivo, che è stata la rivoluzione industriale, da cui inizia la Modernità, e che ha partorito le ideologie e i modelli conseguenti: l’industrial-capitalismo e l’industrial-marxismo che non è che una variante, inefficiente, del primo. È stato un fallimento su tutta la linea. Completo. Clamoroso.
Il falso libertarismo dell’Occidente
A parte il fatto che appena inalberata quella bandiera egualitaria e libertaria le democrazie occidentali si sono messe a schiavizzare gli altri popoli (il colonialismo sistematico è dell’Ottocento), da allora le disuguaglianze nei paesi industrializzati non han fatto che aumentare, così come è aumentata enormemente la disuguaglianza fra Primo e Terzo mondo, non solo in senso relativo, cioè rispetto a noi, ma assoluto: quei popoli sono più poveri, e più miserabili, di quanto lo siano mai stati in passato. Fraternité, vale a dire solidarietà, può esistere solo fra vicini, perché, come spiega Esiodo ne “Le opere e i giorni”, nasce dalla necessità di una mutua assistenza. Noi non conosciamo nemmeno chi abita nel nostro stesso palazzo e se, incontrandolo, lo saluti, risponde, sorpreso, con un grugnito. Del resto, anche se non se n’è accorto, è già stato trasformato in un maiale da quella Circe moderna che è il meccanismo produzioneconsumo-produzione, come per i porci di lui si sfrutta tutto, anche il codino. La solidarietà non è una cosa astratta, che può essere imposta per diktat, religioso o politico. Non è solidarietà quella delle “due Simone”, delle Cantoni e altri simili protagonisti del volontariato esotico, è solo la pruriginosa ricerca di ritagliarsi qualche emozione fuori ordinanza.