Prima parte
INTERVISTA
Loach spirito ribelle
di Liana Messina
Il lavoro precario, le nuove vittime del business. In questo mondo libero... segna l'amaro ritorno all'oggi del regista inglese. Che però non si arrende: "La gente si darà da fare, deve vedere che le cose cambiano"
L'ultima volta aveva voltato per un attimo lo sguardo indietro, un tuffo nella storia inglese come specchio dell'attuale, con Il vento che accarezzava l'erba che gli aveva fatto conquistare la Palma d'oro a Cannes 2006. Oggi Ken Loach torna dritto nel contemporaneo, anzi ci si rituffa in pieno scegliendo una storia ambientata di nuovo nel cuore dell'Inghilterra, a Londra, dove non girava da oltre 10 anni, dai tempi dell'intenso Lady Bird Lady Bird.
Altrettanto forte, coinvolgente, è In questo mondo libero..., appena passato in concorso al Festival di Venezia e che ora esce nei cinema italiani. Titolo amaramente ironico, perché il regista e il suo coautore inseparabile, l'irlandese Paul Laverty, raccontano quella che è una sorta di nuova schiavitù, le condizioni di vita e di lavoro massacranti dell'ultima ondata di immigrati clandestini, soprattutto quelli che vengono dall'Europa dell'Est in fuga dal collasso economico dell'ex Unione Sovietica.
Singolarmente è di nuovo una donna la protagonista, eroina o meglio antieroina, controversa e dura, una vittima che si trasforma in carnefice. Angie (la bravissima Kierston Wareing, quasi una sconosciuta, che prima aveva fatto solo qualche bizzarra particina in tv, e, delusa, stava seriamente pensando di abbandonare la carriera, tanto seguiva un corso per segretaria) ha trent'anni, il suo background è nella classe operaia, è madre single di un ragazzino che vive con i nonni e lei non lo vede quasi mai. Ha cambiato trenta lavori in dieci anni, e quando viene licenziata ingiustamente anche dall'ultimo, un'agenzia di lavoro temporaneo che opera anche in Polonia, prende coraggio e decide di sfruttare la sua esperienza in quel campo mettendosi in proprio. È senza licenza, usa il cortile del pub di quartiere come ufficio, convince la miglior amica e coinquilina Rose a farle da spalla, nasconde la massa di capelli biondi dentro un casco e inforca la moto correndo da un capo all'altro della città per reclutare immigrati o trattare con le fabbriche che poi li useranno con orari e condizioni di lavoro da schiavi.
Angie sa essere simpatica, convincente, seduttiva, ma anche dura e inflessibile, quando ogni mattina seleziona con grinta gli uomini da stipare in camioncini sgangherati. Pian piano si trasforma in una spietata sfruttatrice, pronta alle azioni più indegne per riuscire ad accumulare soldi e successo. Come racconta lo stesso Loach "in un molto probabile futuro è pronta per esser eletta "la donna d'affari dell'anno"".
Angie è un personaggio da amare o odiare?
Tutte e due. È proprio dalle sue contraddizioni che siamo partiti, sono lo strumento attraverso cui poter raccontare questa storia. Angie è energetica, vulnerabile per certi versi e forte per altri. Egoista e generosa, passionale o fredda, anche spietata. È un personaggio del nostro tempo, molto realistico, ma anche un'immagine-metafora dello spirito che si sta diffondendo nella nostra epoca. Si muove con gli stessi obiettivi che spingono il grande business. Tagliare il costo del lavoro, aprire nuovi mercati, ridurre le spese di gestione.
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