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Discussione: Riabilitare Salò?

  1. #11
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    Citazione Originariamente Scritto da El_Manta Visualizza Messaggio
    Non sono informato sulla vicenda che riporti, ma vorrei fare una piccola considerazione...

    la maggior parte dei soldati che hanno combattutto per il paese durante la seconda guerra mondiale NON ERANO FASCISTI pur combattendo (e morendo) per il fascismo. Mi sembra comunque doveroso e corretto ricordarli come martiri (non hanno mica deciso loro di arruolarsi).

    Riporto un'esperienza diretta: mio nonno (classe '22), pur non avendo mai avuto la tessera del PNF, si è fatto 2 anni di servizio di leva, svariati anni di guerra e 2 anni di prigionia in un campo di lavoro in Cecoslovacchia.

    Lui è stato uno dei soldati richiamati a Salò. Non che credesse nell'ideale fascista (anche se ancora oggi per tanti aspetti rimpiange quel periodo), semplicemente aveva un valore che va comunque apprezzato : L'ONORE e la FEDELTA'. Se gli hanno dato un ordine di ritornare alle armi, lui ha obbedito.
    Scusa El-Manta ma ci sono alcune cose che non mi tornano nel racconto di tuo nonno.
    Prima di tutto come cazzo è riuscito a farsi 2 anni di campo di prigionia come internato militare italiano a partire dal 8/09/43 e poi ad aderire alla repubblica di Salò.
    Inoltre non è stato richiamato alle armi ma ha scelto di aderire alla repubblica di Salò per uscire dall'internamento (scelta effettuata da circa il 10% dei 650000 soldati internati)
    Diciamo che l'unico 'onore' che possiamo tributargli è quello di aver scelto l'esercito repubblichino a quello nazista. A mio avviso l'Onore va riservato ai soldati che hanno scelto di rimanere in campo di prigionia pagando con la vita la loro decisione.

  2. #12
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    Scusa non ho letto il secondo messaggio , ora ho capito

  3. #13
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    Difficile cucire gli strappi che avvennero con la fuga del Savoia - la liberazione da parte dei nazisti di Mussolini - e l'annuncio di Badoglio, fin quando ci si ostina a voler Salò come una Repubblica sorta legittimamente.
    Salò la volle Hitler e la ottenne non tramite Mussolini - che come al solito fu il gonzo della compagnia -, ma bensì con Valerio Borghese...che anche nel dopoguerra si è dato molto da fare per ritornare tra i "grandi".
    La distinzione fra buoni e cattivi vi era già fra i gerarchi fascisti e molti di loro furono fucilati proprio dai repubblichini.
    Cmq, per i soldati non graduati, anche se fedeli al fascismo repubblichino, sono d'accordo nel commemorarli come tutti i Caduti di Guerra...ma a parte!

  4. #14
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    Citazione Originariamente Scritto da El_Manta Visualizza Messaggio
    Ho già detto di non conoscere tuo nonno.
    Se vuoi raccontami la sua storia.

    Io ti racconto quella del mio:
    mio nonno non avendo mai voluto andare a fare il sabato fascista e non volendo fare la tessere del partito, da ragazzo è stato mandato ad un corso per telegrafisti.
    Dopo il servizio di leva di 2 anni è stato chiamato a combattere in guerra. Essendo lui telegrafista è stato inserito nel Genio militare e durante la guerra si occupava di ponti radio.
    Finita la guerra e tornato a Vicenza, è stato richiamato alle armi. Molti si sono "imboscati", lui invece si è ripresentato (pur non credendo e non avendo mai creduto nell'ideale fascista). Durante la ritirata tedesca lui e altri suoi commilitoni sono stati catturati dall'esercito crucco. mio nonno ha trascorso circa 2 anni in un campo di lavoro tedesco in cecoslovacchia, da dove è poi riuscito a fuggire tornando a piedi (l'ultimo tratto fino a Vicenza in treno).

    Quando è tornato a casa ed ha suonato alla porta, sua madre non l'ha riconosciuto.

    Secondo voi mio nonno è un fascista? Secondo voi gli amici di mio nonno, morti durante i rastrellamenti tedeschi per ritrovarli dopo la fuga, non meritano di essere ricordati come i partigiani?

    Se pensate di no significa che sono contento di non essere come voi...
    La mia famiglia è sempre stata antifascista anche nel fascismo.
    Hanno saputo riconoscere una delle manifestazioni di imbecillità umana.

    Bilancio:

    Mio zio pestato a sangue in un bar dagli squadristi è morto di enfisema polmonare 2 anni dopo.

    Mio nonno materno schiavo 2 anni in Germania salvato solo da un industriale perchè era un contadino veneto alto e robusto.

    Mia nonna paterna ha avuto visite cicliche di squadristi che hanno prvveduto più volte a distruggere la cucina.

    Un altro mio zio era pronto per Aushwitz, salvato da una partigiana che faceva il doppio gioco.

    Solo perchè erano notoriamente dei socialisti.

    Essi hanno pagato per avere la stessa libertà che oggi è usata da molti per pisciare sulla loro memoria, tentando di mettere sullo stesso piano chi ha dato la vita per questa libertà e chi lottava per il trionfo del Nazismo e di Hitler in Italia impiccando e torturando con la fiamma ossidrica dei loro coetanei davanti ai nazisti.


    Sto cazzo.

    m
    La chiesa dice che la Terra è piatta, ma io so che è rotonda, perché ne ho visto l'ombra sulla Luna, ed ho più fiducia in un'ombra che nella chiesa.
    Ferdinando Magellano

  5. #15
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    Cool Anche i partigiani hanno commesso orrendi crimini...

    Citazione Originariamente Scritto da salerno69 Visualizza Messaggio
    da l'Unità online


    Riabilitare Salò? A Milano Letizia Moratti ci prova ancora



    Si dice antifascista, ma vuole oltraggiare chi morì nella lotta di Resistenza. «Scelta coraggiosa» dice il sindaco di Milano Letizia Moratti, ma dedicare il Sacrario ai Caduti di Largo Gemelli a tutti i morti della guerra, partigiani e repubblichini di Salò sta suscitando polemiche. La proposta è stata avanzata dall´assessore ai Servizi Civici Stefano Pillitteri (figlio dell´ex sindaco socialista Paolo Pillitteri) in nome di «un´ottica riconciliativa».

    L´Anpi, l´associazione dei partigiani, boccia però l´ipotesi con le parole di Tino Casali, presidente nazionale: «Non si possono mettere insieme le spoglie di chi ha combattuto per la democrazia e chi per il fascismo». Stessa tesi per l´ex segretario della Cgil Antonio Pizzinato, oggi coordinatore di Anpi Lombardia: «Nello stesso luogo non si possono ricordare vittime e carnefici». Se la giunta milanese decide di andare avanti, l´opposizione di centrosinistra non ha dubbi. Secondo il consigliere regionale del Prc Luciano Muhlbauer è un «pessimo segnale» che «lascia francamente esterrefatti». «Non ci potrà mai essere riconciliazione - scrive – con quanti continuano a denigrare gli uomini e le donne che diedero la loro vita per la libertà di noi tutti, mettendo vittime e carnefici, antifascisti e fascisti, sullo stesso piano. Non si tratta di questioni che riguardano il passato, bensì il presente e il futuro».

    In questo quadro, la giunta del Comune di Milano ha deciso di tumulare le spoglie di Giovanni Pesce, partigiano morto il 27 luglio a 89 anni, nel Famedio, il Cimitero Monumentale di Milano. La scelta era stata auspicata dal sindaco di Milano, Letizia Moratti, in occasione della cerimonia funebre. Anche qui, ma questa volta nella destra che appoggia il sindaco, non sono mancate le posizioni contrarie.
    Scusa SALERNO69 puoi mettere il link per favore? io non l'ho trovato sull'unità online.

    Cmq a parte questo, io credo che la proposta della Moratti sia lodevole perché comincerebbe a porre una pietra sopra a chi ha voluto lasciare per 60 anni una scia di odio nel nostro Paese impedendo una riconciliazione. La scia di odio è stata coltivata soprattutto dall'ANPI, che infatti adesso strilla contro la proposta di pacificazione della Moratti.

    Se i soldati di Salò si sono macchiati di crimini (in una guerra è più facile macchiarsi di crimini che non compiere buone azioni), si sono macchiati allo stesso modo e anche peggio tantissimi partigiani, che hanno continuato ad uccidere, trucidare senza pietà donne, bambini, civili INNOCENTI A GUERRA FINITA dal 1945 al 1950 circa.

    Si possono leggere i libri di Giampaolo Pansa IL SANGUE DEI VINTI e LA GRANDE BUGIA (la bugia della vulgata resistenziale). Ma queste cose, chi è di certe zone d'Italia le sa da decenni. Solo certi fanno finta di non saperle e continuano a dormire...ma gente come Pansa ha contribuito a squarciare questo muro omertoso e vile di chi, macchiatosi di orrendi crimini, si autoproclamava "liberatore" del popolo italiano...

  6. #16
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    EL KARLUN


    I GAP E L’ECCIDIO DI PIAZZALE LORETO Riapre il processo all’ufficiale delle SS che il 10 agosto l944 fece uccidere a Milano quindici partigiani.Inizia così una nuova campagna politica. Nessuno ricorda che la strage avvenne per ritorsione dopo che i comunisti avevano ucciso 5 soldati tedeschi e 13 civili italiani, innocenti, tra i quali 3 bambini.
    Paolo Pisanò


    Si è aperto il 28 novembre scorso a Torino il processo contro l'ex capitano delle SS Theodor Emil Saevecke, già comandante della "Sichereit" tedesca a Milano fra il settembre 1943 e l'aprile 1945 (oggi ottantaseienne vicedirettore del controspionaggio di Bonn in pensione), accusato dell'eccidio di 15 partigiani in piazzale Loreto, avvenuto il 10 agosto 1944. Tutto è pronto per l'apertura del secondo revival giudiziario dopo il processo di Roma contro Erich Priebke. Ciascuno ha fatto la sua parte per preparare la scena sulla quale, come da copione, dovrà essere nuovamente condannato il Male, glorificato il Bene e, soprattutto, riaffermata la santità della Resistenza, madre della Repubblica.
    Ha fatto la sua parte il dottor Pier Paolo Rivello, procuratore militare di Torino, che lo scorso anno ha riaperto il caso dopo oltre mezzo secolo di "archiviazione provvisoria"; l'hanno fatta i consiglieri comunali milanesi dell'Ulivo e di Rifondazione comunista che hanno fatto approvare (in un consiglio a maggioranza di centro-destra) una mozione per la costituzione del Comune di Milano come parte civile contro l'ex ufficiale delle SS; l'ha fatta L'Unità che ha dedicato cinque pagine del suo supplemento settimanale al nazista e alla sua scandalosa carriera postbellica" nella democraticissima Germania di Bonn; l'ha fatta anche l'amministrazione di centro-destra del Comune di Milano che, nel candore del suo bimestrale di informazione a distribuzione gratuita (n. 3 - ottobre 1997), ha accennato al tragico evento di cinquant'anni or sono con queste incredibili parole: "10 agosto. Milano ricorda i martiri di piazzale Loreto, i 15 partigiani fucilati dalle camicie nere il 10 agosto 1944, come rappresaglia per un attentato (senza vittime) a un camion tedesco in Porta Venezia".
    C'è tutto perché lo spettacolo edificante possa cominciare: il boia nazista, le camicie nere , il pretesto risibile (un botto innocuo senza vittime) e, infine, le 15 vittime della barbarie nazifascista. Manca solo un dettaglio: la verità.

    LA MENSA DI PROPAGANDA DEL MARESCIALLO “CARLUN”
    La verità sul perché, la mattina del 10 agosto 1944, quindici antifascisti detenuti a San Vittore (Andrea Esposito, maglierista; Domenico Fiorano, industriale; Umberto Fogagnolo, ingegnere; Giulio Casiraghi, tiratore di gomena; Salvatore Principato, insegnante; Renzo Del Riccio, operaio; Libero Temolo, operaio; Vittorio Gasparini, dottore in legge; Giovanni Galimberti, impiegato; Egidio Mastrodomenico, impiegato; Antonio Bravin, commerciante; Giovanni Colletti, meccanico; Vitale Vertemarchi, Andrea Ragni e Eraldo Pancini) furono condannati a morte assieme ai loro compagni Eugenio Esposito, Guido Busti, Isidoro Milani, Mario Folini, Paolo Radaelli, Ottavio Rapetti, Giovanni Re, Francesco Castelli, Rodolfo Del Vecchio, Giovanni Ferrario e Giuditta Muzzolon è tutt'altra.
    Perché, mentre Giuditta Muzzolon veniva graziata e per gli altri dieci la pena di morte veniva commutata in "condanna in penitenziario, qualora non si verifichino atti di sabotaggio", i primi quindici furono portati in piazzale Loreto e fucilati? Per un innocuo botto dimostrativo senza vittime ai danni di un autocarro tedesco?
    No. Il sangue del 10 agosto 1944 era stato provocato da altro sangue sparso 48 ore prima precisamente alle 7,30 dell'8 agosto, al margine della stessa piazza (angolo viale Abruzzi-Loreto) quando una bomba "gappista" (GAP Gruppi di Azione Patriottica, organizzazione terroristica del Partito comunista italiano) era esplosa tra la folla compiendo una strage che era costata la vita a cinque soldati tedeschi e tredici civili italiani fra i quali una donna e tre bambini, rispettivamente di tredici, dodici e cinque anni.
    Ecco i nomi dei civili italiani che morirono sul colpo nell'attentato gappista o nei giorni successivi, tutti per "ferite multiple da scoppio di ordigno esplosivo": Giuseppe Giudici, 59 anni; Enrico Masnata, Gianfranco Moro, 21 anni; Giuseppe Zanicotti, 27 anni; Amelia Berlese, 49 anni; Ettore Brambilla, 46 anni; Primo Brioschi, 12 anni; Antonio Beltramini, 55 anni; Fino Re, 32 anni; Edoardo Zanini, 30 anni; Gianstefano Zatti, 5 anni; Gianfranco Bargigli, 13 anni; Giovanni Maggioli, di 16 anni.
    Rimasero inoltre feriti più o meno gravemente: Giorgio Terrana, Letizia Busia, Luigi Catoldi, Maria Ferrari, Ferruccio De Ponti, Luigi Signorini, Alvaro Clerici, Emilio Bodinella, Antonio Moro, Francesco Echinuli, Giuseppe Formora, Gaetano Sperola e Riccardo Milanesi.
    Dei cinque soldati tedeschi uccisi, i cui nomi non furono annotati nei registri civili italiani, è rimasta memoria solo di un maresciallo di nome Karl, che per la sua mole era stato soprannominato dai milanesi di Porta Venezia "El Carlùn" (il Carlone). Quel nomignolo che Karl, maresciallo di fureria, se l'era guadagnato fermandosi ogni mattina, all'angolo fra viale Abruzzi e piazzale Loreto, con i suoi camions per distribuire alla popolazione verdura, patate e frutta che la "Staffen - Propaganda” acquistava al mercato di Porta Vittoria, aggiungeva agli avanzi delle mense militari e regalava ai milanesi, tutti, a quell'epoca, dannatamente a corto di viveri. Un'operazione di "public relations", si direbbe oggi, intrapresa dalle Forze Armate tedesche nei confronti dei civili e che, dati i tempi di fame, aveva riscosso un successo immediato. Troppo, per la sensibilità antifascista della "GAP" di Milano, comandata da Giovanni Pesce, detto "Visone", tutt'oggi vivente e quindi in grado di ricostruire nei dettagli l'azione che venne decisa e attuata per spezzare il feeling alimentare promosso dalla Wermacht con i milanesi.

    UNA ININTERROTTA CACCIA ALL’UOMO
    Il risultato fu che la mattina dell'8 agosto 1944, i terroristi del Partito comunista si mescolarono alla piccola folla che si accalcava come di consueto davanti alle ceste del "Carlùn" e infilarono in una di queste la bomba ad alto potenziale che, poco dopo, avrebbe seminato la strage indiscriminata: 18 morti e 13 feriti, quasi tutti poveracci milanesi.
    Diciotto morti e tredici feriti innocenti, tutti assolutamente dimenticati, abrogati, cancellati dalla memoria storica, politica e giudiziaria italiana. Come se fossero indegni di ricordo, di pietà, di giustizia. Li ha dimenticati Giovanni Pesce detto “Visoni”, “medaglia d’oro al valor partigiano", il quale nei libri da lui scritti sulla sua militanza gappista non ha mai raccontato questa azione che pure non è di poco conto (18 morti e 13 feriti in un colpo solo e senza subire perdite rappresentano un risultato ragguardevole); li ha ignorati, a quel che sembra, il procuratore militare Pier Paolo Rivello riaprendo il caso Saevecke; li ignorano L'Unità, l'Ulivo e Rifondazione comunista nelle loro rievocazioni e mozioni; li ignora persino l'amministrazione comunale di Milano (di centro-destra) che avalla senza fiatare la mutilazione della verità storica, con l'abituale viltà, sul suo periodico d'informazione e nei suoi atti politici.
    E se, ancora dopo 53 anni, tutti ignorano (o vogliono ignorare), perfino nella sua tragica essenzialità, la strage gappista indissolubilmente legata alla fucilazione del 10 agosto 1944, figuriamoci se qualcuno ricorda ciò che accadde fra il massacro e la rappresaglia. Eppure, in quelle ore disperate, mentre la gestione dei rapporti fra militari tedeschi e popolazione passava dalle "public relations" della Staffen-Propaganda e del defunto maresciallo Karl, alla Gestapo del capitano Saevecke, si impegnò un braccio di ferro durissimo fra le autorità fasciste, contrarie alla ritorsione, e i militari tedeschi inferociti che non volevano sentire ragione.
    Si oppose il prefetto Piero Parini, che arrivò a minacciare le dimissioni; si oppose il federale Vincenzo Costa; si oppose Mussolini, intervenendo direttamente sul maresciallo Kesselring e su Hitler. La prova è, tra l'altro, negli atti del processo politico subito nel dopoguerra da Vincenzo Costa il quale, nel suo diario ("Ultimo federale", Il Mulino, 1997) ricorda: "Alle 14 (del 9 agosto, ndr) mi trovavo nell'ufficio dei capo della provincia quando arrivò una nuova telefonata del duce; abbassato il ricevitore, Parini mi permise di ascoltare la voce inconfondibile del capo. Tra l’altro egli disse: “il maresciallo Kesserling ha le sue valide ragioni; ogni giorno nel Nord soldati o ufficiali tedeschi vengono proditoriamente assassinati... Ha deciso di attuare la rappresaglia. Ma sono riuscito a ridurre a dieci le vittime... Ho interessato il Fhurer: spero ancora””.
    Proprio mentre le autorità fasciste e i militari tedeschi si contendevano le vite degli ostaggi appese a un filo, i gappisti milanesi colpirono di nuovo. Anche questo è stato dimenticato. Alle 13 del 9 agosto 1944 un terrorista in bicicletta, armato di pistola, fulminò con un colpo alla nuca, davanti alla porta di casa, in via Juvara 3, il capitano della Milizia Ferroviaria, Marcello Mariani, sposato con quattro figli. Mentre l'uomo agonizzava nel suo sangue, un secondo gappista, di copertura, ferì a revolverate Luigi Leoni, della brigata nera "Aldo Resega", che era sopraggiunto e si era gettato all'inseguimento del primo. L'uccisione di Mariani fu il fatto che decise la sorte dei quindici sventurati rinchiusi a San Vittore. Fra l'ottobre 1943 e il novembre 1944 i gappisti milanesi uccisero 103 fascisti in agguati come quello di via Juvara. Il fondatore della "Ia GAP", Egisto Rubini, catturato a Sesto San Giovanni alla fine di febbraio 1944, si suicidò nel carcere di San Vittore nel marzo successivo per non tradire i suoi compagni sotto tortura. “Medaglia d’oro alla memoria”.




    ed.DOMUS

  7. #17
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    Citazione Originariamente Scritto da Dr.Hans Visualizza Messaggio
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    Se i soldati di Salò si sono macchiati di crimini (in una guerra è più facile macchiarsi di crimini che non compiere buone azioni), si sono macchiati allo stesso modo e anche peggio tantissimi partigiani, che hanno continuato ad uccidere, trucidare senza pietà donne, bambini, civili INNOCENTI A GUERRA FINITA dal 1945 al 1950 circa.

    Si possono leggere i libri di Giampaolo Pansa IL SANGUE DEI VINTI e LA GRANDE BUGIA (la bugia della vulgata resistenziale).
    Dimentichi una cosa: Tito, insieme a Norimberga voleva i Tribunali di Guerra per i gerarchi fascisti italiani, ma non glieli concessero...molte vendette sarebbero state evitate - Foibe comprese - (in ogni caso, perché colpevolizzare solo i Partigiani per queste vendette?...).

    Salò fu una dittatura sanguinaria ancora maggiore del Ventennio....e la sua ripercursione la ebbero gli italiani per quasi due anni e tutti nel Centro Nord...

  8. #18
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    I tedeschi se la ridono e gli italiani ancora che si scannano per questi fatti...infatti fu una mossa astuta di Hitler (e consapevolmente o no dei Savoia, degli Alleati e di Badoglio - che forse paventavano un altro tipo di spaccatura -,...poi, chissà poi perché Mussolini fu imprigionato al Gran Sasso e non in altro luogo...) : spaccare in due l'Italia, e si ebbe la Repubblica di Salò apparentemente sotto Mussolini, ma di fatto comandata dai nazisti.

  9. #19
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    La terra di Giovannino Guareschi
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    Citazione Originariamente Scritto da mosongo Visualizza Messaggio
    Dimentichi una cosa: Tito, insieme a Norimberga voleva i Tribunali di Guerra per i gerarchi fascisti italiani, ma non glieli concessero...molte vendette sarebbero state evitate - Foibe comprese - (in ogni caso, perché colpevolizzare solo i Partigiani per queste vendette?...).
    Tu ne dimentichi un'altra: Tito e i suoi, con l'appoggio silente e vile di Togliatti, volevano trasformare l'Italia del nord in una succursale della Repubblica jugoslava, altro che vendette per i mancati tribunali dei gerarchi! Il piano era chiarissimo: annientare gli avversari politici e ideologici di un possibile instaurarsi dello Stato proletario. Proprietari terrieri, ex fascisti, sacerdoti, ma anche semplici cittadini rei di esser cattolici, e i loro familiari, donne e bambini compresi, andavano fatti fuori per creare le basi di terrore su cui potesse nascere lo Stato fantoccio di Tito. Grzie a Dio le cose non sono andate alla fine come volevano i partigiani e i loro capi, ma migliaia di vittime sono state fatte, e la maggior parte di loro non solo non ha avuto nemmeno un processo, ma nemmeno si trovano ancora le ossa, DOPO 60 ANNI! anche le ossa del papà di Renzo Lusetti della Margherita non si trovano, tanto per fare un nome conosciuto (tratto da La grande bugia di Pansa)

    Salò fu una dittatura sanguinaria ancora maggiore del Ventennio....e la sua ripercursione la ebbero gli italiani per quasi due anni e tutti nel Centro Nord...
    nel centro nord si è visto come andarono le cose sotto i bombardamenti e ancora coi partigiani impuniti, liberi di delinquere ed uccidere fino ai primi anni '50...

  10. #20
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    Citazione Originariamente Scritto da apoliticos Visualizza Messaggio
    EL KARLUN


    I GAP E L’ECCIDIO DI PIAZZALE LORETO Riapre il processo all’ufficiale delle SS che il 10 agosto l944 fece uccidere a Milano quindici partigiani.Inizia così una nuova campagna politica. Nessuno ricorda che la strage avvenne per ritorsione dopo che i comunisti avevano ucciso 5 soldati tedeschi e 13 civili italiani, innocenti, tra i quali 3 bambini.
    Paolo Pisanò


    Si è aperto il 28 novembre scorso a Torino il processo contro l'ex capitano delle SS Theodor Emil Saevecke, già comandante della "Sichereit" tedesca a Milano fra il settembre 1943 e l'aprile 1945 (oggi ottantaseienne vicedirettore del controspionaggio di Bonn in pensione), accusato dell'eccidio di 15 partigiani in piazzale Loreto, avvenuto il 10 agosto 1944. Tutto è pronto per l'apertura del secondo revival giudiziario dopo il processo di Roma contro Erich Priebke. Ciascuno ha fatto la sua parte per preparare la scena sulla quale, come da copione, dovrà essere nuovamente condannato il Male, glorificato il Bene e, soprattutto, riaffermata la santità della Resistenza, madre della Repubblica.
    Ha fatto la sua parte il dottor Pier Paolo Rivello, procuratore militare di Torino, che lo scorso anno ha riaperto il caso dopo oltre mezzo secolo di "archiviazione provvisoria"; l'hanno fatta i consiglieri comunali milanesi dell'Ulivo e di Rifondazione comunista che hanno fatto approvare (in un consiglio a maggioranza di centro-destra) una mozione per la costituzione del Comune di Milano come parte civile contro l'ex ufficiale delle SS; l'ha fatta L'Unità che ha dedicato cinque pagine del suo supplemento settimanale al nazista e alla sua scandalosa carriera postbellica" nella democraticissima Germania di Bonn; l'ha fatta anche l'amministrazione di centro-destra del Comune di Milano che, nel candore del suo bimestrale di informazione a distribuzione gratuita (n. 3 - ottobre 1997), ha accennato al tragico evento di cinquant'anni or sono con queste incredibili parole: "10 agosto. Milano ricorda i martiri di piazzale Loreto, i 15 partigiani fucilati dalle camicie nere il 10 agosto 1944, come rappresaglia per un attentato (senza vittime) a un camion tedesco in Porta Venezia".
    C'è tutto perché lo spettacolo edificante possa cominciare: il boia nazista, le camicie nere , il pretesto risibile (un botto innocuo senza vittime) e, infine, le 15 vittime della barbarie nazifascista. Manca solo un dettaglio: la verità.

    LA MENSA DI PROPAGANDA DEL MARESCIALLO “CARLUN”
    La verità sul perché, la mattina del 10 agosto 1944, quindici antifascisti detenuti a San Vittore (Andrea Esposito, maglierista; Domenico Fiorano, industriale; Umberto Fogagnolo, ingegnere; Giulio Casiraghi, tiratore di gomena; Salvatore Principato, insegnante; Renzo Del Riccio, operaio; Libero Temolo, operaio; Vittorio Gasparini, dottore in legge; Giovanni Galimberti, impiegato; Egidio Mastrodomenico, impiegato; Antonio Bravin, commerciante; Giovanni Colletti, meccanico; Vitale Vertemarchi, Andrea Ragni e Eraldo Pancini) furono condannati a morte assieme ai loro compagni Eugenio Esposito, Guido Busti, Isidoro Milani, Mario Folini, Paolo Radaelli, Ottavio Rapetti, Giovanni Re, Francesco Castelli, Rodolfo Del Vecchio, Giovanni Ferrario e Giuditta Muzzolon è tutt'altra.
    Perché, mentre Giuditta Muzzolon veniva graziata e per gli altri dieci la pena di morte veniva commutata in "condanna in penitenziario, qualora non si verifichino atti di sabotaggio", i primi quindici furono portati in piazzale Loreto e fucilati? Per un innocuo botto dimostrativo senza vittime ai danni di un autocarro tedesco?
    No. Il sangue del 10 agosto 1944 era stato provocato da altro sangue sparso 48 ore prima precisamente alle 7,30 dell'8 agosto, al margine della stessa piazza (angolo viale Abruzzi-Loreto) quando una bomba "gappista" (GAP Gruppi di Azione Patriottica, organizzazione terroristica del Partito comunista italiano) era esplosa tra la folla compiendo una strage che era costata la vita a cinque soldati tedeschi e tredici civili italiani fra i quali una donna e tre bambini, rispettivamente di tredici, dodici e cinque anni.
    Ecco i nomi dei civili italiani che morirono sul colpo nell'attentato gappista o nei giorni successivi, tutti per "ferite multiple da scoppio di ordigno esplosivo": Giuseppe Giudici, 59 anni; Enrico Masnata, Gianfranco Moro, 21 anni; Giuseppe Zanicotti, 27 anni; Amelia Berlese, 49 anni; Ettore Brambilla, 46 anni; Primo Brioschi, 12 anni; Antonio Beltramini, 55 anni; Fino Re, 32 anni; Edoardo Zanini, 30 anni; Gianstefano Zatti, 5 anni; Gianfranco Bargigli, 13 anni; Giovanni Maggioli, di 16 anni.
    Rimasero inoltre feriti più o meno gravemente: Giorgio Terrana, Letizia Busia, Luigi Catoldi, Maria Ferrari, Ferruccio De Ponti, Luigi Signorini, Alvaro Clerici, Emilio Bodinella, Antonio Moro, Francesco Echinuli, Giuseppe Formora, Gaetano Sperola e Riccardo Milanesi.
    Dei cinque soldati tedeschi uccisi, i cui nomi non furono annotati nei registri civili italiani, è rimasta memoria solo di un maresciallo di nome Karl, che per la sua mole era stato soprannominato dai milanesi di Porta Venezia "El Carlùn" (il Carlone). Quel nomignolo che Karl, maresciallo di fureria, se l'era guadagnato fermandosi ogni mattina, all'angolo fra viale Abruzzi e piazzale Loreto, con i suoi camions per distribuire alla popolazione verdura, patate e frutta che la "Staffen - Propaganda” acquistava al mercato di Porta Vittoria, aggiungeva agli avanzi delle mense militari e regalava ai milanesi, tutti, a quell'epoca, dannatamente a corto di viveri. Un'operazione di "public relations", si direbbe oggi, intrapresa dalle Forze Armate tedesche nei confronti dei civili e che, dati i tempi di fame, aveva riscosso un successo immediato. Troppo, per la sensibilità antifascista della "GAP" di Milano, comandata da Giovanni Pesce, detto "Visone", tutt'oggi vivente e quindi in grado di ricostruire nei dettagli l'azione che venne decisa e attuata per spezzare il feeling alimentare promosso dalla Wermacht con i milanesi.

    UNA ININTERROTTA CACCIA ALL’UOMO
    Il risultato fu che la mattina dell'8 agosto 1944, i terroristi del Partito comunista si mescolarono alla piccola folla che si accalcava come di consueto davanti alle ceste del "Carlùn" e infilarono in una di queste la bomba ad alto potenziale che, poco dopo, avrebbe seminato la strage indiscriminata: 18 morti e 13 feriti, quasi tutti poveracci milanesi.
    Diciotto morti e tredici feriti innocenti, tutti assolutamente dimenticati, abrogati, cancellati dalla memoria storica, politica e giudiziaria italiana. Come se fossero indegni di ricordo, di pietà, di giustizia. Li ha dimenticati Giovanni Pesce detto “Visoni”, “medaglia d’oro al valor partigiano", il quale nei libri da lui scritti sulla sua militanza gappista non ha mai raccontato questa azione che pure non è di poco conto (18 morti e 13 feriti in un colpo solo e senza subire perdite rappresentano un risultato ragguardevole); li ha ignorati, a quel che sembra, il procuratore militare Pier Paolo Rivello riaprendo il caso Saevecke; li ignorano L'Unità, l'Ulivo e Rifondazione comunista nelle loro rievocazioni e mozioni; li ignora persino l'amministrazione comunale di Milano (di centro-destra) che avalla senza fiatare la mutilazione della verità storica, con l'abituale viltà, sul suo periodico d'informazione e nei suoi atti politici.
    E se, ancora dopo 53 anni, tutti ignorano (o vogliono ignorare), perfino nella sua tragica essenzialità, la strage gappista indissolubilmente legata alla fucilazione del 10 agosto 1944, figuriamoci se qualcuno ricorda ciò che accadde fra il massacro e la rappresaglia. Eppure, in quelle ore disperate, mentre la gestione dei rapporti fra militari tedeschi e popolazione passava dalle "public relations" della Staffen-Propaganda e del defunto maresciallo Karl, alla Gestapo del capitano Saevecke, si impegnò un braccio di ferro durissimo fra le autorità fasciste, contrarie alla ritorsione, e i militari tedeschi inferociti che non volevano sentire ragione.
    Si oppose il prefetto Piero Parini, che arrivò a minacciare le dimissioni; si oppose il federale Vincenzo Costa; si oppose Mussolini, intervenendo direttamente sul maresciallo Kesselring e su Hitler. La prova è, tra l'altro, negli atti del processo politico subito nel dopoguerra da Vincenzo Costa il quale, nel suo diario ("Ultimo federale", Il Mulino, 1997) ricorda: "Alle 14 (del 9 agosto, ndr) mi trovavo nell'ufficio dei capo della provincia quando arrivò una nuova telefonata del duce; abbassato il ricevitore, Parini mi permise di ascoltare la voce inconfondibile del capo. Tra l’altro egli disse: “il maresciallo Kesserling ha le sue valide ragioni; ogni giorno nel Nord soldati o ufficiali tedeschi vengono proditoriamente assassinati... Ha deciso di attuare la rappresaglia. Ma sono riuscito a ridurre a dieci le vittime... Ho interessato il Fhurer: spero ancora””.
    Proprio mentre le autorità fasciste e i militari tedeschi si contendevano le vite degli ostaggi appese a un filo, i gappisti milanesi colpirono di nuovo. Anche questo è stato dimenticato. Alle 13 del 9 agosto 1944 un terrorista in bicicletta, armato di pistola, fulminò con un colpo alla nuca, davanti alla porta di casa, in via Juvara 3, il capitano della Milizia Ferroviaria, Marcello Mariani, sposato con quattro figli. Mentre l'uomo agonizzava nel suo sangue, un secondo gappista, di copertura, ferì a revolverate Luigi Leoni, della brigata nera "Aldo Resega", che era sopraggiunto e si era gettato all'inseguimento del primo. L'uccisione di Mariani fu il fatto che decise la sorte dei quindici sventurati rinchiusi a San Vittore. Fra l'ottobre 1943 e il novembre 1944 i gappisti milanesi uccisero 103 fascisti in agguati come quello di via Juvara. Il fondatore della "Ia GAP", Egisto Rubini, catturato a Sesto San Giovanni alla fine di febbraio 1944, si suicidò nel carcere di San Vittore nel marzo successivo per non tradire i suoi compagni sotto tortura. “Medaglia d’oro alla memoria”.




    ed.DOMUS
    Cos'è?...sei passato davanti ad un muro e ti scappava la pipì e l'hai fatta e ti sei accorto del manifesto pubblicitario che ti ha tolto la voce e non riesci più ad abbaiare?
    ...

 

 
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